Piolets d’Or 2025

Tre grandi ascensioni e un riconoscimento speciale per l’alpinismo femminile

La giuria internazionale dei Piolets d’Or ha annunciato le tre ascensioni premiate per l’anno 2025, onorando ancora una volta il valore dell’esplorazione alpina, dello stile pulito e della scalata che va oltre la semplice vetta. La cerimonia si terrà dal 9 al 12 Dicembre a San Martino di Castrozza (Trentino) che ospita per la seconda volta questo prestigioso evento.

I Piolets d’Or sono molto più di un premio: sono un segnale. Un segnale che dice: l’alpinismo è ancora vivo, l’esplorazione ha senso, lo stile semplice ma audace è fondamentale. Con la scelta di salite simili, e con la speciale menzione all’alpinismo femminile, la manifestazione rivolge l’attenzione a valori come: impegno morale, leggerezza, scelta di vie inedite e rispetto per la montagna. In un momento in cui alcune spedizioni commerciali predominano, questi riconoscimenti ribadiscono che «fare di più con meno» non è solo uno slogan, ma una direzione.

Una novità di questa edizione: la Special Mention for Female Mountaineering, pensata per promuovere e valorizzare il ruolo delle donne nell’alpinismo.

Special Mention for Female Mountaineering

La menzione speciale è andata all’ascensione della cima Lalung I (6.243 m), nel Zanskar, India, salita dalla cresta est (2.000 m di dislivello, grado M6+ e AI5+) dal 9 al 14 settembre 2024, con traversata integrale  e discesa per la cresta ovest e la parete nord.
Le alpiniste slovene Anja Petek e Patricija Verdev, facenti parte di una spedizione femminile di quattro elementi, hanno stabilito il campo avanzato a 4.800 m, superando giornate di maltempo e delicati bivacchi, e infine raggiunto la vetta alle 9:00 del 14 settembre.
La giuria ha motivato la scelta sottolineando “un’esplorazione in area poco frequentata, in puro stile alpino, su terreno tecnico, con pieno impegno” — parametri che incarnano lo spirito dei Piolets.
Questo riconoscimento diventa un segnale forte: l’alpinismo femminile merita visibilità e merito autonomo, e questa menzione lo conferma.

Le tre salite premiate

Kaqur Kangri (6.859 m), Nepal

Gli americani Spencer Gray e Ryan Griffiths hanno aperto la cresta sud-ovest del Kaqur Kangri (Kanti Himal), sviluppando una via di 1.670 m (grado 5.10 A0 M7 WI5), e completando la traversata fino alla cresta nord-ovest, mai salita prima. Per la giuria, una delle linee più difficili e ispirate nel Nepal occidentale.
Una prestazione che conferma quanto anche territori meno frequentati possano riservare grandi opportunità di esplorazione.

© Spencer Gray / AAJ

Gasherbrum III (7.952 m), Pakistan

Lo sloveno Aleš Česen e il britannico Tom Livingstone hanno completato la prima salita della cresta ovest del Gasherbrum III, con la via battezzata Edge of Entropy, quasi 3.000 m di scalata in stile leggero tra il 31 luglio e il 4 agosto. La discesa è avvenuta per la via normale del Gasherbrum II, in un gesto che unisce purezza della salita e senso della montagna.
Un esempio di impegno alto, su una delle montagne più alte del mondo e tuttora poco battute.

© Jacek Wiltosinski / AAJ

Yashkuk Sar (6.667 m), Pakistan

La cordata americana formata da August Franzen, Dane Steadman e Cody Winckler ha realizzato la prima salita del Yashkuk Sar lungo il pilastro nord, via Tiger Lily Buttress (2.000 m, AI5+ M6 A0). In quattro giorni, affrontando seracchi instabili e bivacchi aerei, hanno compiuto una traversata completa della montagna.
La giuria ha messo in luce la loro determinazione e lo spirito di esplorazione: vecchi articoli, immagini satellitari e l’idea di cercare ispirazione in territori non battuti.
Una scalata che richiama l’essenza dell’alpinismo: chiedersi “E se…” e andare.

