Annullate la Sellaronda Skimarathon e la Lagorai Cima d'Asta

Continuano ad arrivare le notizie di annullamenti di gare a causa dell’emergenza sanitaria. L’ultima riguarda la Sellaronda Skimarathon del 27 marzo, alla quale si unisce la Lagorai Cima d’Asta del 15 marzo, che avrebbe festeggiato proprio quest’anno il trentennale, rinviato al 2021. «Vedere il lavoro di un anno vanificato in poche ore – ha evidenziato il presidente Nicola Muller - non è per nulla facile ma la sicurezza di tutti è sempre stata la nostra priorità, a maggior ragione quella sanitaria e la salute pubblica di atleti, volontari, pubblico e tutto il personale coinvolto in questa manifestazione. Non abbiamo alternative, dobbiamo rimandare la festa al prossimo anno. Volevamo in particolar modo ringraziare tutti coloro che hanno preso a cuore la nostra iniziativa, a tutti gli sponsor ed aziende che hanno aderito al nostro progetto e a tutti gli atleti per la fiducia e comprensione». Lo Ski Team Lagorai Tesino rimborserà la quota d’iscrizione.

«Nonostante la grande passione - ha detto invece Oswlad Santin - di tutti i ‘sellarondisti’, delle centinaia di volontari, dei membri del Comitato Organizzatore, e degli sponsor che supportano questo evento, ci troviamo nostro malgrado costretti ad annullare la venticinquesima Sellaronda Skimarathon. Una scelta difficile ma obbligata a causa della situazione sanitaria italiana e dei relativi decreti governativi che vietano ogni manifestazione sportiva di questa portata».
«A partire da aprile - ha aggiunto Santin - si potrà richiedere un rimborso parziale (2/3) della quota d’iscrizione. La modalità sarà pubblicata sul nostro sito www.sellaronda.it sulla pagina delle iscrizioni solo dopo il 20 marzo».

Non è stata ancora presa una decisione invece per la Patrouille des Glaciers. Sulla pagina Facebook in un post di pochi minuti fa la posizione ufficiale: «Il Consiglio federale ha il compito di decidere in merito alle manifestazioni di oltre 1000 persone.
Attendiamo la sua decisione per il "dopo il 15 marzo" per completare la nostra valutazione della situazione in collaborazione con il Dipartimento della Difesa, della Protezione della Popolazione e dello Sport, il Comando dell'esercito e il Cantone del Vallese.
Una decisione dovrebbe essere presa all'inizio della prossima settimana. Vi terremo informati».


Freetouring è scoperta, serenità, local...

Freetouring è scoperta: Silvia Moser

Cortinese, 29 anni. Arriva allo sci con l’agonismo e le gare di sci alpino, ma a 16 anni sente la cosa un po’ limitante e così, dopo essere diventata maestra, inizia a entrare nel circuito del Freeride Word Qualifier del FWT, per avere occasione di viaggiare con gli sci. Questa passione per i viaggi e i posti nuovi crede di averla ereditata dalla mamma cilena, con la quale ha vissuto in Venezuela: «quando le ho telefonato era a surfare e non ho potuto avere migliore conferma circa la sua voglia di scoperta». Lo sci è diventato così uno strumento che le consente di arricchirsi attraverso esperienze e viaggi. Predilige le pelli montate su legni più orientati alla discesa e adora le zone delle Dolomiti, dove gli impianti lasciano ancora spazio all’avventura e ai paesaggi incontaminati. Il prossimo viaggio pare già deciso: Iran!

© Alice Russolo

Freetouring è qui: Fabio Beozzi

Appena diventato Maestro, ha spostato gradualmente il suo interesse dalla pista ai versanti liberi, maturando un amore sempre più sincero per lo sci su terreno ripido, ma anche per i terreni alpinistici variegati che certe discese impongono… Si può dire che, al contrario di molti amici che sono approdati allo sci da esperienze su roccia e ghiaccio, Fabio grazie allo sci si è avvicinato all’alpinismo, fino a risalire per scendere, nel 2011, il versante Messner del Cho Oyu. Quattro anni fa, grazie alle ampie vedute dello Sci Club Sestriere, ha potuto creare il gruppo Freemountain, rivolto a ragazzi dai 13 anni in su, con l’obbiettivo di offrire un’esperienza formativa nell’ambito del freeride e dello scialpinismo o freetouring, attraverso il divertimento e l’apprendimento delle dinamiche della neve. Fare ciò che piace per valorizzare e far conoscere il territorio attraverso lo sci e il proprio lavoro è ciò che lo ha portato - insieme a Marco Eydallin (guida, maestro, allenatore e ottimo freeskier), Jonathan Graviotto e Gigi Lozzi (maestro e istruttore di snowboard) - a creare il portale whiteride.it Perché cercare lontano? Il freetouring per Fabio è qui, in Via Lattea, nel più puro spirito local!

© Federico Ravassard

Freetouring è serenità: Simone Barberi

«Guarda, perché vuoi sentire proprio me? Non penso di fare al caso tuo: non sono un pro, la mia è una passione. Non sono nemmeno giovane. Scio da anni sì, ma…» «Simone non fare così, parli come quelli che vivono di ricordi!» «Col cavolo che vivo di ricordi! Non mollo un cazzo io!
Ecco abbiamo il nostro uomo! Trentino di Rovereto, vive nelle vicinanze in una valle dalla quale non ha la minima intenzione di spostarsi e dove le cime raggiungono al massimo i 1.800 metri. Un grande sciatore, ma non lo dice. Vive vicino alle Dolomiti, però preferisce le confinali. Come la Val Senales e il Similaun, dove trova poca gente, spesso nessuno. Si muove con impianti e pelli o solo pelli: non è integralista su questo aspetto. Non gli piace correre e gareggiare: ama uno sci sereno, senza ansia da prestazioni. Se non ci sono le condizioni, si va al bar, non c’è foto che valga la pelle. Siamo tutti di passaggio, non si vergogna a definirsi zen in questo. Ci fa sapere che ha tanti amici in giro. Condivide con loro lo sci e il freetouring è sentirsi parte di loro!

