Blogger Contest, raccontare la montagna dei vagabondi

In palio 2500 euro e un premio speciale assegnato da Skialper

La montagna come terreno di vagabondaggio, come ricerca della libertà più estrema intesa come quella di non avere una vera meta – o di cambiarla in corso d’opera, perché così ci è piaciuto – ma anche liberi da mode e condizionamenti, capaci di liberarsi del superfluo. Il senso del viaggio sta nella scoperta del sentiero, negli errori di percorso, negli incontri e nelle emozioni che viviamo, indipendentemente dalla meta. È questo il tema della quinta edizione del Blogger Contest indetto dalla rivista online altitudini.it.

2.500 EURO - Blogger professionisti e non sono invitati a presentare una loro micro-storia (al massimo di 400 parole) accompagnata da una foto. Per partecipare, entro il 10 settembre bisogna compilare il modulo di iscrizione on line su altitudini.it e presentare la propria ‘unità multimediale’, composta da un testo e da una foto. Entro il 30 settembre una giuria di esperti in diverse discipline provvederà a selezionare i tre blogger vincitori e a segnalare altri autori meritevoli. In palio ci sono 2.500 euro di materiali tecnici (offerti, tra gli altri, da AKU, CAMP, Ferrino), soggiorni in quota e la pubblicazione delle opere vincitrici su riviste digitali e cartacee. Verrà assegnato anche un premio speciale da Skialper, partner dell’iniziativa.

SENZA META - La parola vagabondo, dal latino vagus (errante) e bundus (terminazione che dà l’idea di sovrabbondanza) indica l’andare errando, senza una direzione certa. A sua volta il verbo errare ha il doppio significato del muoversi senza meta ma anche del deviare dal vero, sbagliare, ingannarsi. Tutto questo sembra molto distante dall’idea che ognuno di noi ha dell’andare in montagna. Scelta dell’escursione o della ascensione, pianificazione dell’itinerario e dei tempi di percorrenza, cartina o traccia GPS: quasi nessuno, e verrebbe da dire per fortuna, si limita a dire: 'andiamo là e poi vediamo'.Eppure, non potrebbe esistere un modo diverso di vivere la montagna? Decidere di seguire un sentiero solo perché ci attrae, voler salire una cima senza nome per averla vista dal fondovalle, esplorare una valle per il solo gusto di perdercisi dentro. Quando un trekking di più giorni diventa un vagabondaggio? Quando si ha la libertà necessaria (e l’esperienza) per cambiare programma solo perché abbiamo visto qualcosa di imprevisto che ci piace e che ci attira, quando ci affidiamo ai nostri sensi, quando decidiamo di seguire un sentiero antico per capire dove ci porteranno quelle tracce.


Incredibile Kilian

Discesa dalla cresta Peuterey e doppia salita al Bianco in un solo giorno

Kilian Jornet sta intensificando il programma di avvicinamento per il suo Summits of my Life che prevede il tentativo di record sull’Everest, previsto tra fine agosto e inizio settembre. E lo fa alla sua maniera. Tutto sul Bianco. Lunedì è salito da Les Houches in vetta e poi insieme a Vivien Bruchez è sceso con gli sci dalla cresta Peuterey (la Cresta Peuterey è stata sciata per la prima volta nel 1977 da Anselme Baud e Patrick Vallençant. Kilian e Vivien l’avevano già tentata un paio di volte senza successo).
Nei giorni successivi parlando con Tom Owens, alla domanda se mai fosse salito sul Bianco due volte nello stesso giorno, ha riposto sempre alla Kilian, e quindi, partendo nuovamente Les Houches sino alla vetta, scendendo poi al Gonella e risalendo in cima. In totale 12 ore e 6.700 metri di dislivello…


Generazione ultra-veg

Su Skialper in edicola parliamo di vegetariani e vegani nello sport

È cronaca proprio di qualche settimana fa: una vegana voleva scalare l’Everest per dimostrare che anche chi non mangia proteine animali e derivati può fare tutto e purtroppo è morta. Oppure c’è la storia della bimba ricoverata in ospedale a causa di una dieta vegana. Poi però ci sono fior di atleti endurance che seguono la stessa dieta o sono comunque vegetariani come Scott Jurek, Carl Lewis, Edwin Moses e Paavo Nurmi. Ne abbiamo parlato proprio su Skialper di giugno-luglio con un intervento del dottor Alessandro Da Ponte, dello staff medico della Federazione Italiana Sport Invernali.

