Gia' disponibile Skialper 104 di febbraio-marzo

Un numero completamente ristilizzato e ricco di proposte interessanti

La neve si è fatta desiderare nell’inverno più secco che si ricordi e la copertina di Skialper di febbraio-marzo (già disponibile per il download su app iOS e Android), uno scatto dalle tinte nordiche del fotografo Mattias Fredriksson, ha un unico strillo, dedicato all’alta pressione che ha interessato il continente in questi mesi. Un tema che torna anche nell’editoriale di Davide Marta, ‘Fragole a dicembre’, corredato da una insolita foto di Damiano Lenzi che scia… sulle foglie. Una paginetta per riflettere, non solo sul climate change ma soprattutto sull’ansia della nostra società che vorrebbe tutto (la neve) subito (all’Immacolata) e nelle giuste condizioni e che a gennaio già pensa al mare

RESTYLING - Prima di affrontare gli argomenti del numero 104, un gradito regalo per i nostri affezionati lettori: Skialper è tutto nuovo. La rivista è infatti stata sottoposta a un restyling completo, con un layout più pulito, che valorizza ancora di più i contenuti fotografici e facilita la lettura. Un ‘ritorno al futuro’ all’insegna della semplicità.

LEGGERI IN SALITA? - È l’eterno dilemma dello skimo race (e non solo). Attrezzi sempre più leggeri ma, quanto si guadagna in termini di affaticamento e sforzo fisico? Nessuno aveva mai provato a determinare il costo energetico della diversa attrezzatura tranne il nostro ‘Doc’ Massimo Massarini che ha organizzato un test scientifico su 350 m di dislivello positivo con sci (Ski Trab) dal gara al touring scoprendo che… Le foto che documentano l’esperimento sono di Alo Belluscio.

MADE IN THE ITALIAN ALPS - La Sportiva e Ski Trab hanno raggiunto un importante accordo che di fatto crea il polo dello skialp italiano. Gli sci dell’azienda di Ziano di Fiemme saranno i Trab made in Bormio con una speciale serigrafia all’insegna del total look Laspo. Ne abbiamo parlato con Lorenzo Delladio e Adriano Trabucchi, gli artefici dell’agreement.

NTN - La nuova parola magica significa New Telemark Standard. Stiamo parlando degli attacchi per lo sci a tallone libero che, sulle orme dei Freedom e Freeride di Rotteffella, diversi costruttori stanno lanciando sul mercato. Modelli che possono essere un’alternativa anche per la pratica dello skialp ‘free heel’. A patto di trovare il giusto set-up con lo scarpone adatto tra quelli presenti sul mercato (ce ne sono alcuni anche con i pin). A valutare affidabilità e possibili utilizzi di questi bindings ci ha pensato Emilio Previtali.

GOULOTTE CHE PASSIONE - Che il nostro collaboratore Marco Romelli fosse un appassionato e grande conoscitore del Monte Bianco lo sapevate già. Questa volta presenta ai lettori di Skialper tre goulotte, in ordine di difficoltà, da non perdere per gli amanti del genere.

RIPIDO ALLA VALTELLINESE - Di lavoro fa il gestore di un rifugio ma appena può si lancia sui pendii più belli (e ripidi) della sua Valtellina. Carlo Battista Mazzoleni presenta sei itinerari steep & deep da non perdere, con l’approvazione di un pioniere del ripido locale come Mario Vannuccini.

POLVERE DELL’EST - Ci hanno girato anche un film della Teton Gravity… quindi Sella Nevea sarà un bel posto per skialp e freeride. O no? Leonardo Comelli presenta cinque itinerari doc nella località friulana.

OPPEL - Un canale, un bivacco, una frana che lo distrugge. E l’impresa di due amici, uno nipote dell’alpinista al quale il bivacco era dedicato, che scendono il ripido canale con gli sci. Siamo sull’Antelao, vicino a Cortina.

GERRY E MATTIA - Stiamo parlando di Davide Terraneo e Mattia Varchetti, probabilmente già conosciuti dai lettori di Skialper, soprattutto Davide che è anche collaboratore. Già, però essendo collaboratore non si parla mai di lui e delle sue discese di ripido… Eccolo accontentato con l’amico Mattia, cresciuto sciisticamente e alpinisticamente insieme.

GEORGIA THE LAST PARADISE - Luca Pandolfi vi dice qualcosa? Lo snowboarder ormai stabilitosi a Chamonix ci porta alla scoperta (con le stupende foto di Matteo Calcamuggi) della polvere di questo Paese caucasico che sembra proprio essere la prossima frontiera dello sci in neve fresca. 

FORNI - La zona dei Forni, in alta Valtellina, è il luna park dello skialp, probabilmente uno dei comprensori più famosi al mondo per le pelli. Però il nostro Guido Valota ci porta alla scoperta di qualche itinerario inedito, magari sconfinando anche al Gavia…

WHITELAND - A ottobre eravamo andati a visitare la bottega artigianale dove vengono sfornati solo pochi sci, costruiti con maniacale cura. Ora abbiamo messo Balma e Zube sulla neve per vedere come vanno i due modelli di Whiteland. 

SPLITBOARD - Di neve in giro ce n’è poca però nella sezione splitboard della rivista Ettore Personnettaz racconta la sua esperienza nel canale della Virgola, nella valle del Gran San Bernardo, mentre Luca Albrisi ricorda una bella gita della scorsa stagione. Rigorosamente con le split ai piedi.

AL DI LÀ DEL BENI - Bendikt Böhm, manager Dynafit, ex fondista e scialpinista agonista, alpinista… Un personaggio che a 38 anni ha già raggiunto traguardi che basterebbero a rendere interessante la vita di una decina di persone in gamba… Lo ha intervistato il nostro Guido Valota.

ISPO - Tutti si buttano sullo skialp, era la parola d’ordine alla fiera ISPO di Monaco di Baviera, ma il mercato è grande abbastanza per accontentare produttori artigianali e big player degli sport invernali? È quello che ci domandiamo nelle 15 pagine dedicate alla fiera dove naturalmente presentiamo le principali novità dell’inverno che verrà con le foto di Federico Ravassard.

PREVIEW - Le novità 2016/17 di Scott, Movement e Picture.

MILLET TOUR DU RUTOR EXTREME - Quattro pagine dedicata alla classica Grande Course in programma a inizio aprile in Valle d’Aosta. 

