Ortles + Tre Cime + Grossglockner, uguale North3

«Seguire le orme di uomini che più di vent'anni fa immaginavano il futuro dell'alpinismo è una sfida in sé: ciò che queste persone hanno fatto è semplicemente difficile da credere. Ma il nostro obiettivo non è solo un tributo, una sorta di seconda edizione: vogliamo spingere oltre i nostri limiti. Vogliamo costruire un dialogo alla pari con i nostri precursori e stabilire un nuovo punto di riferimento per l'alpinismo ibrido del futuro».  Queste le premesse dalle quali nasce il progetto North3 di Simon Gietl e Vittorio Messini, concatenare in bici e salire le tre cime nord fi Ortles, Tre Cime di Lavaredo e Grossglockner. Una sfida vinta, o quasi, della quale parliamo in esclusiva su Skialper 119 di agosto-settembre.

©Storyteller-Labs
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IL PRECEDENTE -Fine estate 1991. Hans Kammerlander e Hans-Peter Eisendle hanno concepito una nuova sfida, ibrida e progressiva, sulle loro montagne di casa: scalare in un'unica giornata le pareti Nord dell'Ortles e della Cima Grande di Lavaredo, coprendo con le loro biciclette la distanza tra le due montagne (246 km) by fair means. Quello che è nato più o meno come un gioco è diventato la pietra miliare di un nuovo modo di concepire le attività in montagna.
Primavera 2018. Simon Gietl e Vittorio Messini prendono il testimone e sfidano il risultato, aggiungendo una terza parete Nord, quella del Grossglockner, e altri 117 chilometri in bicicletta. Questa avventura non è solo la celebrazione di un modo ibrido, pulito e sostenibile di vivere la montagna, né solo un'impresa, e neppure un dialogo con una pagina di storia e il suo spirito: l'intera avventura è stata anche l'occasione per raccogliere donazioni per Südtirol Hilft, un'organizzazione benefica per le persone in situazioni di grave emergenza.

©Storyteller-Labs
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Trekking al fronte

«La Guerra Bianca. Un nome affascinante. E quell’aggettivo, bianca, evoca un non so che di candido e pulito. Eppure 100 anni fa, nei luoghi che fecero da scenario alpino alla Prima Guerra Mondiale, quel biancofece più morti del nemico. Perché qui, nelle prime linee di confine, ad ammazzare furono la neve e il freddo. Prima ancora che la pallottola del soldato austro-ungarico. E pure quella, a dirla tutta, non mancava. Ma nella stagione più fredda, negli anni di guerra tra le nevi del Parco Nazionale dello Stelvio e dell’Adamello, l’esercito aveva a che fare non con uno ma con due nemici: l’uomo e anche l’ambiente ostile. A vederlo oggi, il comprensorio Pontedilegno-Tonale, con le sue numerose attrazioni turistiche, sembra un angolo di paradiso. Passo Paradiso, con l’omonima cabinovia, per alcuni rappresentò invece l’inferno». Comincia così l’articolo di Tatiana Bertera sul Giro dei Forti e il Sentiero dei Fiori, due interessanti itinerari escursionistici alla ricerca di tracce della guerra combattuta su questi monti.

©Matteo Pavana

SENTIERO DEI FIORI - Percorrere il Sentiero dei Fiori, un itinerario attrezzato che si snoda in quota, sulle creste tra il Passo del Castellaccio e il Passo di Lago Scuro e sui ghiaioni sottostanti, significa camminare nella storia. Tra un sasso e l’altro si può trovare davvero di tutto: dal filo spinato ai pallini di piombo degli ordigni bellici, dal legno usato per costruire le baracche dei soldati ai pezzi di stoffa delle divise. Materiale conservato nel ghiaccio e che ora, con il ritiro del limite delle nevi, riemerge. Da non perdere le due spettacolari passerelle metalliche il cui attraversamento è senza dubbio uno dei momenti più emozionanti del tracciato, lunghe rispettivamente 75 e 55 metri.

©Matteo Pavana
©Matteo Pavana
©Roberto De Pellegrin

GIRO DEI FORTI -Se la quota del Sentiero dei Fiori è un po’ troppo impegnativa, oppure se si desidera affrontare un itinerario più rilassante ma comunque molto interessante, è possibile visitare alcuni resti del complesso sistema di fortificazioni realizzate dagli austriaci al confine italiano presso Passo Tonale. Uno degli itinerari, per i più sportivi affrontabile anche sulle due ruote gommate, porta alla scoperta di Forte Mero e Forte Zaccarana, realizzati ai primi del Novecento, già in sentore di guerra.

