Kilian annuncia il suo calendario e torna all’UTMB
Con l’adesione di Kilian Jornet, l’UTMB 2022 prende quota, con il catalano a sfidare Jim Walmsley e Pau Capell. Kilian, che torna a Chamonix dopo quattro anni, con tre trofei in bacheca (quelli del 2008, 2009 e 2011) e il duello perso con François D’Haene nel 2017, ha annunciato l’UTMB tra le gare top del suo calendario, che si apre con gli sci da alpinismo alla Pierra Menta, per proseguire a Zegama, alla Hardrock 100, alla Sierre-Zinal e all’UTMB. C’è attesa per vedere con quali materiali si presenterà al via sulla neve e sui sentieri il catalano, che ha da poco chiuso con Salomon e starebbe lavorando alla creazione di un nuovo marchio.
Skialper Archive / Jules Berger, local hero
Quando Marco Siffredi è sceso dal Couloir Cordier, Jules Berger aveva appena cinque anni. Era, a tutti gli effetti, un bambino e quel nomignolo gli è rimasto, the Chamonix kid. Nato e cresciuto ai piedi del Monte Bianco, per la precisione proprio sotto l’Aiguille Verte, fin da giovanissimo ha portato avanti uno scialpinismo d’esplorazione o per ripercorrere itinerari di pregio. Nelle ultime stagioni ha messo la firma su veri e propri exploit ben lontano dalle masse, magari scegliendo con cura le condizioni, anche in periodi dell’anno non propriamente sciistici. E così l’anno scorso, a vent’anni dall’impresa di Marco Siffredi, Jules Berger è andato a ripetere una linea mitica, così vicina eppure quasi inaccessibile, nel bacino dell’Argentière: un giorno speciale tra seracchi imponenti e i pendii vertiginosi del Couloir Cordier, sulla parete nord dell’Aiguille Verte. Giusto sopra a casa.
A Chamonix va così… Anche se a volte arriva il giorno in cui passiamo le nostre personalissime Colonne d'Ercole.
Spesso passiamo da Chamonix per lavoro, non penso che sia un caso, Cham è la Mecca dell’alpinismo e dello ski de montagne. Sei d’accordo? «Come posso non esserlo? Però Cham è ancora e soprattutto il punto di riferimento per l’alpinismo, più che per lo sci. Forse per lo sci estremo, ma non direi per lo sci alpino classico e forse neanche per lo scialpinismo inteso in modo tradizionale. Anche se il Monte Bianco offre un 86 terreno fantastico».
Ti chiamavano Chamonix kid, penso che sia quasi superfluo chiederti perché...
«Sono nato a Chamonix, 26 anni fa. Mia mamma fa parte di una famiglia di Guide locali, i Symond; papà è svizzero, ma comunque di una Svizzera non distante (ride, ndr). La montagna è ovvio che faccia parte di me in maniera naturale, non ho comunque iniziato molto presto, diversa- mente da altri. Da quando avevo sette anni fin verso i quindici ho gareggiato nello sci di fondo, in montagna e a sciare ci andavo, ma solo prendendo gli impianti. Verso i diciassette anni ho iniziato con l’alpinismo classico e lo scialpinismo, un percorso che mi ha portato via via ad aumentare la pendenza del terreno d’azione. Ora sono Maestro di sci alle Grands Montets, d’estate invece faccio il giardiniere e mi occupo di tree climbing. Non nascondo che mi piacerebbe provare il percorso per diventare Guida alpina, magari il prossimo anno».
Ci piace parlare con sciatori veri, non necessariamente professionisti nel senso stretto del termine. A dire il vero, se uno guarda bene oltre la cortina di fumo dei social, forse di veri professionisti ce ne sono ben pochi. Tu come ti definisci?
«Concordo in pieno. Sei un professionista quando sei pagato per sciare e spingi per portare un’evoluzione nella disciplina. Io non lo sono. È più corretto dire che sono un grande appassionato, uno sciatore appassionato. Mi piace cercare nuove linee, esplorare, conoscere posti diversi. Porto avanti a modo mio una ricerca. Poi in montagna mi piace fare tutto, in ogni stagione, dall’arrampicata, agli itinerari classici in puro stile chamoniard, al parapendio. Se mi chiedi cosa preferisco, ci penso un attimo, ma ti dico sciare».
Chamonix è il riferimento, ma immagino che non sia sempre così facile la vita alpinistica: competizione, anche tra gruppi differenti di sciatori – o gang, se vogliamo esagerare – pareti affollate, specie con la polvere, una corsa all’oro bianco e ai pochi grandi obiettivi stagionali. Esagero?
«No, assolutamente, è vero. Basta pensare all’Aiguille du Midi: è l’esempio perfetto. Venti, anche trenta persone giù dalla nord, da itinerari come la Mallory nei giorni di polvere in primavera, quasi fosse una gara alla prima traccia, che difficil-mente sarà la prima. È due anni che non ci vado per questo motivo. Non riesco ad avvertire l’atmosfera giusta per quello che faccio: hai gente sulla testa, sotto. Una corsa che ha dei rischi e non mi fa stare tranquillo. Nei giorni della riapertura della Midi, l’inverno scorso, con i miei compagni siamo andati volutamente a provare l’Aiguille de Bionnassay. Abbiamo sciato una nuova linea in neve fredda ed eravamo soli. Mi piace di più questo tipo di situazione».
