Le nuove frontiere della ricerca dei dispersi in montagna
Il sistema SAR di Recco, utilizzabile appeso all’elicottero, sembra essere la nuova frontiera della ricerca delle persone disperse in montagna
Pensare di trovare una piastrina di pochi centimetri in un campo da calcio è come cercare un ago nel pagliaio. Eppure ci si riesce in pochi secondi, andando a cento l’ora e volando a cento metri di altezza. Basta utilizzare un sistema SAR di Recco appeso all’elicottero, che sembra essere la prossima frontiera della ricerca dei dispersi. Ecco perché sono sempre di più le scarpe, ma anche gli zaini e altri articoli che usiamo nelle nostre escursioni estive, a essere dotati di riflettore Recco. Recentemente, per esempio, è stato introdotto sul gilet da trail Apex Pro Run Vest di Camelbak. Il funzionamento è all’apparenza semplice: uno strumento di ricerca funziona come il radar armonico, emettendo onde che vengono riflesse dal circuito presente nella piastrina.

Il sistema Recco è nato per la ricerca in valanga. Nel 1973 Magnus Grandhed stava sciando nel backcountry di Åre, in Svezia, quando si ritrovò a cercare un gruppo di sciatori travolti da una valanga sondando a caso con i bastoncini. Sotto la neve rimasero due persone, tra le quali un amico. Da quel giorno il suo assillo è stato quello di realizzare uno strumento per la ricerca in valanga ed è nato così il primo detettore, che pesava 20 chili, mentre oggi il sistema portatile r9 utilizzato dalle squadre di soccorso pesa 900 grammi. Il detettore incorpora anche un artva, in modo da utilizzare entrambi i sistemi nel caso il travolto indossi un apparecchio oltre alla piastrina Recco, che non si sostituisce all’artva ed è utile soprattutto nel caso di sciatori che disegnano curve fuoripista nei pressi delle piste di un comprensorio. Ecco perché l’apparecchio Recco viene dato in comodato gratuito alle squadre del soccorso alpino e ai soccorritori delle principali località sciistiche.

Nel 2016 arriva la svolta, con l’introduzione del sistema SAR, che apre nuove prospettive, non solo per l’utilizzo invernale. «Le possibilità sono enormi e si sta iniziando a utilizzare il sistema anche per la ricerca nei laghi e in mare, in mancanza del SAR, dall’elicottero può essere utilizzato il detettore portatile r9, naturalmente con un’area di ricerca più piccola» dice Sergio Albanello, uno degli istruttori Recco italiani. In realtà l’acqua inibisce il circuito della piastrina, ma se non è completamente sommersa, viene rilevata. «Le richieste di aiuto per persone disperse sono in aumento in tutto il mondo, ecco perché la domanda di sistemi SAR è in crescita, fino a zone remote come quelle del Pakistan e dell’India» aggiunge Albanello. In Italia di SAR ce ne sono quattro: in Valle d’Aosta, a Trento, alla base dell’Aiut Alpin Dolomites della Val Gardena e nel Centro Italia. «Vengono assemblati in Svezia ma la componentistica elettronica non è stata immune dal problema della mancanza di materie prime, l’obiettivo è di coprire a breve Piemonte, Lombardia e Veneto/Friuli» aggiunge Albanello. Anche i SAR vengono dati in comodato gratuito, c’è però l’eccezione dell’Austria che ha deciso di acquistarli per dotare ogni territorio della tecnologia. Su quale capo di abbigliamento è più efficace la piastrina? «Abbiamo un database globale relativo agli interventi che ci aiuta nella ricerca e sviluppo del prodotto e a dare indicazione ai marchi partner sul posizionamento ideale, in generale funziona ovunque e per questo è presente in alcune scarpe, giacche, zaini, caschi, sempre più spesso anche sugli imbraghi; abbiamo rilevato che sul cappuccio della giacca la piastrina è molto efficace, anche averne due in diverse parti potrebbe essere una buona idea». Va segnalato che esistono anche delle piastrine adesive, per esempio per il casco o lo zaino, acquistabili a partire da 24,95 euro sul sito recco.com. C’è una casistica di interventi efficaci con i SAR utilizzati in Italia? Ci sono stati dei ritrovamenti in un crepaccio e, caso curioso, incidentalmente è stato recuperata la chiave di un’auto. Il circuito del telecomando era simile a quello della piastrina ed è stato rilevato dal sistema. Ma questa è un’altra storia.
Anna Ferrino nominata Cavaliere del Lavoro
Riconoscimento importante per la Direttrice Generale di Ferrino & C. S.p.A. che il prossimo 11 di giugno verrà nominata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, insieme ad altre 24 persone, Cavaliere del Lavoro. L’onorificenza è riservata agli imprenditori che si distinguono per meriti eccezionali nel loro settore. «Questo riconoscimento rappresenta un traguardo personale e, al tempo stesso, un tributo al lungo percorso imprenditoriale della mia famiglia, dei soci Rabajoli e di tutta la squadra Ferrino, che ogni giorno contribuisce con passione e competenza al successo della nostra azienda - ha dichiarato Anna Ferrino - La nomina sottolinea l’importanza strategica del settore tessile in Piemonte e il contributo significativo di Ferrino all’economia locale e nazionale. È uno stimolo ulteriore a continuare a lavorare per valorizzare il tessile e il design italiano nel settore outdoor, offrendo prodotti funzionali, innovativi e sostenibili a chi vive la montagna».
Anna Ferrino è Direttore Generale di Ferrino & C. S.p.A e siede nel CdA della Fondazione La Stampa - Specchio dei Tempi. Nel passato è stata Presidente di Assosport, Vicepresidente di Unione Industriali Torino e del Teatro Stabile Torino, Presidente della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, Vicepresidente Fondazione CRT, consigliere OGR-CRT e Vicepresidente del Comitato per l’Imprenditoria Femminile della CCIAA. È stata Country Manager Italia per Columbia Sportswear Company (1995–2004) e per Gailliard s.a. France (1986–1994).
Fondata a Torino nel 1870, Ferrino è un’azienda italiana a conduzione familiare, pioniera nella produzione di attrezzatura tecnica per la montagna e il tempo libero. Con una forte vocazione all’innovazione e alla ricerca, Ferrino ha sviluppato nel tempo prodotti diventati punto di riferimento per professionisti, esploratori e appassionati dell’outdoor. Le sue tende sono utilizzate nelle spedizioni più estreme, dai ghiacci artici alle vette himalayane, grazie a una costante collaborazione con alpinisti e team scientifici.