UP & DOWN - Particolarmente ricca la sezione dedicata alle gare, dai report delle tappe di Coppa del Mondo di Albosaggia e Andorra, all’opinione di Fabio Meraldi sulle critiche di Kilian alla ISMF per la mancata classificazione ex-aequo con Michele Boscacci alla Valtellina Orobie. Proprio Boscacci è l’atleta intervistato, ma non mancano botta e risposta con Raffaella Rossi, Alba De Silvestro e Nicola Pedergnana. E poi il parere di quattro atlete sul movimento femminile e quello di cinque organizzatori sui calendari sempre più affollati. Senza dimenticare il report in presa diretta dalla Vibram Hong Kong 100, prima gara del circuito Ultra Trail World Tour. 

DISPONIBILE ANCHE SU APP - 
Skialper di febbraio-marzo sarà disponibile nelle migliori edicole nei prossii giorni ed è gia sull’apposita app per dispositivi mobili. Per ogni info si può scrivere una mail o chiamare il numero 0124 428051. (Per la pagina abbonamenti cliccare qui). Per chi lo volesse acquistare la copia su smartphone o tablet, è sufficiente scaricare la app per iOS o Android e procedere all’acquisto direttamente in-app!  


A proposito di livello di pericolo 3

Ha fatto discutere il testo pubblicato qualche giorno fa, torniamo sul tema

Sono tre mesi che aspettiamo la neve e adesso, che finalmente è arrivata, i soliti benpensanti ci avvertono che c’è pericolo e che non si deve andare. 
Anch’io sono sicuramente incluso tra i benpensanti perché invito ad avere coscienza del pericolo e coscienza vuol dire percezione, vuol dire consapevolezza, comprensione, capacità di giudizio. Queste non sono virtù ma solo capacità individuali che permettono di agire senza affidare la nostra vita alla fortuna o, ancor peggio, alla legge di Murphy: se esiste anche una sola possibilità che una cosa vada male, una volta o l’altra andrà male, forse già la prossima volta.

Pericolo
Situazione o motivo cui sono associati uno o più elementi capaci di compromettere l’incolumità di una persona.

Instabilità (del manto nevoso)
Condizione d’incertezza e precarietà dello stato del manto nevoso, con tendenza a subire repentine alterazioni e cedimenti al mutare delle condizioni di temperatura e/o pressione.

SCALA DELL’INSTABILITÀ -
 Sono convinto che se, per indicare le condizioni del manto nevoso, fosse in uso una scala dell’instabilità, anch’essa su cinque livelli (di instabilità) secondo una progressione tale che la differenza tra un livello e quello immediatamente precedente sia una costante, l’indicazione di livello 3 ‘manto nevoso marcatamente instabile’ sarebbe accettata come una situazione a cui non si può porre altro rimedio che attendere che si modifichi verso condizioni migliori. Viceversa, se si parla di ‘pericolo marcato’, si scatena un putiferio, dal mugugno (sordo brontolio di malcontento) alla protesta (energica disapprovazione, sino all’opposizione). Probabilmente perché nel primo caso si parla soltanto della condizione fisica di un materiale, mentre nel secondo sembra che chi redige il Bollettino Valanghe voglia mettere in dubbio il coraggio e la forza d'animo dell’appassionato, virtù che (ne è pienamente convinto) gli permettono di affrontare e dominare situazioni scabrose e difficili.

STATISTICHE - Eppure le statistiche del CNSAS sono di facile lettura: su 100 incidenti mortali, oltre 70 si sono verificati quando i Bollettini indicavano livelli di pericolo 2 e 3.
Il problema non sta nella ‘scala’ che, peraltro, non nega la possibilità di andare in escursione, infatti (livello 3) dice solo che le possibilità per le gite sciistiche sono limitate, ma nella frase che segue: è richiesta una buona capacità di valutazione locale. Questa frase mette in ballo la capacità di giudizio dell’escursionista e nessuno vuole accettare la responsabilità di un giudizio errato perché, in caso d’incidente, anche senza vittime, si troverebbe automaticamente indagato per reato di pericolo, perché il semplice fatto di provocare una valanga è un reato contemplato dall’art. 426 del Codice Penale: Chiunque cagiona una inondazione, o una frana, ovvero la caduta di una valanga, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.

SAPERE LEGGERE IL BOLLETTINO - Non limitiamoci a sbirciare il Bollettino e a controllare soltanto il livello di pericolo; leggiamolo invece per intero e vi potremo trovare frasi come questa: Il manto nevoso si presenta irregolare nello spessore e nella distribuzione, con ampie zone erose anche fino al suolo in corrispondenza di dorsali e creste e accumuli significativi in conche, avvallamenti e nei pressi di colli, cambi di pendenza e al di sotto delle creste. Questa frase non ci dice che non dobbiamo andare, ma ci indica su cosa portare la nostra attenzione; è un invito a guardare la montagna con attenzione, a individuare quegli indizi che faranno sorgere il sospetto di inoltrarci in una zona instabile. E ancora: Sui versanti ombreggiati ed in quota sono presenti accumuli recenti in via di indurimento, sastrugi e croste da vento nelle zone erose, con rari tratti di farina compressa nei punti più riparati, mentre sui versanti al sole, dove lo spessore del manto è ridotto o assente fino a quote elevate, le croste da vento e i lastroni soffici di neo formazione si alternano a croste da fusione e rigelo. 

LEGGERE IL PAESAGGIO - Siamo stati capaci di leggere il Bollettino, ma siamo capaci di ‘leggere il paesaggio’?  Siamo capaci di renderci conto dell’esistenza degli accumuli, della direzione da cui spirava il vento indicata dai sastrugi o dalle cornici?  Se siamo capaci di farlo sapremo riconoscere un pendio potenzialmente pericoloso. Già, quando saremo coscienti dei guai in cui potremmo incorrere, ci renderemo pure conto che dovremo prendere la decisione ‘vado - non vado’, ma questo coinvolge la nostra responsabilità, cosa che preferiamo evitare. E allora … allora dai addosso a chi redige i bollettini, perché ‘è troppo prudente’, impreca contro chi ti avverte dei pericoli e t’invita alla circospezione, perché ‘è un cacasotto’.  La prudenza non è l’anticamera della paura, ma è a capacità di dirigere l'intelletto in modo da discernere ciò che è corretto da ciò che è errato.