QUESTO RITRATTO, INSIEME AD ALTRI DI SCIATORI ‘LIBERI’, È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 127


Freetouring è orgoglio: Roberto Parisse

Il modo di vivere lo sci libero non ha confini. Non bisogna essere per forza nati a Chamonix o nelle Dolomiti. È una cosa che senti dentro e non è detto che tutti ci arrivino alla stessa maniera. O che la interpretino nello stesso modo. Anzi, certi a quella sensazione di libertà ci arrivano quasi muovendosi in direzione ostinata e contraria, passando da esperienze che alcuni di noi potrebbero giudicare agli esatti antipodi. Ma il fascino di un movimento libero sta proprio in questa imprevedibilità e Roberto ne va orgoglioso.

«Sono del ’79, ma ci tengo a specificare che non sono ancora entrato negli anta perché son venuto alla luce a fine dicembre. Da cinque anni sono Maestro di sci. Abruzzese dell’Aquila, sono arrivato alla montagna dall’arrampicata sportiva praticata a livelli agonistici. Non nascondo che ad animarmi è sempre stato uno spirito competitivo. Un agonista vero, mi posso definire. Le gare, i cronometri, la difficoltà offerta da uno stesso terreno di gioco, sono a mio parere l’unica maniera per confrontarsi. Per determinare chi è più bravo. Anche nello sci. Così allo skialp classico ci sono arrivato attraverso le gare; mi ci portava mio padre che è sempre stato un grande appassionato di montagna. Avevo poi iniziato con le gare di Derby tipo la Meije o quelle che si tenevano a Colere, per poi passare, dal 2007 al 2011, al Freeride World Tour, dove ho sempre trovato un ambiente fantastico per confrontarmi con chi viveva sulle Alpi. Le Alpi le ho scoperte nel periodo in cui vivevo a Brescia. E da abruzzese è stata una bella soddisfazione quell’anno in cui sono stato primo nel ranking italiano. Mi sentivo un po’ giudicato in quell’ambiente, per via della mia provenienza. Vado molto orgoglioso delle mie origini e porto questo sentimento anche nel mio modo di sciare: la mia terra è il top per chi cerca l’esplorazione, i posti selvaggi e magari il disagio che comportano.

Alla tecnica ci sono arrivato dopo: ho iniziato a praticare prima lo sci fuoripista e lo skialp, contrariamente a molti. Però sono profondamente convinto che lo sci praticato su terreno libero sviluppi in modo incredibile l’adattamento alla neve, cosa che mi ha aiutato anche tra i pali e che cerco di trasmettere ai miei ragazzi quando insegno. Ribadisco quindi il mio orgoglio di avere questa passione qui nella mia terra, perché amare lo sci e in seguito avvicinarmi alla fotografia insieme a mio fratello, ha dato a entrambi l’opportunità di raccontare ciò che amiamo e di poterne vivere. Bello no?».

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Freetouring è feeling, Ettore Personnettaz

Classe 1975, Ettore Personnettaz vive ad Allein. Valdostano doc, è attratto dalla neve in maniera naturale, fino a diventare, nel 2003, maestro di snowboard. Dal 2007 istruttore nazionale, nel 2012 diventa anche insegnante di telemark, mentre dal 2018 mette la sua passione per lo snowboard a disposizione dei ragazzi disabili. Organizza ogni inverno camp di freeride per gli amanti della splitboard. Nel 2019 ha cercato di condensare la sua passione e le esperienze nel territorio in un libro dal titolo Freeride e snowboard in Valle d’Aosta, dove unisce racconti di esperienze vissute in montagna, itinerari e una parte dedicata alla formazione per muoversi liberamente sulla neve. Ha una fissa: guarda le montagne e immagina di tracciare una linea dalla cima!

«Mi sono avvicinato allo snowboard nel 1992 per curiosità e con un approccio più orientato al freestyle. Ma la vera rivelazione per me è stato l’avvento della split dieci anni fa! In montagna adoro andare in compagnia: si è più sicuri e ci si diverte di più a condividere situazioni… faticose! Tre secondo me è il numero perfetto per un team che si muove su sci e splitboard, anzi non mi vergogno a dire che per la buona riuscita di certe giornate è importante avere nel gruppo un amico sciatore. Non bisogna trascurare le dinamiche che s’instaurano tra i componenti, anche in piccoli gruppi.

Sono fortunato a vivere in Valle d’Aosta e ho potuto vedere tutta l’evoluzione dello sci e dello snowboard, dai materiali alla mentalità: negli ultimi anni ritengo ci sia stato un vero boom nello skialp. Non è più un’attività strettamente stagionale… anche per itinerari impegnativi. Tutto e subito, un po’ come avviene nella società. Eppure, per l’approccio che ho verso la pratica di questa disciplina, mi son reso conto, specie cercando di comporre i racconti del libro, che per assaporare veramente ciò che mi restituisce devo impormi del tempo per metabolizzare.

Andare in montagna aperta a sciare ti consente di esplorare i tuoi stati d’animo, il feeling con i tuoi compagni: questa è la parte che mi affascina di più e che mi spinge a continuare nell’attività».