Rimbalzo e smorzamento delle piastre in polimeri rinforzati nelle scarpe da trail
Nel mondo della corsa in natura si parla sempre più spesso di piastre o plate annegati nell’intersuola. Per la verità è diminuita l’attenzione sulle piastre in carbonio, massima solo un paio di stagioni fa e diffusa sulle scarpe top performance nella maratona e nell’atletica, ma l’utilizzo di un inserto rigido all’interno dei prodotti da trail running è stato ampiamente sdoganato. E, a differenza dei primi esperimenti che prevedevano prodotti realizzati con base termoindurente (il cosiddetto carbonio), sono sempre di più le piastre (nel caso del trail running si tratta spesso di prodotti a forma di forchetta) a base termo- plastica. Nella pratica sono polimeri rinforzati, cioè caricati con fibre, prevalentemente con la fibra di carbonio. Prodotti che, al netto della performance, offrono vantaggi significati-vi in termini di lavorazione e riciclabilità rispetto ai compositi a base di termoindurenti. Per citare alcuni esempi di questa guida, Adidas Terrex Agravic Speed Ultra adotta un inserto in Pebax, mentre Rossignol Vezor una forchetta Diapazon composta di Nylon e fibra di vetro. Atri modelli, come ASICS Metafuji Trail, Hoka Tecton X 3, Speedland GL:SVT e XBionic Terraskin X00/C sfruttano le proprietà di un plate in carbonio.
Poter contare su una piastra annegata nell’intersuola permette di intervenire sulla rigidità e stabilità, ma soprattutto sulla propulsione e il ritorno di energia. Tutti fattori importanti per la prestazione che dipendono dal materiale utilizzato, dalla forma, dall’interazione con le schiume dell’intersuola. Per aiutare i principali marchi a selezionare i migliori materiali per leoro applicazioni specifiche, Xenia, azienda vicentina leader nella produzione di polimeri rinforzati, ha realizzato un interessante studio in collaborazione con lo Sport Technology Lab dell’Università di Bologna.
Ci si è concentrati soprattutto su un innovativo test per analizzare e ottimizzare le proprietà di rimbalzo e smorzamento dei materiali rinforzati con fibra di carbonio e la variazione della rigidità in funzione della temperatura. Aspetti importanti perché il rimbalzo influisce sulla prestazione della corsa e lo smorzamento delle vibrazioni sul controllo, senza considerare che in montagna si può correre a temperature prossime ai 30 °C nei fondovalle, fino a zero o meno gradi in quota. In particolare il nuovo studio ha dimostrato che è possibile scegliere materiali compositi termoplastici su misura per applicazioni specifiche, con le desiderate caratteristiche di rimbalzo e smorzamento, selezionando la giusta combinazione di fibre (quantità e tipo) e di matrice polimerica.


Per questo scopo è stato sviluppato e realizzato un nuovo metodo per misurare le caratteristiche di rimbalzo e smorzamento dei materiali compositi. Il sistema blocca una parte del campione alla base, mentre la parte superiore è piegata con un cavo collegato a una macchina di prova di trazione capace di misurare lo spostamento e la forza applicata. Una volta ottenuta una certa deflessione, il campione viene rilasciato e la
curva di smorzamento (posizione vs tempo) viene misurata utilizzando un rilevatore laser che registra a 1 kHz. La velocità di ritorno elastico (rimbalzo) è stata valutata sulla base della frequenza naturale misurata durante il test ed è stata osservata una correlazione lineare tra rigidità e velocità di rimbalzo, che non dipende dalla matrice polimerica del composito. Questo per- mette di affermare che la velocità di rimbalzo desiderata può essere ottenuta modulando la rigidità, che può essere raggiunta variando la quantità e il tipo di fibre nel composito.
Per quanto riguarda lo smorzamento delle vibrazioni è risultato che dipende dal tipo di matrice e non è influenzato dalla rigidità del materiale per tutti i tipi di matrici analizzate. Sono state osservate differenze significative cambiando la matrice, con caratteristiche di smorzamento che possono variare tra quelle di un TPU standard (con elevato smorzamento delle vibrazioni) e quelle di un laminato di fibre continue (con basso smorzamento delle vibrazioni). Gli sport all’aperto vengono praticati a temperature molto diverse. Tutti i materiali diventano progressivamente più rigidi a mano a mano che la temperatura diminuisce, ma con ampiezze diverse. Per valutare la rigidità in funzione della temperatura, sono state eseguite analisi DMTA in un intervallo che va da -40°C a 80°C. Il risultato? Il comportamento rigidità vs temperatura dipende quasi
completamente dal tipo di matrice polimerica utilizzata e solo in misura molto minore dal tipo e dalla quantità di fibra utilizzata. I dati ottenuti dimostrano chiaramente che è possibile progettare materiali per applicazioni specifiche, con le caratteristiche di rimbalzo e smorzamento desiderate, scegliendo il tipo e la quantità corretti di fibre combinati con la matrice adeguata. Questo perché il rimbalzo è regolato dalla rigidità del materiale composito, mentre lo smorzamento è determinato dal tipo di matrice polimerica utilizzata.
Ulteriori analisi realizzate sempre dallo Sport Technology Lab ma direttamente sulle intersuole con plate hanno confermato i risultati, mostrando che un materiale con un modulo elastico più elevato (rigidità maggiore) ha una velocità di rebound maggiore. Per esempio, utilizzare un plate con una matrice in PA6 e 30% di fibre in carbonio porta a un aumento della velocità di ritorno del 46% rispetto a una suola senza plate. Il punto di posizionamento del plate (vicino alla parte superiore dell’intersuola o nel centro dell’intersuola) non porta a differenze sul rebound. Le analisi effettuate hanno inoltre mostrato una quantità di energia rilasciata del 50% superiore nel caso dell’intersuola con plate in PA6 e 30% di fibre di carbonio rispetto a quella rilasciata per la suola senza plate a parità di angolo di flessione della suola. Risultati intermedi si ottengono con un plate in TPU caricato con il 30% di fibre di carbonio. Va però evidenziato che una suola con plate in PA richiede il 50% di energia in più di quella senza plate per essere flessa allo stesso angolo.
Questo significa che una suola con plate necessita di più energia per essere flessa ma la cede in modo più veloce e con maggiore energia una volta rilasciata la forza. L’analisi di Digital Image Correlation sulla suola ha inoltre mostrato come la plate distribuisca la pressione su un’area maggiore creando meno stress localizzati rispetto alla suola senza plate.



