'Happy Winter' la discesa del Pain de Sucre
Il video di Andreas Fransson, gia' autore della prima alla Sud del Denali
È stato appena pubblicato il bellissimo filmato della discesa della parete nord del Pain de Sucre (3607m Aiguilles de Chamoix- Envers du Plan) sciata da Andreas Fransson e Samuel Anthamatten lo scorso 4 giugno. Non una prima discesa ma una discesa bellissima: una tra le più belle linee del mondo. Lo stesso Fransson l'aveva già sciata anni fa nella sua intensa attività sopra Chamonix, dove vive dal 2006. Lo scorso 7 aprile è stata sciata anche da Luca Rolli, Davide Capozzi e Julien Herry.
UNO SVEDESE A CHAM - In particolare la prima discesa della infinita parete Sud del Denali nel 2011, e della espostissima rampa Whillans all'Aiguille Poincenot, hanno portato lo svedese di Chamonix alla visibilità attuale, che lo fa emergere nel mondo ricco di protagonisti del ripido che si concentrano tra Chamonix e Courmayeur.
IL MOMENTO GIUSTO - Anche per filmare questa discesa sono serviti più tentativi e una attesa prolungatasi per quasi sei mesi. Nell'eccezionale tarda primavera-inizio estate di quest'anno si sono finalmente realizzate le condizioni giuste per questa ripetizione…e soprattutto per le stupende immagini del filmato di Bjarne Sàlen: 'Happy Winter'.
D'altra parte Andreas sostiene di riuscire di portare a buon fine circa il 25% dei tentativi di discese progettate. Tutto considerato, uno score eccezionale.
Riesce el Reto di Marzio Deho al Pico de Orizaba
Dal mare alla vetta in 13 ore e 22 minuti
Marzio Deho, il noto biker e scialpinista bergamasco, a 45 anni non si ferma. Anzi, ne inventa sempre di nuove. Stavolta si trattava di stabilire un tempo di salita al Pico de Orizaba, vulcano che con i suoi 5610 metri è la vetta più alta del Messico e dell'America Centrale.
Si immaginava un tempo attorno alle 15 ore totali.
VACANZE MESSICANE - Accompagnato da un piccolo gruppo di amici, Marzio è partito su bici da strada dalla spiaggia di Boca del Rio, a Veracruz, pedalando insieme all'altro forte biker-scialpinista bergamasco Johnny Cattaneo fino ai 2700 metri di quota. Cambio d'assetto e via fino al rifugio Piedra Grande (4200) in mountain bike.
IN VETTA DA SOLO - Dopo i 4200 metri Marzio Deho ha continuato da solo nel tratto a piedi per l'abbandono di Cattaneo durante il tratto in mtb. Marzio ha raggiunto la vetta dopo 13 ore e 22 minuti di un lungo viaggio di oltre 200 chilometri per 7000 metri di dislivello positivo totale, compresi rifornimenti e cambi di assetto.
Niente discesa in sci per questa volta. E ora avanti un altro.
Il record dell'ultramaratoneta Cristiano Campestrin
L'Alta Via numero 1 delle Dolomiti in 22 ore e 12 minuti
Di solito la si percorre in una dozzina di tappe.
Invece Cristiano Campestrin, atleta azzurro di ultramaratona e runner del team Salomon ha deciso di affrontare l'intera «Alta Via numero 1 delle Dolomiti» di corsa, in un unico giorno e in completa autonomia. Ce l'ha fatta in 22 ore e 12 minuti: un'impresa che non è solo atletica, ma anche di scoperta naturalistica e umana.
COMPLETA AUTONOMIA - 125 chilometri e 7.300 metri di dislivello positivo portando con sé tutto quanto può servire, senza il supporto di organizzatori o volontari a indicare la strada o a fornire liquidi e alimenti lungo il tragitto; un cammino, o meglio una corsa, dentro se stessi. Campestrin non è nuovo a queste distanze e a questo tipo di fatiche, avendone affrontate anche di più lunghe nell'ambito di molte competizioni. All'inizio dell'estate, però, ha deciso di preparare questa sfida dai risvolti epici.
