Quelli della notte

È nata nel 2010 con una formula diversa e ora, alla decima edizione, è diventata una grande classica dello skialp in pista e in notturna, come la Sellaronda nelle Dolomiti. La Monterosa Skialp, che nel 2020 ha visto crollare i record maschili e femminili e la partecipazione di tutti gli atleti top, non è solo una gara con 120 coppie che si sfidano nella notte sulle piste del MonterosaSki, ma un evento che prende forma il giorno dopo che è finita l’edizione precedente. E Franco Torretta, direttore d’esercizio della Monterosa SpA, oltre che appassionato Skialper, lo sa bene.

© Stefano Jeantet

Su Skialper 129 di aprile-maggio gli abbiamo chiesto qualche curiosità legata all’organizzazione. «Solo per preparare il percorso ci vogliono 620 bandiere verdi per la salita, 620 bandiere rosse per la discesa, 30 bandiere gialle per le parti a piedi e 200 torce luminose per i cambi di direzione in pista e le zone di cambio; inoltre ci sono tre palloni luminosi e 30 fari per le zone di cambio. Dieci battipista tra le 17,15, orario di chiusura al pubblico delle piste di sci, e le 18, lavorano su un percorso di circa 30 chilometri». A illustrate l’articolo le stupende foto di Stefano Jeantet.

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© Stefano Jeantet
© Stefano Jeantet

Roberto Pecollo, il calzolaio hi-tech

«Dal 1984 nel nostro laboratorio in Via Marconi 65 a Borgo San Dalmazzo, nel Cuneese, la passione per la montagna e il lavoro si sono sempre fusi. All’inizio erano grandi passeggiate e uscite invernali con sci di legno e Marker a 45°, poi le cime più ardite e quindi le prime scalate». A parlare è Roberto Pecollo, un calzolaio, uno di quegli artigiani che hanno ancora un ruolo così importante nel risolvere i piccoli e grandi problemi che sono capitati a tutti quelli che usano uno scarpone da skialp o una scarpetta da arrampicata. E proprio le scarpette sono state la prima ‘palestra’ di Roberto e dei suoi collaboratori. «Le suole si consumavano, come si potevano riparare? Abbiamo provato a fare le prime risuolature con l’Aerlite che era la gomma che sembrava avere le migliori caratteristiche di aderenza, ma sulle tacchette aveva dei grossi limiti, oltre a quello della durata. Sugli scarponi, ringraziando, le cose andavano meglio, perché con la cucitura fatta rigorosamente a mano (esistevano già le macchine ma costavano troppo) e l’incollaggio del carrarmato Vibram il lavoro era collaudato».

Si è andati avanti per un decennio circa, fino a quando si è incominciato a vedere scarpette con forme strane e scarponi «con quella che noi chiamavamo genericamente plastica». Era diventato evidente che le forme di legno e la colla tradizionale non erano più adatte a questi materiali e molti lavori dovevano essere rifiutati. La svolta è arrivata a partire dal 2010. «Grazie alla caparbietà di un collega si è incominciato a parlare di colla poliuretanica che pareva funzionare su questi materiali particolari. Dopo i primi corsi collettivi abbiamo capito che era la strada giusta, ma c’era ancora qualcosa che non quadrava. Le presse che usavamo non erano più sicuramente adatte e poi non era l’unico problema… Abbiamo capito che occorrevano dei preparatori specifici, non si poteva solo lavorare con la colla come eravamo abituati». Servono l’alogeno e diversi tipi di preparatori a seconda del materiale che si devono lavorare. Semplice da capire, ma con un mercato in continua evoluzione e con produttori che giustamente non davano istruzioni, padroneggiare le lavorazioni non è stato semplice. «Fino ad arrivare al 2014, quando, grazie a un contatto personale è arrivato l’approccio con La Sportiva. Il corso a Ziano di Fiemme, la conoscenza del gruppo o meglio di quella che io definisco la famiglia della valle di Fiemme è stata un’esperienza indimenticabile nella quale per la prima volta ho capito come si lavora ad alti livelli».