Foto © Riccardo De Conti e Xenia Materials
Boffelli ritocca il fastest known time del Monte Bianco dopo Védrines
Giusto una settimana. È quanto ha resistito il nuovo fastest known time di salita e discesa da Chamonix al Monte Bianco con gli sci.
Il 24 maggio lo aveva ritoccato Benjamin Védrines e lo scorso 31 maggio ci ha pensato William Boffelli a mettere una nuova firma sull’impresa, abbassando di oltre dieci minuti il tempo. William, ingegnere alla fondazione Montagna Sicura di Courmayeur e tra gli atleti di punta del
movimento scialpinistico, oltre che testatore della nostra Buyer’s Guide nella sezione agonismo, è originario della Val Brembana.

Il cronometro si è fermato a 4 ore 43 minuti e 24 secondi contro le 4 ore 54 minuti e 41 secondi di Védrines. La partenza dalla chiesa di Chamonix alle 5,45 e la salita con scarpe da trail e sci nello zaino fino a quota 2.200. L’arrivo in vetta intorno alle 9,30 e la discesa in circa un’ora. Boffelli ha usato scarpe Kailas, scarponi La Sportiva Stratos VI e sci Dynastar M-Pierra Menta.

Il monte Bianco è stato al centro dell’attenzione nel mese di maggio visto che anche il FKT femminile con gli sci è stato ritoccato il 16 maggio da Élise Poncet con il tempo di 6 ore 54 minuti e 47 secondi. Il record maschile con gli sci era del 2024, dell’americano Jack Kuenzle, in 4 ore e 59 minuti. Nel 2013 Kilian Jornet è salito e sceso in assetto skyrunning, senza gli sci, in 4 ore 57 minuti e 40 secondi.
Avanti il prossimo.
Foto © Instagram William Boffelli
La guerra dei mondi
Estratto dalla sezione climbing della Outdoor Guide 2025
Il confine tra plasticari e rocciatori è ben delineato, complice anche lo stile comp della tracciatura moderna, sempre più utilizzato nelle palestre indoor, che ha poco a che vedere con la scalata in natura. Riusciremo a superare questo gap e creare un’unica community?
Che l’arrampicata sia diventata uno sport sempre più pop è ormai evidente: non solo le palestre sono piene di arrampicatori di ogni livello, ogni giorno, sia in estate che in inverno, ma è sempre più facile trovare falesie o aree boulder eccessivamente affollate nei weekend e durante i periodi di vacanza.In alcuni luoghi, tuttavia, la scalata conserva il suo animo punk originale e stenta a farsi addomesticare.È forse questo che sta separando sempre più la scalata in-door dall’outdoor? Il confine tra plasticari e rocciatori è ormai ben delineato. Complice di questa separazione è lo stile comp della tracciatura moderna, sempre più utilizzato nelle palestre indoor, che ha ben poco a che vedere con la scalata in natura eche tende a scindere le due categorie, sia nella pratica che nella filosofia alla base della disciplina. Dall’ingresso alle Olimpia-di di Tokyo 2020 la visibilità dell’arrampicata sportiva è aumentata moltissimo: la IFSC (International Federation of Sport Climbing) ha riportato che le iscrizioni ai corsi di arrampicata sono aumentate del 45,7% a livello globale dopo questo debutto e siamo sicuri che gli insight dei prossimi anni, anche sulla base della visibilità data da Parigi 2024, registreranno una crescita ancora più esponenziale.Sappiamo bene quanto sia divertente scalare: non stupisce che abbia attratto il pubblico in massa, anche quello in cerca di un’attività sportiva per tenersi in forma e in movimento.