IL PERCORSO - L'Alta Via numero 1, ideata nel 1966, parte dal Lago di Braies in Alto Adige per giungere a Belluno dopo aver attraversato i luoghi più celebri e ricchi di fascino delle Dolomiti: Croda del Becco, Fanes, Lagazuoi, Tofane, Giau, Pelmo, Civetta, Moiazza, San Sebastiano, Pramper, Cime de Zità e Schiara.
LA PREPARAZIONE E L'ATTESA - Cristiano voleva partire in giugno, per sfruttare le giornate più lunghe dell'anno, ma un calo di forma fisica lo ha costretto a posticipare. Ha quindi ripreso ad allenarsi ma i mesi successivi sono stati caratterizzati da una lunga serie di temporali. Con attento occhio al meteo, ha trovato una 'finestra' tra una precipitazione e l'altra, il 29 agosto: lì è cominciata l'avventura.
UN VIAGGIO DI SCOPERTA DEI LIMITI - «Avendo l'idea della completa autonomia - racconta - mi sono posto l'obiettivo di esserlo dall'inizio alla fine, dunque anche nel percorso di avvicinamento. Ci sono voluti quattro diversi autobus e una mezza giornata per arrivare al punto di partenza, al Lago di Braies. Alle 14.30 avevo lo zaino in spalla, pronto a cominciare la corsa». L'impresa dura il pomeriggio, la notte e il giorno seguente; le difficoltà non mancano. «Questo affrontare la fatica rappresenta un processo di conoscenza dei propri limiti. Mano a mano che si va avanti si tolgono tutte le maschere, i comportamenti e le abitudini: si resta soli con ciò che si è. È in questa situazione che ho scoperto in me risorse nascoste».
SUPERARE LE DIFFICOLTÀ - Risorse con cui affrontare alcuni seri ostacoli: il più impervio, lo stomaco che si chiude e non accetta più né i liquidi né i gel zuccherini che Cristiano ha nello zaino. «Quella di non riuscire a bere è una difficoltà che mi ha accompagnato per ben 10 ore, da circa la metà e fino alla fine della corsa, tanto che poi si è fatta sentire anche nei giorni seguenti».
Non è stata comunque l'unico imprevisto: «In piena notte ho trovato un cantiere forestale, poco dopo Passo Duran, con tronchi di abete abbattuti a precludere il cammino e a trasformare il sentiero in un intricato labirinto. A un certo punto ho anche sbagliato strada: un rischio che avevo messo in preventivo, specialmente di notte, e che invece mi ha sorpreso all'albeggiare, probabilmente perché vedere le prime luci mi aveva portato un lieve calo di concentrazione. È avvenuto nei pressi del rifugio Sommariva al Pramperet: un punto dove la montagna è meno frequentata e i sentieri meno segnati. Sono tornato sui miei passi, ho ritrovato la via e ho proseguito. L'allungamento del percorso avrebbe potuto procurarmi qualche brutto scherzo a livello emotivo, ma ho trovato la forza e la lucidità per superare anche questo. Temevo poi molto la parte finale, con la ferrata che scende per 800 metri: piuttosto tecnica e dunque rischiosa dopo tanta fatica».
E NEL FUTURO? - Normale, ora, chiedersi se Cristiano tenterà altre imprese come questa. «La mia idea è quella di procedere con questa conoscenza: delle Dolomiti e di me stesso».
Cristiano durante la stagione ha partecipato con il Team Salomon anche a numerose competizioni, fra le quali il Sellaronda Trail Running, al termine del quale ha ottenuto la 14esimo piazza conquistando il secondo posto assoluto nel circuito Salomon Trail Tour Italia 2012.
Skialp classic: prime uscite stagionali
Neve bella e ghiacciai in ottime condizioni
Questo autunno caldo e perturbato ha lasciato comunque spazio alle prime uscite con le pelli di foca della stagione 2013-14. Dopo la breve parentesi estiva, i ghiacciai si presentano in ottime condizioni, come non si vedevano da anni.
- Gli impianti da Cervinia e da Zermatt hanno portato in quota anche numerosi scialpinisti. A decine hanno raggiunto sci ai piedi senza difficoltà il Breithorn occidentale (4165).