QUALCHE DATO - Nella carne le proteine sono circa il 20% e ricche di tutti gli aminoacidi essenziali, ma in fondo nella pastasciutta sono il 15%, per non contare quelle che si trovano nei legumi, cereali, semi, noci etc. Se nella popolazione generale i vegetariani-vegani sono circa il 5%, sembrerebbe che tra gli atleti di ultraendurance  la percentuale sia decisamente più alta anche paragonandoli con i maratoneti, quasi ci fosse una relazione tra tipo di sport, dieta e psicologia dell’atleta. Anche l’Academy of Nutrition and Dietetics, forse l’Ente Mondiale più autorevole sulla Nutrizione,  riconosce appropriata per gli atleti di tutti i livelli la dieta vegetariana. Un po’ diversa è la situazione dell’atleta vegano che, evitando anche uova, latte e latticini, è potenzialmente a rischio di carenze di calcio e ferro e necessita altresì integrazione con zinco, iodio, vitamina B12, omega 3 e taurina. Quindi… meglio leggere bene l’articolo di Skialper.

DISPONIBILE ANCHE SU APP - Skialper di giugno-luglio è disponibile nelle migliori edicole e su app. Per ogni info si può scrivere una mail o chiamare il numero 0124 428051. (Per la pagina abbonamenti cliccare qui). Per chi lo volesse acquistare la copia su smartphone o tablet, è sufficiente scaricare la app per iOS o Android e procedere all’acquisto direttamente in-app!

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Simone Moro: 'bisogna sapere fallire'

L'alpinista sul Nanga Parbat e tanto altro in una serata con il pubblico

Non capita spesso di vedere code di auto per un incontro che parla di montagna. Anzi, diciamolo, non capita quasi mai. È quello che è successo ieri a Bevera (Lc) per la serata con Simone Moro organizzata da DF Sport Specialist. Un'occasione per celebrare 30 anni di amicizia con il patron della catena di negozi, Sergio Longoni, ma anche per ritornare sull’impresa invernale al Nanga Parbat, preceduta da una affollata conferenza stampa con un Moro a 360 gradi.

IL PERCORSO - «Se ci si concentra solo sulla vetta, su quei 5 minuti, si perdono di vista tante cose, io voglio ricordare il percorso che mi ha portato sul Nanga Parbat come su altre vette, perché è la realizzazione del sogno ed è un viaggio fatto di incontri e di crescita personale» ha detto Moro. «Lungo il percorso impari tante cose. Impari a essere un padre migliore e un cittadino migliore vedendo bambini che camminano due ore per andare a scuola, impari a non buttare via neppure una goccia d’acqua all’autogrill o quando fai la doccia perché il ghiacciaio ha perso 800 metri di dislivello a causa del cambiamento climatico, ti rendi conto che l’uomo può vivere senza petrolio ma non senza acqua. Impari a essere un buon cristiano osservando buddisti e musulmani».

RINUNCIA - «Su 54 spedizioni ho fallito nel 30% dei casi. Bisogna essere coerenti, bisogna sapere rinunciare al momento giusto. I grandi, da Messner a Cassin, hanno sempre sottolineato di essere dei sopravvissuti, di avere fallito tante volte. Quando parti per una spedizione invernale sai già che hai il 10-15% di possibilità di successo».

MEMORIA STORICA - «Certe cose che ora sono tornate di moda, si facevano già anche 20 anni fa. Ora che gli 8.000 hanno iniziato a stufare, tornano di moda i 7.000, ma al Fitz Roy ci sono stato con Greco 20 anni fa, ho fatto 8 cime di 7.000 metri. Solo che c’è un momento per vendemmiare e non sempre la vendemmia è buona».

MATERIALI - «Al Nanga Parbat non avevamo prototipi ma solo attrezzatura e abbigliamento di serie, tranne uno scarponcino che ho voluto provare, portandomi però anche il modello in produzione. È il segno che il livello raggiunto dalle aziende è molto elevato e anche il consumatore può contare sul meglio».

LA MIA VIA - «Ho fatto gare di arrampicata, di scialpinismo, di skyrunning. Questo mi ha portato a due considerazioni. Non esiste un alpinismo bello e uno brutto, ma dalle gare ho imparato che per vincere devi allenarti duramente e ho portato questo concetto nell’alpinismo».