Diciamocelo, la scalata fa fare fatica senza accorgersene e fa divertire un sacco senza sforzo, soprattutto se l’ambiente è quello sicuro e inclusivo delle palestre, ormai dei veri e propri parchi giochi per adulti. Soprattutto in sala boulder, ma anche nelle palestre lead (con tiri di corda), la paura frena molto meno che in ambiente outdoor, rendendo la sua pratica meno selettiva.Il gesto atletico e muscolare prevale sull’aspetto psicologico e mentale - componente fondamentale sulla roccia - che viene in parte trascurato in questo approccio più pop. Così, per l’utente medio, l’arrampicata sportiva rientra tra le scelte possibili quando a inizio anno deve scegliere tra crossfit o nuoto. Poi, che il fascino irresistibile di questa disciplina conquisti e non molli più, è un altro discorso. Il numero di tesserati FASI (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana) in costante aumento riflette questa crescente popolarità.D’altro canto l’incremento esponenziale dei praticanti porta inevitabilmente a riflettere sull’impatto ambientale di questo sport e sul futuro dello stato di conservazione della roccia nelle falesie e nelle aree boulder, che è ormai evidente non essere un bene eterno e indistruttibile. Molti sono il luoghi in cui calcare, arenaria o granito hanno perso quasi totalmente il loro grip originario, a causa degli infiniti passaggi degli arrampicatori, compromettendo la possibilità di arrampicare. A essere irrimediabilmente unti non sono però solo siti storici, ma anche falesie e aree blocchi relativamente nuove che per qualche ragione sono entrate nel mirino della massa dei climber. La gestione del deterioramento della roccia è un problema recente, che 30 o 40 anni fa non si poneva. Ricordo quando alcuni amici, tra i primi frequentatori di Cornalba (storica falesia della bergamasca), mi raccontavano che facevano ripetute sui tiri con tanto di giubbotto con pesi, perché quello era uno dei modi per allenarsi. Penso poi a oggi, quando in un qualsiasi weekend di mezza stagione si trovano cordate che occupano tutto il giorno un tiro, già unto, facendoci infiniti giri, proprio come in palestra. Penso inoltre a come forse ci sentiamo legittimati e ispirati a seguire le orme dei proclimber che, per concludere un progetto, effettuano decine, centinaia di tentativi per portarsi a casa il successo. Chi può decidere cosa sia etico e cosa non lo sia? Chi è il responsabile o il portavoce di tale etica?Insomma, la questione è davvero complessa, soprattutto perché molti sono i climber che si avvicinano all’outdoor arrivando dalla palestra e che di tutto questo non sanno nulla. Il rispetto della roccia è un valore che viene insegnato e trasmesso di generazione in generazione, così come le buone norme di comportamento (pulire le prese, cancellare i tickmark, non lasciare rifiuti o sporcare l’ambiente). Riusciremo a superare questo gap tra rocciatori purie scalatori indoor in trasferta e creare una community unita e rispettosa?
Scarpette, calzata veloce e volumi differenziati
Basta entrare in una qualsiasi palestra di arrampicata per notare quanto la scelta del brand di scarpette si sia diversificata rispetto a qualche anno fa. Nuovi player sono entrati nel mercato con prodotti di alta qualità, riuscendo a posizionarsi allo stesso livello dei marchi storici. Tuttavia, si sta uniformando il tipo di caratteristiche ricercate dall’utente medio: alla rigidità e precisione di un tempo (le cosiddette scarpette di cemento),si preferiscono oggi comodità e morbidezza, fondamentali per adattarsi ai grossi volumi e alle prese in plastica della scalata indoor. Inoltre, un buon tallone e un efficace aggancio di punta sono ormai caratteristiche essenziali anche per gli scalatori alle prime armi.I cambiamenti non riguardano solo l’indoor: il fatto che la placca tecnica venga ormai definita old school è sintomatico della preferenza per stili di scalata più strapiombanti, dinamici e fisici. Di conseguenza, il supporto sui piccoli appoggi vie-ne spesso sacrificato a favore del-la sensibilità e del grip, con talloni pieni e punte capaci di agganciare su qualsiasi superficie. Due aspetti saltano all’occhio analizzando le attuali pro-poste sul mercato. Innanzitutto, si assiste alla graduale scomparsa dei lacci a favore di calzate più veloci, come velcro e slip-on. Questo cambiamento è dovuto in parte alle tecnologie sempre più avanzate nei sistemi di chiusura: basti pensare al classico Fast Lacing System di La Sportiva, già presente sul-le prime Solution, o a Evolv, che combina l’avvolgimento e la precisa regolazione dei lacci con la praticità del velcro. Diffusissima è anche la calzata slip-on con calzino elastico, spesso abbinata a un velcro per migliorarne la precisione, come nelle Instinct VS e VSR di Scarpa.In un contesto dimetti e togli costante come quello delle palestre, la velocità di calzata è uno dei parametri di scelta più considerati. Un altro trend sempre più evidente è la sostituzione dei modelli differenziati per uomo e donna con varianti regular fite low volume (spesso con mescole di gomma più morbide), segno che il mercato sta evolvendo verso una differenziazione anatomica piuttosto che di genere. Come scegliere la scarpetta più adatta? In base all’utilizzo che dovremo farne: palestra, boulder, falesia o via lunga?Per ognuna di queste discipline ci sono prodotti specifici di-segnati appositamente per soddisfare ogni necessità. E se voglio una scarpa per far tutto? Anche in questo caso abbiamo individuato i prodotti più versatili che possono adattarsi a ogni situazione.

Caschi, mai senza
Il casco nell’arrampicata è come la cintura di sicurezza in auto: nel 99,9% dei casi non serve, ma quando serve fa la differenza e può salvare la vita. Questo vale non solo in montagna, dove il suo utilizzo è ormai ampiamente diffuso, ma anche in falesia, sia per il rischio di caduta sassi sia per proteggerci in caso di brutte cadute. L’innovazione nei materiali e nelle tecnologie li ha resi così comodi e leggeri che vale la pena di supera-re lo scoglio iniziale e farne un’abitudine.Il crescente numero di scalatori alle prime armi è uno dei motivi per cui l’uso del casco è altamente consigliato. Tra assi-curatori inesperti, climber poco abituati ai voli e rocce di qualità non sempre eccellente, il rischio di incidenti è sempre dietro l’angolo. Ma non solo: anche gli scalatori più esperti possono trovarsi in situazioni critiche, come la rottura improvvisa di una presa apparentemente solida o una caduta mal gestita (per esempio, capovolgersi a causa della corda dietro al piede). Il mercato offre caschi per tutte le esigenze e fasce di prezzo, dagli ultra-light con calotta ridotta ai modelli con protezione completa. Qualunque sia la scelta, proteggi sempre la testa!E ricorda che un casco leggero necessita di essere maneggiato e riposto con cura, poiché più delicato.

Scarpe approach, comfort e versatilità
Precisione, comodità, camminabilità. Nell’approach c’è tutto e il trend è di proporre prodotti sempre più versatili: confortevoli e performanti nella camminata (in certi casi anche veloce), ma in grado di muovere qualche passo anche quando l’asticella della tecnicità si alza. Sembra essere questa la fetta più am-pia del mercato dell’avvicinamento, ma rimane uno spazio per proposte più tecniche che scarificano qualche punto alla voce comfort, mantenendo un’impostazione più tradizionale che punta molto sul sostegno, quando si cammina e si arrampica.