Da qui la decisione di acquistare la prima pressa industriale e l’arrivo in bottega di forme specifiche che ha portato una vera e propria trasformazione nel modo di lavorare. Tutto risolto? «Il mondo della chimica è in continua evoluzione e bisognerebbe essere non dei ciabattini, ma dei tecnici dei materiali: è una sfida che cerchiamo di affrontare e di risolvere grazie all’assistenza di tante persone e tecnici disponibili, in particolare vorrei ringraziare Stefano e la famiglia Delladio per la loro disponibilità». Giorno dopo giorno Roberto e i suoi collaboratori continuano a lavorare con umiltà e voglia di migliorare, soprattutto con quella grande passione che ha sempre messo insieme il lavoro e lo svago, cercando nella ricerca e nello sviluppo una tecnica che permetta di rimanere al passo con i tempi e di fornire ai clienti un’assistenza sempre più qualificata. Ciabattino hi-tech, appunto. Ah, dimenticavamo, se aveste bisogno dell’aiuto di Roberto per risolvere qualche problema della vostra scarpetta d’arrampicata o del vostro scarpone, Roberto lo trovate al 334.2698809 o all’email roberto.pecollo@yahoo.it


Le tende Ferrino in prima linea nell'emergenza Covid-19

C’è un marchio che alpinisti e appassionati di outdoor conoscono bene che in questi giorni di emergenza è particolarmente attivo. Ferrino, infatti, in 150 anni di attività,  ha sviluppato un grande know-how nel progettare e produrre tende e prodotti per l’emergenza, oltre che per il tempo libero. Sono molte le organizzazioni umanitarie nazionali e internazionali con le quali collabora dal Ministero degli Interni alla Protezione Civile Italiana, passando per alcune agenzie importanti delle Nazioni Unite come Unicef, Unhcr, World Food Program, fino alla Croce Rossa e alcune importanti ONG come Medecins sans Frontieres e Save the Children.

Nelle ultime settimane a San Mauro Torinese si è lavorato a pieno ritmo, nel rispetto delle disposizioni per la sicurezza, per la confezione delle tende che vengono  attualmente impiegate  all’esterno degli ospedali per effettuare un primo screening sui pazienti che arrivano al pronto soccorso, così da poterli incanalare nei giusti flussi prima di farli accedere alla struttura ospedaliera. L’ultimo progetto riguarda l’unità di crisi dell’ASL di Cuneo: 18 tende con percorsi di collegamento protetti, dotate di teli ombra e impianti elettrici, progettate per riprodurre un’intera struttura ospedaliera: triage, sala attesa, camera pre-operatoria ed operatoria, sala per nascite, laboratorio RX, camera mortuaria, oltre a dormitori con camere interne con posti letto, bagni e docce. Una struttura gemella di quella attualmente operativa in Mozambico.


Nadir Maguet, il Mago trasformista

Nadir, allora, sei uno scialpinista o uno skyrunner?

«Me lo chiedono in tanti adesso. Ma, come in tutte le cose, ci sono sempre delle novità. Ho iniziato con lo sci di fondo, poi ho scoperto il biathlon, diventando anche campione italiano Ragazzi. Ho provato, per un anno, pure il calcio e non andavo male: volevano farmi fare un provino per il Torino, ma non mi piaceva l’ambiente. Così grazie a Teto Stradelli, che era mio compagno di scuola e faceva già gare di skialp, ho provato sci e pelli e ho sfidato mio padre nel vertical notturno del paese: se l’avessi battuto mi avrebbe comprato l’attrezzatura, che per quell’occasione mi ero fatto prestare. Inutile dire come è andata e che grazie a Marco Camandona ho iniziato ad allenarmi con lo sci club Corrado Gex. Ricordo ancora quella volta al Trofeo Vetan quando mi ha insegnato i cambi di assetto sull’asfalto, pochi minuti prima del via. Poi dai vertical sono passato alle individual e in estate ho iniziato a fare prove di sola salita per allenarmi, infine la salita ha lasciato posto anche alle skyrace, perché sono molto simili a una gara di scialpinismo. E così siamo arrivati all’estate scorsa quando ho deciso di partecipare alle Golden Trail Series e di fare la mia prima gara di quasi quattro ore, a Chamonix. Un’altra novità».