©Matteo Pavana

Mai più senza acqua

Quattro luglio, ore 9, appuntamento a Cesara, non lontano da Omegna, sopra il Lago d’Orta, terreno di allenamento abituale di Giulio Ornati del team Salomon, uno dei più forti ultra trailer in circolazione. Giulio è puntualissimo, pronto per il suo allenamento mattutino, ma oggi sarà un po’ un fuori programma perché gli abbiamo chiesto di portarci con lui a fare un giro panoramico con vista Lago d’Orta. L’occasione per scoprire un angolo tra i più belli del Nord Italia di corsa, dove tra l’altro passa il percorso lungo dell’UTLO-Ultra Trail Lago d’Orta, quello da 120 km, in programma dal 19 al 21 ottobre. Un allenamento, un giro, per vedere sul campo come un atleta top del suo livello si idrata nei giorni più caldi e trarne qualche utile consiglio per il trail runner medio, quello che… si ritrova ad avere sempre sete. Ne parliamo su Skialper di agosto-settembre.

©Andrea Salini/Outdoor Studio

BERE - L’idratazione è un aspetto fondamentale, spesso trascurato e che invece può incidere in maniera importante sulle prestazioni e sul nostro stato di salute. Si dice che si può sopravvivere settimane senza mangiare ma al massimo qualche giorno senza bere… Oltre ai consigli di Giulio abbiamo chiesto un parere al medico, il dottor Alessandro Da Ponte.

©Andrea Salini/Outdoor Studio
©Andrea Salini/Outdoor Studio

Terminillo, storia di un'evasione possibile

15 luglio 2017, Roma, quattro amici in un bar bollente; l'aria è irrespirabile, fa un caldo che si muore, l'unico panorama il viale trafficato di fronte alla stazione. Il piano: Roma Tiburtina ore cinque e cinquantacinque, autobus Roma-Rieti. Se tutto procede, dovremmo arrivare alle sette e trenta alla stazione Morrone di Rieti. Ore sette e cinquantacinque, autobus Rieti- Pian de’ Valli (piccolo paese alla base del Terminillo, posto a circa 1.600 metri di quota). Da li è fatta, arriveremo sul Terminillo e al Monte Elefante, la nostra vetta di libertà! Nasce da questo idea il servizio che pubblichiamo sul numero di agosto-settembre di Skialper, un’idea per una veloce fuga a due passi da Roma. Naturalmente a piedi…

©Luca Parisse/Risk4Sport

NEI BOSCHI DEI CARBONAI - L’itinerario proposto, che tocca il Monte Elefante, si snoda in parte nella foresta un tempo tagliata dai carbonai, uomini che dai villaggi partivano per le foreste rimanendovi anche mesi per produrre quello che è stato per centinaia di anni l'oro nero dell'Appennino, che forniva calore ed energia alle città: il carbone di legna. L’escursione è anche una scusa per scoprire Micigliano, un grazioso piccolo comune di circa 130 abitanti a quota 925 metri.

©Luca Parisse/Risk4Sport

Grand hotel sotto le stelle

Dicono che il futuro ci vedrà tutti iper-specializzati. Non sappiamo se ciò sarà vero in generale, ma di sicuro per quanto riguarda il mondo della montagna sembra una previsione azzeccata. Osservando i materiali da campeggio, si nota come la tendenza sia quella di distinguere tra i molti modi in cui si può andare per monti, e tra questi c’è anche la tendenza a farlo in maniera più evoluta - ossia più veloce e tecnica - e con una maggiore esposizione alla natura e rispetto di essa. Le escursioni di più giorni spesso non hanno più nulla a che vedere con i tranquilli tragitti da turista enogastronomico. Ormai anche qui si ricerca giustamente la maggiore soddisfazione possibile, e questa deriva dal poter camminare per giorni in autosufficienza, possibilmente senza rinunciare al piacere di muoversi, ossia senza essere oppressi da uno zaino pesante decine di chili e ingombrante quanto un vitello. I produttori di tende, sacchi a pelo, materassini e altre attrezzature hanno reso questo possibile, offrendo a prezzi ormai accessibili materiali incredibilmente performanti e leggeri. E sono proprio quelli che abbiamo testato su Skialper di agosto-settembre: sette tende e cinque materassini top. Camp Minima 2 SL, Vaude Invenio Sul 2p, Ferrino Lightent II, Ferrino Pumori II, Ferrino Nemesi I, Salewa Denali II, MSR Hubba NX le tende provate.