In questa ottica, qual è il tuo spot preferito nel massiccio del Monte Bianco?
«Assolutamente il versante della Brenva, il lato più selvaggio del Bianco. Mi era capitato di salire lo Sperone della Brenva per poi scendere in parapendio. Poi ci sono tornato con gli sci, entrando dal Colle della Brenva e andando a prendere lo Sperone».
E fuori dal Bianco?
«Dopo la discesa della parete nord del Lyskamm orientale ho capito che
il Monte Rosa ha un grande potenziale. Ci voglio tornare. Così come il Vallese, in Svizzera: che montagne e che pareti! In inverno mi piace esplorare la zona di Arolla, un sacco di potenziale, terreno tecnico e poca gente».
Agli sciatori spesso chiediamo cosa cercano nelle linee, cosa
li spinge verso una determinata discesa. Sembra banale, ma cerchiamo di entrare nella vostra testa.
«Come per molti, quello che mi attrae di una determinata parete è l’estetica della linea, la sua logica, che a mio avviso non viene preclusa dalla presenza di salti e dal dover attrezzare tratti alpinistici, magari facendo delle doppie: a me non dà fastidio. E poi c’è il fascino per la storia delle montagne e di alcune imprese: è quello che è successo per la discesa del Cordier alla Verte. Lo conoscevo da molto tempo, ma più come un luogo tetro e minaccioso: basta pensare al numero di incidenti dovuti alla caduta di seracchi nel canale. Per anni ho provato diffidenza verso questo itinerario, poi la sua storia ha iniziato ad affascinarmi. Marco Siffredi è stato un modello per i giovani chamoniard come noi e siamo rimasti subito colpiti dagli scatti della sua discesa del Cordier nel giugno del 2000. La mia visione è cambiata. Ho iniziato a pensarci e poi ci sono andato. Una discesa bellissima e impegnativa».
L’Aiguille Verte, raccontaci
del tuo rapporto particolare con questa montagna.
«È vero, dire che è la mia preferita è quasi riduttivo. Trovo più corretto dire che è la montagna di casa, ci abito sotto, la vedo dalla finestra, è lì, sempre. Ci son stato ben otto volte, non sempre con gli sci. Per esempio, il Nant Blanc l’ho risalito per ricognizione e per iniziare a conoscerne i passaggi. È estetica, è bella, la più bella perché offre una miriade di linee e di possibilità».
Allora ti faccio una domanda interessata: il Couloir Couturier, versione originale, passando dove negli ultimi anni rimane il ginocchio di ghiaccio, secondo te un giorno sarà ancora sciato? «Mmmmm... non so, più no che si. C’è sempre ghiaccio ultimamente, non si è coperto neanche nelle ultime annate più nevose, quando era quasi tutto in condizione lì intorno. Non male la variante della Z aperta da Vivian Bruchez, si passa bene ed è un’alternativa perfetta».
Parliamo di Marco Siffredi: chi è per te? A Chamonix si avverte ancora il peso della sua personalità? Che cosa ha lasciato?
«Marco per me è un idolo, come Jean-Marc Boivin, mi ha ispirato fin da ragazzino. Vivendo qui, ho davanti il loro terreno di gioco: è uno stimolo. È stato un esempio e una motivazione. Poi ha fatto tutti i suoi exploit giovanissimo, come ero io con i miei amici quando mi sono avvicinato a questo mondo: è stato pazzesco: il Perù, l’Everest nel 2001, nel 1999 il Nant Blanc, a vent’anni appena compiuti. Il Nant Blanc! E quella foto! Un monumento! Quell’immmagine di Marco in mezzo alle strisce di neve tra
il ghiaccio verde... Ah la Verte!».
Veniamo alle domande tecniche: il tuo set-up?
«Uso sci Black Crows: gli Orb Freebird per i terreni più tecnici e dove c’è maggiore probabilità di trovare nevi dure. Il mio sci preferito però è il Navis Freebird: mi trovo bene ovunque, dalle curve di tutti i giorni alle pareti ripide. Gli attacchi sono Plum e gli scarponi Salomon».
Ora una curiosità: sappiamo che siete molto amici, parlaci di Michael Bird Shaffer: un personaggio eccentrico.
«Ci siamo conosciuti durante una discesa della nord della Midi. C’è stata subito empatia, nonostante fossi molto più giovane. Ne sono seguite altre come il Pain de Sucre, una parete molto ripida e tecnica. Siamo andati insieme e Bird era gasatissimo. Sì, entusiasta è la parola giusta per descriverlo: lo è in tutto, dalle sciate alle feste (ride, ndr)».
Arriviamo al nostro classico:
le definizioni. Descrivi cosa provi in una discesa: una parola.