© Chiara Redaschi

Per la cronaca Nadir Maguet nel 2019, dopo avere collezionato il secondo posto alla Marathon du Mont Blanc e alla Dolomyths di Canazei e la vittoria alla Ring of Steal, presentandoti al secondo posto alle finali, dietro a quel Kilian che ha avuto davanti anche alla skyrace dei Mondiali scozzesi, nel 2018, ha dovuto ritirarsi, chiudendo al quinto posto. E una stagione a così alto livello ci ha fatto venire voglia di andare a casa sua, a Torgnon, proprio per capire qual è la vera anima del Mago. Abbiamo fatto gli ultimi tornanti prima del suo pied-a-terre sotto una fitta nevicata, pochi giorni prima del lockdown. Saremo riusciti a capirlo? Per leggere l’intervista integrale dovete comprare Skialper 129 di aprile-maggio. Però vi anticipiamo cosa pensa dei tre mondi che ha frequentato, potrebbe essere un indizio. Potrebbe…

© Chiara Redaschi

Scialpinismo, trail e skyrunning sono tre mondi molto vicini, con fatica e dislivello al centro: sono più i punti in comune o le differenze?

«Più che in generale tra i tre sport, farei una distinzione tra le Golden Trail Series e il resto, soprattutto su come sono gestite e comunicate. Prendi per esempio la Coppa del Mondo di scialpinismo: si corre con poco pubblico e per gli atleti non c’è visibilità. Alle Golden Trail Series ti intervistano prima e dopo la gara, producono un video per ogni tappa dove fanno vedere i momenti più importanti con la voce dell’atleta a commentare, c’è un live streaming. E poi la formula della finale alla quale partecipano solo i primi dieci, portando anche un accompagnatore, ti fa vivere a stretto contatto con gli altri, fino alla gara c’è un bello spirito, quasi di vacanza, mentre nelle altre occasioni sei sempre solo».

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Acquistando su ortovox.it si sostengono i negozi specializzati

Il commercio al dettaglio è una delle attività che sta soffrendo di più in questo momento di lockdown, mentre a beneficiarne sono le vendite online. Una situazione che mette a rischio la riapertura di tante attività. In soccorso dei punti vendita specializzati del settore outdoor arriva Ortovox con una campagna, già attiva da alcuni giorni, di sostegno ai rivenditori locali, invitando tutti gli appassionati che hanno intenzione di acquistare prodotti sul sito ortovox.it, a scegliere un rivenditore autorizzato da una lista presente nella pagina della campagna.

Al rivenditore selezionato - tramite un codice individuale presente sulla lista e che il cliente deve inserire nell’ordine online - verrà riconosciuto da Ortovox il 25% dell’ammontare totale dell’ordine. Ai clienti, oltre la soddisfazione di sostenere il proprio rivenditore locale di fiducia, che durante l’emergenza Covid-19 non può aprire il suo negozio, una fascia TEC Headband in omaggio, come ringraziamento dell’azienda per il sostegno dimostrato. La campagna è attiva in Germania, Austria, Francia, Regno Unito e Italia ed è rivolta ai rivenditori autorizzati Ortovox che partecipano alla promozione e si trovano elencati nelle liste ufficiali presenti sul sito ortovox.it.


Soul Silk, i diari della bicicletta

«Tornare a mettere gli sci è stato fantastico. Abbiamo lasciato i carretti a Kayseri e, sci in spalla, siamo saliti di primo mattino in bici fino al passo, a circa 2.000 metri, dove, seguendo le ultime lingue di neve, abbiamo iniziato a risalire le piste del comprensorio sciistico. Dopo alcune centinaia di metri di dislivello, abbandonate le piste, per alcuni avvallamenti e su dolce pendenza ci siamo via via portati ai piedi del pendio finale, maestoso e illibato. Il sole, complice l'esposizione a Est, stava già scaldando la neve, le condizioni erano ottimali e abbiamo iniziato a risalire il canale di accesso ai pendii soprastanti con numerosi dietrofront. La pendenza cresce in progressione dai 30° fino ai 40° finali per arrivare alla cresta sommitale che conduce brevemente alla vetta sciistica. Salire questo imponente vulcano con lo sguardo che pian piano spaziava a perdita d'occhio su tutta l'Anatolia fino a a lambire le coste del Mar Nero a Nord e del Mediterraneo a Sud è stata una sensazione che non potrò dimenticare, qualcosa di nuovo. Poi la discesa, su firn perfetto, con le nostre tracce a disegnare solitarie il ripido pendio sommitale. Arte del divertimento».