FORNELLETTO VEGANO - Sono sempre di più le persone che scelgono un’alimentazione vegana, anche sportivi ed escursionisti, ed ecco che abbiamo chiesto a Cristiano Bonolo, vegano, chef e appassionato escursionista/campeggiatore, di insegnarci qualche ricetta da campo…

©Alberto Orlandi
©Alberto Orlandi

Sogna in grande e osa fallire

«Ho una proposta indecente da farti. Dal 20 maggio al 20 giugno. Io, te, Dadde e Zeno. Dritti dalla cima. Mai sciata. Pensaci». Questo il messaggio di Enrico Mosetti a Federico Ravassard che ha fatto nascere lo stupendo reportage dalla Cordillera Vilcanota, in Perù, che pubblichiamo su Skialper di agosto-settembre. La cima è quella dell’Ausegnate (6.384 metri). E rimarrà non sciata…

©Federico Ravassard
©Federico Ravassard

 DISCESA IMPOSSIBILE - Poche idee in testa ma abbastanza chiare: sciare l’Ausengate, una cima semi-sconosciuta di 6384 metri a sud di Cusco. Come documentazione di supporto qualche foto, le immagini prese dal satellite e il video vecchio di dieci anni degli unici altri due scialpinisti che avevano battuto quella zona prima, niente meno che Rémy Lécluse e Glen Plake. La zona è decisamente remota, molto, e anche la scarsa documentazione si dimostra inaffidabile: la montagna è insciabile. Una possibile via di discesa è di fatto una seraccata di mille metri, che termina in un colatoio di roccia e detriti. L’altra, invece, è per metà buona. L’altra metà luccica per il ghiaccio azzurro che la ricopre. Poco male, non mancheranno altre occasioni per sciare e soprattutto per scoprire questo magnifico Paese e i suoi paesaggi sterminati. «Qualcuno potrebbe anche ridere, ma l’aria sopra i 5000 metri non ti è amica per nulla. Se aumenti per un attimo il passo la testa scoppia e devi rassegnarti a salire di una trentina di passi alla volta. La vista, però, è incredibile. Il bianco della neve, il rosso delle montagne detritiche e l’azzurro del cielo. Nient’altro, solo questi tre colori che si intervallano con degli stacchi nettissimi. Sciamo ridendo dal nostro Nevado-senza-nome, alla fine curvare sulla neve è sempre una figata». A documentare questa frase ci sono le bellissime foto di Federico…

©Federico Ravassard
©Federico Ravassard
©Federico Ravassard

Great Himalaya Trail, 24 giorni che ti cambiano la vita

«Sono stato in villaggi minuscoli, lontani da tutto e da tutti, con tanta povertà, eppure sono felici e ti aprono la porta alle undici di notte, nel buio immenso, ti preparano da mangiare e ti fanno dormire senza chiederti chi sei, mentre noi abbiamo perso il giusto punto di vista e per ritrovarlo non ci rimane altro che scappare dalla civiltà e dal bombardamento di informazioni e social media, camminare nella natura, correre per ritornare in noi stessi». Così parlò Ryan Sandes, ultra-runner sudafricano, dopo i 1.504 chilometri e 70.000 metri di dislivello a tempo di record del Great Himalaya Trail. Ventiquattro giorni, quattro ore e ventiquattro minuti ci ha impiegato a correre (per la verità camminare veloce) su e giù per passi himalayani, giungle e caotiche città insieme al connazionale Ryno Griesel. Eppure la lotta contro il tempo è stata l’ultima preoccupazione. E non sarà il ricordo più potente. Ne parliamo su Skialper 119 di agosto-settembre in un ampio reportage con le belle foto di Dean Leslie.

©Red Bull Content Pool/Dean Leslie

IL MITICO GHT - Il Great Himalaya Trail non è un solo sentiero, ma la combinazione di vari itinerari sia nella parte montuosa del Nepal (GHT High Route) che in quella più popolata e ricoperta dalla giungla (GHT Cultural Route) e va da un confine all’altro del Paese, lungo la direttrice Ovest-Est. Per questo, sebbene Ryan e Ryno abbiano fatto segnare il FKT (fastest known time), non si può parlare di vero e proprio tempo record in quanto un crono di riferimento non esiste data la possibilità di alternative lungo il percorso e le varianti imposte dai tanti imprevisti. Quello seguito dai due sudafricani ripercorre fedelmente le orme del connazionale Andrew Porter dell’ottobre 2016 ma, per esempio, Lizzy Hawker, nel 2016, ha fatto segnare un tempo di riferimento lungo la parte in quota del GHT, tra le montagne.

