di Giorgio Daidola
I film di sci (in essi comprendo anche quelli di snowboard) non mancano certo sul web, ma pochi raggiungono festival importanti come quello di Trento, da poco conclusosi. I motivi sono molti, il principale è forse che il maggior numero di opere dedicate allo sci e allo snowboard hanno contenuti puramente commerciali. Sta di fatto che mentre nel primo Film Festival di Trento del lontano 1952 i film di sci rappresentavano il 28% di quelli ammessi, sono ormai anni che questa percentuale è scesa sotto il 5%. C’è inoltre un disinteresse sempre più evidente nelle giurie ufficiali a premiare film di sci, come fossero espressione di un alpinismo di serie B, o di una pratica ludica e consumistica tipica dei lunapark in quota che ha ormai fatto il suo tempo. Secondo molti esperti di turismo invernale che non sanno distinguere le code dalle spatole, lo sci avrebbe perso la sua centralità nella pratica della montagna invernale e purtroppo le giurie pare che abbiano fatto tesoro di questo modo di pensare. Sono insomma un lontano ricordo i tempi in cui a Trento venivano premiati film di sci di indubbio valore. Come ad esempio La decisione di Gerhard Baur, Genziana d’Argento 1985 che in soli dieci minuti dice tutto sullo sci estremo.
Oggi sono cambiati profondamente i criteri di valutazione delle opere e si preferisce premiare lungometraggi e cortometraggi impegnati, con elevate qualità cinematografiche su problematiche ambientali, storiche, culturali, economiche o sociali. Opere che talvolta non riguardano neppure le terre alte. Opere importanti, per carità, ma spesso, mi riferisco in particolare ai lungometraggi, soporifere per gli spettatori. Così anche quest’anno nessun film di sci ha avuto riconoscimenti dalla giuria ufficiale che aveva il compito di valutare i 22 film in gara, di cui uno solo di sci. Sul totale dei 126 proiettati nelle diverse categorie (compresa quella dei 22 in gara) solo 6 erano di sci o di snowboard e decisamente alcuni di essi erano di indubbio valore. È il caso di Painting the Mountains sulla prima ripetizione della salita e discesa in sci della Rampa Whillans sull'Aguja Poincenot, in Patagonia, a opera di Aurélien Lardy, Vivian Bruchez e Jules Socié, facilmente visibile su YouTube e oggetto di un ampio articolo su Skialper 153 di ottobre 2024. Se ne è accorta una giuria speciale, quella del premio Ritter Sport-Emozioni in montagna, definendolo un’opera che va ben oltre il semplice documentario sportivo.
Il pubblico ha invece premiato il lungometraggio norvegese Ski-The greatest ski tour of all time, compreso nei 22 in concorso. Non si tratta di una vera traversata con gli sci come il titolo potrebbe far pensare, ma di un concatenamento di ben 27 salite e discese ripide nella penisola norvegese di Lyngen, che inizialmente il freerider norvegese Vegard Rye pensava di compiere senza dir niente a nessuno. Alla fine Vegard cede alle lusinghe dell’amico Nikolai Shirmer, anche lui sciatore professionista oltre che filmaker, e accetta di girare un film sull'exploit. Ne sono risultati ben 96 minuti, davvero troppi per una storia del genere, di salite e discese all’insegna della velocità, della spettacolarità, ma anche della ripetitività, accompagnati da un’assordante colonna sonora. Ovviamente deve essere piaciuto ai giovani in sala per meritare questo ambito premio. Personalmente ho fatto fatica a vederlo tutto.
Sono invece passati quasi del tutto inosservati altri due film di sci decisamente pregevoli: Transcardus, a balkanski story di Elisa Bessega e Pachamama di Yannick Boissenot. In
entrambi i film vengono espresse molto bene le emozioni del viaggiare con gli sci alla ricerca di un modo di vivere le montagne bianche tutto fuorché banale. Fra i protagonisti, in entrambi i casi
grandi signori dello sci ripido, troviamo Enrico Mosetti il Mose nel film di Elisa Bessega e un team formato dagli chamoniardi Julian Casanova, Pierre Hourticq e Camille Armand nel film di Yannick
Boissenot. Il delicato film di Elisa Bessega esprime molto bene il fascino di una traversata inedita di un centinaio di chilometri della catena dello Sharr, in Kosovo, ai confini con la Macedonia e l’Albania. Si tratta di una vera haute route di altri tempi, con grandi zaini con tutto il necessario per campeggiare sulla neve. La performance è intervallata da sciate da manuale del Mose in stile freeride lungo canali ripidi e da una visita alla stazione invernale decadente di Brezovica. A questa traversata il Mose ha dedicato un bell’articolo pubblicato nel numero 153 di Skialper, lo stesso numero del pezzo sulla Rampa Whillans sopra citato.Il film di Yannick Boissenot racconta un viaggio di 5.000 chilometri lungo le Ande argentine alla ricerca di linee ripide mai sciate prima. Un sapiente uso dei droni permette di raggiungere livelli di rara spettacolarità. Da notare che Boissenot non è solo un bravo regista, ma anche un grande specialista di sci ripido e ha quindi potuto trasferire nel film tutta la sua esperienza nella scelta delle linee e nelle tecniche di ripresa. Pachamama è senza dubbio uno dei film di sci ripido più spettacolari che siano mai stati realizzati.
Un altro film di sci e di snowboard non premiato al Film Festival è Circle of madness di Christoph Thoresen. I protagonisti sono due superstar del freeride-freestyle che non hanno bisogno di presentazione: Markus Eder e lo snowboarder Victor de Le Rue, fratello minore dell’intramontabile Xavier. Circle of madness permette davvero un’abbuffata incredibile di pazze bravure dei due assi sulla neve. Da notare che anche in questo caso il regista è un freestyler professionista, fattore che ha aiutato non poco a far risultare la spettacolarità delle performance dei protagonisti. Al tempo stesso non ha però evitato di cadere in una certa ripetitività di capriole e rotazioni. Seppur tutte di altissimo livello, qualche sforbiciata qua e là sarebbe stata a mio avviso opportuna…
Infine Qivitoq: un film di 67 minuti in cui lo snowboarder francese quarantenne Mathieu Crepel, già campione del mondo di big air e halfpipe, ritorna a Tasiilaq, in Groenlandia, dove aveva girato, quando aveva solo 10 anni, Kallaallit Nunaat (che significa Groenlandia), diventato un film di culto per un’intera prima generazione di snowboarder. Il nuovo film, ricco nei contenuti oltre che professionale nella fattura, rappresenta un viaggio introspettivo che permette a Mathieu di riflettere sui profondi cambiamenti sociali e ambientali della Groenlandia, senza mai cadere troppo nella trappola della nostalgia.
Foto copertina © Michele Purin