© Dane Steadman / AAJ


Cento staffettisti a cento giorni dalle Olimpiadi

Per festeggiare il conto alla rovescia verso i Giochi, Salomon ha organizzato un insolito evento nel cuore di Milano

Cento runner in una staffetta simbolica. A cento giorni dalla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali Milano Cortina 2026. È  l'idea di Salomon, Premium Partner dei Giochi, per festeggiare il countdown. Mercoledì 29 ottobre, il Salomon Store Milano Portanuova ha ospitato un evento speciale dedicato alla community per celebrare i 100 Days to Go, con un susseguirsi di attività, giochi e momenti di incontro. Tra le altre, i 100 selfie per Milano Cortina 2026, che saranno raccolti in una video installazione collettiva, e tante challenge con premi e gadget personalizzati. La serata ha visto protagonisti 100 runner, guidati dai coach della community Salomon Gravel Milano, che hanno animato la Biblioteca degli Alberi con sfide e divertimento. Nessuna gara, nessuna classifica: solo il piacere di correre insieme, condividendo energia e passione per lo sport outdoor. La festa è stata inoltre la cornice ideale per presentare la Collezione Ufficiale Milano Cortina 2026, di cui Salomon è licenziatario ufficiale, disponibile nella sua forma più completa proprio nello store di Portanuova. È una linea di abbigliamento, calzature e accessori che celebra lo spirito dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali, unendo performance, funzionalità e stile, nel segno dei valori di inclusione, determinazione e rispetto. Ora si attende il 12 novembre per svelare le divise disegnate da Salomon per gli oltre 20.000 volontari.

 

© Salomon


Il Bivacco tessile

È stato da poco inaugurato il nuovo bivacco Aldo Frattini, in Val Seriana, lungo il Sentiero delle Orobie. La struttura, realizzata grazie alla collaborazione tra GAMeC (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo) e CAI di Bergamo nell’ambito di Pensare come una montagna – Il Biennale delle Orobie, è stata progettata da EX., laboratorio di ricerca e progettazione che unisce arte, paesaggio e tecnologia sostenibile attraverso l’architettura. Il bivacco, a quota 2.300 metri, è un progetto innovativo sotto diversi aspetti.

È concepito come un rifugio leggero, reversibile e tecnologico. Il suo design richiama la forma della tenda alpina, che rievoca le prime esplorazioni in alta quota, e punta a ridurre al minimo l’impatto ambientale. La struttura è realizzata in legno, con rivestimento interno in sughero naturale che garantisce isolamento termico e acustico. La copertura esterna però è una pelle tessile innovativa, resistente agli agenti atmosferici, studiata in collaborazione con Ferrino. Il sistema costruttivo, sviluppato ad hoc, consente l’installazione in contesti estremi grazie a un peso complessivo di soli 2.500 kg e a una superficie di appoggio ridotta, di circa 2,5 mq. Le dimensioni compatte (3,75 x 2,60 x 2,60 m) e la forma svasata della scocca riflettono un approccio progettuale attento alla funzionalità e al minimo impatto sul suolo. Progettato per accogliere fino a nove persone, è dotato di panche perimetrali e letti pieghevoli ispirati ai portaledge alpinistici, convertibili in barelle d’emergenza.

 

 © T. Clavarino


Tomba, il gatto alpinista

Secondo la leggenda i corvi sarebbero la reincarnazione delle Guide alpine morte in montagna. Si può crederci oppure no, ma è difficile pensare che Tomba non fosse la reincarnazione di una saggia Guida alpina. Non stiamo ovviamente parlando dello sciatore bolognese, ma di un gatto vissuto tra il 1988 e il 1993 nelle Alpi Svizzere, più precisamente a Kandersteg, nel Vallese. Il nome che i proprietari dell’hotel Schwarenbach diedero a quel grazioso gattino è dovuto in parte all’Albertone, ma anche a quello della madre, Tomassa.