Salendo sull'Erciyes © Giacomo Meneghello

Con queste parole Giacomo Meneghello descrive la salita ediscesa dall’Erciyes, in Turchia. Una delle montagne salite e sciate nel corso della lunga avventura che da metà aprile a fine luglio del 2019 l’ha portato a pedalare da Livigno alla Cina, in compagnia dell’amico Yanez. Un viaggio incredibile: 9.700 chilometri, 90.000 metri di dislivello positivo, 12 Stati attraversati. Proprio quel soffio di avventura che tanto ci è mancato negli ultimi mesi. Durante Soul Silk Giacomo e Yanez hanno anche raggiunto la cima della Marmolada, del Mussala, in Bulgaria, e dello Yuhina Peak, un cinquemila vicino al Pik Lenin.

© Giacomo Meneghello

«Il nostro carretto durante il viaggio era un po’ come la borsa di Mary Poppins. E non ne abbiamo mai saputo il peso effettivo, stimato forse in circa 80 chili totali. Un ritrovato di tecnologia artigianale tanto funzionale e robusto quanto problematico per l'ingombro e la struttura pensata per renderlo facilmente chiudibile, ma proprio per questo difficile da svuotare» scrive ancora Giacomo. Nel carretto naturalmente anche artva, pala e sonda, ramponi, piccozza, casco, zaini, imbrago, corda, tenda e sacco letto.

© Giacomo Meneghello

L’avventura di Giacomo è diventata un diario di viaggio, con parole e foto, su Skialper 129 di aprile maggio. Quattordici pagine da sfogliare con calma, quattordici pagine che in un momento come questo hanno un valore diverso.

Samarcanda © Giacomo Meneghello
Al Pik Lenin © Giacomo Meneghello

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Marco De Gasperi diventa brand manager Scarpa per il trail running

«La fiamma è ancora troppo accesa, non mi accontenterò di fare la mezz’oretta da pensionato, voglio ancora provare a togliermi delle soddisfazioni nel trail, soprattutto sulle distanze ultra». Partiamo dalla fine, rewind. Poco fa abbiamo terminato di parlare con Marco De Gasperi proprio mentre rientrava in auto da Asolo verso la sua Bormio. La notizia del Dega brand manager per il trail running in Scarpa era troppo ghiotta per relegarla a un semplice comunicato stampa. Perché Marco De Gasperi rappresenta per il movimento della corsa in natura quello che Kilian Jornet rappresenta per il fast and light in montagna. Il palmarès di Marco parla da solo: sei titoli di Campione del Mondo di Corsa in Montagna, una medaglia da Campione europeo, undici Coppe del Mondo, due titoli Europei di Skyrunning, senza dimenticare le imprese che l’hanno portato a realizzare dei record che non venivano infranti da oltre vent’anni. E una carriera - non ancora finita, a giudicare dal virgolettato che riportiamo sopra - che spazia dalle prime, eroiche, gare di skyrunning degli anni ‘90 alla corsa in montagna e all’ultra-trail. Non puoi liquidare con una velina l’arrivo di uno così dietro alla scrivania (si fa per dire) dove si decidono le strategie di uno dei marchi che hanno fatto la storia calzaturiera dell’Italia alpina.

I rumours erano già nell’aria da settimane, da quando De Gasperi aveva annunciato il suo addio ai Carabinieri, ma mancava l’ufficialità sul marchio e il ruolo. Si pensava soprattutto allo sviluppo dei prodotti. Invece non è così, o almeno non è solo così. «Mi occupo di prodotto, naturalmente, ma il mio ruolo va oltre, sono il referente per tutta l’area del trail running, dagli eventi, agli atleti, fino alle gare perché c’è l’idea forte di portare la tradizione e l’immagine di Scarpa, leader nell’hiking, nell’alpinismo, nell’arrampicata e nello scialpinismo, anche nel mondo della corsa in natura, partendo da prodotti già affermati per fare un ulteriore salto in avanti e consolidare la reputazione tra chi corre». Forse non è il momento più felice per iniziare una nuova avventura, ma tu sei abituato a stringere i denti… «Ti confesso che quando è iniziata l’emergenza ho pensato che un’azienda in questo momento così difficile per tutti avrebbe potuto dire ‘fermiamoci un attimo, aspettiamo’, invece in Scarpa non si sono fermati perché c’è una grande voglia di affermarsi come leader anche nel trail, perché è un passo che non si può più rinviare. E questo mi dà ancora più energie». È un lavoro che passa più per lo sviluppo dei prodotti o per l’immagine? «Passa da tutte le parti, lo dice il mio ruolo stesso. Partiamo da scarpe valide e dal grande know-how del marchio, poi dobbiamo creare un vero team partendo dagli ottimi atleti che già abbiamo, dobbiamo creare lo spirito di gruppo, perché gli atleti vanno aiutati; dobbiamo stringere accordi con gare importanti e vicine alla nostra idea di montagna e di trail». Quando parli di atleti hai già qualche idea per il futuro? «Credo che non ci sia un team che, al femminile, ha i punti ITRA del nostro: penso a Elisa (Desco, ndr), a Francesca Canepa, ma anche a Ilaria Veronese e a Silvia Rampazzo che ha fatto la storia del marchio nel trail e che in qualche modo vogliamo che rimanga legata a noi. Però vorrei anche fare crescere dei giovani, abbiamo già inserito Luca Del Pero e Lorenzo Beltrami, nei quali credo. Ci sono Daniel Jung e Gil Pintarelli, che sono forti, e a livello internazionale continueremo con Joe Grant e Hillary Gerardi, ma non ti nascondo che mi piacerebbe anche fare entrare qualche nome top a livello internazionale. Questa stagione, vista anche la situazione, servirà per creare lo spirito di gruppo e rodarci». La tua lunga esperienza cosa ti dice: dove sta andando il trail running? «C’è una fetta sempre più grande di principianti, che arrivano al trail dalla città o dalla corsa, non dalla montagna, e che cercano scarpe comode e sicure e ci sono aziende di altri mondi che credono sempre di più nel trail, questo è il trend più forte che vedo, però non va dimenticato l’appassionato che arriva dal nostro mondo, che è sempre più appassionato ed esigente».