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© Pierre Lucianaz

Freetouring è divertimento: Andrea Cis Cismondi

Per godere della neve e delle sensazioni che regala in discesa, il materiale è importante. È un percorso che alcuni hanno intrapreso da anni, guidati dalle aziende sempre più attente alla fase di downhill. Andrea Cismondi, 36 anni, maestro di sci e allenatore federale, si accorge che ogni qualvolta si trova davanti a della neve fresca e vede montagne di fronte a lui, gli sale una scimmia pazzesca. Da lì diventa rifugista/sciatore a tempo pieno. E il gioco è fatto. Gli sci inizia a usarli come mezzo di locomozione per raggiungere il posto di lavoro e tutto per lui diventa più free!

«Avevo 16/17 anni… sciare voleva dire fare pali. Per pagarmi un po’ di sci club, dopo scuola davo una mano in un negozio di sport. Lì passavano degli scialpinisti. Mi venne il pallino di provare e così comprai uno sci leggero con attacchini pin e scarponi, tutto rigorosamente iper-usato. Mi aggregai ad alcuni amici per una gita in Valle Stura: mi sentivo pronto! La salita andò bene. La discesa in mezzo a un ginocchio di farina fu infernale: abituato a sciare con altra attrezzatura, trovai la situazione a dir poco mistica, fino a quando in un avvallamento caddi e ruppi in due uno sci. Tornai a casa con le orecchie basse: volevo riprovare, ma non a quelle condizioni. In negozio trovai uno sci di un pisteur francese: un Dynastar 4x4 190 circa. Aveva una lamina scollata. Mi misi a dargli una sistemata e dopo una settimana ero nuovamente lì. Partii per la gita insieme a un sacco di gente. Tanti guardavano questi sci da pista, larghi e lunghi con un attacchino pin, con la diffidenza tipica degli skialper cuneesi, ultraconservatori. La discesa però questa volta fu uno sballo.

Per un po’, nell’ambiente ultraconformista dello skialp cuneese, fui quello con gli sci larghi. Poi man mano che la cultura del freeride si diffuse dalle zone limitrofe e dalla Francia, iniziai presto a essere in buona compagnia. L’idea del freeride abbinata allo scialpinismo non mi ha più abbandonato: divertimento sulla neve a 360°. Altri giorni godo per la salita. Non sono un atleta, anzi… mi prendo tutto il tempo e la calma del caso per girovagare sui monti, ma non rinuncio a portarmi dietro attrezzatura un po’ più abbondante, sia di dimensioni che di peso, per garantirmi comunque una bella sciata. Alcuni giorni cerco solo quelle sensazioni che esclusivamente alcune curve su certi pendii innevati sanno darti. Insomma, mi sento free perché il mio modo di andar per monti con gli sci ai piedi non è poi così codificato».

QUESTO RITRATTO, INSIEME AD ALTRI DI SCIATORI ‘LIBERI’, È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 127

© Alice Russolo

Dal 12 al 16 marzo La Sentinelle al Monviso

Dal 12 al 16 marzo il Monviso sarà il teatro della quinta edizione de La Sentinelle, l’evento ideato da Bruno Compagnet e Layla Kerley per celebrare il vero spirito dell'avventura dello sci di montagna e condividerlo con la comunità degli sciatori. Skialper è media partner de La Sentinelle e abbiamo chiesto a Bruno Compagnet e Layla Kerley di spiegarci qual è il vero spirito dell’iniziativa.

Che cos'è La Sentinelle? Come è iniziata e cosa rappresenta?

Layla: «In inglese Sentinelle vuol dire ‘custode di determinati valori’. Per noi questo rappresenta essere i guardiani dello spirito dello scialpinismo: viaggi, avventura e fare delle belle sciate».

Bruno: «Ho immaginato La Sentinelle per la prima volta molto tempo fa. Ho sempre voluto prendere parte a un evento di scialpinismo ma non ho mai trovato un format che mi convincesse. È così che ha avuto inizio La Sentinelle. Ispirato dagli eventi ciclistici che non hanno classifiche, ho pensato, perché non abbiamo niente del genere per lo sci? Nessuna classifica, nessuna competizione, non una gara di scialpinismo con la tutina e l'attrezzatura leggera, solo un evento per i veri appassionati di neve: qualcosa che faresti con gli amici. È davvero speciale andare alla scoperta di una nuova area, condividere conoscenze, creare relazioni solide, trovare neve fantastica e celebrare lo scialpinismo in modo autentico».

Layla: «Ogni anno coinvolgiamo circa 35 persone in un’impegnativa traversata di sci che attraversa un confine e alloggiamo tutti insieme in un rifugio. Trovo che questo sia fantastico perché è molto più intimo, tutti possono parlare con tutti e creare dei veri legami. Un anno hanno partecipato persone di ben 12 nazionalità diverse. È così bello vedere che tutti rimangono in contatto dopo il raduno, informandosi a vicenda sulle condizioni nelle loro aree. La Sentinelle consiste davvero nel riunire la comunità dello sci in montagna».

In che modo La Sentinelle è diversa dagli altri eventi di scialpinismo?

Bruno: «La Sentinelle ha un percorso con i punti più interessanti, per esempio i canaloni, segnati sulla mappa, ma a differenza di altri eventi di scialpinismo non c’è un percorso balisato. Andiamo nel luogo uno o due giorni prima dell'evento, valutiamo le condizioni e controlliamo il percorso con una Guida, quindi lo proponiamo ai partecipanti al loro arrivo. Il giorno della traversata abbiamo una Guida alpina nel gruppo e tre o quattro Guide lungo il percorso, inclusa una in coda per motivi di sicurezza».