Never give up Silvia

Su Skialper di giugno-luglio un’intervista a Silvia Rampazzo

È fresca vincitrice del titolo italiano di SkyMarathon. E nelle ultime stagioni ha fatto incetta di vittorie e titoli… Il palmarès di Silvia Rampazzo è notevole, decisamente. Oltre alla vittoria del circuito skyrunning delle Italian Series nel 2015, c’è stato il titolo di ultraskymarathon nel 2014. Nel 2015 una lista impressionante di podi: Due Rocche 21 km, Trail Soave-Bolca, Giir di Mont, Maddalene Skymarathon, Skyrace Monte Cavallo, Misurina Skymarathon, Maratona del Cielo, Bellagio Skyrace per citare solo le più importanti. Mettendola così uno direbbe che siamo di fronte a una veterana con esperienze nel mondo ultra-competitivo della strada e allenamenti mirati. Invece Silvia Rampazzo è sbucata quasi dal nulla nel 2013 nel mondo del trail e dello skyrunning, in età non più tenera, con una storia che potrebbe essere fonte di ispirazione per tanti di noi. Su Skialper di giugno-agosto un’ampia intervista alla forte runner.

IL SENSO DELLA CORSA - «A correre ho iniziato una decina di anni fa, in pianura, sull’asfalto, in un difficile momento famigliare. Mi aiutava a scaricarmi e a liberare la testa. Correvo tutti i giorni, senza cardio, con i pantaloni e la maglietta di cotone, senza pensare al tempo né mai gareggiare. Per me era una valvola di sfogo. Che purtroppo è durata poco perché dopo qualche mese ho iniziato ad avere male alle ginocchia. Se facevo una corsetta zoppicavo per giorni… La diagnosi è stata subito impietosa: sublussazione a entrambe le ginocchia, infiammazione e consumo delle cartilagini. Così per anni ho smesso di correre, a volte zoppicavo anche solo a camminare. Mi avevano detto che non avrei più potuto correre, al massimo venti minuti la domenica». Invece è andata in un altro modo… 

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Egloff, record all'Huascaran

Intanto Karnazes cerca il primato sulla Via della Seta

L’ecuadoregno Karl Egloff, famoso per avere battuto il record di Kilian all’Aconcagua qualche giorno dopo l’impresa del catalano, ha scritto il suo nome su un altro record di salita e discesa in velocità. Lo scorso 30 giugno, infatti, è salito e sceso dall’Huascaran (6.768 m) in 11 ore. In totale circa 40 km e 3.655 m di dislivello positivo. Un record condiviso con l’amico Nicolas Miranda. La partenza è avvenuta da Musho e il duo ha dovuto lottare con un forte e gelido vento negli ultimi 600 metri. Egloff, che qualche settimana fa non è riuscito a battere il record all’Elbrus, ha come obiettivo quello di salire e scendere le più alte montagne del mondo e anche tutte le più alte vette dei Paesi sudamericani. Intanto un altro recordman è impegnato proprio in questi giorni in un altro tentativo di primato. Si tratta dello statunitense Dean Karnazes che sta correndo lungo i 526 km della Via della Seta per festeggiare i 25 anni dall’indipendenza di Kazakistan, Uzbekistan e Kirghizistan. Tappe da 80 km al giorno a quote fino a 3.352 m con arrivo previsto il 10 luglio. 


Brulport e Squinobal sciano una nuova linea sul Lyskamm

Il 26 giugno sono scesi dalla parete Sud-Est

Il Lyskamm orientale, insieme all’occidentale, forma una delle accoppiate più famose nelle Alpi. Questa cima, celebre per la sua parete nord sulla quale si sono confrontati tutti i più grandi sciatori estremi di ogni epoca, tuttavia nasconde altre due pareti sciabili. Dopo la via Guglielmina sulla parete Sud-Ovest (Michele Enzio, luglio 2013) è arrivato il turno della terza. La parete sud-est è inconfondibile: chiunque arrivi oltre i canali di Indren non può non averla notata. È lì, maestosa, che svetta davanti agli occhi e accompagna, verso il colle del Lys, tutti gli appassionati sciatori e alpinisti. Rispetto alla nord, ha una base di roccia e l’esposizione fa sì che non sempre si fermi la neve rendendola sciabile. Il 26 giugno i local Antoine Brulport ed Emil Squinobal salgono e scendono con gli sci questa parete rocciosa creando una linea di circa 400 m, intensi ed esposti, trovando neve a tratti dura e delicata (due brevi doppie lungo la discesa). Una linea di esplorazione, sognata di sicuro dai molti appassionati del ripido.