Tomba iniziò subito a fare capire le proprie intenzioni a dieci mesi quando alcuni alpinisti che soggiornavano in hotel se lo trovarono tra le gambe mentre salivano al Rinderhorn (3.453 m) e qualche giorno dopo al Balmhorn (3.699). Tomba non solo li seguì, ma arrivò in cima come se avesse i ramponi sotto le unghie. Si dice che abbia ripetuto le salite alle vette più alte del circondario più volte e che la sera amasse annusare gli zaini degli ospiti dell’hotel e scegliersi i compagni di avventure per il giorno successivo. L’episodio più interessante della storia di Tomba riguarda il miracoloso salvataggio di una coppia di sposini da una valanga. Durante la salita a un certo punto si fermò, riluttante a proseguire, e iniziò a miagolare insistentemente, rifugiandosi dietro un masso. I due, incuriositi, lo seguirono e subito dopo il percorso che stavano seguendo fu investito da una valanga. Alla fine degli anni ’80 Tomba diventò una star internazionale con fotografie e notizie nei tabloid dal Giappone al Sud Africa e servizi sulla televisione Svizzera. Purtroppo la sua vita fu corta perché nel 1993, a quattro anni e mezzo, morì insieme alla madre a causa della AIDS felino. La sua storia è raccontata il un libretto della famiglia Stoller, che gestiva l’hotel Schwarenbach, scritto da Hedy Sigg e con le fotografie di Max Piffner.

 



Casco obbligatorio per tutti (anche gli scialpinisti)

È passata un po’ in sordina, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale di sabato 9 agosto scorso, ma la modifica dell’articolo 17 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 40, inserita nel decreto-legge 30 giugno 2025, n. 96 ha delle conseguenze importanti per il mondo dello sci e della montagna.

Con la nuova norma viene infatti estesa a tutti gli sciatori l’obbligatorietà del casco e non solo ai minori di 18 anni.

 

 

 

 

A prima lettura, un obbligo (che ci risulta esistere solo in Italia, almeno nel continente europeo) che riguarda poco gli scialpinisti ma, a parte che un giro in pista prima o poi lo fanno tutti, non è proprio così. Basta anche solamente passare per un comprensorio sciistico nella fase di avvicinamento alla meta per dover considerare questa ipotesi. Senza considerare che il popolo di chi si allena in prossimità delle piste per poi usarle in discesa è una fetta importante del mercato.

La nuova norma obbliga tutti questi scialpinisti all’utilizzo del casco, perché in pista non ci può essere nessuno che ne sia sprovvisto. La ratio è la stessa dell’assicurazione RC: per utilizzare le piste è obbligatoria. La mancata osservanza? Una multa che può raggiungere i 150 euro, ma il problema principale non è la sanzione, quanto la conseguenza alla quale ci si potrebbe esporre in caso di incidente. L’inosservanza della legge, infatti, potrebbe avere una serie di conseguenze legali, a partire dai risarcimenti.

 

 

 

 

 

 

E allora qualche casco usare, che vada bene sia fuoripista che nel comprensorio? «Il modello ideale, perché versatile per entrambi gli utilizzi, leggero e areato, è quello con la doppia omologazione per sci e scialpinismo, sul quale abbiamo puntato da tempo, con due prodotti diversi in catalogo, Hailot e The Peak» fanno sapere in Julbo, il marchio francese specializzato in caschi, maschere e occhiali. La doppia omologazione fa riferimento alle norme EN-1077 (sci e snowboard) ed EN 12 492 (alpinismo e arrampicata). La norma EN-1077 prevede le classi A e B: la prima è solitamente più protettiva (prevede per esempio anche la protezione delle orecchie) ma porta alla realizzazione di prodotti più pesanti e meno ventilati. I caschi a doppia omologazione sono generalmente inseriti nella categoria B e hanno pesi di circa 300 grammi.

 

 

 

 © Julbo


Védrines e Jean: prima salita del Jannu Est

Lo scorso 15 ottobre i due francesi hanno salito il settemila himalayano in stile alpino alla parete Nord.

Ci sono montagne che non vengono semplicemente scalate. Si attraversano come esperienze, si vivono come viaggi interiori. Il Jannu Est, 7.468 metri nel massiccio del Kangchenjunga, è una di quelle. Uno degli ultimi enigmi himalayani, una delle vette non ancora salite. Una parete nord di 2.250 metri, un muro che sembra custodire il senso più puro dell’alpinismo. È qui che Nicolas Jean, 26 anni, e Benjamin Védrines, 33, hanno deciso di misurarsi, con un obiettivo tanto semplice quanto radicale: salire in stile alpino, senza ossigeno, senza corde fisse, senza aiuti esterni. Solo due uomini, una linea, e la volontà di andare leggeri.