Layla: «È vietato presentarsi in tuta da sci in lycra e gli sci devono essere larghi almeno 100 mm secondo lo spirito dell'evento. Non è una gara e l'obiettivo non è arrivare per primi! Per spiegare l'idea, nel programma abbiamo scherzato sul fatto che si possono indossare camicie di flanella e vecchi occhiali da ghiacciaio».

Bruno: «Sì, vogliamo che le persone vengano con lo stesso spirito di quando escono con gli amici. Vogliamo porre l'accento sullo sci, non sulla lotta con l’Alpe. Avere attrezzatura leggera per vincere non è l'obiettivo, e avere degli sci larghi almeno 100 mm significa che le persone possono divertirsi. Abbiamo creato La Sentinelle perché prima non esisteva qualcosa di simile: l'obiettivo è quello di celebrare lo scialpinismo e la sua essenza di divertimento. Non è una gara, vogliamo trascorrere una giornata spensierata in montagna insieme e festeggiare dopo con una birra».

© Layla Kerley

 Descriveteci il format di La Sentinelle.

Layla: «Il percorso ci porterà nella zona del Monviso con circa 2.400 m di dislivello e, si spera, ottimi momenti di sci. Se le condizioni ce lo permetteranno, il primo giorno vorremmo fare il giro completo. Abbiamo sempre una finestra meteorologica di quattro giorni, quindi si spera che dopo il circuito gruppi più piccoli possano sciare altri canali e bei pendii. L'ultima volta alcuni italiani sono saliti al buio e hanno fatto delle belle curve davanti al rifugio. Quindi potremmo fare un'altra discesa notturna anche questa volta…».

Bruno: «Facciamo delle lunghe chiacchierate e ci sono persone che condividono i segreti dei loro mestieri o le loro passioni. Una volta c’era un fotografo che ha parlato del suo lavoro, persone che lavorano per marchi importanti che hanno parlato dei prodotti, Guide che hanno condiviso le loro conoscenze. Due anni fa è venuto Vivian Bruchez ed è stato fantastico: ha pranzato e cenato con tutti e ha condiviso alcune delle sue esperienze nel backcountry. Però è tutto spontaneo, abbiamo solo un po' di tempo a disposizione e quando le persone iniziano a parlare di qualcosa che conoscono bene, gli altri vogliono sempre unirsi alla conversazione».

Perché avete scelto il Monviso come location? 

Layla: «Abbiamo scoperto il Monviso qualche anno fa quando un amico ci ha invitato per una traversata di sci nelle valli occitane. Volevamo condividere la bellezza di queste valli remote, dimenticate e relativamente sconosciute delle Alpi meridionali con La Sentinelle. Nel 2014 è diventata una riserva della biosfera dell'UNESCO ai confini con la Francia e abbiamo pensato che si allineasse così bene con i nostri valori di proteggere i luoghi selvaggi e riunire la comunità internazionale».

Bruno: «La cosa interessante del Monviso è che la gente del posto ci ha detto che lì negli anni '70 si teneva un evento di scialpinismo. Penso che alla fine ripercorreremo gli stessi itinerari di coloro che ci hanno preceduto ed è una bella sensazione reinventare una vecchia tradizione.  È davvero importante sapere cosa succedeva in passato in modo da poter rimanere in contatto con le nostre radici nelle montagne».

Perché quest'anno avete scelto di collaborare con Patagonia?

Bruno: «Onestamente è uno dei pochi marchi con cui voglio continuare a lavorare perché sta lottando concretamente per il clima. Sono davvero impressionato dai cambiamenti a cui stiamo assistendo, non solo in inverno, ma anche durante l'estate. È così triste vedere i bambini fuori da scuola a Chamonix quando piove in inverno e pensare che potrebbero non conoscere mai l'inverno così com'era quando io ero bambino. Penso che Patagonia sia perfetta perché condivide lo stesso spirito di connessione umana di La Sentinelle. Conoscere questi luoghi meravigliosi ci sprona a proteggerli. È nostro dovere. Nei prossimi anni tutti le località sciistiche nelle valli chiuderanno a causa dei cambiamenti climatici. Il turismo invernale era in funzione di hotel e seggiovie, ma penso che ora abbiamo bisogno di qualcosa di diverso. È come alle Grands Montets a Chamonix: tutti protestano perché la funivia non è ancora stata riaperta dopo l'incendio, ma non capisco perché. Amiamo l'inverno, amiamo la neve e abbiamo bisogno di cambiare le nostre abitudini per preservarli entrambi. Il denaro spesso determina il modo in cui le cose funzionano, ma per continuare a sciare e praticare sport di montagna, dobbiamo cambiare il modo in cui lo facciamo. Lo scialpinismo ha un impatto molto minore sull'ambiente e penso che le avventure in cui l'uomo è da solo con la natura offrano la migliore alternativa allo sci tradizionale».

Layla: «Ho sempre voluto collaborare con Patagonia. Credo davvero nella loro missione e penso che abbiamo molti valori in comune. Quando ci hanno contattato per collaborare all'evento, eravamo sorpresi ma tanto felici. Ci hanno raccontato di aver seguito La Sentinelle sin dall'inizio e che segue la stessa filosofia di Patagonia».

© Layla Kerley

Per partecipare a La Sentinelle gli interessati devono scrivere una lettera e spedirla alla sede centrale di Chamonix. Come mai questa scelta?

Layla: «Oggi tutto avviene online, basta spuntare le caselle o accettare i termini e le condizioni ed è tutto così meccanico. Penso che scrivere a mano sia importante perché puoi connetterti con il lettore in modo intimo. Nell'era delle e-mail è davvero uno sforzo sedersi, scrivere e recarsi poi all'ufficio postale. Chi fa questo sforzo dimostra di voler davvero partecipare a La Sentinelle. Però non abbiamo mai fatto una vera selezione, accettiamo le persone nell'ordine di arrivo delle lettere. In ogni lettera gli aspiranti partecipanti spiegano la loro motivazione, passione ed esperienza, ma non impediamo mai a nessuno di venire solo perché non ha abbastanza esperienza. Le persone a volte scrivono davvero con il cuore«.