A tutt'oggi, nonostante il caldo sciroccale che a tratti porta la pioggia anche oltre i 3000 metri, si potrebbe partire dall'intermedia di Cime Bianche, ben raggiungibile anche in discesa con qualche attenzione nell'ultimo tratto.
Il top è stato raggiunto dieci giorni fa, quando la neve della burrascata fredda di metà ottobre si era trasformata e permetteva di partire sci ai piedi praticamente da Cervinia. Cento metri di spallaggio sul prato della prima rampa, et voilà: girato l'angolo uno strato di pochi centimetri indurito e perfettamente portante permetteva di calzare subito gli sci. Poi il caldo quasi estivo ha insistito troppo. Versante svizzero: innevamento continuo dalla partenza della funivia del Kleine Matterhorn.
Sembrerebbe abbastanza innevato anche il Castore, ma bisognerebbe andare a vedere (con i ramponi al seguito). Comunque in alto ha nevicato sempre con vento.
- Allo Stelvio (2750) si ripetono regolarmente le gite alla Punta degli Spiriti (3467) e al Cristallo (3431) per la Nord, o meglio per la Nord-Est, perfettamente innevata e senza ghiaccio affiorante. Si parte e si torna dal passo lungo le piste, con qualche attenzione in basso.
- In Stubaital, subito dopo il passo del Brennero, il Pan di Zucchero (3507) è stato raggiunto evitando l'impianto del Mutterberg alla Dresdner Hutte e spallando così gli sci per meno di 600 metri. Innevamento continuo dalla Dresdner Hutte (2302).
Questo itinerario si aggiudica senza dubbio la palma della miglior gita d'apertura stagione, con 2500 metri positivi e 1800 metri di discesa in sci su 30 chilometri di sviluppo con doppio ripellaggio e senza l'uso dell'invitante impianto dal fondovalle.
Adriano Favre a capo del soccorso valdostano
Nuova nomina per il presidente della Crande Course
Riportiamo la notizia riportata questa mattina dall’Agenzia Ansa.
(ANSA) - AOSTA, 25 OTT - Adriano Favre è il nuovo responsabile del Soccorso alpino valdostano. Lo ha ufficializzato oggi la Giunta regionale con un decreto. Guida alpina della società delle Guide di Champoluc-Ayas, già direttore dal 2003 al 2008 e attuale consigliere nazionale del Soccorso alpino e speleologico, succede a Alessandro Cortinovis. Gli altri due candidati all'incarico erano Paolo Comune e Carlo Cugnetto.
Adeiano Favre, classe 1956, Guida alpina dal 1980, in carriera tra le altre ha scalato tre 'Ottomila', il Manaslu, Dhaulagiri e lo Shisha Pangma e ha partecipato ad altre spedizioni himalayane come Everest, K2, Kangchentjunga, Annapurna, Churen e Himal. In Africa ha raggiunto la sommità di tutte le principali vette come Kenia, Kilimangiaro, Ruwenzori, Hoggar e Atlas. In ambito ski-alp, è il presidente del circuito La Grande Course nonché il direttore tecnico del Trofeo Mezzalama.