«È una buona domanda, non così semplice come sembra. Concentrazione: solo dopo arrivano le emozioni. Solo dopo senti il sapore. Quando scendo sono concentrato».
Lo sci in una parola?
«Passione».
Jules in una parola?
«Curioso».
Il futuro dello sci?
«Per quanto mi riguarda spero di continuare a fare belle sciate, su belle montagne e pareti nuove per me. In generale, penso che, nonostante tutto, lo sci possa ancora essere esplorazione».
E a noi sentire questa prospettiva fa crescere solo l’entusiasmo.
A bientôt Jules!
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SI SKIALPER 139 DI DICEMBRE 2021

Mont Blanc porta Altra a un altro livello
Era una delle scarpe più attese del 2022 e, puntuale (di questi tempi è una notizia) ieri è stata presentata la Altra Mont Blanc, in arrivo a breve nei negozi. Attesa perché porta il marchio in un segmento nuovo, quello delle scarpe veloci e leggere ma con impostazione massimalista. Va a posizionarsi tra la Olympus e la Lone Peak. Missione? Ultra e cento miglia. Come la Olympus ha un profilo alto (30 mm contro i 33 della Olympus) ma scende la lancetta della bilancia, da 329 a 280 gr nella misura di riferimento e soprattutto cambia la schiuma dell’intersuola, che è Altra EGO nella versione Max, un materiale che restituisce più reattività e comfort allo stesso tempo. Il grip è garantito da Vibram Megagrip nella versione leggera Light Base, posizionato strategicamente solo nei punti di trazione, per risparmiare ancora qualche grammo. L’upper è leggero e traspirante, per fasciare il piede come una calza. Obiettivo gare lunghe corribili, su terreni poco o mediamente tecnici. Nel mirino? Hoka One One Mafate Speed, Salomon S/Lab Ultra, Brooks Catamount, The North Face Flight Vectiv… Altra Mont Blanc avrà anche una variante con ghiera Boa e il prezzo consigliato al pubblico è di 180 euro.

Skialper Archive / Fulgido Tabone, professione custode del Rocciamelone
La voce si assottiglia e si rompe, quasi volesse farsi piccola per lasciar spazio all’ennesimo ricordo. Le memorie di 45 anni trascorsi tutti quassù, senza mai lasciare un’estate sguarnita, fanno a pugni per essere raccontate. Ma, di tanto in tanto, il cuore prevale. E Fulgido il montanaro si commuove. A 2.854 metri d’altitudine c’è chi fatica a camminare qualche ora. Lui ci ha trascorso una vita. Il Ca’ d’Asti, rifugio alpino più antico d’Italia immortalato dalle cronache sin dal Trecento, oggi non sarebbe nulla senza le sue mani callose. Forse non ci sarebbe proprio più. Quel che dal 1977 Fulgido vi ha messo dentro, di materiali, di lavoro, di equipaggiamento, e di cuore, è tanto. È tutto quel che c’è. Trecento quintali almeno di carichi, trasportati tutti con il motore delle gambe, dice lui: qualcuno ha moltiplicato anni, salite e pesi e poi gli ha fatto il conto. Un numero teorico, certo. Ma alla fine, a guardarsi intorno, mica poi tanto. E dire che a 12 anni Fulgido Tabone, annata 1948, muratore e factotum di professione, pensava che da queste parti non sarebbe mai più tornato. Il Rocciamelone, che butta l’occhio sul Ca’ d’Asti da 700 metri più su, 3.538 sul livello del mare, gli era parso qualcosa da dimenticare, dopo quella prima salita poco memorabile vissuta dopo aver raggiunto la base in Vespa. E invece qualcosa era scattato. Ci sarebbe voluto tempo per capirlo, ma qualcosa era pronto a cambiargli la vita. Solo quest’anno sono 41. In totale, alla data del suo settantatreesimo compleanno, il 10 settembre, erano 1.220. Fulgido Tabone oggi non è solo il rifugista storico che dà un’anima al Ca’ d’Asti del CAI Susa: è anche l’uomo del Rocciamelone.
La persona che ha salito la cima dei torinesi, dedicata alla Madonna, più volte rispetto a chiunque altro al mondo. Dopo l’ormai lontana ascesa da dodicenne, Fulgido ha incrociato di nuovo queste strade nel 1976, quando sul giornale diocesano La Valsusa comparve un annuncio per la ricerca di volontari desiderosi di dare una mano nella sistemazione del vecchio rifugio e del bivacco in vetta. «Quel giorno mi sono presentato in punta, e ho visto che c’erano alcuni ragazzi, insieme al cappellano militare Laterza. Passammo insieme tutta la giornata: alla sera mi chiese di rimanere ancora, e di tornare in settimana» ricorda lui. Quel qualcosa destinato a cambiargli la vita era ormai scoccato. Da quell’anno, il legame con questi monti non si è più dissolto. «La sistemazione del rifugio è stata un lavoro lungo e faticoso, durato più di dieci anni e con tantissime persone che hanno dato un contributo – racconta Fulgido – Nessuno avrebbe scommesso una lira sulla rinascita di quel rudere, e invece guardate qui. Ma nel tempo ho capito che se avessi lasciato, forse tutto si sarebbe perso. E così ho deciso di legarmi sempre più a questo posto». Risultato: oggi qui tutto parla di lui. Non solo le stanze del rifugio, arrivato a contare 80 posti che il Covid ha purtroppo ridotto a una ventina, ma anche la cappella di Santa Maria e il bivacco sotto la vetta: «A tutto questo tengo come fosse casa mia» confida, evitando con modestia di puntualizzare che l’impegno gli è valso il Cavalierato e il premio Penna al merito dagli alpini della Valsusa.