©Red Bull Content Pool/Dean Leslie

CIBO - Quella del cibo è stata la sfida nella sfida. Per scelta e per alleggerire gli zaini è stato deciso di fare tutto il Great Himalaya Trail procurandosi da mangiare lungo il percorso, come dei normali turisti: acquistandolo o facendosi ospitare dai locali. Solo in tre punti c’è stata la possibilità di cambiare gli zaini e i vestiti e nelle tasche trovava spazio qualche barretta, gel o lattina di Red Bull. «Alla fine il mio corpo mi diceva che non ne poteva più di quell’alimentazione e sono stato male un paio di giorni: i nostri pasti consistevano di frittata, riso e lenticchie quando avevamo la fortuna di essere ospiti, oppure di biscotti e cioccolato comprati alle bancarelle e non era proprio l’ideale durante una traversata di 1.500 chilometri» - ha detto Sandes.

©Red Bull Content Pool/Dean Leslie
©Red Bull Content Pool/Dean Leslie

Ritornare

«Mhtar non lo avevamo avvisato del nostro ritorno, non sapevamo neppure che nascondesse un vecchio cellulare tra le pieghe del suo burnus,la veste berbera con cappuccio ormai sbiadita dal sole dell'Alto Atlante. Siamo tornati al suo douardando per scontato che fosse là. La strada la conosciamo a memoria e si differenzia dall’anno precedente solo per il colore della vegetazione». Mhtar e la moglie Naima sono alcuni dei personaggi che Giacomo Frison e GlorijaBlazinšekhanno ritrovato nel loro viaggio tra le montagne del Marocco, uno dei progetti di Altripiani, un insieme di fotografia, alpinismo, ricerca culturale, antropologica e linguistica, che ha come intento quello di tracciare sentieri nuovi e percorsi diversi. Linee che non corrono da una città all’altra, ma che attraversano lentamente catene montuose e piccoli villaggi alla ricerca di volti e memorie.Ne parliamo in un ampio reportage su Skialper 119 di agosto-settembre.

©Giacomo Frison

OSPITI O AMICI? - «Ritornare è per noi diventato una filosofia di vita. Vogliamo chiamare tutti per nome tanto che non scattiamo fotografie a caso, perché in ogni ritratto c’è la storia di una persona e del luogo che le appartiene. Perché ritornare è anche recuperare e restituire qualcosa a qualcuno che non ha avuto paura di accoglierti in casa. Di anno in anno si aggiungono viaggi, esperienze, delle nuove linee e sta diventando sempre più impegnativo ritornare da ognuno, perché viaggiando leggeri senza rendersene conto si entra in un’altra dimensione, si entra nel cuore delle persone con la mente libera e la forza della curiosità reciproca. Ci sentiamo spesso come una matita leggera che disegna una mappa di traiettorie nuove, ricche di identità sempre più preziose e pronte a testimoniare la bellezza e la fragilità dei luoghi remoti. Ritornare non è sempre facile, ma l’impegno è quello di farsi accettare, perché un po' alla volta non sei più l'ospite, ma un amico, uno di casa che è solamente andato via per un po'».

©Giacomo Frison

ALTRIPIANI - Giacomo Frison, fotografo nato e cresciuto a Venezia, appassionato di montagna e ideatore del progetto e Glorija Blazinšek, istriana multilingue, sono le anime di questo bel progetto.L’idea nasce nel 2015 dalle passioni e dagli studi di Giacomo che traccia la prima linea del progetto con un amico antropologoesplorando le montagne del Caucaso fino agli altipiani iraniani. Nel 2016 con Glorija intraprende il viaggio lungo i Monti Carpazi nel centro-est Europa e dal 2017 insieme percorrono più volte l’Alto Atlante in Marocco.Viaggi che esplorano la delicatezza dei confini nazionali, cercando e trovando la sovrapposizione di popolazioni e culture di montagna spesso divise da confini innaturali. Storie di vita e di resistenza in paesaggi mozzafiato. www.altripiani.org