Testo Marta Carminati
Foto © Camilla Miliani
Trento Film Festival 2025, allo sci il ruolo di comparsa
di Giorgio Daidola
I film di sci (in essi comprendo anche quelli di snowboard) non mancano certo sul web, ma pochi raggiungono festival importanti come quello di Trento, da poco conclusosi. I motivi sono molti, il principale è forse che il maggior numero di opere dedicate allo sci e allo snowboard hanno contenuti puramente commerciali. Sta di fatto che mentre nel primo Film Festival di Trento del lontano 1952 i film di sci rappresentavano il 28% di quelli ammessi, sono ormai anni che questa percentuale è scesa sotto il 5%. C’è inoltre un disinteresse sempre più evidente nelle giurie ufficiali a premiare film di sci, come fossero espressione di un alpinismo di serie B, o di una pratica ludica e consumistica tipica dei lunapark in quota che ha ormai fatto il suo tempo. Secondo molti esperti di turismo invernale che non sanno distinguere le code dalle spatole, lo sci avrebbe perso la sua centralità nella pratica della montagna invernale e purtroppo le giurie pare che abbiano fatto tesoro di questo modo di pensare. Sono insomma un lontano ricordo i tempi in cui a Trento venivano premiati film di sci di indubbio valore. Come ad esempio La decisione di Gerhard Baur, Genziana d’Argento 1985 che in soli dieci minuti dice tutto sullo sci estremo.
Oggi sono cambiati profondamente i criteri di valutazione delle opere e si preferisce premiare lungometraggi e cortometraggi impegnati, con elevate qualità cinematografiche su problematiche ambientali, storiche, culturali, economiche o sociali. Opere che talvolta non riguardano neppure le terre alte. Opere importanti, per carità, ma spesso, mi riferisco in particolare ai lungometraggi, soporifere per gli spettatori. Così anche quest’anno nessun film di sci ha avuto riconoscimenti dalla giuria ufficiale che aveva il compito di valutare i 22 film in gara, di cui uno solo di sci. Sul totale dei 126 proiettati nelle diverse categorie (compresa quella dei 22 in gara) solo 6 erano di sci o di snowboard e decisamente alcuni di essi erano di indubbio valore. È il caso di Painting the Mountains sulla prima ripetizione della salita e discesa in sci della Rampa Whillans sull'Aguja Poincenot, in Patagonia, a opera di Aurélien Lardy, Vivian Bruchez e Jules Socié, facilmente visibile su YouTube e oggetto di un ampio articolo su Skialper 153 di ottobre 2024. Se ne è accorta una giuria speciale, quella del premio Ritter Sport-Emozioni in montagna, definendolo un’opera che va ben oltre il semplice documentario sportivo.

Il pubblico ha invece premiato il lungometraggio norvegese Ski-The greatest ski tour of all time, compreso nei 22 in concorso. Non si tratta di una vera traversata con gli sci come il titolo potrebbe far pensare, ma di un concatenamento di ben 27 salite e discese ripide nella penisola norvegese di Lyngen, che inizialmente il freerider norvegese Vegard Rye pensava di compiere senza dir niente a nessuno. Alla fine Vegard cede alle lusinghe dell’amico Nikolai Shirmer, anche lui sciatore professionista oltre che filmaker, e accetta di girare un film sull'exploit. Ne sono risultati ben 96 minuti, davvero troppi per una storia del genere, di salite e discese all’insegna della velocità, della spettacolarità, ma anche della ripetitività, accompagnati da un’assordante colonna sonora. Ovviamente deve essere piaciuto ai giovani in sala per meritare questo ambito premio. Personalmente ho fatto fatica a vederlo tutto.

Sono invece passati quasi del tutto inosservati altri due film di sci decisamente pregevoli: Transcardus, a balkanski story di Elisa Bessega e Pachamama di Yannick Boissenot. In
entrambi i film vengono espresse molto bene le emozioni del viaggiare con gli sci alla ricerca di un modo di vivere le montagne bianche tutto fuorché banale. Fra i protagonisti, in entrambi i casi
grandi signori dello sci ripido, troviamo Enrico Mosetti il Mose nel film di Elisa Bessega e un team formato dagli chamoniardi Julian Casanova, Pierre Hourticq e Camille Armand nel film di Yannick
Boissenot. Il delicato film di Elisa Bessega esprime molto bene il fascino di una traversata inedita di un centinaio di chilometri della catena dello Sharr, in Kosovo, ai confini con la Macedonia e l’Albania. Si tratta di una vera haute route di altri tempi, con grandi zaini con tutto il necessario per campeggiare sulla neve. La performance è intervallata da sciate da manuale del Mose in stile freeride lungo canali ripidi e da una visita alla stazione invernale decadente di Brezovica. A questa traversata il Mose ha dedicato un bell'articolo pubblicato nel numero 153 di Skialper, lo stesso numero del pezzo sulla Rampa Whillans sopra citato.Il film di Yannick Boissenot racconta un viaggio di 5.000 chilometri lungo le Ande argentine alla ricerca di linee ripide mai sciate prima. Un sapiente uso dei droni permette di raggiungere livelli di rara spettacolarità. Da notare che Boissenot non è solo un bravo regista, ma anche un grande specialista di sci ripido e ha quindi potuto trasferire nel film tutta la sua esperienza nella scelta delle linee e nelle tecniche di ripresa. Pachamama è senza dubbio uno dei film di sci ripido più spettacolari che siano mai stati realizzati.