FORMATI, INFORMATI E OSSERVATORI -
 E allora ripeto qui quanto ho già detto in occasione di una recente intervista.
Rendiamoci conto che per andare in montagna correndo il minor rischio possibile occorre:
a)  Essere formati, cioè possedere un buon bagaglio di conoscenze di base;
b)  Essere informati, ossia aver assunto le opportune informazioni relative all’ambiente; (inclinazione, morfologia, copertura vegetale,…) e alla situazione meteo-nivologica presente e alla sua evoluzione prevista.
c)  Essere osservatori, ovvero guardarsi intorno e mettere a confronto ciò che si vede con ciò che sappiamo (formazione) e con ciò che ci ha detto il Bollettino (informazione).

«La storia dell’umanità è sempre più una sfida tra la preparazione e la catastrofe»
(H. G. Wells).
Se sei formato, informato ed attento, puoi andare in montagna senza che il tuo modo di agire sia una sfida, altrimenti leggiti questi versi di Omero (Odissea): ‘Incolperà l’uom dunque sempre gli dei? - Quando a se stesso i mali fabbrica , - dei suoi mali a noi dà carico - e la stoltezza sua chiama destino’.


1500 chilometri di corsa per solidarieta’

Franco Zomer tentera’ di attraversare quattro deserti in un anno

Solo una quarantina di persone ce l’hanno fatta. Namibia, Gobi, Atacama e Antartica: quattro deserti (uno di ghiaccio…), più di 1.500 km da correre in situazioni estreme, nello stesso anno solare (www.4deserts.com). Con l’aggiunta di una quinta gara, che nel 2016 si correrà in Sri Lanka. E di un altro grande slam, la versione plus, che prevede di portare a termine anche la quinta gara…

IMPRESA PER POCHI - Solo tre uomini ce l’hanno fatta, due canadesi e un americano. Quest’anno al via per tentare l’impresa ‘plus’ ci sarà anche il presidente e fondatore dell’ASD Maratonabili (la squadra di runner che corre le principali maratone e mezze spingendo le carrozzine di ragazzi disabili (www.maratonabili.org). Si chiama Franco Zomer, ed è un osteopata di Prato, più volte finisher del Tor des Geants, della Marathon des Sables e di diverse altre corse estreme. Il primo appuntamento è fissato per il 14 febbraio con la partenza della ‘Roving Race’: 250 km nello Sri Lanka. Franco è pronto, col solito sorriso sulle labbra e l’immancabile parrucca arancione.

OBIETTIVO SOLIDARIETA' - Una corsa per amici speciali: «I tanti anni nei Maratonabili mi hanno insegnato che si può correre davvero in mille modi. E mi hanno anche un po’ viziato… non mi basta più correre solo per me, per il mio animo, per il mio star bene. Per me la corsa è stare insieme, è ritrovare il senso delle amicizie più vere, è il tempo per pensare e accorgersi delle cose belle di cui siamo circondati. Vorrei che anche queste gare fossero corse ‘per’ e ‘con’ la squadra, per consentire a tutti di vivere le emozioni che questo sport, l’aria aperta e lo stare insieme riservano». E così Franco ha pensato di lanciare un’unica grande raccolta fondi lunga quanto la sua avventura e di aprire un blog con cui aggiornare tutti sul day by day di ogni impresa e raccogliere fondi per l’associazione.
www.francozomer.it - bit.ly/raccolta_fondi


Roulette russa con tre proiettili nel tamburo

Ecco un paragone calzante per il livello 3 nel bollettino nivometeorologico

Avete aspettato tanto le prime nevicate e non vogliamo certo fare i guastafeste. Ma leggendo il bollettino dell'AINEVA questa mattina ci è sermbrato doveroso riproporre l'articolo pubblicato sul numero di dicembre della nostra rivista Skialper (numero 104, pagina 30) a firma del nostro super-esperto di nivologia, Renato Cresta.

«Organizzato dall’ARPA Piemonte, lunedì 16 novembre si è tenuto a Torino il convegno ‘Sicuramente sulla neve, conoscenza e informazione per ridurre il rischio di incidenti da valanga’. Il titolo del convegno richiama correttamente il concetto di riduzione del rischio, ma alcuni relatori hanno convintamente parlato di ‘andare in sicurezza’ e di ‘aumentare la sicurezza’, aggiungendosi a coloro che, già da tempo, parlano di montagna sicura. Poiché la sicurezza, dizionario alla mano, è una ‘condizione oggettiva esente da pericoli’, considero improprio e fuorviante l’uso di questo termine, perché sono convinto che non esista nessuna montagna priva di pericoli. È mia opinione che sia necessario quindi riprendere la riflessione sulla riduzione del rischio, per fare comprendere a chi pratica le attività sportive della montagna che deve sempre confrontarsi con il pericolo, cioè con ‘situazioni cui sono associati uno o più elementi capaci di compromettere l’incolumità’. Nel corso dei lavori, qualche relatore ha seguito questo orientamento facendo accenno alla prevenzione, cioè a quell’azione diretta a impedire il verificarsi di fatti dannosi che possono condurre all’incidente, ma gli argomenti della diffusione dell’informazione e dell’incremento della conoscenza del pericolo valanghe non sono stati abbastanza approfonditi. Ritengo che, tra le azioni preventive, meriti piena lode il Bollettino Valanghe e che questo sia un gran merito dei diversi Enti Regionali che se ne occupano. 

Maria Cristina Prola, con una convincente presentazione, ha mostrato il complesso (e oneroso) sistema organizzativo di raccolta dei dati nivo-meteorologici che permette di redigere il testo del Bollettino, che ora si presenta anche con una nuova veste grafica, molto chiara e ben comprensibile. Ciò nonostante, ha ricordato che il 73% degli incidenti mortali dell’inverno 2014/15 si è prodotto con il livello di rischio 3. Poco dopo Davide Viglietti, commentando l’attività valanghiva dello stesso periodo, ha illustrato una situazione tragica che, durante un inverno moderatamente nevoso, ha raggiunto il quarto posto nella statistica di incidenti mortali avvenuti negli ultimi trent’anni.