 

 

L’idea e il ritorno
L’autunno 2024 aveva già lasciato un segno. Un primo tentativo finito troppo presto, il sogno rimasto sospeso. Ma la montagna, come spesso accade, concede una seconda possibilità a chi sa aspettare. Così Jean e Védrines sono tornati, con un piano ancora più essenziale: niente squadra, niente supporto, solo loro due.
Nei mesi precedenti avevano costruito la fiducia e la forza dove tutto è iniziato: sul Monte Bianco. Una traversata in sci di tre giorni, poi le quattro pareti del Bianco in un solo giorno, quasi 8.000 metri di dislivello. Un modo per allenare il corpo, ma anche per rafforzare quella connessione mentale che tiene insieme una cordata.

La salita
Il 12 ottobre si mettono in marcia verso la base della parete. Il meteo concede una finestra stretta ma buona, e la scelta è fatta: partire. Due notti sospesi nel vuoto, tra ghiaccio e roccia, fino a raggiungere la cresta sommitale. È lì che capiscono che la vetta, quella vera, è ancora oltre. Un falso picco li aveva illusi, e davanti resta un ultimo tratto estenuante: neve instabile fino al bacino, pendii verticali, la stanchezza che si fa totale. Alle 13:40 del 15 ottobre, però, i due raggiungono la cima. In silenzio. Perché a quell’altitudine, le parole servono a poco.

«Gli ultimi 500 metri sono stati i più duri» racconta Jean. «Eravamo esausti, ma dovevamo restare lucidi. La discesa, in quelle condizioni, è stata una battaglia».

Per Védrines, è la salita di una vita. Non solo per la difficoltà, ma per l’armonia nata con Nicolas: due velocità diverse, due generazioni diverse, ma una sola idea di montagna.

 

Il valore della leggerezza
In un’epoca di spedizioni pesanti e commerciali, questa ascensione riporta l’ago della bussola verso l’essenza. Leggerezza non significa semplicità: è una scelta consapevole, che comporta rischio, autonomia e responsabilità. La loro attrezzatura, sviluppata insieme al marchio Simond, è il riflesso di questa filosofia: piccozze e ramponi alleggeriti al massimo, imbraghi e tende ridotti all’essenziale. Ogni grammo tolto, un po’ di libertà guadagnata.

Una traccia che resta
Il Jannu East è ora segnato da una nuova via, ma la montagna resta intatta. Jean e Védrines hanno lasciato poco più che il segno dei loro passi, e forse è proprio questo il valore di un certo alpinismo oggi: fare tanto, lasciando poco.
Nei prossimi mesi arriveranno le relazioni tecniche, le immagini, il racconto completo. Ma il senso di questa salita si può già leggere: il ritorno a un alpinismo di ricerca, dove la prestazione si intreccia con l’etica e la bellezza con il rischio.

 

 

 © Simond, Quentin Degrenelle, Thibaut Marot


Bonnet stupisce ancora: 27’21’’

Nuovo record del mondo nel chilometro verticale a Fully, ritoccato anche il primato femminile.

He did it. Rémi Bonnet, dopo l’oro nel vertical ai Mondiali ferma il cronometro a 27 minuti e 21 secondi nel Kilomètre Vertical de Fully. È nuovo record del mondo, ritoccato di un minuto e 32 secondi a distanza di otto anni. Il primato infatti era di Philipp Götsch e non veniva battuto dal 2017: 28’53’’. È successo tutto sabato scorso, sul percorso del vertical nel quale sono stati registrati quasi tutti i record nelle gare con utilizzo di bastoncini. «Sono partito molto veloce, all’inizio ho pensato che il ritmo fosse un po’ troppo sostenuto, ma poi mi sentivo bene e ho capito che poteva essere una giornata speciale» ha dichiarato un ancora incredulo Bonnet dopo la gara.

Il percorso del Kilomètre Vertical de Fully è particolarmente ripido: mille metri secchi su 1,9 km di lunghezza, con una pendenza media del 50%. È il tracciato di una vecchia funicolare tra i vigneti. Bonnet si è imposto su Henri Aymonod (30’08’’) e Aurélien Gay (30’32’’).