Bruno: «È come tornare alle origini, prendersi del tempo per pensare a cosa vuoi fare e dire. Per questo motivo credo che anche noi siamo sentinelle del passato, che usano le montagne per ispirare e influenzare. Anche se sono vecchio, ritengo che sia molto importante prendersi del tempo per fare le cose e farle bene. La storia raccontata nella lettera è importantissima perché crea il primo legame personale tra noi. La Sentinelle non è un evento vecchio stile, ma a volte, per vedere di cosa abbiamo bisogno in futuro, dobbiamo guardare al passato e prenderci del tempo per fare le cose nel modo giusto, non di corsa come sempre».

Qualche aneddoto delle vecchie edizioni de La Sentinelle?

Bruno: «La prima edizione è stato complicata dal tempo. Eravamo sui Pirenei e nel villaggio c'erano 20 cm di neve quando dovevamo fare il giro. Abbiamo aspettato un bel po' e alla fine abbiamo deciso di rischiare. Quando siamo saliti sulla montagna, il cielo si è aperto e abbiamo fatto un lungo giro su pendii tecnici, al sole e con una neve fresca fantastica. Quando abbiamo finito ho baciato Layla e mi sono guardato intorno: l’entusiasmo era alle stelle. Poi abbiamo preparato un barbecue e fatto festa: ricordo ancora l'euforia che ho provato nel vedere tutta quella gente che poteva prendersi del tempo per essere felice e godersi la reciproca compagnia invece di correre al lavoro o a prendere i bambini. Quando siamo stati in Scandinavia, la prima persona ad arrivare in albergo è stata una ragazzina di nome Elisabetta che aveva fatto l'autostop da Tromsø con gli sci sullo zaino. Ovviamente i paesaggi sono sempre meravigliosi ed è uno spasso quando la neve è buona, ma in realtà i ricordi sono le persone e le relazioni costruite. Il valore dell'evento sono gli sciatori, la loro positività e l'amore per la condivisione delle montagne e della propria passione».

Layla: «Alcuni dei miei ricordi più belli sono con i miei genitori che si sono uniti a noi per due edizioni. È stato davvero speciale condividere questa esperienza con loro. Mia mamma mi aiuta a organizzare l'evento. L'anno scorso hanno partecipato anche un ragazzo di 17 anni con suo padre, quindi è un qualcosa di intergenerazionale che io trovo davvero speciale».

© Layla Kerley


Enrico Engry Dellarole: freetouring è freedom

Alagna non a torto è sempre stata una delle mete preferite dagli skibum di mezzo mondo. Proprio in seno a questa realtà è germogliata la voglia di vivere sciando di Enrico. Italianissimo, lontano dai riflettori ha orientato la sua vita al piacere che gli restituisce sciare tra la Norvegia e Alagna o dove è nevicato di più! Non è stato semplice convincerlo a raccontarci della sua idea di sci, perché non si sente di fare nulla di speciale. Leggenda vuole che gli amici lo chiamino Engry, perché sta sempre incazzato. Lui nega e in effetti il tono è calmo e pacato. Una copertura?

«Non è assolutamente vero! È tutta colpa di una mia amica! (ride, ndr). Mi ha spiazzato che mi abbiate cercato per farvi raccontare la mia idea di sci! Scio, mi piace la bella neve. Se ci pensi, nulla di speciale. Non sono un ragazzo di montagna, sono nato a Saronno nel 1984 e mi sono avvicinato alla montagna come molti verso i 10 anni: passeggiate con mio padre, qualche 4.000 verso i 14 anni. Ho studiato agraria, mi sono appassionato all’apicoltura e ho iniziato a trascorrere sempre più tempo in montagna per seguire questa passione presso la casa dei miei nonni a Riva Valdobbia. Ho iniziato a sciare ad Alagna, autodidatta. Poi, le pelli. Non mi piace la confusione e tutt’oggi Alagna rimane uno dei pochi posti dove se vuoi poi ridurre i dislivelli con gli impianti e poi, pellando qualche ora, ritrovarti da solo. Anche il territorio circostante è perfetto per lo skialp, giro sempre con le pelli. Mi sono innamorato definitivamente del Rosa quando una primavera a Macugnaga ho visto il Marinelli: ho iniziato a sognare di salirlo e scenderlo. Volevo vivere sciando e tra il 2001 e il 2009 ho vissuto ad Alagna lavorando nei ristoranti la sera, proprio come facevano gli skibum del Nord. Anche il sabato lavoravo, ma spesso ero in ritardo, perché se c’era bella neve andavo a sciare. C’è un gruppo di amici ad Alagna, con cui scio: Håkon, Alex theblacksheep, Becky&Andy. Da quattro anni mi trasferisco in Norvegia intorno ad aprile, per godermi lo sci e prolungare la stagione: mi sono innamorato di quella sensazione di libertà che regala in particolare il Nord di quel Paese. Mi piace sciare in bella neve e ti dirò che mi sono reso conto che ormai arrivare in cima a una montagna non è più così fondamentale: per esempio oggi sono in Francia, ci sono buone condizioni e abbiamo pellato solo per raggiungere un pendio che vedevo davanti a me da quattro giorni… senza nessuna cima, solo per sciare lì.