Durante la tavola rotonda pomeridiana, condotta da Roberto Mantovani, giornalista e scrittore di montagna, gli invitati alla discussione hanno esposto i loro personali punti di vista, ma tutto è rimasto a livello d’idee e di pareri, senza giungere a una proposta concreta e convincente. Per questo motivo, nello spazio di tempo concesso agli interventi del pubblico, ho chiesto la parola e, tra altri argomenti che proverò a esporre in altra occasione, ho fatto osservare che, nel corso dei lavori, era stato appena sfiorato, e con una sfumatura negativa nei confronti della Magistratura, il rischio di finire travolto dalla ‘valanga di guai’ di un procedimento penale. Voglio ricordare che l’intervento del magistrato non è un capriccio, ma un atto dovuto in ogni occasione in cui riceve un verbale nel quale l’Ufficiale di Polizia Giudiziaria segnala un incidente e indica quel o quei soggetti che, a suo parere, possono avere concorso al verificarsi dell’incidente.

Poiché nel corso dei lavori si è accennato a una revisione dei parametri che conducono alla valutazione del livello di pericolo, ho ricordato che, nella mia attività di Consulente Tecnico, durante i procedimenti giudiziari ho sovente visto sollevarsi la diatriba sul significato del livello indicato con 3 sulla scala del pericolo. In queste occasioni mi sono reso conto che la maggior parte degli utilizzatori del Bollettino intende in senso astratto il concetto di pericolo e che il livello 3 non viene interpretato come un reale avviso di pericolo, ma come eventualità di incappare, per puro caso, in un incidente. Solitamente, durante i procedimenti giudiziari, i difensori sostengono che, su una scala di 5, il livello 3 deve essere inteso come pericolo medio; io ritengo che questa sia un’interpretazione priva di senso. Infatti, se si è convinti di ciò, poiché medio è ciò che ha una posizione o un valore compreso fra punti di riferimento estremi, ne consegue che la situazione di pericolo è al 50%; da questa interpretazione deriva che andare in montagna con il livello 3 è come giocare alla roulette russa ma, per rispettare il 50% di rischio, il tamburo del revolver deve contenere tre cartucce invece di una.

Vi ricordate che i primi pennarelli evidenziatori si chiamavano Marker? Ebbene, l’aggettivo marcato, che sempre accompagna il 3, sta correttamente a indicare che le condizioni del manto nevoso sono in una condizione particolare, che la distingue (negativamente) dalla stabilità, come confermano i sinonimi accentuato, sottolineato, evidente… Ho concluso questo argomento del mio intervento dicendo che, a mio parere, il concetto di ‘scala del pericolo’ è equivoco e che sarebbe preferibile sostituirlo con il principio di ‘codice di instabilità’, un codice nel quale il numero perde il senso di valore ma rimanda alle reali condizioni di equilibrio del manto nevoso, come il codice di colori in uso per definire le condizioni di salute di un infortunato.
 
In questo modo, forse, leggendo il Bollettino Valanghe, potremmo renderci conto che, quando segnala il livello 3, chi l’ha redatto, non si riferisce a un pericolo teorico e indefinito, ossia a una circostanza fortuita e imprevedibile, ma a una situazione concreta, ossia a una probabilità di incappare in una delle numerose nicchie di instabilità presenti sui versanti montani. Di conseguenza, la frase ‘è richiesta una buona (liv. 3) o una grande (liv. 4) capacità di valutazione locale’, che compare sempre sul Bollettino, non è un semplice consiglio, ma un chiaro invito all’assunzione di responsabilità. È una mia raccomandazione, invece, l’invito a leggere e valutare il Bollettino nella sua integrità ricordandovi che, se non lo farete voi, lo farà il Consulente Tecnico del Giudice e quest’ultimo non accetterà la scusa del malinteso, mentre l’accusa andrà alla ricerca di prove di imprudenza, negligenza e imperizia che sono le tre ombre che volteggiano sul capo dell’indagato per tutta la durata del procedimento. 
 
Provate a leggere la scala del pericolo secondo questa interpretazione di codice di instabilità.
1 - DEBOLE - Manto nevoso generalmente consolidato e stabile. Sono presenti alcune locali nicchie di instabilità sui pendii indicati nel testo.
2 - MODERATA - Manto nevoso non completamente consolidato. Sono presenti diverse nicchie di instabilità sui pendii indicati nel testo.
3 - MARCATA - Manto nevoso scarsamente e difformemente consolidato, con numerose e diffuse nicchie di instabilità, sui pendii indicati nel testo.
4 - FORTE - Manto nevoso debolmente consolidato e poco stabile sulla maggior parte dei pendii indicati nel testo.
5 - ELEVATA - Manto nevoso generalmente instabile.

Ps Il termine 'nicchia' vuole intendere una superficie circoscritta nella quale il succedersi dei fattori nivologici e climatici ha causato una condizione della neve discorde e inferiore rispetto a quella che caratterizza il pendio circostante».

 

A proposito di valanghe e reparti militari

La recente tragedia in Francia ricorda un episodio del 1931

La recente valanga che ha travolto 11 legionari francesi in Val Frejus, provocando la morte di cinque e il ferimento di sei di loro, mi ha richiamato alla mente una valanga che, nel gennaio del 1931, si è abbattuta su un reparto di alpini che erano in esercitazione nella vicinissima Valle di Rochemolles, a neppure 10 km di distanza.

LA TRAGEDIA DEL 1931 - Dalla ‘Storia delle Truppe Alpine’, curata dal Generale Emilio Faldella, traggo e sintetizzo queste notizie. Con giorni di tempo bellissimo e temperatura attorno ai 20 °C, un intero battaglione, il Fenestrelle, è impegnato in un’esercitazione alla testata della Valle di Rochemolles. Il 24 gennaio le punte avanzate, compreso il Comando del Battaglione, raggiungono il Rifugio Scarfiotti (2.156 m) ma, improvvisamente, il tempo si guasta: a Bardonecchia la temperatura passa da - 20° a + 5 e in basso piove mentre in alto nevica, una pessima neve, bagnata e pesante. Le due compagnie arretrate, che già avevano raggiunto la diga, ricevono l’ordine di rientrare e, faticosamente, tornano a valle. A causa del maltempo, le staffette che hanno portato l’ordine, non riescono a raggiugere il reparto avanzato, che resta in quota. In alto la situazione non sembra grave perché la temperatura torna sottozero e sulla neve si forma una sottile crosta ghiacciata, ma il maltempo sale dal basso e, dopo un breve intervallo, riprende a nevicare con temperature sopra zero. Le truppe in quota entrano in crisi: non hanno collegamenti con il basso, non hanno ricevuto i rifornimenti di viveri e molti uomini devono passare la notte all’addiaccio perché il rifugio è troppo piccolo per accogliere tutti. 