Eppure, la storia di un amore tanto forte non può non contare anche dispiaceri. Come in ogni cosa umana, quassù, nell’aria più rarefatta, i sentimenti più nobili a volte se la vedono anche con le debolezze. E Fulgido, che per 45 anni ogni estate ha lasciato la sua Caprie per custodire questi luoghi, ripensa con la voce nuovamente rotta al 2006. «Quella volta in cui sfregiarono il volto della statua della Madonna». O alla vicenda del baffo rotto del busto di Vittorio Emanuele II, proprio in cima alla montagna. Le mani da artigiano di Fulgido ci hanno sempre messo su una toppa, ma la tristezza resta. «In tanti anni sono molte le cose cambiate in peggio. La maggior parte della gente è gentile e corretta, ma oggi faccio i conti sempre più con superficialità e maleducazione. Persone che prenotano e non si presentano, cattiveria, polemiche e discussioni per l’obbligo di mascherine: io non ho più vent’anni. E certe cose fatico ormai ad affrontarle». Anche l’ultima botta: il Comune che ha chiuso la strada fino al parcheggio La Riposa per lavori, compromettendo di fatto la chiusura di stagione, lo ha piegato. Eppure Fulgido tiene duro.
E non si spezza. «Il prossimo anno? Vedremo» lasciando intendere che comunque non saprà mai dire no a tutto questo. «Questa montagna non ha più alcun segreto per me» dice con affetto. E il ricordo va alle 1.220 ascensioni, percorse da tutte le vie possibili, dalle più semplici alle più ardite, da vicino e da lontano, senza carichi e con pesi di ogni genere, per piacere e per dovere. «Un ricordo speciale? Forse la recente salita dal canalino verso Novalesa, durante la quale abbiamo ritrovato la croce in legno che nell’800 era posta sulla cappella di vetta. O forse i due giorni e mezzo di cammino da Caselette alla cima, la volta in cui sono partito da più lontano. O ancora il recente incontro con una ragazza svizzera, che ha deciso di salire in punta con me e con la quale ho chiacchierato di tante cose della vita. Un bel momento, un incontro che mi piacerebbe rinnovare».
Insomma, milleduecentoerotte volte, 41 solo nel 2021, tante solitarie, tante scialpinistiche, 8 Natali e 5 Capodanni in cima. Fulgido ricorda ogni momento. Ogni fatica. Ogni attimo di freddo. Ogni chilo trasportato. Ogni pericolo. «E ogni volta in cui mi sono reso conto – dice – che qui bisogna sempre sapere quel che si fa, soprattutto se alla cima si arriva con gli sci ai piedi». Lui, quel che fa ormai lo sa alla perfezione. Banale da dire. Ma ogni giorno resta una scoperta, pure in una storia tanto fedele a se stessa. «Per venire a Fulgido Tabone, meriterebbe non solo qualche frase, ma un intero volume – scrisse un giorno, anni fa, il generale Giorgio Blais sullo Scarpone Valsusino – Ha dell’incredibile quello che lui e la sua impareggiabile moglie Angiolina fanno. Non so da quanti anni Fulgido sia il gestore di Ca’ d’Asti, non meno di una trentina, forse trentacinque. Già in prima linea durante i lavori per la ricostruzione del rifugio e la sistemazione del Santuario in vetta, ne assunse la responsabilità gestionale da quando il rifugio iniziò a funzionare e da allora è sempre là in prima linea, alternando la sua presenza fra l’abitazione e normale attività a Caprie e la nostra montagna.
Fulgido non è solo il custode del rifugio e del Santuario in vetta. Tabone è l’amorevole custode del Rocciamelone, colui che traccia e mantiene i sentieri, che fissa e controlla le corde che aiutano la salita nell’impervio ultimo tratto sotto la vetta, che va su e giù fra Ca’ d’Asti e la vetta. È lui che si è accorto che l’ultimo nubifragio di giugno e la tempesta avevano danneggiato la Croce di Ferro, facendola precipitare fra i dirupi. L’ha cercata, l’ha trovata, l’ha nuovamente installata, l’ha riportata nelle condizioni precedenti, e tutto in silenzio, senza clamori, senza attendersi un grazie, ma solo per la straordinaria coscienza di gran galantuomo e per l’amore che porta verso il nostro monte, di cui conosce pietra su pietra». Di Fulgido Tabone, in fondo, cosa serve dire di più?