Non finisce di stupire anche Axelle Mollaret che, dopo il record a Nantaux dello scorso settembre (33 minuti esatti), ritocca ancora il tempo, fermando il cronometro a 32’52’’ e rifilando quasi sette minuti a Victoria Kreuzer (39’43’’). Indubbiamente due atleti che, dallo scialpinismo al chilometro verticale, non finiscono di stupire.

 

 

© Baptiste Fauchille / Red Bull Content Pool


Andrzej Bargiel ha sciato l'Everest

Quella del 22 e 23 settembre è la prima discesa integrale senza ossigeno.

He did it. Andrzej Bargiel ha portato a termine la prima discesa integrale dell'Everest senza ossigeno lo scorso 22 e 23 settembre. Il polacco, secondo le prime notizie che arrivano dall'Himalaya, è sceso fino al Campo II dove ha riposato qualche ora per poi continuare fino al Campo Base. Bargiel era al terzo tentativo dopo quelli del 2019 e del 2022, falliti a causa di seracchi a rischio crollo o venti forti. Dopo aver sciato Shishapangma, Manaslu, Broad Peak, Gasherbrum, K2 e Gasherbrum I, un altro successo per Bargiel. Della spedizione facevano parte più di 16 tra Sherpa e Guide. L'Everest è stato sciato nel 2000 dallo sloveno Davo Karničar con l'uso dell'ossigeno e nel 1996 da Hans Kammerlander, che però ha dovuto togliere gli sci per circa 300 metri.

Bargiel è partito intorno alle 15,17 del pomeriggio del 22 settembre dalla vetta per raggiungere il Colle Sud balle 17,20 e il Campo II alle 20,30 e poi ripartire intorno alle 7 di mattina del 23 settembre. L'ultimo tratto ha comportato il passaggio dei crepacci della Khumbu Icefall senza l'uso di corde fisso per arrivare al Campo Base poco prima delle 9.

 

 

© Bartłomiej Pawlikowski / Red Bull Content Pool


Victor Richard da record al TOR330

© Zzam Agency | Stefano Coletta

 

Il segreto, in una gara lunga come il TOR330, è prendersi i propri tempi. Ricordo una volta Rory Bosio all’UTMB, alla base di Maison Vieille, sopra Courmayeur. Tutte le avversarie passate prima di lei hanno bevuto qualcosa in corsa, senza neanche fermarsi. Lei è arrivata un po’ attardata, si è seduta, ha gustato una zuppa calda e poi è ripartita. Nella notte le ha riprese tutte, come una cecchina infallibile, le ha superate ed è andata a vincere la sua seconda UTMB. La strategia del belga Victor Richard, che mercoledì mattina presto ha tagliato per primo il traguardo del TOR330, a Courmayeur, nel tempo record di 66 ore 8 minuti e 22 secondi è stata simile, anche se in una gara ancora più lunga. Alla base di Cogne è arrivato solo, primo, con un’ora di anticipo rispetto al record del 2023. Ed ecco il colpo di scena: si ferma a dormire per un’ora e dieci minuti, mangia, si cambia e riparte dopo altri venti. A questo punto è sesto, staccatissimo dalla testa, ma rispetto agli avversari è fresco e riposato. La sua rimonta inizia qui e si completa nel pomeriggio di lunedì, al Lago Chiaro, dopo aver ripreso uno a uno i suoi antagonisti, proprio quando Collé decide di abbandonare per un problema agli occhi. Da lì in poi, comincia il suo viaggio in solitaria contro il tempo. Il vantaggio virtuale sul tempo di Collé arriva anche a superare l’ora e trenta minuti, ma poi lo sforzo profuso presenta il suo conto sotto forma di forte dolore al tendine d’Achille. Alla base vita di Ollomont si fa trattare dai MassaggiaTOR e riparte dopo mezz’ora. Da lì in poi non si fermerà più fino al traguardo, stringendo i denti.