LA PRIMA VALANGA - Il mattino del 26 gennaio il Maggiore Piccato, che è con le truppe avanzate, decide autonomamente di rientrare e il reparto si mette in marcia, tenendosi sul fianco sinistro della valle ma, alle 10.45, dal versante destro si stacca una valanga che ha un fronte di 400 m; la massa di neve risale per un centinaio di metri il versante opposto e investe la testa della colonna. Altre valanghe si staccano subito dopo, ma non travolgono altri uomini. I superstiti s’impegnano nella ricerca dei travolti e alcuni alpini sono tratti in salvo. Il Maggiore Piccato lascia al Capitano Lajolo il comando delle ricerche e, con una pattuglia di alpini, scavalca la valanga e raggiunge la diga, dove trova un reparto che, sebbene all’oscuro della tragedia, si è già mosso incontro per prestare aiuto. La situazione meteorologica peggiora, il maltempo diventa una furiosa tormenta e il Capitano Lajolo decide di interrompere le ricerche e risalire al rifugio, dove molti alpini trascorrono un’altra notte all’addiaccio. Dal basso affluiscono i soccorsi che, invece che sul fondo valle, raggiungono la diga tenendosi in quota, lungo i 7 km della condotta forzata dell’impianto idroelettrico. 

LA SECONDA VALANGA - Al Rifugio la situazione è diventata insostenibile e, alle 7 del mattino del 27, il Capitano Lajolo decide di scendere a valle; questa volta tiene il versante sinistro, che le valanghe hanno ormai quasi del tutto ripulito dalla neve. Superata la zona delle valanghe del giorno precedente, la situazione sembra quasi risolta quando un’altra valanga di grandi proporzioni si abbatte sulla colonna travolgendo una quarantina di alpini: una trentina di loro viene subito tratta in salvo dai compagni, ma per altri non c’è più nulla da fare. Il bilancio si sintetizza con la scomparsa di tre ufficiali, due sottufficiali e sedici alpini. 

IERI E OGGI - Solo la vicinanza dei luoghi e la tragica morte di uomini alle armi accomunano le due tragedie, la situazione ambientale è però ben diversa: nel caso degli alpini le valanghe hanno colpito un reparto che era salito in quota con buone condizioni nivo-meteorologiche che, improvvisamente e gravemente peggiorate, hanno obbligato a tentare la discesa a valle. A quei tempi la meteorologia non solo era ben lontana dall’affidabilità dei giorni nostri, ma le previsioni erano finalizzate alla sola sicurezza della navigazione aerea, quindi chi si muoveva in montagna doveva contare unicamente sulla sua esperienza. Meno di un mese dopo, il 23 febbraio 1931, travolto da una valanga mentre scendeva dal rifugio Gino Biasi, nelle quasi sconosciute Alpi Breonie, morirà anche Ottorino Mezzalama, che non era proprio uno sprovveduto, visto che è quel tale che è considerato il padre dello sci alpinismo italiano e al quale è dedicato il Trofeo più prestigioso dello scialpinismo. Non ho informazioni sufficienti per discutere delle responsabilità in merito al caso dell’incidente del Frejus e, se pure le avessi, non avrei nessuna intenzione di farlo. Vorrei solo far osservare che, in questo caso, la situazione era ben diversa da quella della Valle di Rochemolles: da più di 30 anni la Mètéorologie Nationale diffonde quotidianamente numerosi Bollettini Valanghe, ben strutturati e validi per estensioni territoriali contenute, quindi affidabili e ben dettagliati; è superfluo aggiungere che gli attuali mezzi di comunicazione sono ben più veloci delle ‘staffette portaordini’. Ciò nonostante è successo. Come mai?

INCIDENTI PREVEDIBILI -
È quello che sarà appurato dalle indagini e ci vorrà del tempo: nell’immediato vorrei invece che tutti i lettori si rendessero conto che gli ultimi incidenti erano prevedibili da parte di chiunque fosse in possesso di un piccolo bagaglio di cultura sulla neve e, per chi ne fosse stato privo, erano stati chiaramente previsti dagli enti che emettono i Bollettini di pericolo. Nel caso dell’incidente di Les 2 Alpes, era addirittura stato vietato l’accesso alle due piste nere che si dipartono dalla sommità dell’impianto di risalita; era aperta solo una pista molto facile, una stradina che conduce a una nuova pista, una blu, che doveva essere inaugurata proprio quel giorno stesso. Ma al ‘professore’ quella stradina deve essere sembrata banale, per cui ha preferito ignorare i divieti e, invece del buon senso, ha preferito mettere in pratica quella legge estemporanea che, nel maggio del ‘68, ho inteso sbraitare dagli studenti di una Parigi in rivolta, nella quale mi trovavo occasionalmente per lavoro: «Il est interdit d’interdire». Il professore è ora incriminato di omicidio colposo, ma prima ancora di chiedermi quale sarà la sentenza mi sorge spontanea la domanda: che razza di educatore è quel professore?  


La strana situazione nivologica di queste settimane

Il parere del Capitano Cresta sugli episodi di valanga e sulle condizioni

La cronaca recente ci ha regalato diverse valanghe, alcune con grande risalto sui media. Ecco il parere del nostro esperto Renato Cresta sull’argomento.

CERVINIA - Riporto dai media: 1. Cervinia è stata avvolta dal soffio di una grande valanga che si è staccata verso mezzogiorno. La nuvola ghiacciata è arrivata alle casse della Cervino spa e si è spinta sino a Cielo Alto, spalancando porte e finestre. La valanga era di notevoli dimensioni e molto veloce, per questo ha generato la grande nube, quell’aerosol di aria e neve che ha oscurato il cielo ed imbiancato anche i muri delle case, ma non ha fatto danni perché la massa solida si è fermata a buona distanza dall’abitato e, quando ha raggiunto la zona residenziale, il “soffio” era ormai in fase di stanca.  2. Valanga di grosse dimensioni raggiunge le piste da sci... È accaduto poco dopo le 20 quando la pista era chiusa e nessuno se ne è accorto. La seconda valanga, che ha preso avvio dalle pendici del Cervino, è arrivata sulla pista di sci numero 5, la più facile tra quelle che da Plan Maison conducono a Cervinia e di questa se ne sono accorti solo gli addetti alla battitura. La pista era chiusa e non risultano persone coinvolte.

LES DEUX ALPES - A Les Deux Alpes, sulle Alpi francesi, una valanga si è abbattuta su un gruppo di studenti della Scuola Superiore di Lione Saint-Exupéry in gita con il loro professore. Sono morti due studenti e un ucraino che sciava sulla pista nera di Bellecombe, ma non faceva parte della comitiva.