Un altro film di sci e di snowboard non premiato al Film Festival è Circle of madness di Christoph Thoresen. I protagonisti sono due superstar del freeride-freestyle che non hanno bisogno di presentazione: Markus Eder e lo snowboarder Victor de Le Rue, fratello minore dell’intramontabile Xavier. Circle of madness permette davvero un’abbuffata incredibile di pazze bravure dei due assi sulla neve. Da notare che anche in questo caso il regista è un freestyler professionista, fattore che ha aiutato non poco a far risultare la spettacolarità delle performance dei protagonisti. Al tempo stesso non ha però evitato di cadere in una certa ripetitività di capriole e rotazioni. Seppur tutte di altissimo livello, qualche sforbiciata qua e là sarebbe stata a mio avviso opportuna…

Infine Qivitoq: un film di 67 minuti in cui lo snowboarder francese quarantenne Mathieu Crepel, già campione del mondo di big air e halfpipe, ritorna a Tasiilaq, in Groenlandia, dove aveva girato, quando aveva solo 10 anni, Kallaallit Nunaat (che significa Groenlandia), diventato un film di culto per un’intera prima generazione di snowboarder. Il nuovo film, ricco nei contenuti oltre che professionale nella fattura, rappresenta un viaggio introspettivo che permette a Mathieu di riflettere sui profondi cambiamenti sociali e ambientali della Groenlandia, senza mai cadere troppo nella trappola della nostalgia.

Foto copertina © Michele Purin
Un'estate a misura di bici a Livigno
Non sono pochi gli scialpinisti che si tengono in forma con la bici, che sia strada, gravel o mountain bike. Quale migliore occasione di farlo in quota, a Livigno, dove spesso si sono sfidati i campioni del Giro d'Italia? Dal 20 al 22 giugno ci sarà la prima edizione di ABOVE | The Bike Experience, un evento che inaugura la stagione estiva ciclistica. Organizzato da Movestro, il cuore creativo dell'Italian Bike Festival, questo appuntamento offre tre giorni dedicati al mondo della bicicletta in tutte le sue forme: strada, MTB, urban, trekking e cargo bike.
Il programma prevede test rides con i modelli più innovativi, clinic con atleti esperti, social ride guidate, talk, podcast live e musica dal vivo. Un'occasione unica per vivere la bici a 360 gradi, immersi nella natura mozzafiato di Livigno.
Per saperne di più: https://www.livigno.eu/en/events/above-the-bike-experience
Per chi invece volesse partecipare a una granfondo,
Il 28 giugno torna la Granfondo Livigno Alé, giunta alla sua 2ª edizione. Due percorsi spettacolari attendono i partecipanti:
- Granfondo: 166,8 km con 4.300 m di dislivello, attraversando sei passi alpini oltre i 2000 metri, tra cui l'Umbrail Pass e il Passo Foscagno, con arrivo al Mottolino, salita iconica del Giro d'Italia 2024.
- Mediofondo: 106,8 km con 2.050 m di dislivello, passando per il Passo Forcola e il Passo Bernina, con tratti in Svizzera e arrivo sempre al Mottolino.
Per iscriversi: granfondolivigno.eu

Élise Poncet da record sul Monte Bianco
Mancavano pochi minuti a mezzogiorno quando, venerdì scorso, Élise Poncet è arrivata sulla scalinata della chiesa di Chamonix, tradizionale punto di partenza e di arrivo per i fastest known time di salita e discesa sul Monte Bianco. Era partita alle cinque e, con 6 ore 54 minuti e 47 secondi, ha polverizzato i tempi di riferimento femminili. Nella hall of fame il suo nome si aggiunge a quello di Hillary Gerardi, che nel 2023 ha fermato il cronometro a 7 ore e 25 minuti, senza usare gli sci, e a quello di Anna DeMonte che nel 2024 era salita e scesa con gli sci in 7 ore e 29 minuti.



Élise, trail runner (l’anno scorsa seconda al Trofeo Kima) e scialpinista di origine parigina, ha scelto la via storica, passando dal rifugio dei Grands Mulets, ghiaccio Jonction, Petit e Grand Plateaux, capanna Vallot e Bosses, mentre in discesa si è ricongiunta alla traccia di salita al Grand Plateau. L’intero itinerario misura 35 km e 3.800 m D+ e il tempo di discesa dalla vetta alla chiesa è stato di circa un’ora e venti minuti. Élise ha portato tutto il materiale dall’inizio alla fine, rispettando le regole di sicurezza: corda nei tratti crepacciati, attrezzatura da ghiacciaio, ramponi sulla cresta finale.