Ora per lui è arrivato il momento di godersi una vittoria e un tempo da sogno, anche se in questi casi è sempre difficile parlare di record, visto il percorso cambiato rispetto al passato con il passaggio ai Rifugi Bonatti e Bertone. «Ho fatto davvero molta fatica nella prima parte della gara, perché non riuscivo proprio ad alimentarmi. Nonostante ciò, sono arrivato a Cogne in prima posizione e ho cercato di dormire, perché avevo in programma di farlo. Non ci sono riuscito del tutto, ma almeno mi sono riposato un po’. Poi finalmente al Rifugio Coda ho mangiato un bel piatto di polenta e mi sono sbloccato: da lì in poi mi sono sentito davvero bene e ho iniziato finalmente la mia gara». Un po’ a sorpresa, il suo avversario principale non è stato Franco Collé, ma Louis Calais. «Franco non dorme, io invece ho capito che bisogna farlo. Louis invece mi preoccupava molto, ho fatto gara su di lui, poi quando si è ritirato per assurdo sono andato in crisi, perché ho avuto un calo di tensione e mi sono sentito svuotato». Victor Richard, 39 anni, è nato a Reims, in Francia, ma ha vissuto per molti anni a Saint-Georges-sur-Meuse, in Belgio, dove ha fondato Ultratiming, società specializzata nel cronometraggio di eventi sportivi. In Belgio, inoltre, ha incontrato la donna che sarebbe poi diventata sua moglie: la coppia ora vive in Alta Savoia, a pochi chilometri da Chamonix, ma lui corre ancora con la bandiera del Belgio. Victor Richard, in ogni caso, non è nuovo ad imprese di questo genere in Valle d’Aosta. Dopo il 23° posto al TOR330 -Tor des Géants del 2015, il capolavoro arriva quattro anni dopo, nel 2019, con il secondo posto nella prima edizione del TOR450 – Tor des Glaciers, dietro solo a Luca Papi.

Al secondo posto, insieme, sono arrivati Simone Corsini e Martin Perrier in 71 ore 48 minuti e 55 secondi. Terzo Danilo Lantermino in 73 ore 37 minuti e 7 secondi.

Per quanto riguarda il podio femminile Noor Van Der Veen è la nuova Regina del TOR330. L’atleta olandese ha chiuso 13ª assoluta, tagliando il traguardo di Courmayeur alle 17:34 con un tempo di 79 ore, 34 minuti e 30 secondi: è la seconda donna, dopo Katharina Hartmut, a scendere sotto il muro delle 80 ore. Dopo una giornata di continui ribaltamenti in testa alla gara femminile, martedì 16 settembre, Van Der Veen è riuscita ad avere la meglio su Natalie Taylor al termine di un lungo duello. Tra il Rifugio Barmasse e il bivacco Varetan ha trovato l’allungo decisivo, accumulando vantaggio durante la notte fino a superare le tre ore. È stata poi la volta di Lisa Borzani, che con una grande rimonta ha raggiunto Taylor a Bosses e l’ha staccata fino ad arrivare a Courmayeur con circa 40 minuti di margine, conquistando così la seconda posizione.

Degne di nota le vittorie di due italiani sulla distanza intermedia il Tot Dret TOR130, circa 130 chilometri e 12.000 metri di dislivello, per il cuneese Davide Rivero in 21 ore 44 minuti e 33 secondi e Cristina Vecco in 28 ore 37 minuti e 29 secondi.

© Zzam Agency | Geo Vergnano


Quando il sole cala presto: allenarsi con le frontali in autunno

Con l'arrivo dell'autunno e l'accorciarsi delle giornate diventa indispensabile attrezzarsi per sfruttare le ore pre o post orario di ufficio per i nostri allenamenti, le frontali sono la soluzione. Come ogni anno abbiamo testato i modelli più interessanti presenti sul mercato sulla nostra Outdoor Guide 2025.