IL COMMENTO - Della prima valanga su Cervinia c’è poco da dire: è ben conosciuta e, già da molti anni, sono stati portati a termine interventi a difesa che, a mio parere, sono in grado di proteggere la zona antropizzata anche nel caso di valanghe di grandi dimensioni, nel limite del prevedibile. La seconda valanga di Cervinia e quella de Les Deux Alpes hanno invece qualcosa in comune: entrambe hanno raggiunto una pista di sci. I tre morti di Les Deux Alpes sembrano dare ragione ai soliti giudiziosi benpensanti che diranno che non si deve devastare la montagna per attrezzare piste di sci in zone soggette a valanga, il che equivale a dire che si devono chiudere quasi tutte le piste di sci alpino ed anche alcune piste di sci di fondo. Il legislatore, invece e una volta tanto, ha avuto buon senso perché, prima di rilasciare l’autorizzazione all’esercizio di una pista, richiede una perizia tecnica in cui si certifichi che la pista è esente dal pericolo di valanghe per ubicazione naturale o a seguito di adeguate opere di difesa. In altri termini, si ammette che una pista da sci possa essere interessata da fenomeni valanghivi ma si pretende un progetto di difesa, che può essere di tipo strutturale o gestionale.

La difesa strutturale, come si capisce dal nome, si avvale di strutture come opere fermaneve o di deviazione delle masse nevose, mentre la difesa gestionale si basa su un piano di monitoraggio del manto nevoso, condotto da personale qualificato e secondo procedure omologate. Questo genere di difesa prevede che sia quotidianamente accertata la stabilità del manto nevoso e, nel caso si presentino condizioni che fanno presumere l’approssimarsi di criticità, prescrive l’immediato provvedimento di chiusura della pista e, se del caso, anche dell’impianto che la alimenta. Se approvato, l’applicazione delle misure previste da un PIDAV (Piano di Intervento di Distacco Artificiale Valanghe) può abbreviare i tempi di chiusura, provvedendo alla bonifica del pendio instabile mediante il tiro di sostanze esplosive. Teoricamente, quindi, le piste sono sicure ma … ma può sempre esserci l’errore umano da parte di chi deve prendere la decisione o, ed è più frequente, può mettersi in moto l’incoscienza di chi dovrebbe essere tutelato.

La mia formazione nel mondo della neve è iniziata in Francia nel 1974 e, sempre in questo paese, si è consolidata negli anni successivi con corsi di specializzazione e di aggiornamento e, in diverse occasioni sono anche stato convocato anche come formatore degli addetti alla sicurezza. Conosco la serietà dei corsi di formazione e la severità della concessione delle licenze professionali, che sono rilasciate dopo aver superato un esame davanti ad una Commissione Prefettizia piuttosto severa. Nel caso di Les Deux Alpes, le notizie dei media sembrano concordi nell’affermare che la pista era chiusa e, per l’esperienza personale di cui ho appena detto, ritengo molto probabile che la notizia sia corretta.

Ma la stessa esperienza mi fa presumere che anche qui sia successo quanto ho visto un giorno a Monetier les Bains (comprensorio di Serre Chevalier): un maestro di sci ha rimosso un tratto della rete che chiudeva la pista, ha spostato il cartello di divieto ed ha condotto i suoi allievi lungo una pista chiusa per pericolo di valanghe. Nel caso de Les Deux Alpes non si parla di maestri di sci, quindi la responsabilità della sicurezza dei ragazzi gravava solo sul professore che li accompagnava; se le cose sono andate come descrivono i media, starà indubbiamente passando i suoi guai. Certamente è stata aperta un’inchiesta e la ricerca delle responsabilità sarà un problema di giudici, periti ed avvocati che discuteranno e disputeranno a proposito di imperizia, imprudenza, negligenza ed inosservanza di norme. Quattro parole che sono convinto si possano riassumere in unico termine: incoscienza, che altro non è che un atteggiamento o comportamento di colpevole noncuranza o avventatezza. E questi casi non sono pochi, ma è più facile aggirare il problema e parlare di sfortuna oppure di montagna assassina.

GRAN SAN BERNARDO E SEMPIONE - Due valichi delle infames frigoribus alpes di Tito Livio, due passi delle “Alpi dai freddi infami”, ai quali, un poco per passione ed un poco per moda, molti salgono ancora con gli sci e dai quali alcuni scendono con l’elicottero del Soccorso Alpino. Due incidenti da valanga con due vittime al Sempione e quattro al G. S. Bernardo, tutte italiane. Ricordo che uno dei miei primi istruttori di nivologia, l’Ing. Frutiger di Davos, mi diceva: «Quando sentire questo, io diventare tristo». Non ho nessuna intenzione di far umorismo, voglio solo cacciar via il malumore e lo sconforto, lo spleen che queste notizie mi procurano. Cosa dovevano dire i Bollettini Valanghe per far capire che, in quel settore, la situazione era critica? L'intero contesto non era difficile da comprendere, perché è stata servita una vecchia ricetta; eccovela: 

1. Prendete uno strato di non più di 50 cm di neve, caratterizzato da croste da fusione e rigelo sui versanti soleggiati e da cristalli sfaccettati nelle zone in ombra.

2. Aggiungete da 20 a 60 cm neve fresca, distribuendola nelle zone di confine comprese tra A. Cozie Settentrionali e A. Lepontine.

3. Agitate il tutto nello schaker del vento, meglio se sbattete con raffiche di burrasca provenienti dai quadranti occidentali, generando una forte turbolenza.

4. Il cocktail è pronto.

5. Potete servire su tutti i versanti, disponendo casualmente in lastroni soffici, preferibilmente in corrispondenza di combe, avvallamenti e cambi di pendenza.