Che ambiente hai trovato ad Asolo? «Un bel gruppo, giovane, con tanta voglia di emergere. Io ho portato la mia esperienza, che è soprattutto tecnica e sportiva, poi sono loro che hanno dato forma alle scarpe e credo che, un po’ perché il trail lo consente, un po’ perché è un campo dove c’è più libertà rispetto al grande heritage del marchio, abbiano dato ancora più sfogo alle loro doti creative». Dunque, quando vedremo le prime scarpe dove c’è anche il tuo zampino? «Già nella collezione primavera-estate 2021». Troverai il tempo di allenarti, visto che hai confessato che le scarpe al chiodo non hai intenzione di appenderle? «Spero di riuscire a togliermi delle soddisfazioni, perché non ho raggiunto ancora tutti i miei obiettivi, e poi stare all’interno del team mi può aiutare a essere un brand manager migliore». Allenatore in campo, per vincere. In bocca al lupo Marco.

Da sinistra, l'ad Bolzonello, il presidente Parisotto e De Gasperi

L'incredibile storia dell’attacchino che fa impazzire il mondo

«È un quadrilatero che ha come estremi Bad Haring, in Tirolo, Graz, in Stiria, il Monte Bianco e la Valtellina. Non c’è dubbio però che il caso abbia voluto che il Monte Bianco, il luogo che apparentemente centra meno con questa storia, sia stato determinante. Siamo agli inizi degli anni Ottanta. Uno studente di ingegneria di ritorno da una vacanza con un amico per arrampicare nelle Calanques passa da Chamonix. Guarda il Monte Bianco e, con quell’incoscienza tipica dei ventenni, non ci pensa due volte: perché non proviamo ad arrivare in vetta? I due scelgono di traversare dall’Aiguille du Midi, poi Tacul e Mont Maudit. Alla fine in vetta ci arrivano, ma devono battere traccia e quell’attrezzatura pesante – sci da due metri e attacchi da skialp con telaio – li distrugge più dell’intera vacanza nelle Calanques».

Inizia così l’articolo di Skialper 129 di aprile-maggio, in distribuzione a partire da questi giorni, che ripercorre la storia dell’attacchino. Un incredibile incrocio di coincidenze e incontri che ha portato un visionario come Fritz Barthel a creare un oggetto rivoluzionario ma poco compreso agli inizi. L’attacco che è diventato lo standard e ha in parte spinto lo skialp verso il boom è nato dall’intuizione e dalla testardaggine di uno studente di ingegneria, ma si è sviluppato grazie all’incontro con il mondo dello skialp race italiano, Fabio Meraldi e Adriano Greco in primis, e al rapporto, fin dagli inizi, prima che il marchio del leopardo delle nevi acquisisse i diritti esclusivi, con Dynafit. Parlando con i protagonisti di questa piccola rivoluzione abbiamo ricostruito tutti i passaggi, gli aneddoti, le variabili.