Foto © Philipp Reiter
Florea e Kiriago vincono il Golfo dell'Isola Trail, terza tappa delle Golden Trail World Series
Sono trascorsi due anni ma, nonostante il parterre delle sfidanti sia sempre più competitivo, è lei a confermarsi regina indiscussa del Golfo dell’Isola Trail, organizzato sabato scorso da Golfo dell’Isola e TriO Events, terza tappa della Golden Trail World Series 2025 by Salomon. Dalla Romania Madalina Florea (Scott Running), trionfatrice nel 2023 della finalissima savonese, torna a imporsi sul percorso a ‘fiore’ di 26 km con 1.400m D+, confermando una gestione impeccabile del proprio ritmo e una grande forza in salita. Dal quindicesimo chilometro ha acquisito il comando della gara fino a tagliare il traguardo in 2h22'29", più emozionata che mai, precedendo di 27 secondi la keniota Philaries Jeruto Kisang (Run2gether On Trail), tra le più regolari del circuito sui tracciati veloci e specialista nelle salite.
Al maschile va in scena la rivincita del keniota Philemon Ombogo Kiriago (Run2gether On Trail) che, memore del secondo posto del 2023, riesce questa volta a farsi valere in 2h01'47" sul marocchino Elhousine Elazzaoui (Nnormal, 2h02'06"). La coppia si è staccata dal gruppo di testa al km 14,5 e ha dato vita a un duello al cardiopalma nella discesa dal Castello di Monte Ursino. Grazie alla performance ligure e a un solido inizio di stagione, i due vincitori balzano così in testa al ranking GTWS 2025.
«Stavo controllando la gara, ma è successo qualcosa – ha dichiarato Florea - A volte abbiamo giornate buone, altre meno. Sentivo di avere energie, ma qualcosa mi disturbava, ho avuto qualche problema allo stomaco, ma sono riuscita a gestirlo fino alla fine. Da quando ho chiuso la finale 2023 aspettavo questo momento per vincere un’altra gara della GTWS».
«È stata una gara davvero bella – ha dichiarato Kiriago – ero intenzionatissimo a migliorare la mia prestazione di due anni fa. Ho corso con il mio amico Elhousine, purtroppo per lui sono riuscito a batterlo. Sono molto felice!».
I PODI
Tra le donne, bronzo alla keniota Valentine Jepkoech Rutto (Atletica Saluzzo), seguita dalla spagnola Rosa Lara Feliu (Compressport), autrice di una grande rimonta. A completare la top 5 femminile la giovane italiana Vivien Bonzi (Brooks Trailrunners), una delle più promettenti dell’attuale panorama. Sesta in classifica, Alice Gaggi (Brooks Trailrunners), dopo aver firmato i suoi migliori tempi stagionali sui 10 km e sulla mezza maratona.
Tra gli uomini, chiude il podio il keniota Paul Machoka (Atletica Saluzzo), mentre il primo italiano è Cesare Maestri (Nike Trail) che ottiene il quarto posto sfruttando la sua costanza e l’abilità nel mantenere ritmi elevati su tracciati scorrevoli, al termine di un testa a testa col keniota Michael Selelo Saoli (Run2gether On Trail). Delusione per lo svizzero Rémi Bonnet che, nonostante la buona partenza nel suo primo appuntamento del circuito, perde terreno nella seconda metà del percorso chiudendo fuori dalla top 10.
LA CLASSIFICA
DONNE
- Madalina Florea (Romania – Scott Running) – 2:22:29
- Philaries Jeruto Kisang (Kenya – Run2gether On Trail) – 2:22:56
- Valentine Jepkoech Rutto (Kenya – Atletica Saluzzo) – 2:25:33
- Rosa Lara Feliu (Spagna – Compressport) – 2:27:48
- Vivien Bonzi (Italia – Brooks Trailrunners) – 2:31:25
- Alice Gaggi (Italia – Brooks Trailrunners) – 2:32:17
- Marie Nivet (Francia – Nike Trail) – 2:33:14
- Miriam Chepkirui (Kenya) – 2:35:36
- Silvia Schwaiger (Slovacchia – Salomon Running Team) – 2:36:47
- Céline Aebi (Svizzera – LV Langenthal) – 2:37:24
UOMINI
- Philemon Kiriago (Kenya – Run2gether On Trail) – 2:01:47
- Elhousine Elazzaoui (Marocco – NNormal) – 2:02:06
- Paul Machoka (Kenya – Atletica Saluzzo) – 2:02:44
- Cesare Maestri (Italia – Nike Trail) – 2:03:10
- Michael Selelo Saoli (Kenya – Run2gether On Trail) – 2:03:11
- Richard Omaya (Kenya – Run2gether On Trail) – 2:03:16
- Rolli Dominik (Svizzera) – 2:03:40
- Roberto Delorenzi (Svizzera – Brooks Trailrunners) – 2:06:52
- Jan Torella Oller (Spagna – Salomon Future International Team) – 2:07:13
- Pierre Galbourdin (Francia – Brooks Trailrunners) – 2:08:31

Trail running, è il momento dei super-materiali
Schiume supercritiche, TPEE e PU sono ormai presenti sulla maggioranza delle scarpe, da allenamento o da gara, come dimostrano i test della nostra Outdoor Guide.
Intersuole con materiali sempre più avanzati. Per tutti. È questo il principale trend che emerge dai test delle scarpe per la corsa in natura della nostra Outdoor Guide, in edicola a partire da fine mese. L’utilizzo di schiume supercritiche è in netta crescita: su 47 prodotti testati, ben 41 montano materiali avanzati nelle zeppe (tra supercritical foaming, TPEE e PU). Solo tre anni fa, prodotti con queste caratteristiche rappresentavano circa il 30% dell’offerta. Questo dato mostra come certe tecnologie siano oggi ampiamente accessibili ai principali attori dello sviluppo. La vera sfida, ora, non è più trovare il materiale più futuristico, ma saperlo integrare in modo coerente con la filosofia del marchio, l’identità dell’utilizzatore e la destinazione d’uso prevista del prodotto. Elemento comune è la costruzione delle zeppe, sempre più simile nei vari modelli per quanto riguarda la disposizione dei sidewall — le sporgenze laterali che fungono da culla per il piede — e l’inserimento (o meno) di elementi stabilizzanti o reattivi. Ed è proprio in quest’ambito si sono registrate le maggiori novità: se fino a poco tempo fa una struttura rigida nella suola era la norma (soprattutto con il boom delle piastre in carbonio), oggi queste tecnologie si concentrano quasi esclusivamente nella categoria performance.