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 138 DI OTTOBRE 2021

Argento e bronzo per gli azzurri nella staffetta degli Europei
Si sono chiusi oggi con il primo esperimento di staffetta mista, il format olimpico di Milano-Cortina 2026, i Campionati Europei di Scialpinismo di Boí Taüll, in Spagna. La formula prevede squadre composte da un uomo e una donna, una situazione che si adatta ai contingenti ridotti previsti per i Giochi a cinque cerchi. Doppia italia nel podio Senior, anche se è sfuggita la vittoria, che è andata ai francesi Emily Harrop e Thibault Anselmet. Argento per Giulia Murada e Nicolò Ernesto Canclini, bronzo per Alba De Silvestro e Michele Boscacci. Oro svizzero nelle categorie giovanili con Caroline Urlich e Robin Bussard, argento azzurro con Manuela Pedrana e Rocco Baldini e bronzo alla Francia di Luise Trincaz e Jérémy Anselmet.
Un anello da percorrere due volte, con 1.632 metri di dislivello per i Senior, a scalare fino ai 742 degli Under 18: questo il percorso dell’individual di ieri. Al traguardo, la francese Axelle Gachet-Mollaret è arrivata prima davanti alla svedese Tove Alexandersson e ad Alba De Silvestro. La gara Senior Men è stata molto più combattuta e incerta, con il testa a testa finale tra Matteo Eydallin e Werner Marti (SUI) e la vittoria dello svizzero. Al terzo posto Michele Boscacci.
I nuovi campioni europei U23 sono Lisa Moreschini e Aurélien Gay (SUI). I podi sono stati completati da Samantha Bertolina e Katia Mascherona e da Paul Verbnjak (AUT) e Matteo Sostizzo. Nella gara U20, Caroline Ulrich (SUI) ha preso l'oro, seguita da Manuela Pedrana e Antonia Niedermaier (GER). Tra gli uomini della stessa categoria, il successo è andato ad Anselme Damevin (FRA) sui fratelli svizzeri Thomas e Robin Bussard, finiti secondo e terzo nell'ordine.
Infine gli U18: Ida Waldal (NOR) ha ottenuto la vittoria, davanti alle due francesi Louise Trincaz e Loanne Roussillon, mentre il podio maschile è stato completato da Carlos Torres Espigares (ESP), Mirko Lupo Olcelli e Jules Raybaud (FRA). Tutti i risultati. .
UTMB giù, Zegama su
Arrivano i primi indicatori delle tendenze della prossima stagione del trail running, con l’UTMB che sconta una flessione nei numeri rispetto alle edizioni pre-pandemiche. Le richieste per accaparrarsi uno dei 10.000 pettorali per le gare di Chamonix sono state 22.853 contro le 32.169 del 2020 e le più di 25.000 del 2019 (il 2021 non fa testo perché, a seguito della cancellazione dell’edizione 2020, c’era un processo diverso). Nonostante il calo, parliamo comunque della terza edizione per numero di richieste. Le gare più ambite, nell’ordine, OCC (484%), CCC (301%) e UTMB (195%). Sono Francia, Spagna e Italia i Paesi con più rappresentanti. Un altro effetto della pandemia è la scomparsa della Cina dalla top 15 (era quinta) e la discesa del Giappone dal sesto all’undicesimo posto.
Tra gli elite da segnalare: Jim WALMSLEY, Dmitry MITYAEV, Hannes NAMBERGER, Jiaju ZHAO, Thibaut GARRIVIER, Pau CAPELL, Thomas EVANS, Aurélien DUNAND-PALLAZ, Jared HAZEN e Yanqiao YUN. Gli italiani iscritti risultano Daniel JUNG, Philipp AUSSERHOFER Francesco CUCCO, Ivan FAVRETTO, Roberto MASTROTTO, Donatello ROTA, Gianluca GALEATI, Jimmy PELLEGRINI. Tra le elite, solo Francesca PRETTO. Appuntamento il 26 agosto a Chamonix.
Il 29 maggio, dopo due edizioni cancellate, torna una delle gare simbolo della corsa tra i monti, Zegama Aizkorri, con un parterre di grande livello, a cominciare dal probabile ritorno di Kilian Jornet. A sfidarlo Remi Bonnet, Jonathan Albon, Oriol Cardona Coll, Manuel Merillas. In questo caso i 500 pettorali sono già assegnati (il sorteggio valido è quello del febbraio 2020). Il sorteggio però ha riguardato 225 pettorali (per 12.500 richieste, in pratica 55 richieste per ogni pettorale, pari a meno del 2% di possibilità) mentre ci sono altre curiose porte per riuscire a essere al via. Ne parla il sito spagnolo carreraspormontana. I residenti del comune basco di 1.500 abitanti hanno l’iscrizione garantita, come gli unici sei finisher di tutte le edizioni. Poi ci sono 8 iscrizioni per gli alunni del locale ginnasio e 10 per il comune catalano di Sant Sadurnì d’Arnoia, gemellato con il comune della gara.