Monte Rosa - Lyskamm Orientale 4.527 m Parete Sud-Est 400 m 45°/50° e tratti a 55.

Su Skialper di agosto il resoconto completo della stagione dello sci ripido. 


Terraneo-Varchetti, nuovo canale alla Piramide Vincent

La linea è parallela a quella aperta nel 1977 da Schranz

La Piramide Vincent è uno dei 4000 scialpinistici più facile dell’arco alpino. Tuttavia presenta un versate oscuro che scende a Nord-Est nell’impestato e tormento ghiacciaio delle Piode. Nel 1977 Claudio Schranz traccia una linea su questa parete/canale tra lo sperone Nord-Est e il Colle Vincent che prenderà poi il nome di Couloir Schranz. Poche le discese negli anni successivi tra cui le prime ripetizioni dei local Andrea Enzio in snow e Jimmy Sesana in sci. Nel 2013 la parete è stata sciata a maggio e luglio da Antoine Brulport e Alberto Silvestri e dal trio Dallona-Donati-Zamengo. Il 20 giugno Mattia Varchetti e Davide Terraneo, salendo con la prima funivia di Indren, scendono 'en boucle' una linea parallela alla linea Schranz, che evita il traverso iniziale. 600 m di discesa in un canale perfetto, con pendenze costanti tra 45° e 50° e alcuni tratti più ripidi nella parte superiore in comune. La discesa termina poi con un traverso a destra e l’uscita sul ghiacciaio delle Piode tramite un canale adiacente. L’esposione più a Est di questa linea, fa sì che le rocce trattengano anche le nevicate più fredde rispetto al pendio Nord-Est, che presenta una base glaciale. L’attraversamento poi del suddetto ghiacciaio per entrare nel vallone della Malfatta richiede attenzione e intuito ma soprattutto tanta neve che, grazie alle abbondanti precipitazioni di questa tarda primavera, ha coperto i giganteschi crepacci. Una volta passata punta Vittoria, la giornata non è finita: il rientro ad Alagna è estenuante e la fitta vegetazione presente non aiuta di certo a trovare il sentiero per la via del ritorno.

Monte Rosa Piramide Vincent 4.21 5m - Parete Est/Nord-Est 600 m 45°/50° e tratti a 55°

Su Skialper di agosto il resoconto completo della stagione dello sci ripido.


Provaci ancora Xavier

Su Skialper 106 un’intervista a Thevenard, che non sarà al via dell’UTMB

È arrivato secondo proprio nel fine settimana alla Marathon du Mont Blanc, segno che Chamonix ce l’ha veramente nel cuore. E infatti Xavier Thévenard alla cittadina ai piedi del Monte Bianco deve tutto. Monsieur grande slam è l’unico ad aver vinto la trilogia CCC, TDS e UTMB e al secondo posto nella classifica della gara maggiore insieme a D’Haene e Olmo, dietro solo a roi Kilian che conta tre vittorie. Le perle del 2013, con record, e 2015 sul traguardo di Chamonix sono nella storia del trail. Xavier è un cecchino quasi infallibile. Poche gare, ancora meno errori. Difficilmente sbaglia. Dietro quel viso da bambino e la statura mignon se paragonato per esempio a D’Haene, si cela un astuto calcolatore, al quale non sfugge nulla prima, durante e dopo la gara. Nel 2016 però non sarà al via dell’UTMB. «Le ultra vanno preparate bene ed è ancora più importante il recupero. Per me due all’anno sono sufficienti e quest’anno voglio vedere posti nuovi. C’è chi ne fa di più, ma io non voglio rischiare, voglio correre ancora a lungo e non distruggermi» ha dichiarato nell’intervista esclusiva rilasciata a Skialper e pubblicata sul numero 106, ora in edicola.