Mario Monaco con gli sci dalla vetta del Cho Oyu
Per l'alpinista cuneese la prima discesa italiana
La prima discesa integrale italiana con gli sci dalla vetta del Cho Oyu: protagonista Mario Monaco, alpinista cuneese, amante del 'ripido'. Insieme a Riccardo Bergamini è salito ai 8201 metri, per la parete nord-ovest dal lato tibetano, ovviamente senza ossigeno: l'unico della spedizione con gli sci in spalla. Una discesa in due giorni: il primo, appunto dalla sommità, passando al centro della parete nord-ovest, di fianco al campo 3 a quota 7600 metri e arrivando al campo 2 a 7200 metri dove ha aspettato i compagni di spedizione e trascorso la notte. Il secondo giorno dal campo 2, sino al campo 1 dove normalmente finisce la discesa su neve. Rimessi gli sci sotto la costola rocciosa del campo 1, ha ancora aggiunto una discesa sul pendio denominato 'killer slope', sino al limite inferiore della neve che in quei giorni era a circa 6200 metri di quota, dove ha caricato gli sci in spalla proseguendo sulla lunga morena sino al campo base a quota 5650 metri. «Il Cho Oyu non è impossibile, ma neppure 'banale' - racconta Mario Monaco che per l'occasione ha utilizzato un prototipo di sci di una ditta italiana, presto anche in commercio - la neve all'inizio era abbastanza difficile, poi da quota 8000 ho trovato un manto nevoso soffice e pennellabile dovuto alla recente spolverata di neve, con solo alcuni tratti di neve ventata, tutto sommato entusiasmante se si considera che a quella quota è difficile trovare buone condizioni. Sono riuscito a passare con gli sci ai piedi anche la barra rocciosa denominata Yellow Band, una fascia rocciosa che taglia tutta la parete tranne appunto pochi metri in cui è interrotta da uno scivolo di neve, in un punto ripido ma innevato e poi, a quota 6750 metri, anche la Ice fall, un risalto di enormi seracchi che richiedono concentrazione e prudenza in un tratto breve ma ripidissimo e con poca neve per le lamine degli sci che sfiorano il ghiaccio».
Le prime immagini dell'impresa di Steck
Un bel video della scalata dell'Annapurna in 28 ore
«And finally I climbed it»... finalmente l'ho scalato. Dopo due tentativi, come già riportato da skialper.it, Ueli Steck, 'the swiss machine', ha scalato il versante sud dell'Annapurna, lungo la via Lafaille, in 28 ore. Dopo tante parole arrivano le prime immagini, assolutamente da non perdere.
Steck, l'Annapurna in 28 ore
'Penso di avere raggiunto il mio limite in alta quota'
Con il passare delle ore vengono alla luce alcuni particolari sull'ultima impresa di Ueli Steck sull'Annapurna. Lo svizzero ha raggiunto in solitaria la vetta della cima himalayana meno scalata e tra le più pericolose in 28 ore. L'impresa settimana scorsa. Steck è salito sul versante sud, dalla Lafaille. Significativa la dichiarazione rilasciata a Jon Griffith di Alpine Exposures: «Penso di avere raggiunto il mio limite in alta quota. Se scalassi qualcosa più difficile di questo mi ammazzerei, quello che volevo era scalare qualcosa di tecnico come questo con uno stile cool».
Ueli Steck sull'Annapurna
L'alpinista svizzero ha scalato il versante meridionale
Al terzo tentativo ce l'ha fatta. Un'altra impresa per Ueli Steck, la 'Swiss machine'. Il 10 ottobre ha raggiunto in solitaria la vetta dell'Annapurna dal versante sud. La notizia è stata mandata via sms dallo stesso Steck e riportata da alcuni sponsor ma mancano ancora molto dettagli, compreso il tempo impiegato. Steck si trovava sull'Annapurna con il canadese Don Bowie e aveva già dovuto rinunciare due volte, nel 2007 e 2008, a salire l'8000 meno scalato, dove solo 154 alpinisti erano saliti fino al 2008 e 60 hanno trovato la morte.
Marzio Deho sul Pico de Orizaba
Tentativo di record con bici... a piedi e forse sci
Dal mare alla montagna: questo il progetto che i bergamaschi Marzio Deho e Johnny Cattaneo tenteranno di realizzare alla fine del mese di ottobre in Messico. La partenza sarà da Boca del Rio, sulla spiaggia di Veracruz, con arrivo sulla vetta del Pico de Orizaba (a quota 5610 metri) la montagna più alta dell'America Centrale: il tutto in una sorta di triathlon non stop con una prima parte da realizzarsi con la bici da strada fino a 2700 metri, poi in mtb salire fino ai 4200 metri del Rifugio Piedra Grande e infine a piedi e su ghiacciaio per la salita in vetta. Il tempo stimato per compiere questo tragitto di oltre 200 km per quasi 7000 metri di dislivello è di circa 15 ore. Inoltre in base alla condizione di neve sul ghiacciaio sarà valutata la possibilità di scendere dalla vetta con gli sci.