Le prime medaglie degli europei di scialpinismo
Con la sprint di ieri sono ufficialmente iniziati i campionati europei di scialpinismo, a Boí Taüll, in Spagna e oggi si è replicato con il vertical. Ieri successi Senior per i campioni di casa e Slovacchia, con Oriol Cardona Coll primo tra gli uomini e Marianna Jagercikova tra le donne. Secondo gradino del podio azzurro con Nicolò Ernesto Canclini che ha preceduto lo spagnolo Iñigo Martinez de Albornoz. Tra le donne argento per la svedese Tove Alexandersson e bronzo per la francese Emily Harrop. Triplete azzurro tra le Under 23 con Samantha Bertolina davanti a Lisa Moreschini e Katia Mascherona. La vittoria maschile è andata a Patrick Perreten, Svizzera. Tra gli Under 20 si è sfiorato un altro triplate azzurro con lo svizzero Thomas Bussard che ha preceduto Luca Tomasoni e Rocco Baldini, mentre tra le donne si è imposta la svizzera Caroline Ulrich. In gara anche gli Under 18 con le vittorie della francese Louise Trincaz e del connazionale Norick Polchi.
Axelle Gachet-Mollaret mette un’altra medaglia nella sua bacheca: la francese si è aggiudicata il vertical di oggi davanti a Tove Alexandersson e all’austriaca Sarah Didier. Argento per l’azzurro Alex Oberbacher tra gli uomini, superato dallo svizzero Werner Marti ma davanti al belga Maximilien Drion Du Chapois. Lisa Moreschini regola Samantha Bertolina tra le Under 23, categoria che ha visto l’oro maschile assegnato allo svizzero Gay Aurélien. Bronzo per Manuela Pedrana tra le Under 20 (oro alla svizzera Caroline Ulrich e al connazionale Thomas Bussard). Tra gli Under 18 la medaglia più preziosa è andata alla norvegese Ida Waldal e al francese Jules Raybaud: argento per l’azzurro Mirko Lupo Olcelli.
A metà calendario dei campionati gli atleti potranno godere di una giornata di riposo per poi confrontarsi nella individual di sabato e nell’attesa staffetta di domenica con il nuovo format olimpico misto: un uomo e una donna. Tutte le classifiche qui.
Ortovox e Arc'teryx uniscono le forze per un nuovo zaino airbag elettrico
Anche Ortovox e Arc’teryx entrano nel business degli zaini airbag con sistema elettrico. Il costruttore tedesco, che commercializza la serie con cartucce Avabag, ha presentato ieri la nuova joint-venture con il marchio canadese di proprietà di Amer Sports che ha dato vita alla tecnologia Litric. Si tratta di un device alimentato da supercondensatori e da una batteria agli ioni di litio a lunga durata, in grado di mantenere 60 ore di carica per almeno 2 rilasci. La ricarica avviene tramite cavo e presa USB-C. Non avendo una cartuccia, Litric lascia più spazio all‘attrezzatura e non è soggetto a restrizioni per i viaggi in aereo. Il sistema pesa solo 1.100 g, grazie ai supercondensatori resistenti al freddo e a una delle strutture di airbag più leggere sul mercato.

Buone notizie per gli scialpinisti perché tra o modelli ce ne sono due pensati per sci e pelli e uno in particolare per chi ricerca la massima leggerezza. Con appena 1.970 g e 27 litri, Avabag Litric Zero si concentra solo sull‘essenziale. Dispone di molto spazio per le escursioni giornaliere e ha tutte le caratteristiche più importanti, come le opzioni di fissaggio per gli sci, una piccozza o i bastoncini. L‘attrezzatura di emergenza si può riporre nello scomparto principale.
La gamma comprende anche Avabag Litric Tour con una base modulare progettata specificamente per due lunghezze del busto: regular e short. Lo zaino si può adattare all‘utilizzo previsto grazie a due sacche con cerniera specifiche per le uscite di scialpinismo nelle misure 28 litri short, 30 litri, 36 litri short e 40 litri. Avabag Freeirde si può adattare con il sistema zip-on nelle versioni 16 litri short, 18 litri, 26 litri short e 28 litri.
Tutti gli zaini sono a impatto climatico zero e senza PFC e saranno commercializzati a partire dalla stagione invernale 2022/23.

Ultrabericus aggiunge la 100k alla tradizionale 65k e alla Urban
Saranno quasi 2000 gli appassionati di trail che il prossimo 19 marzo prenderanno parte a una delle distanze della Ultrabericus, classica di inizio stagione che si corre sui Colli Berici con partenza e arrivo a Vicenza. Per l’undicesima edizione e, unicamente per il 2022, arriva anche la distanza da 100 chilometri (con 100 dei 400 pettorali a disposizione sulla distanza più lunga già prenotati). Per quanto riguarda le altre distanze sono già sold out circa la metà.