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Facelli e Gingreau hanno sciato l'Arete de Peuterey

La linea era stata discesa da Vallencant/Baud e De Benedetti

Ogni anno arriva quel momento in cui si tirano le somme. Si tirano le somme su quanto si è lavorato duramente nei mesi precedenti, da novembre fino a maggio. Si tirano le somme delle ore rubate al sonno, ai parenti, agli amici,alle morose e al lavoro. Si tirano le somme delle rinunce ai vari powder day per poter allenare la famosa 'gamba'. Si tirano le somme dei dislivelli e di quante discese siamo riusciti a fare. Tutto ciò, in funzione del 'colpo finale', oltre il quale entriamo nei mesi morti, che precedono la riattivazione autunnale del nostro orologio biologico...Anche noi di Skialper 'tireremo le somme' sul numero di agosto-settembre con una rassegna completa delle imprese di sci ripido della stagione, intanto però, ecco una ghiotta anticipazione.

MONTE BIANCO/ARÊTE DE PEUTEREY - Il 24 giugno scorso Lorenzo Facelli e Jerome Gingreau, dopo essere saliti nel tardo pomeriggio al rifugio Gonella, risalgono la via normale al Monte Bianco con alle spalle solo due ore di sonno. L’accesso alla vetta più alta delle Alpi da questo versante è lungo, remoto e non ha nulla a che vedere con le vie che salgono dal versante francese. Una volta raggiunta la vetta, scendono verso la cima minore italiana e, dopo aver scavato parte della cornice, scendono 'en boucle' la famosa Arête de Peuterey. Sciata per la prima volta dal duo Vallencant/Baud nel 1977 e ripresa qualche anno più tardi da Stefano De Benedetti senza doppie nel couloir Eccles, questa discesa è di sicuro una delle più belle e ambite dell’intero arco alpino. La quota, la lunghezza (oltre 1.400 m), le varie esposizioni e i pericoli oggettivi che presenta, fanno sì che solo pochi sciatori si siano cimentati ad oggi, in quello che è considerato un vero e proprio ‘viaggio' serio e selettivo. Nel couloir Eccles il duo ha effettuato una doppia e un po' di dry-ski per poi arrivare sotto al Gran Pilier d’Angle e concludere la discesa attraverso il tormento ghiacciaio della Brenva. Una performance di assoluto livello se si considera sia la discesa sia l’avvicinamento by fair means dal fondovalle.

Monte Bianco 4.809 m - Arête de Peuterey integrale - 1.400 m 45°/50° - tratti a 55°


Regole islandesi

Su Skialper 106 alla scoperta dell’isola con sci e pelli

«Se si pensa alla parola isola, le prime immagini che vengono in mente, a meno di non avere una personalità deviata, sono scene idilliache a base di palme, pescatori abbronzati in canottiera e spiagge di sabbia rovente. Poi, però, succede che i nostri schemi mentali vengano ribaltati. Sull’isola ci si arriva col piumino, una borsa con sci e scarponi e i capelli scompigliati dal vento gelido: benvenuti in Islanda». Comincia così l’articolo ‘Regole islandesi’ su Skialper di giugno-luglio, con le splendide fotografie di Federico Ravassard.

5 MOTIVI PER ANDARCI -
Trova un pretesto per viaggiare, guardati intorno e sentiti su un altro pianeta, scia con le balene, vai a fare il turista, portati qualcosa a casa. Questi i simpatici motivi individuati per programmare un viaggio con sci e pelli in Islanda, dove abbiamo anche avuto l’opportunità di provare i nuovissimi scarponi Lupo Carbon TI di Dalbello. Dieci pagine tutte da leggere ma soprattutto da guardare, alla scoperta degli incredibili paesaggi di un’isola decisamente trendy negli ultimi tempi…

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Nico Valsesia, record sul monte Elbrus