Se mi chiedi il momento in cui ho iniziato a pensare allo sci lontano dalle piste, lo posso ricondurre a un episodio specifico: avevo appena finito di salire una cascata di ghiaccio con amici, vicino al comprensorio di Bosco Gurin, tra Ossola e Val Bedretto. Stavamo scendendo a piedi nel bosco, una pena infame con la neve fino alla vita, quando una coppia di scandinavi ci sfrecciò accanto con gli sci. Noi eravamo stravolti, loro avevano il sorriso: non mi serviva di più».

QUESTO RITRATTO, INSIEME AD ALTRI DI SCIATORI 'LIBERI', È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 127

© Luigi Dellarole/HIghland Production

Monterosa Skialp confermata

Gara confermata, sabato si corre la Monterosa Skialp. Parterre di livello e iscrizioni in costante crescita, deadline per accaparrarsi un pettorale venerdì alle 18. Nelle ultime ore sono arrivate le adesioni di Michele Boscacci – Davide Magnini e Alba De Silvestro – Giulia Murada. Le due fortissime equipe del CS Esercito di Courmayeur vanno ad impreziosire una starting list nella quale spicca anche l’inedita coppia composta dal valdostano Nadir Maguet e dall’austriaco vincitore della Mountain Attack  Jakob Herrmann.

Menzione d’obbligo anche per  William Boffelli – Alex Oberbacher e per i trentini Federico Nicolini – Patrick Facchini. Ad insediare le favorite nella sfida in rosa ci penserà invece il binomio piemontese composto dalla campionessa di vertical Ilaria Veronese e da Katia Tomatis. I tempi da battere? Al maschile 2h38’03” siglato nel 2016 da Matteo Eydallin – Damiano Lenzi.  Al femminile le più forti sinora su questo percorso sono invece state Bianca Balzarini e Raffaella Rossi che, sempre nel 2016, sono state capaci di tagliare il traguardo in 3h30’00

PROGRAMMA
Termine ultimo per iscriversi le 18 di venerdì. La scaletta è quella annunciata con briefing tecnico alle 17 di sabato presso il salone polivalente di Monterosa Terme ad Ayas (frazione Champoluc, piazzale Ramey), un’ora più tardi sarà dato il via alla gara. Se per le 20.40 è previsto l’arrivo della prima squadra, la serata si concluderà sempre presso il salone polivalente con cena e premiazioni.

IL PERCORSO
La Monterosa Skialp è gara nervosa, muscolare e decisamente bella.  Nelle valli dei Walser, al cospetto dei 4000, ha uno sviluppo di 28km con 2800 metri di salita, 14 cambi d’assetto e un tratto a piedi da superare con sci nello zaino. Sede di partenza e arrivo, quest’anno, sarà Champoluc, il suggestivo borgo della valle d’Ayas. Ma per potersi fregiare del titolo di finisher, i concorrenti dovranno raggiungere Gressoney-La-Trinité testando braccia e resistenza su temibili salite quali Belvedere, MonRoss, Bettaforca, Colle Betta e Lago Ciarcerio.

© Stefano Jeantet

Paolo Tassi, freetouring è... democrazia

«Ciao Paolo, grazie che mi hai richiamato. Ti chiedo subito una cosa: ma lì a Cortina quanta ne ha fatta?». Perché, se bisogna iniziare a parlare con Paolo di sci, tanto vale iniziare dalle cose fondamentali. Perché per scivolare ci vuole la neve. Così è iniziata la nostra telefonata durante la big storm di Snowvember, per poi finire a parlare della sua passione per i viaggi sci ai piedi, alla ricerca del cristallo perfetto.

«Da trent’anni a Cortina, orgogliosamente bolognese, Guida alpina, alla domanda Chi è Paolo Tassi? non posso che rispondere che sono io e appartengo alla razza umana! Fuori sta nevicando, è tutto rallentato quando nevica e mi cogli un po’ alla sprovvista. Innanzitutto ci tengo a precisare che la cosa che mi piace di più è sciare nella neve. Cerco proprio il contatto più profondo ed ecco perché spesso scio telemark. E poi, se ci pensate, lo sci è l’unica forma di alpinismo rinnovabile: dopo una nevicata puoi essere di nuovo il primo a lasciare la tua traccia!

© Martino Colonna

È vero: sono un appassionato di neve e di montagna, ma soprattutto della gente che ci vive in mezzo. Ho scoperto i viaggi quando con Mauro Gilardi ho attraversato le Alpi con gli sci, ma forse il primo che ho organizzato davvero è stato quello in Norvegia nel 1997, con Luca Gasparini, Davide Alberti e Luca Manolo: abbiamo affittato una barca per portare gruppi di venticinque persone a sciare tra i fiordi nella zona delle Alpi di Lyngen. Perché la Norvegia? Beh, lì le persone vivono veramente la neve. L’inverno è lunghissimo, tutti si spostano nella neve, usano gli sci e poi le montagne nascono dal mare, senza nessuna transizione. Mi piace organizzare viaggi e non solo per lavoro, perché ho sempre ritenuto che convivialità e possibilità di condividere ciò che offre lo sci siano una parte fondamentale dell’esperienza. Amo definirmi un po’ un antropologo dello sci.

Da lì in poi non ho mai smesso e ti confesso che domani parto per i monti Altai. In questo periodo fa molto freddo e ci sono belle condizioni, ci sono stato diverse volte. Però, se ti dovessi consigliare un posto per un viaggio di sci, ti direi anche il Kashmir indiano, dove nel periodo tra gennaio e febbraio i villaggi vengono letteralmente sommersi dalla neve.  È incredibile come vivono le popolazioni di quelle zone.

E vuoi sapere cosa mi piace di più della neve? Il suo colore, il bianco, non è discriminatorio e di questi tempi non è cosa così scontata. La neve mi piace perché è democratica!».