Come di consueto abbiamo suddiviso le scarpe per la corsa in natura in due categorie: Trail e Speed Race. La prima ha una connotazione più universale, potremmo definirla anche la scarpa da allenamento. La seconda più competitiva. Se volessimo identificare le componenti principali delle categorie Trail e Speed Race, potremmo dire che la prima è definita da ammortizzazione, stabilità e protezione; la seconda, invece, da leggerezza, precisione e reattività.
Le geometrie che accolgono i materiali delle calzature si differenziano per gli angoli di ingresso e uscita che definiscono il dinamismo della rullata: più accentuati nei modelli da gara, più dolci e naturali nei prodotti da allenamento. Il trend suggerisce che, per un’esperienza più fluida nelle corse a bassa intensità, si prediligano materiali ammortizzanti e compatti combinati con geometrie morbide e accessibili. Al contrario, un modello da gara presenta un'impostazione più aggressiva e reattiva, spesso supportata da inserti nell’avampiede per migliorare il ritorno elastico.
Le scarpe da allenamento rappresentano il cuore dell’offerta: prodotti versatili e resistenti, pensati per gestire ogni tipo di sessione, dai lavori quotidiani ai lunghi pre-gara.
Gli stack height medi si attestano attorno ai 33 mm sul tallone e 27 mm sull’avampiede, in crescita costante negli ultimi anni.
Nel segmento più orientato alla performance, il 100% dei modelli monta zeppe in materiali avanzati. Lo stack height medio è di 30 mm al tallone e 25 mm all’avampiede.
Su venti scarpe testate, sei includono una piastra — in carbonio o Pebax — pensata rispettivamente per aumentare il rimbalzo o modulare l’elasticità.
Queste scarpe sono ideali per corse ad alta intensità, ma il vero elemento discriminante non è l’intensità d’uso, quanto il tipo di terreno.
Le geometrie e i battistrada specializzati definiscono una destinazione d’uso ben precisa: nascono così super-shoe perfette per terreni veloci e corribili, oppure modelli più versatili per condizioni tecniche moderate.
Nelle 304 pagine della Outdoor Guide non ci sono solo i test di 47 scarpe per la corsa in natura, ma anche di 200 altri prodotti tra scarpe da hiking, approach, alpinismo, scarpette da arrampicata, imbraghi, caschi, zaini, lampade frontali, sportwatch, bastoni, piccozze e ramponi.
Foto © Riccardo De Conti
The players: Bruchez, Heitz, Sierro, Arnold & co protagonisti della stagione del ripido sul Monte Bianco
Cinque sciatori, tre discese. La stagione dello sci ripido nel massiccio del Monte Bianco entra nel vivo. Tra fine aprile e inizio maggio, con il minimo comune denominatore della presenza in entrambe le cordate di Vivian Bruchez, sono state aperte tre nuove linee. Una in particolare spicca per la creatività, tanto che lo stesso Bruchez l'ha definita «un itinerario alpinistico sci ai piedi». Si tratta della prima discesa (450 m) del versante Ovest dell'Aiguille de Leschaux, sciata il 29 aprile in compagnia di... Jérémie Heitz e gradata 5.3 E4. Un vero e proprio dream team che ha risalito la storica via aperta nel 1927 da R. Ogier Ward e Joseph Georges. Poi la discesa più diretta possibile, con l'aiuto di di tre doppie da 60 metri, una nella parte alta e una per superare la parete rocciosa nella parte bassa. Guardando la foto della linea tracciata sulla parete rocciosa non si può che essere d'accordo con l'affermazione di Vivian.

Il 2 maggio Bruchez con Gilles Sierro, Mike Arnold e Pierre-Idris Mehdi ha aperto due nuove linee di 450 metri, gradate 5.2 E3 sul versante Ovest del Mont Maudit. Si tratta di due couloir rinominati Dérobés, sciati in giornata dall'Aiguille du Midi, con discese fino al Tunnel del Monte Bianco sul versante francese. Nessuna doppia su canali «non troppo ripidi ed esposti» come ha scritto Vivian su Instagram. «Non hai bisogno di un biglietto aereo o di un lungo viaggio, solo di un po' di curiosità e la predisposizione a guardare paesaggi famigliari con occhi diversi» ha aggiunto Mike Arnold.
Nuova linea sul Becco della Pazienza per Fay Manners e Marco Malcangi
Una parete non sempre in condizione che, dopo le nevicate monstre delle scorse settimane, si trasforma in uno scivolo quasi perfetto e ricco di spine. Ecco perché Fay Manners e Marco Malcangi hanno battezzato la linea aperta con gli sci sul versante Nord del Becco della Pazienza (3.606 m) lo scorso 26 aprile Navigando fra le spine. La discesa scende al centro dell'imponente parete sopra la Valnontey, nella zona del Gran Paradiso. La nuova linea, con uno sviluppo di circa 450 metri, è stata gradata 5.3 E4. Navigando fra le spine scende sulla parete centrale, una cinquantina di metri a destra della linea aperta nel maggio del 2016 da Andrea Bormida, Cristian Botta, Mattia Varchetti e Stefano Ambrosio salendo dal versante piemontese, probabile prima discesa del pendio sul quale aveva messo gli occhi già Federico Negri alla fine del secolo scorso. La linea del 2016 si sovrappone a quella di Manners e Malcangi nel traverso centrale per poi piegare a sinistra nella parte bassa perché nel 2016 sia il canale centrale che la parte bassa presentavano tratti rocciosi a spezzare la linea.

L'occasione giusta è arrivata a fine aprile quando proprio quel versante è stato al centro della potente tempesta che ha scaricato metri di neve tra Piemonte e Valle d'Aosta. «Quando siamo arrivati al bivacco Borghi abbiamo fatto fatica a trovarlo perché era sommerso da due metri di neve» ricorda Fay. Dopo una notte al bivacco e aver scrutato bene le pareti circostanti, decidono di provare la linea sul Becco della Pazienza. «Da sotto la neve sembrava abbastanza rovinata dal vento e, nella parte alta, ghiacciata, ma quelle spine erano un'attrazione e abbiamo deciso di provare a risalire il pendio e rientrare se la neve fosse stata insciabile o pericolosa». Invece trovano il pendio in ottime condizioni, con neve invernale stabile e in due ore sono in vetta. «Dopo la prima parte c'è un lungo traverso a destra molto esposto dove abbiamo trovato una placca a vento per fortuna stabile» aggiunge Marco. I tratti più impegnativi? L'attacco e la spina nella parte finale, tra i due traversi. «Le prime curve sembrano sospese su un precipizio così alto ed esposto, costellato di spuntoni di roccia» dice Fay. «La spina tra i due traversi tra le rocce, nella parte bassa, è particolarmente ripida a impegnativa» ricorda Marco. «Avevamo piccozze e corda, ma non sono state necessarie calate, abbiamo sciato tutta la parete» dice Fay. Fay ha usato sci Black Crows Camox con scarpone La Sportiva light, mentre Marco aveva un set più largo e pesante, con sci Black Crows Atris e scarpone quattro ganci Tecnica.

