Ski-alper sulle tracce di Reinhold Messner
L’incontro con l’uomo e l’alpinista ascoltando Bob Dylan
Era l’11 di settembre quando abbiamo riportato sulla pagina Facebook di Ski-alper alcune riflessioni che Reinhold Messner aveva rilasciato a un quotidiano nazionale riguardo alla tragica vicenda della scomparsa di un concorrente del Tor des Géants.
Senza troppi giri di parole, Messner aveva riportato in modo come al solito diretto quanto lui pensa della corsa in montagna e più in generale dello sport praticato in montagna. Affermazioni dure e categoriche che inevitabilmente hanno suscitato reazioni, principalmente di disappunto, da parte dei lettori della stessa pagina.
Tutto questo si è da subito trasformato in un desiderio da parte della redazione di Ski-alper di approfondire gli stessi concetti proprio con il diretto interessato, ovvero Reinhold Messner. Con la consueta passione per l’approfondimento e per la giusta interpretazione delle parole che sempre più spesso per motivi commerciali vengono relegate a uno spazio non consono, siamo quindi andati a incontrarlo nei pressi di Bolzano. È stata l’occasione per approfondire i suoi ragionamenti e le obbiezioni dei lettori emerse proprio sulla pagina di Ski-alper.
Con i giusti tempi per mettere ordine al materiale raccolto in quasi un’ora e mezza di chiaccherata, e che troverà il suo spazio sulla rivista, ecco alcune sintetiche riflessioni scritte di getto ritornando da quell’incontro:
“Nel lungo viaggio in treno da Casale Monferrato a Bolzano ho guardato per l’ennesima volta lo splendido film documentario Gasherbrum – La montagna bellissima. A quasi trent’anni di distanza da quando è stato girato, ho trovato davanti a me lo stesso Messner, con gli stessi ideali, la stessa passione e lo stesso carisma. Forse, strano ma reale, quello che più mi resterà impresso di questo incontro è la straordinaria forza comunicativa delle sue mani che sembravano muoversi in armonia con le note Blowin’ in the Wind”.
Ski-alper 90, il Dega che ti aspetti
Riflessioni durante la lettura
Sono giorni difficili per i cercatori di news come me. Lo sono perché è troppo recente l’uscita del nuovo numero di Ski-alper e, dopo la prima lettura veloce, sono necessari altri giorni per assaporarne con tranquillità i contenuti cercando di interpretare al meglio quanto gli autori hanno voluto trasmettere con i loro scritti. Un solo numero da cui si potrebbero trovare gli spunti per le news di un mese intero. Si perché, come ho già avuto modo di dire a chi mi ha chiesto in merito, per me questo numero della rivista è il più ricco e completo contenitore di informazioni sulla corsa outdoor che io abbia mai sfogliato fino a oggi.
C’è un articolo su tutti che ho letto più volte e che rileggerò volentieri in futuro. È quello scritto e interpretato da Marco De Gasperi, uno che scrive bene, e non solo da un punto di vista sintattico. Ho colto la sua capacità di trasmettere le emozioni in modo diretto e istintivo, senza inutili giri di parole, così come altrettanto istintivamente sa trasmettere emozioni quando corre, sempre senza inutili giri di parole.
In 'Rosa e Bianco dove tutto iniziò' ho colto la passione, l’entusiasmo e il precoce talento di quel ragazzino sedicenne che si presenta alla partenza della sua prova con il lasciapassare firmato dal papà. Il racconto di Marco è un sogno cercato che dopo un anno esatto si traforma in realtà. Lo leggo sulla rivista in nero su sfondo grigio e con gli stessi colori ne visualizzo le immagini. Una vecchia fotografia, di quelle vere e quindi stampate, leggermente sbiadita e consumata al tatto. Un ambiente dai colori desaturati, un’avventura che oscura la sola gara e un’esperianza del proprio io.
In quel suo “questo è matto” , la perfezione di sintesi nel descrivere in poco più di due righe la personalità di un Marino Giacometti appollaiato a 4.200 metri di quota. Nell’aver smarrito lungo il percorso i rifornimeti e in quel thè caldo sorseggiato per dieci minuti, la felicità di aver letto un racconto di vita così bello scritto da uno dei pionieri della nostra disciplina.
Grazie Marco.