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© Martino Colonna

Ilaria Veronese, dalla bici alla Pierra Menta

Con la vittoria dello scorso fine settimana alla Transcavallo in coppia con Alba De Silvestro, Ilaria Veronese ha rotto il ghiaccio anche con le gare a tappe. Una conferma in più per un’atleta che è alla quarta stagione agonistica con sci e pelli e ha scalato velocemente le tappe del successo, aprendo le porte della nazionale, dove è stabilmente tra le migliori di Coppa del Mondo (in stagione due quarti posti nelle vertical, un quarto, un sesto e un settimo nelle individual) ma togliendosi anche qualche altra bella soddisfazione come il secondo posto con Giulia Murada e Marta Martini al Mezzalama 2019 o il titolo italiano vertical conquistato a dicembre e quello individual dell’anno scorso. Ora che è passata Senior l’atleta di Coazze, in Piemonte, non può più nascondersi… Una storia diversa la sua perché in Val Sangone, dove risiede, non c’è uno sci club che segue anche l’attività agonistica nello skialp e lei a sci e pelli ci è approdata un po’ per caso.

«Arrivo dal ciclismo e per la verità sarei ancora iscritta in una squadra agonistica, anche se ormai il mio sport di riferimento è diventato lo skialp - dice Ilaria -. Tre anni fa, dopo un paio di cadute sulle strade ghiacciate, mio padre mi ha buttato lì l’idea di provare ad allenarmi con gli sci da alpinismo. Mi è subito piaciuto, così ho partecipato anche alle prime gare. Sapevo sciare in pista, ma non mettevo gli sci da anni e soprattutto non avevo mai provato il fuoripista, ecco perché all’inizio mi sono subito trovata bene nel vertical, mentre nelle gare tradizionali in ambiente devo ancora fare un po’ di esperienza».

© Maurizio Torri

Ilaria è tesserata per il Tre Rifugi di Mondovì. «A una delle prime gare ho conosciuto Katia Tomatis e mi sono subito trovata bene, così, un po’ per correre insieme la staffetta agli assoluti, un po’ perché nella società per la quale ero tesserata, il Val Sangone, avevano qualche difficoltà a farmi avere l’affiliazione per lo scialpinismo, sono passata al Tre Rifugi». Da quelle prime gare di neve ne è caduta e Ilaria è pronta ad affrontare la prossima Pierra Menta in coppia con Alba De Silvestro, come alla Transcavallo. «L’idea della Pierra è nata prima della Transcavallo e così per testarci abbiamo deciso di fare anche la gara a tappe veneta, da Alba ho molto da imparare, per me potere gareggiare con lei è davvero una bella opportunità» dice con umiltà questa studentessa al primo anno della laurea magistrale in matematica.

Già la matematica che ha plasmato la sua testa e il suo carattere. «Effettivamente non ci avevo pensato ma i miei studi mi hanno insegnato due cose: che ci sono dei passaggi da seguire, non puoi fare certe equazioni se non conosci le operazioni e così nello scialpinismo ci sono vari step nella maturazione agonistica. Allo stesso tempo però mi rendo conto che sono abituata a programmarmi, difficilmente quando esco ad allenarmi non ho deciso che cosa farò». Dunque, dalle due ruote alle pelli. E ora la stagione invernale è diventata quella principale. «Sì, prima mi allenavo in inverno per l’estate, ora l’estate serve per non perdere la condizione, anche se dalla fine della scorsa stagione sono entrata nel team Scarpa (la marca di scarponi che utilizza anche per sciare) e in inverno spesso mi tocca allenarmi correndo perché dalle mie parti negli ultimi due inverni di neve se n’è vista poca». Con le scarpe da running soprattutto vertical, con la vittoria nella gara only-up di Courmayeur a inizio agosto. Ilaria usa anche sci Ski Trab e abbigliamento Montura e dalla fine della scorsa stagione estiva è entrata nel parco degli atleti Julbo. Il marchio francese ha investito su di lei, come su Mara Martini, e su altri atleti del mondo dello scialpinismo, alla ricerca di quella freschezza dello skialp di oggi e soprattutto di domani.

«Prima in inverno usavo la maschera, ora, da quando ho scoperto i Julbo Aerolite, occhiali leggerissimi, senza montatura attorno alla lente, pensati per i visi piccoli ma molto avvolgenti, la maschera la uso solo con nebbia e visibilità davvero pessima… e poi mi trovo bene con i Julbo Aerolite perché non si appannano mai!».

E i prossimi programmi agonistici? Pierra Menta a parte, Adamello ancora con un punto di domanda… rimangono le gare in pista. «Le farò entrambe, sia la Monterosa Skialp che la Sellaronda». Sulle Dolomiti sarò in coppia con Victoria Kreuzer. Che il nome della compagna sia un presagio?

© Maurizio Torri

Ski local

«Domodossola è una base di partenza perfetta per interpretare lo scialpinismo a chilometri zero. Dalla stazione internazionale ferroviaria si possono affrontare oltre una decina di itinerari logici, evitando strade trafficate, dove esaltare le potenzialità della bicicletta per riscoprire le stesse montagne da nuovi versanti e linee. Dal Moncucco, il più accessibile a soli sei chilometri in linea d’aria, alla Weissmies, il quattromila ben visibile dalla stazione stessa, ci si può sbizzarrire, mappa alla mano, a inventare destinazioni e accessi nella totale libertà di spostamento e lontano da resse e gite blasonate. Accessi eterni, versanti abbandonati e incontaminati che hanno tenuto per decenni lontana la massa, possono ora essere considerati, riponderati nelle misure e tempi abbattendo distanze e tabù. Garantisco che la solita gita, la solita montagna raggiunta decine, centinaia di volte si trasformerà, con la giusta compagnia, in un’esperienza così nuova, così divertente da farti sembrare di aver praticato uno nuovo sport in una valle diversa da quella che conosci». Scrive così Giovanni Pagnoncelli su Skialper 128 di febbraio-marzo a proposito dell'approccio allo skialp local, con avvicinamento in bici o ebike. Il suo è un percorso che è partito da lontano, da una scelta di vita consapevole, dall'alimentazione allo shopping, passando per gli spostamenti, ma non c'è dubbio che lo scialpinismo, a certe condizioni, sia una scelta più sostenibile di altri sport alpini. E un punto d'arrivo.