Abbiamo confermato le ottime impressioni su prodotti già collaudati nel corso dell’anno. Black Diamond e Silva hanno arricchito le rispettive linee dei pesi piuma con modelli come la Deploy Run Light e la serie Smini, in competizione diretta con le intramontabili Iko Core e Bindi di Petzl, anche se queste ultime continuano a distinguersi per il design. Tra le lampade più performanti, la Nao RL di Petzl resta il riferimento assoluto per durata della batteria e comfort. Ci auguriamo che anche altri marchi investano in materiali capaci di offrire prestazioni analoghe su lunghe distanze. Per un utilizzo intermedio, senza ambizioni ultra, tutti i produttori offrono valide alternative con luminosità adeguata per tre-cinque ore di attività. Le interfacce utente rimangono semplici ed efficaci: Petzl e Silva prediligono tasti fisici, mentre Black Diamond usa un mix di comandi fisici e touch. L’usabilità rimane elevata anche in condizioni meteo avverse. Le batterie variano dai 700 mAh delle Smini di Silva fino ai 3.200 mAh della Petzl Nao RL, con output luminosi tra i 250 e i 1.500 lumen. La durata effettiva oscilla tra 2 ore e mezza e 3 ore, ma nei modelli progettati per trail lunghi si arriva anche a 8-10 ore all’80% della potenza massima, ed è proprio lì che si gioca la vera differenza.

 

PETZL NAO RL 

170 euro     145 grammi

Con il suo design minimalista, bilancia lampada e corpo batteria sul retro grazie a una fascia ergonomica ed essenziale. Il corpo luce, basato su 10 led, è sottile e ripartisce un fascio morbido, privo di rifrazione sulle diverse superfici; l’interfaccia ruota attorno a un solo tasto per passare dalla luce reattiva a quella standard e, per entrambe, modulare le intensità da una luce di prossimità a una di spostamento, fino a quella di massimo raggio. Lampada perfetta per corse di ogni distanza a tutti i ritmi. Batteria ricaricabile da 3.200 mAh, lumen dichiarati massimi 1.500 in modalità reattiva e 900 in luce fissa, distanza massima 200 m in modalità reattiva e 140 m in luce fissa, durata 2-24 h in modalità reattiva e 5 h in modalità standard.

 

BLACK DIAMOND DISTANCE 1500

200 euro     203 grammi

Il prodotto top di gamma per lunghe notti sui sentieri, adatto a trail runner non necessariamente competitivi ma anche a chi cerca una soluzione solida e facile da maneggiare. Sulla testa la struttura portante è stabile, con un buon bilanciamento tra fronte e retro, sebbene si percepisca un po’ di rigidità nell’alloggiamento della corposa batteria. La luce è nitida senza grossi cali per usi prolungati; la possibilità di mantenere 8 ore a 300 lumen la rende una protagonista interessante per la maggior parte delle ultra. Batteria ricaricabile BD 1.500 mAh, lumen dichiarati 1.500 max, 800 alto, 300 standard, 15 minimo; distanza massima 117 m max, 95 m alto, 45 m standard, 5 m minimo; durata 10" max, 1h40' alto, 6 h standard, 40 h minimo.

 

 

BLACK DIAMOND DEPLOY RUN LIGHT

60 euro     38,5 grammi

Ha un corpo leggerissimo che scompare una volta indossata, con poco materiale gommato sul fronte della lampada, tenuto in posizione da un elastico riflettente molto comodo. Verrà apprezzata non solo da chi corre, ma anche da chi cammina o arrampica e cerca un fascio di luce immediato, leggermente inclinato di qualche grado, per utilizzi ravvicinati entro i 50 metri. Ricaricabile, non compatibile con batterie stilo, monta gli stessi led di carica della batteria delle sorelle maggiori della gamma Distance. Batteria ricaricabile 680 mAh, lumen dichiarati 325 alto, 180 standard, 6 minimo; distanza massima 52 m alto, 40 m standard, 7 m minimo; durata 2,5 h alto, 4,5 h medio, 30 h minimo.

 

 

SILVA SMINI

55 euro    53 grammi

Utile per allenamenti brevi o come lampada di emergenza, è fornita di una luce rossa aggiuntiva che si può attaccare direttamente alla fascia che la sostiene. Il corpo centrale è essenziale, ma provvisto di funzione di blocco ed è in grado di inclinarsi; la luce generata è un po’ piatta e anche a piena potenza risulta in un cono non molto ampio, ma funzionale a illuminare benissimo per 50-60 metri davanti a sé. Ottima la possibilità di intercambiare facilmente la banda elastica. Batteria ricaricabile 700 mAh, lumen dichiarati 250 alto, 100 standard, 10 minimo; distanza massima 80 m alto, 50 m standard, 17 m minimo; durata 1,5 h alto, 2,5 h standard, 20 h minimo. Pro: corpo leggero, luce rossa aggiuntiva utilissima. Contro: 90 minuti di attività a piena potenza sono pochi.