«Credo che i pin resisteranno ancora, ma la storia dice che i sistemi vengono sostituiti da altri sistemi migliori e dubito che sarò io a fare il prossimo passo, non è giusto che lo faccia un vecchio testardo: giovani, fatevi avanti!». Se c’è qualcuno pronto a raccoglierla, è bene che si legga prima di tutta la storia.

Un'immagine d'epoca di Fritz Barthel

Crazy lancia la mascherina fast & light per lo sport outdoor

Valeria Colturi e il suo staff l’hanno chiamata la prima sport mask fast & light. Oltre le parole, quella che Crazy, l’azienda valtellinese specializzata nell’abbigliamento sportivo funzionale, sta lanciando è proprio una mascherina studiata per la pratica dello sport outdoor. Infatti è stata studiata insieme alla Guida alpina Ivan Pegorari, incaricato dal Collegio Regionale Lombardo, in quanto anche sanitario, di predisporre le linee guida per il comportamento nella fase due in collaborazione con medici specializzati e ospedali lombardi.

Con tutta probabilità sarà obbligatorio usare la mascherina anche in molti contesti di sport in ambiente. «L’Istituto Superiore della Sanità spiega che l’obiettivo dei prossimi mesi per le persone che non hanno a che fare a livello professionale con malati sarà quello di limitare la gittata dei propri droplets e microdroplets, in pratica evitare di diventare fonte di contagio per gli altri» spiegano dall’azienda valtellinese. Il problema è che la mascherina chirurgica è inadatta all’attività sportiva, tanto meno outdoor. «La mascherina chirurgica, a contatto con acqua o sudore, si bagna, perdendo così la sua efficacia, inoltre non è riutilizzabile, né lavabile e in caso di uso sotto sforzo si appiccica alla pelle e può persino causare irritazioni».

L'interno con il filtro in TNT asportabile

La Sport Mask di Crazy dunque pesa 9 grammi ai quali aggiungerne 4 per il triplo filtro in TNT e ha nasello ergonomico e regolabile. Il filtro si fissa con velcro e può essere asportato quando c’è bisogno di più aria e meno protezione (in questo caso blocca i droplet più grossolani). Come la maschera, è lavabile oltre 20 volte con garanzia di tenuta 100%. Il cuore tecnologico è il trattamento con tecnologia svizzera HeiQ Viroblock (qui il sito aziendale con i test effettuati) che riduce la sopravvivenza dei virus e dei batteri sui tessuti ed è stata testata anche per i coronavirus, oltre che per la normale influenza. Inoltre Sport Mask ha un sacchetto di sicurezza con lo stesso trattamento per essere riposta senza pericoli per la salute dopo l’utilizzo. Va lavata a 50 gradi con sapone neutro e stirata per ripristinare l’effetto idrorepellente, va però ricordato che, in virtù del trattamento Viroblock, non è necessario lavarla tutte le volte, purché utilizzata e riposta seguendo le regole per un corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (qui il video tutorial dell'inail su come indossare correttamente una maschera). Non va lavata a secco né messa in asciugatrice. Il costo è di 15 euro e sarà disponibile in cinque tonalità in tinta unita e tre fantasie nello stile Crazy nei punti vendita che già collaborano con il marchio. Crazy durante le prime settimana di emergenza sanitaria ha già realizzato altre mascherine donate alla Protezione Civile.

 

Una delle fantasie Crazy

WESC 1991

«Iniziò entrando nel canale con curve saltate decise e pulite, con la neve che si sollevava accanto a lui. Gestiva gli sci con una precisione estrema, in coordinazione perfetta con il movimento delle braccia e dei bastoncini. Dove la maggior parte degli sciatori faceva una curva soltanto, derapando, Coombs ne faceva tre. Non attendeva, non aveva dubbi o esitazioni. Era come un torero nell’arena che invece di un animale teneva a bada un’intera montagna. Si spostò poi a sinistra, uscendo dal canale principale e superando la parte più esposta, costellata di rocce. Una caduta qui sarebbe stata fatale. Se cadi, muori. Il tempo rallentò nella sua mente. Ogni roccia gli si avvicinava al rallentatore, permettendogli di girargli attorno con precisione, senza mai fermarsi».