Forewarned is forearmed, avrebbe detto un inglese, parole che potremmo approssimativamente tradurre con ‘prima avvisato, prima armato’, una formula di messa in guardia equivalente al nostro uomo avvisato, mezzo salvato.  Eppure…    


Filippo Barazzuol ai raggi x

Il motore e l’allenamento dello skialper piemontese su Skialper 103

Quanto è la massa grassa di un atleta top come Filippo Barazzuol? E la frequenza cardiaca massima? Il massimo consumo di ossigeno? Tutte curiosità alle quali risponde il numero in edicola di Skialper con un interessante articolo del dottor Massimo Massarini di Vitalia Salute, che segue la preparazione e valutazione funzionale dell’atleta piemontese. Un articolo ‘ai raggi x’, con le simpatiche foto di federico Ravassard. «Si parte dal laboratorio. Come in un’auto da corsa prima di tutto bisogna conoscere le caratteristiche del motore e del telaio. Il primo test a cui è stato sottoposto Filippo Barazzuol è quindi quello per la determinazione del massimo consumo di ossigeno e delle soglie aerobica ed anaerobica» scrive Massarini nell’articolo pubblicato nella sezione Up & Down della rivista.

FORZA MUSCOLARE - La seconda serie di prove analizza la forza muscolare e la mobilità articolare. Un sistema dotato di accelerometri isoinerziali applicati al corpo dell’atleta permette di tracciare e ricostruire il movimento con assoluta precisione e, nel caso in cui appaiano delle alterazioni o delle asimmetrie, sarà possibile allenare e correggere i movimenti.

ALLENAMENTO E CONTROLLO - Il secondo step del lavoro è quello di pianificare, assieme all’atleta, il piano di allenamento. In genere si formula una proposta di massima per il mese successivo ma si è sempre pronti a modificare i programmi su base settimanale in base al meteo e alle sensazioni sul recupero. Il programma viene trascritto nel sito del cardio-gps usato in modo che sia visibile sia all’atleta che allo staff e controllabile. E i numeri di Barazzuol? Su Skialper c’è tutto, ma proprio tutto…
SALITA - È avvenuta dalla via Migotti, roccia I con tratti di II. Per raggiungere la via, dal rifugio Brentei (ci si arriva in circa 2 ore da Madonna di Campiglio passando dal rifugio Casinei , 3 ore e mezza dalla Val Brenta attraverso la Scala di Brenta) si prosegue verso la Bocca d’Ambiez. L’attacco è proprio prima della Bocca, lungo il tratto finale della ferrata.  



DISPONIBILE ANCHE SU APP - Skialper di dicembre-gennaio è disponibile nelle migliori edicole e su app. Per ogni info si può scrivere una mail o chiamare il numero 0124 428051. (Per la pagina abbonamenti cliccare qui). Per chi lo volesse acquistare la copia su smartphone o tablet, è sufficiente scaricare la app per iOS o Android e procedere all’acquisto direttamente in-app! 



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Steep Cima Tosa

Su Skialper 103 la probabile prima ripetizione del Canalone Ovest

«19 aprile 2015. Era da tempo che Luca percorrendo la strada da Campiglio a Mavignola osservava quella striscia di neve che scende a destra del Crozzon di Brenta. Quel canale inciso nella parete ovest di Cima Tosa, nel cuore del Brenta, è stata sciato negli anni Ottanta da Tone Valeruz, poi le notizie su eventuali ripetizioni si fanno lacunose» Inizia così l’articolo di Wolfgang Hell sulla discesa del Canalone Ovest di Cima Tosa sul numero in edicola di Skialper. 

CINQUANTACINQUE GRADI - 650 metri di dislivello con gli sci su 2.000 complessivi, una calata di una cinquantina di metri e pendenze fino a 55°: questo il menù della discesa di Wolfgang Hell, Luca e Roberto Dallavalle. «Siamo saliti dalla Vedretta dei Camosci per avere un’idea del salto finale, poi su fino in cima dalla via Migotti, molto secca nella scorsa stagione. Per noi sci ripido significa anche ‘by fair means’, vale a dire raggiungere le cime solo con la forza umana, senza alcun tratto utilizzando gli impianti di risalita» ha aggiunto Hell. Si scia prevalentemente nello stretto e la pendenza non molla mai.

SALITA - È avvenuta dalla via Migotti, roccia I con tratti di II. Per raggiungere la via, dal rifugio Brentei (ci si arriva in circa 2 ore da Madonna di Campiglio passando dal rifugio Casinei , 3 ore e mezza dalla Val Brenta attraverso la Scala di Brenta) si prosegue verso la Bocca d’Ambiez. L’attacco è proprio prima della Bocca, lungo il tratto finale della ferrata.  

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Sciata bedda su a muntagna

Su Skialper un ampio reportage sull’Etna con sci e pelli

«Ultima ora di lezione. Sopporto ancora con infinita pazienza i miei clienti inglesi che scoppiano a ridere appena sentono che il loro maestro di sci è siciliano e per la centesima volta in questa stagione mi sento ripetere: ‘Can you ski in Sicily?’. Sorrisetto di circostanza e rispondo: ‘Yes, you can’. A Courchevel, nella stazione dove lavoro come maestro di sci, è ormai fine stagione e, mentre i miei colleghi sono già con la testa al mare e qualche bella spiaggia dove scaldare le ossa, io ho un solo pensiero: chiudere la mia stagione invernale con qualche scialpinistica sulla mia ‘bedda’ montagna: l’Etna!» comincia così l’articolo di Marco Tomasello sull’Etna sul numero di Skialper di dicembre-gennaio. Un reportage da leggere tutto d’un fiato, con le splendide foto di Davide Dal Mas e consigli da insider per salire con le pelli e scendere con gli sci. Marco, infatti, conosce molto bene ‘a Muntagna’ ed è anche guida vulcanologica…

PUNTA LUCIA - Quello di Punta Lucia è uno dei fuoripista più belli del vulcano. 1.700 metri di dislivello tra half-pipe naturali, vecchi crateri e antiche colate laviche per finire con uno slalom naturale tra le betulle, il tutto su una stupenda neve primaverile. Come premio… una grigliata di pesce nel centro storico di Catania e un giro per i numerosi pub del centro.