 

 

 

© Riccardo De Conti


Squalificata per doping la vincitrice della OCC

Lo spettro del doping torna ad aggirarsi sul trail running. È notizia di questi giorni che la vincitrice della OCC, la keniana Joyline Chepngeno, è stata squalificata perché trovata positiva al triamcinolone acetonide, un corticosteroide. La sostanza è ststa rilevata durante un controllo il 9 agosto alla Sierre-Zinal, vinta dalla Chepngeno. L’atleta ha ammesso l’assunzione della sostanza e tutti i risultati successivi (Sierre-Zinal e OCC) sono stati cancellati. La Athletics Integrity Unit (AIU) l’8 settembre ha inoltre deciso la sospensione di due anni e Salomon, sponsor tecnico della keniana, ha annullato il contratto. La nuova classifica della OCC vede al primo posto la cinese Miao Yao, davanti alla svizzera Judith Wyder e alla connazionale Maude Mathys.

 

© World Mountain Running Association/Marco Gulberti


Kilian Jornet entra nei San Juan e supera le 1.000 miglia nello States of Elevation

Con la lunga tappa (la decima) che lo ha portato da Creede fino al San Luis Peak, Kilian Jornet – che sta concatenando by fair means 67 vette oltre i 14.000 piedi (circa 4.200 metri) di Colorado, California e Stato di Washington, ha raggiunto un traguardo simbolico: più di 1.000 miglia percorse, 200.000 piedi di dislivello positivo (oltre 1.600 chilometri e 61.000 metri) e più di 200 ore di attività accumulate.
Dopo aver completato la catena dei Sangre de Cristo, lunedì si è spostato verso le San Juan Mountains, un territorio che conosce bene grazie alle cinque partecipazioni alla Hardrock 100. «Questa volta sarà bello vivere qualcosa di diverso» aveva anticipato prima della partenza.
La decima frazione del progetto States of Elevation è iniziata al mattino in sella alla bici, con circa 107 km pedalati fino al villaggio di Creede. Da lì è partito un impegnativo tratto a piedi di circa 44 km, lungo il Continental Divide Trail, che lo ha portato fino ai 4.267 metri del San Luis Peak, uno dei celebri Fourteeners del Colorado. La giornata si è chiusa con un’ulteriore sezione in bici fino al campo notturno, sotto un cielo limpido e circondato dai colori autunnali. Una tappa faticosa ma anche tra le più spettacolari finora, grazie alla varietà dei paesaggi attraversati e all’atmosfera unica delle montagne del Colorado.

Dopo le prime tre tappe Kilian ha raggiunto il Mount Massive (4.398 m) e il Mount Elbert (4.401 m), per poi spostarsi in bici da Twin Lakes ad Aspen (54 miglia). Poi è venuto il momento della Elks Traverse, che unisce in circa 80 km sette Fourteneers: Capitol Peak, Snowmass, Maroon Peak, North Maroon Peak, Pyramid Peak, Conundrum Peak, e Castle Peak. Mancava ancora uno dei percorsi più iconici tra Fourteeners, la Nolan’s 14, una traversta che tocca ben 14 vette. Due in realtà Kilian le aveva già raggiunte (i già citati Mount Massive ed Elbert), per il resto del percorso si è fatto accompagnare in parte dal fondatore del marchio di orlogi GPS Coros, Lewis Wu, e dall runner Sage Canaday. Ma c’è stato un terzo compagno meno gradito, il maltempo, con temporali e bufere di neve. A Pikes Peak invece Kilian ha potuto confrontare il suo tempo con quello di sei anni fa, quando ha vinto la Pikes Peak Marathon: oggi 3 ore e 45 minuti, allora 3 ore e 27 minuti. Peccato che nel 2019 non avesse nelle gambe altri 33 Fourteeners

 

© Nick Danielson