Questo brano è tratto dal libro Sulle tracce di Coomba di Robert Cocuzzo. Siamo al WESC, il primo Mondiale di sci estremo, in Alaska, nel 1991. Uno sconosciuto di nome Doug Coombs arriva a sfidare tutti i più forti sciatori di ripido dell'epoca. E sbaraglia la concorrenza su pendii dove ci sono stati anche ruzzoloni epici come quello di Garrett Bartelt con 17 capovolte.

https://youtu.be/2o8_61pHLzQ

Su Skialper 129 di aprile-maggio pubblichiamo un ampio articolo sulle performance di Coomba al primo WESC, con le fotografie dell'epoca del fotografo Wade McKoy. Se vuoi riceverlo direttamente a casa tua puoi sempre abbonarti.

Se vuoi conoscere l'incredibile storia di Doug Coombs, puoi comprare il libro pubblicato dalla nostra casa editrice.


Quattro posti nel Rookie Team Hoka One One

Rookie Team, l’avventura continua. Il progetto giovani di Hoka One One è pronto a ripartire con il passaggio di testimone da Marco De Gasperi a Franco Collé.
La selezione è riservata ai ragazzi tra i 18 e 22 anni. Per partecipare bisogna compilare il format online fino al 15 maggio.

Entro la fine di maggio saranno sciolte le riserve e resi noti i nomi dei 4 fortunati (ragazzi o ragazze) che entreranno a far parte del team 2020 affiancando i ragazzi già presenti nella passata stagione. Partecipazione a eventi mitici, team building, raduni, materiale tecnico di altissimo livello e non solo tra i plus. Un vero progetto per correre e crescere insieme. «I giovani sono il futuro - ha detto Franco Collé, ma spesso si approcciano al mondo dell’outdoor running in solitaria, da autodidatti. Ho quindi cercato di mettermi al loro posto e capire di cosa avessero bisogno perché questa esperienza possa essere proficua da ogni punto di vista. Oltre alla fornitura di materiale tecnico, faremo conoscere loro alcuni campioni del Team Hoka One One, con i quali potranno allenarsi e confrontarsi. Se il perdurare della pandemia non ci permetterà di portarli a delle gare clou, punteremo a dei meeting nei quali fare accrescere lo spirito di Team. Insomma, mi piacerebbe farli migliorare come atleti e come persone».


Bob Crowley nuovo presidente ITRA

Cambio al vertice dell’ITRA (International Trail Running Association) che ha annunciato lo scorso 14 aprile l'elezione dello statunitense Bob Crowley come presidente e la nomina di José Carlos Santos come direttore operativo. Bob, residente in California, è stato eletto all'unanimità presidente di ITRA dallo Steering Commettee dell'organizzazione. Sostituisce Michel Poletti, che ha rassegnato le dimissioni da presidente dopo aver co-fondato e guidato l'organizzazione per sei anni e mezzo. Bob è stato eletto nel comitato direttivo di ITRA nel 2019 e successivamente eletto nel comitato esecutivo. Ha iniziato a correre nel 1990. Nei due decenni successivi è stato finisher di oltre 100 gare di ultra distanza, tra cui Western States 100 Mile Endurance Run, Hardrock 100 negli Stati Uniti e Tor des Géants.

Bob è stato uno dei primi membri del Trail Animals Running Club (TARC) nel New England, USA, nel 1996 e da allora fa parte del comitato direttivo. Il numero dei membri iscritti è attualmente di circa 6.000 atleti e il Club organizza 12 eventi di trail running che coinvolgono migliaia di corridori ogni anno. Ha iniziato la sua carriera come imprenditore nel settore della televisione via cavo e successivamente nelle software house.

Il portoghese José Carlos Santos è stato nominato direttore operativo di ITRA e ne guiderà il team, oltre che seguire il lavoro quotidiano. José è uno dei membri fondatore di ITRA, oltre che membro del comitato esecutivo e del comitato direttivo sin dalla sua istituzione, nel 2013. José ha iniziato a correre nel 1995, partecipando presto a gare di ultra distanza come l'Ultra Trail du Mont Blanc. Santos è anche uno dei fondatori dell'Associazione portoghese di trail running (ATRP), nata nel 2012. Ha inoltre guidato la nazionale portoghese di trail ai primi Campionati del mondo di trail ed è stato nominato allenatore della nazionale dalla ATRP e dalla Federazione portoghese di atletica leggera, posizione che occupa ancora. José ha conseguito la laurea specialistica in Training Planning in High Performance and Sports Training Medicine presso la facoltà di scienze motorie.

José Carlos Santos

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