VALLE DEL BOVE - Il versante sud dell’Etna è la zona più frequentata e conosciuta del vulcano. Complice di tale successo la presenza della funivia dell’Etna che in estate attira migliaia di visitatori e in inverno consente di arrivare a quota 2.500 metri senza usare le pelli di foca. Dopo una breve salita con le pelli, ci si ritrova sull’orlo della Valle del Bove, un enorme anfiteatro vulcanico lungo otto chilometri e largo quattro da dove partono numerosi canalini con pendenze costanti dai 30 ai 40 gradi e dislivelli fino a 1.000 metri quando l’innevamento è buono…

INCREDIBILE ETNA - Quello che rende unico sciare sull’Etna è il passare nello stesso giorno dalla neve e dai fenomeni di un vulcano attivo a un bagno nel mare cristallino, ritrovandosi la sera a passeggiare in città barocche ricche di monumenti e templi testimoni delle numerose culture che hanno attraversato questa splendida isola. Alla faccia degli inglesi…

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Nuova discesa sul M. Bianco per Kilian e Vivian Bruchez

I due hanno sciato il versante sud-ovest dell’Aig. du Chardonnet a Natale

Decisamente un Natale diverso quello di Kilian e di Vivian Bruchez che, proprio nel giorno della natività hanno disegnato quella che è la prima discesa nota della faccia sud-ovest dell’Aiguille di Chardonnet, nel gruppo del Monte Bianco. Un itinerario impegnativo, che unisce sci e alpinismo, con 850 metri di dislivello e pendenze intorno ai 40-45 gradi. In tre punti bisogna disarrampicare, per un totale di una cinquantina di metri. La salita è stata aperta nel 1925 da Armand e Georges Charlet, insieme a Camille Devouassoux e Roger Frison-Roche. Secondo quanto dichiarato da Bruchez a Montagnes Magazine, salita e discesa hanno richiesto otto ore, con un’ora e mezza di discesa e i due avevano già fatto un tentativo a inizio dicembre ma non erano arrivati in vetta. 
 
 

 

Steep Christmas in Chardonnet
Thanks Vivian Bruchez Steep Skier-Mountain Guide to find and share this line, finding snow between rock towers on the west face of Chardonnet. A great way to spend Christmas day!
Posted by Kilian Jornet on Sabato 26 dicembre 2015


Enrico Mosetti, dalle Alpi Giulie al Peru'

Su Skialper intervista a uno dei giovani protagonisti dello sci ripido

Enrico il ‘Mose’ Mosetti, goriziano, leva ’89. Gli sci come gioco fin da bambino: a 14 anni ha abbandonato le piste e iniziato con lo skialp, la prima discesa un po’ ripida a 17, il canalone Huda Paliza, solo e in gran segreto. La scorsa stagione in generale pochi exploit sulle Alpi? Allora riscaldamento sulla Est del Triglav e poi Sperone della Brenva sul Bianco e infine via in Perù a spaccare per davvero e portarsi a casa le più belle discese del 2015 in solitaria: lo scivolo dell’Artesonraju, la montagna della Paramount per intenderci,  e la ovest del Tocllaraju, 50° e più nell’aria sottile dei 6.000 m. Andrea Bormida ha intervistato questo giovane protagonista dello sci ripido su Skialper di dicembre-gennaio. Un articolo da non perdere con le splendide foto di Leonardo Comelli e Caroline Gleich.

LE ALPI GIULIE - «È qui che ho mosso i primi passi in montagna e ancora prima sono stato portato in giro dentro uno zaino... Sono a tutti gli effetti una seconda casa, negli ultimi anni forse anche la prima casa. Le Giulie sono montagne poco conosciute, poco addomesticate e ancora selvagge. Nonostante la bassa quota - il Triglav è la cima più alta (2.863 m) - le nevicate sono spesso abbondati, a fine aprile succede di trovarsi con ancora diversi metri di neve a 1.800 metri, questo anche grazie al fatto che siamo piuttosto vicini al mare… Le possibilità sono davvero tante, dal canalone di mille metri a 40° alla parete super esposta a 55°. Certo, a volta bisogna aspettare diversi anni per trovare le condizioni, ma questo un po' dappertutto».

PROGETTI - «Prendendo spunto da quello che ha fatto Chris Davenport in Colorado, mi è venuta l’idea di sciare tutte le montagne sopra i 2.400 metri della regione. Come detto non sono montagne alte ma ce ne sono parecchie, ho scelto i 2.400 metri non a caso; sempre ispirandomi a Davenport, ho preso la misura in piedi. Lui aveva 14.000 piedi, circa 4.200 metri, io ho fatto due conti e una misura interessante era 8.000 piedi, poco più di 2.400 metri. Molte delle 56 montagne in lista le ho già sciate, l'idea è però di farle tutte in una stagione e magari quelle già sciate lungo un altro itinerario». 

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Monte Piselli, la polvere inaspettata

Su Skialper in edicola discese molto panoramiche vista mare

«Una delle cose che ho imparato viaggiando con i miei sci in giro per il mondo è che spesso la neve fresca la si può trovare nei posti più inaspettati. A volte non è necessario viaggiare per migliaia di chilometri per trovare posti dove lasciare la propria traccia nella neve profonda in mezzo a panorami mozzafiato». Inizia così il racconto di Martino Colonna, con le stupende foto di Lorenzo Alesi e Tania Montani, oltre a quelle dello stesso Colonna, su Monte Piselli. La ‘montagna dei fiori’, quando arrivano le correnti giuste, sa regalare sciate ‘canadesi’, con powder a volontà vista mare Adriatico… 

NEVE BALCANICA -
Monte Piselli, grazie alla sua posizione unica a ridosso del mare, è infatti la prima montagna che incontrano le fredde correnti balcaniche che rilasciano qui l’umidità che hanno caricato passando sull’Adriatico. Talvolta si imbiancano anche le spiagge di San Benedetto del Tronto e sembra che la neve in città ad Ascoli Piceno sia una ricorrenza abbastanza consueta. Nei boschi e nelle zone esposte ad ovest, sottovento rispetto alle correnti balcaniche, si determinano condizioni eccezionali di powder. Le discese sono per tutti i gusti, dalla faggeta al campo aperto, dai più ripidi canali sotto il Costone, fin giù alle quote più basse dove il pendio diventa dolce e disseminato di caciare. Le caciare sono dei piccoli edifici circolari di pietra utilizzati dai pastori come rifugio e per la lavorazione dei formaggi. 

SLALOM TRA LE NEVIERE -
Sciando nei boschi bisogna di tanto in tanto stare attenti alle neviere, delle grandi buche di forma conica scavate nel terreno. Nel passato, dopo ogni nevicata, la neve veniva accumulata all’interno di questi buchi, pressata e poi coperta con foglie e rami secchi. Con il passare del tempo, una volta diventata ghiaccio, veniva tagliato a blocchi e trasportato verso valle. Fino agli anni Cinquanta, durante l’estate, si scoprivano le neviere e con i muli si trasportavano a valle i blocchi che venivano utilizzati per l’industria del baco da seta, per le gelaterie di Ascoli e per mantenere fresco il pescato a San Benedetto. 

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