Oltre alla distanza da 100 km, che presenta 4.400 metri di dislivello positivo, saranno riproposte la classica da 65 chilometri, da affrontare singolarmente oppure a staffetta mista su un dislivello di 2.500 m D+ e la versione Urban (22k e 750 m D+), molto apprezzata non solo dagli appassionati di trail ma anche da quei podisti che, abituati all’asfalto, muovono i primi passi verso la corsa su sterrato.
«Quella 2022 vuole essere una special edition – spiega il direttore di gara dell’Ultrabericus Team A.S.D., Enrico Pollini – per tornare finalmente alla grande tradizione di questo evento che apre la primavera della corsa outdoor, offrendo al tempo stesso una nuova sfida che il 2020 purtroppo ci aveva tolto all’ultimo minuto».
Tutte le gare si svolgeranno sul medesimo tracciato, con partenza e arrivo nella splendida Piazza dei Signori a Vicenza, ai piedi della Basilica Palladiana. Se già la versione integrale da 65 chilometri fa un giro completo dei Colli Berici, quella da 100 chilometri si spinge ancora più in là, fino alle propaggini più estreme di questi rilievi collinari la cui altezza non supera i 500 metri di quota, passando per l’area di Lumignano, per la Val Liona e l’altopiano di Grancona e per il monte Comunale di Brendola. La gara a staffetta, a coppie miste, si svolge sul percorso della 65k con passaggio del testimone all’Eremo di San Donato, nel territorio di Villaga; mentre la prova Urban affronta i primi e gli ultimi 10 dell’anello.
Il tracciato, caratterizzato da salite e discese che si alternano continuamente ma senza grossi strappi, è interamente corribile. Per questo, soprattutto per le gare più lunghe, è consigliabile avere una buona base di corsa.
François Cazzanelli raddoppia con La Sportiva
Da due anni utilizza gli scarponi La Sportiva, ora François Cazzanelli passa in total look, vestendo anche con capi tecnici della casa trentina. Cazzanelli, ex atleta di alto livello di scialpinismo, ha scalato 92 volte il Cervino e scritto, da solo o in compagnia di soci come Steindl e Ratti, alcune delle più belle pagine dell’alpinismo in velocità degli ultimi anni, dal Manaslu a/r in 17 ore e 43 minuti, all’Integrale di Peuterey in meno di 16 ore, dalla Cresta Cassin al Denali in meno di 19 ore, alle creste del Cervino in 16 ore e 4 minuti. Tra i suoi progetti, Il K2: «Vorrei scalare il K2, è dal 2020 che ci provo. È una montagna che mi attrae da sempre: stiamo ancora definendo di preciso cosa andremo a fare ma di sicuro sarà qualcosa che rispecchia il mio stile, quindi un po’ fuori dagli schemi». Intanto nello scorso autunno, insieme a Emrik Favre, ha scalato l’Ama Dablam in velocità e, insieme a Favre, Leo Gheza, Francesco Ratti e Jerome Perruquet, il Kondge Ri (6.187 m) per poi raggiungere il Tenganpoche (6.498 m) tramite la cresta est.

Da domani parte il tour di EOFT-European Outdoor Film
Si parte domani, mercoledì 9 febbraio, con la prima a MIlano all'Orfeo Multisala, per proseguire con altre 14 date in tutta Italia, fino al 24 febbraio. Dopo un anno di pausa a causa del Covid, torna EOFT-European Outdoor Film Tour, che spegne le venti candeline. Sono sette i film di avventura e sport all’aria aperta proposti, con le donne al centro dell’attenzione grazie I am North, che vede protagonista Caro North, e Climbing Iran, con Nasim Eshqi. A seguire, una breve presentazione dei cortometraggi in programma.
I AM NORTH
Caro North è attratta dalle montagne, dalle pareti, dall’altitudine, non importa in quale parte del mondo. A 16 anni è già in cima all’Aconcagua (6.961 m) in Argentina. Guida la prima cordata tutta al femminile sulla vetta del Cerro Torre, inaugura più di 50 nuove vie in Patagonia e scala la parete nord dell’Eiger a 22 anni. Ma non sono solo le sue spedizioni in Patagonia, Alaska, Iran e Himalaya a formare la giovane alpinista, ma anche le sue esperienze come guida alpina nelle montagne svizzere, dietro casa sua. Nel ritratto, la seguiremo esattamente lì: sulle cime ghiacciate – dove Caro North si sente più a casa.
Germania 2021 | Protagonisti: Caro North, Nadine Wallner | Direttore: Jochen Schmoll
MILES AHEAD
Un uomo – un mondo – un record? Per Jonas Deichmann no ci sono problemi e una sola marcia: avanti. E quello che ancora nessuno ha raggiunto è per l’atleta estremo un invito per crescere sempre di più. Dopo i suoi sensazionali record attraverso l’Eurasia, le Americhe e da Capo Nord a Città del Capo, Deichmann affronta la più grande sfida della sua carriera: Un triathlon intorno al mondo. Si tratta di 120 volte la distanza dell’Ironman in una volta sola. Quando Deichmann partirà in bicicletta a Monaco di Baviera nel settembre 2020, avrà davanti a sé 450 chilometri di nuoto, 19.000 chilometri di ciclismo e 5.000 chilometri di corsa e l’avventura di una vita.