© Max Draeger

Scrive ancora Giovanni su Skialper di febbraio-marzo: «Il mio passaggio in un decennio da persona standard, che vedeva e mirava limitatamente al proprio presente, a persona informata, che ha preso coscienza e si è sentita responsabile del futuro proprio e degli altri in funzione di scelte, gesti e azioni e ha iniziato un percorso per diventare ogni giorno più virtuosa mi è servito per giustificare un approccio moderno all’attività di scialpinismo, parte ricreativa importante degli ultimi trentadue anni. Lo skialp prende sicuramente più like per le sue regole e modalità poco convenzionali e amiche dell’ambiente. Sta di fatto che solo ognuno di noi sa quale contributo reale alla riduzione di impatto ambientale fornisce e, quindi, quanto è coerente con la vera filosofia green. Se un tempo mi sarei fatto trenta trasferte sopra i quattrocento chilometri e oggi rinuncio a tutte queste, sommandole mi potrei permettere di usare l’auto per trecento uscite vicino a casa. Voglio dire che fa di più, concretamente, la rinuncia a una lunga trasferta a vantaggio di una gita locale, anche se raggiunta in auto, rispetto a trenta chilometri percorsi in bicicletta una tantum se poi abusiamo dell’auto. Per cui ognuno decida come interpretare lo sport che più amiamo, come bandiera per i propri like e per mostrare la propria interpretazione radical-chic, come sfida personale o vetrina su Strava, come un diversivo per vestire di nuovo una gita conosciuta, come completamento radicale di una coerenza etica. I più atletici e tecnologici potranno permettersi di inforcare una mountain bike, intraprendendo un’esperienza by fair means non impossibile, ma roba da veri e pochi eroi. Perché la bici a pedalata assistita, pur con un impatto non trascurabile, sia per la batteria e il suo smaltimento che per l’utilizzo di materie prime o per energia elettrica non rinnovabile utilizzata per ricaricala, è innegabile che sia un uovo di colombo che solo chi ha provato può capire». Queste e altre riflessioni nell'articolo Ski Local, nelle prime pagine del numero in edicola di Skialper.

© Paolo Sartori

Pindo, la neve prima dello sci

«È proprio sulla porzione greca del Pindo che cade la nostra scelta dello scorso febbraio. In preda allo sconforto per la totale assenza di neve sul versante italiano delle Alpi, decidiamo ancora una volta di puntare al magico Sud-Est, che per quantità di neve non ci ha mai traditi. È un altro degli stereotipi da sfatare, quello che in Grecia nevichi poco. Non è così, specialmente sul Pindo, che fa da baluardo alle perturbazioni e le trasforma in copiose nevicate. Scegliamo in particolare la regione dell'Epiro, che comprende la Zagoria, il Parco Nazionale delle Gole di Vikos e il Parco Nazionale del Pindo. Raggiungiamo Konitsa, che sarà la nostra base per la prima metà del viaggio. Fa un freddo cane, il vento si infila violento tra i vicoli del paese, mentre sulle vette è bufera. L'atmosfera è strana, certamente dimessa, ma non è chiaro se sia dovuto al fuoristagione o a una crisi generalizzata, probabilmente un misto di entrambi. Molti dei locali sono chiusi e le case dall'aspetto aristocratico mostrano i segni di un passato certamente più florido. Anche la villetta che abbiamo affittato sul web non viene probabilmente abitata d'inverno da decenni. Lo capiamo rimuovendo il finto fuoco a led dal camino e provando ad accenderne uno vero: il fumo in pochi istanti si impadronisce della casa e dei nostri polmoni. In fondo è l'inizio balcanico che ci aspettavamo».

© Umberto Isman

Inizia così il racconto di Umberto Isman di un viaggio di esplorazione sciistica in Grecia, per andare oltre lo stereotipo del Paese del mare, delle spiagge e degli dei. Un’avventura tra monasteri deserti, come quello di Moni Stomiou, villaggi incantati con Micro Papigo, boschi con gli alberi carichi di neve come quelli del Monte Bogdani e del Gomara, balli tipici e piatti da gustare con la faccia bruciata dal vento e del sole.

© Umberto Isman

«Non è questo il genere di esotismo che ci interessa, ma quello che semplicemente ci porta a entrare in contatto con luoghi e realtà diversi dai nostri, in punta di piedi, anzi di sci – scrive Umberto Isman -. Perché sta proprio negli sci la vera componente esotica dei nostri viaggi, quella che anche a noi fa scappare qualche selfie, come le foto che vedete in queste pagine. Non cerchiamo scimmie e neanche esportiamo piccioni, ci portiamo semplicemente dietro la nostra esperienza in montagna, che ci permette di frequentare luoghi altrimenti inaccessibili d'inverno».

Su Skialper 128 di febbraio-marzo un grande reportage sulla catena del Pindo, in Grecia.

https://youtu.be/bgGdcREMV7o

© Umberto Isman


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