Nel progetto ‘From Zero To

Nico Valsesia ce l’ha fatta. Per il suo progetto ‘From Zero To’ ha completato domenica l’ascesa no-stop del monte Elbrus, partendo dal mare di Sochi. Il percorso prevedeva la partenza sulle rive del Mar Nero, con una pedalata di circa 650 km fino ad Azau, a 2600 metri di quota, quindi il percorso a piedi fino alla cima della montagna, la vetta più alta della Russia è considerata anche (secondo la scuola che pone i confini continentali in corrispondenza della catena del Caucaso) la vetta più alta d’Europa.
Ecco il racconto dell’impresa dal suo sito www.nicovalsesia.com
è stata durissima, molto più del previsto e molto più di ogni altro record precedente; ma anche questa volta Nico ce l’ha fatta. Alle 12.28 ha raggiunto la cima dell’Elbrus dopo essere partito, alle 4.33 del mattino del giorno precedente, dalla cittadina di Sulak, sul Mar Caspio, 5642 metri più in basso (anzi, 5671, considerato che il Caspio sta in una depressione a – 29 metri sul livello del mare) e 525 km lontano.
Non è stato facile, dicevamo: tanto che alla fine, quando Nico è sceso dalla funivia che lo ha riportato a valle, molti del team avevano gli occhi umidi dalla commozione.
Ma raccontiamo le cose con ordine: prima di tutto un po’ di dati. Partito alle 4.33 del mattino del 25 giugno dalla località di Sulak, sul mar Caspio (una depressione in ogni senso, sia perché si trova a meno 29 metri di quota, sia perché è una cittadina di raro squallore), Nico ha pedalato per 510 km fino a raggiungere alle 00.50 il villaggio di Azau, ai piedi del monte Elbrus, a 2350 metri di altitudine. Ci aspettavamo già che fosse una salita impegnativa e faticosa… Ma non pensavamo tanto: prima 400 km di nastro d’asfalto drittissimo e piatto, con temperature che nel corso della giornata hanno raggiunto i 35 gradi e con un traffico infernale, disordinato e pericolosissimo che non perdonava un solo istante di distrazione; poi con 100 km di valle caratterizzata da continui saliscendi spaccagambe e una serie di strappi con pendenze davvero impegnative, tanto da portare il dislivello positivo totale, nei nostri primi calcoli approssimativi, a oltre il doppio dei 2000 metri di quota guadagnati.
Così, Nico è arrivato nella notte ad Azau davvero provato. A creare problemi, oltre alla stanchezza generale, era soprattutto lo stomaco: dopo aver vomitato lungo la strada, per lo sforzo e per il freddo, non è riuscito a dormire neppure per l’ora e mezza prevista, a causa della nausea e del malessere. E quando si è alzato il suo aspetto era davvero pessimo: nessuno del team, inclusi quelli che lo avevano accompagnato alla RAAM, lo aveva mai visto in simili condizioni, e si iniziava ad avere forti dubbi sul fatto che riuscisse anche solo a rimettersi in cammino, per non parlare di completare un’ascensione tanto lunga e impegnativa come quella che lo aspettava. Ma tant’è, Nico è Nico: alla fine, dopo il trattamento di Luca (osteopata e capo spedizione) e una minestra calda faticosamente deglutita, alle 3.20 è ripartito a piedi per la seconda parte del percorso: 15 km di salita alla vetta del monte Elbrus, a 5642 metri di altezza.
Da quel momento in poi, nel corso della notte i collegamenti si sono interrotti: Nico è salito con la sua frontale, e gli aggiornamenti successivi li abbiamo avuti solo verso le 5 del mattino, quando è stato avvistato da Massimo (uno dei due cameraman saliti in quota la sera prima, che lo aspettava a 3500 metri). “Avanza molto lentamente”.
Da lì in avanti, è difficile rendere il senso di confusione e preoccupazione dell’intera mattinata. Luca, alla base di Azau, riceveva aggiornamenti via whatsapp da Massimo, che a quota 4000 era a sua volta in contatto radio con Nico (che stava salendo molto faticosamente) e con il secondo cameraman Alberto (che, dopo aver passato la notte in rifugio, si stava avviando verso la vetta per essere raggiunto da Nico nell’ultimo tratto). Ma le notizie sulla condizione fisica dei due erano frammentarie e preoccupanti, i black out della linea frequenti, l’impossibilità di valutare se Nico e Alberto fossero in grado di proseguire quasi totale…e nel frattempo le ore passavano e i rischi nel raggiungere la vetta aumentavano.
Mai come questa volta è stata una questione di testa e di volontà, assai più che di fiato e di gambe: Nico e Alberto, nonostante tutto, si sono incontrati, si sono dati la carica a vicenda e alla fine, alle ore 12.28, hanno raggiunto la cima, fissando così il tempo totale della prestazione di Nico a 31 ore e 55′ (“questa volta ho proprio raschiato il fondo del barile” è stata una delle prime frasi di Nico in vetta, stremato.
Tutto è bene ciò che finisce bene: il meteo, perfetto, ha continuato a tenere, e dalla base è stato organizzato il recupero dei due a quota 5100 con un acrobatico gatto delle nevi
’.