Germania 2021 | Protagonista: Jonas Deichmann | Direttore: Paula Flach
AMAZONIE
Marzo 1950: nel mezzo della giungla della Guyana, gli indigeni trovano il diario dell’esploratore francese Raymond Maufrais – ma nessuna traccia dell’autore. Quando il giovane avventuriero Eliott Schonfeld (Le Minimaliste) entra in possesso del libro 70 anni dopo, la voce di Maufrais lo affascina immediatamente. Parte per la Guyana francese per seguire le tracce di Maufrais nella giungla. Quello che inizia come un viaggio nel passato presto porta Eliott ai limiti delle sue forze così che si avvicina pericolosamente allo stesso destino di Maufrais.
Francia 2019 | Protagonista: Eliott Schonfeld | Direttore: Eliott Schonfeld
SPELLBOUND
Se si vuole volare, ci si dedica a una danza con la forza di gravità. La Nuova Zelanda/ Aotearoa off e per questo ai piloti di tuta alare un favoloso terreno di gioco. Le ombre umane volanti sembrano quasi surreali mentre si lanciano su crepacci, torrenti e pendii di montagna. SPELLBOUND riesce a catturare la magia del volo una poesia in forma di film.
Nuova Zelanda 2020 | Protagonisti: David Walden, Malachi Templeton, Gregory Noonan | Direttore: Richard Sidey
OUT OF FRAME
Multitool diventato umano: Il francese Mathis Dumas appartiene a una nuova generazione di alpini a 360°. Quando affronta gli ostacoli sugli sci, sulla corda o con le piccozze, il suo lavoro è appena iniziato: Come fotografo outdoor, l’atleta ha scelto una professione che gli richiede il massimo delle prestazioni atletiche, sociali e creative. L’attenzione è sempre sul suo soggetto – fino al giorno d’oggi. Seguiamo Mathis durante il suo ultimo progetto: una scalata mai vista prima nel cuore del massiccio del Monte Bianco.
Francia 2020 | Protagonisti: Mathis Dumas, Xavier De Le Rue, Marion Haerty, Conrad Anker | Direttore: Jordan Manoukian
CLIMBING IRAN
Una scalatrice professionista in Iran – dovrebbe essere una contraddizione in se stessa. Per Nasim Eshqi invece è una realtà vissuta: l’iraniana segue il richiamo delle montagne e sfid così i limiti sociali imposti alle donne dal suo paese d’origine. Nel frattempo, Eshqi ha stabilito cinquanta nuove rotte in Iran. Il film racconta la storia di una donna straordinaria che, spinta dalla sua passione, supera barriere mentali, geografiche, fisiche ed ideologiche,
Italia 2020 | Protagonista: Nasim Eshqi | Direttore: Francesca Borghetti
PLAYING GRAVITY
Il professionista dello snowboard Elias Elhardt e il pilota di droni Sebastian Schieren sono entrambi maestri dei voli: uno con il suo snowboard e le sue grandi acrobazie, l’altro con il suo drone da ripresa in una nuova dimensione del filmmaking. I PLAYING GRAVITY, entrambi trovano un modo per sfidare la gravità lanciandosi in una corsa acrobatica giù per la montagna.
Austria 2021 | Protagonisti: Elias Elhardt, Sebastian Schieren | Direttore: Elias Elhardt, Sebastian Schieren
Del Pero show ai Mondiali di Skysnow
La prima edizione di Mondiali di Sklysnow, la versione invernale dello skyriunning, con ramponcini ai piedi, andata in scena a Sierra Nevada, in Spagna, il 4 e 5 febbraio e fortemente voluta da Rogello Macias, vice-presidente dell’International Skyrunning Federation, è stata un successo per la spedizione azzurra che porta a casa l’oro nella classifica per nazioni oltre ai tre successi di Luca Del Pero nella Classic, nel Vertical e nella combinata. Argento per Lorenzo Rota Martir nella Combinata, dove Daniele Cappelletti è arrivato terzo e bronzo nel Vertical di Rota Martir.
Nella Skysnow si è corso su un anello di 12,5 km e 925 m D+, con arrivo a 2.913 m. La neve soffice ha reso più complicata la gara che ha visto lo statunitense Mike Popejoy al secondo posto e il russo Aleksei Pagnuev al terzo. Nel Vertical si è corso su 950 m D+ e 4,3 km, con arrivo a 3.050 m e l’argento è andato al russo Vitalii Chernov.
Tra le donne successo della svedese Lina El Kott sulla spagnola Silvia Lara e la connazionale Virginia Perez. La Perez ha anche vinto la Classic davanti alla portoghese Joana Soares e alla svedese Sanna El Kott Helander. Nella combinata oro a Lina El Kott, argento a Virginia Perez e bronzo a Joana Soares. La classifica a squadre ha visto l’Italia, con 624 punti, superare la Spagna (588) e la Russia (490).