©Giacomo Frison

Enrico Brizzi, partire adesso

Dal 2004 Enrico Brizzi scrive di viaggi a piedi. Insieme ai suoi buoni cugini, i pellegrini con cui ha fondato il gruppo degli Psicoatleti, l’autore di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, romanzo cult di almeno tre generazioni, ha compiuto alcuni straordinari cammini: dal Tirreno all’Adriatico, da Canterbury a Roma lungo il percorso della Via Francigena e poi da Roma fino a Gerusalemme. E ancora: ha percorso l’Italia da Nord a Sud durante i festeggiamenti per il centocinquantesimo anniversario del tricolore, ha camminato da Torino a Finisterre, calpestato ogni singolo miglio del Vallo di Adriano e, di recente, calcato palmo a palmo i terreni carichi di storia delle Residenze Reali Sabaude col patrocinio dell’omonimo consorzio. Ma cosa significa camminare per Enrico Brizzi. Lo ha intervistato per noi, su Skialper 119 di agosto-settembre, un altro scrittore, Simone Sarasso, fresco vincitore del premio letterario Bancarella Sport.

NUOVA ISPIRAZIONE - A dieci anni esatti dall’inizio della sua avventura editoriale, per la prima volta, Enrico si ritrova a provare una sensazione mai sperimentata prima: «Stavo scrivendo una storia per Mondadori e non provavo nessuna emozione. Mi pareva di scrivere semplicemente perché dovevo ottemperare a un contratto. Era scioccante: è come accorgersi, di punto in bianco, che la donna con cui stai da una vita non prova più niente per te». La scrittura, che prima era piacere puro e autentico, è di colpo diventata fatica. È allora che Enrico decide di prendere una pausa dalla tastiera. Di staccare andando a fare qualcosa che ama da sempre: perdersi per le montagne con uno zaino in spalla. E allora perché non realizzare quel sogno tante volte immaginato in classe, durante i giorni più noiosi, fissando la cartina d’Italia? Attraversare lo Stivale nel senso stretto, proprio come gli eroici ciclisti della Tirreno-Adriatica tante volte acclamati per le strade dell’infanzia. Ma a piedi. Ed è così che da allora Brizzi programma due lunghi viaggi a piedi all’anno…


Un uomo e due cani

«Il mio sogno è addormentarmi sul divano e il mio è un divano scomodo, molto scomodo, con i poggiabraccia di legno». Così parlò Giorgio Garello. E il divano è una parte importante dell’ultima fase della sua vita, quella podistica. Perché? Perché per evitare di starci troppo Giorgio ha deciso ci prendere un cane, un Border Collie e di fare migliaia di chilometri a piedi. Naturalmente con Walk, questo il nome del cane. Ne parliamo su Skialper 119 di agosto-settembre.

©Daniele Molineris
©Daniele Molineris

2.000 KM ALL’ANNO -Fine settembre 2009. Giorgio è al via della Spartathlon, l’ultra maratona tra Atene e Sparta, il coronamento di un sogno, la chiusura di un cerchio, dopo 15 anni di atletica. Ha già deciso che sarà la sua ultima gara, che di quella vita di allenamenti duri per limare secondi ne ha abbastanza. Qualche giorno prima, per la precisione il 9 settembre, da una cucciolata è nato un batuffolo bianco e nero, un bellissimo Border Collie che prenderà il nome di Walk. Giorgio ancora non lo sa, però ha deciso di affrontare la sua passione per il movimento e la montagna in un modo diverso, più lento. E ha deciso che, per evitare di cadere nella tentazione di stare sul divano, quel maledetto divano con i poggiabraccia in legno, avrà bisogno di un compagno. Giorgio e Walk, da allora, hanno percorso insieme più di 2.000 chilometri all’anno. Giorgio è Giorgio Garello e nel mondo del running è un personaggio conosciuto: cuneese, residente a Rivoira di Boves, technical representative di Asics, ha corso un centinaio di gare dalla maratona in su e un altro centinaio di mezze o distanze simili. «Se vuoi riprendere coscienza di te stesso e di quello che il quotidiano ti nega hai solo due modi, sederti a un tavolino o mettere i piedi uno dietro l’altro». Meglio se lo fai a sei zampe, un uomo e un cane. Anzi, a dieci zampe, visto che a Walk si è aggiunta Noosa, anche lei Border Collie. E forse la pagina FacebookUn Uomo Un Canedovrebbe diventare… Un Uomo Due Cani!

©Daniele Molineris

Lungo l’Alta Via delle Dolomiti Bellunesi

«La TransParco - così l’avevo chiamata - è rimasta per tanti anni confinata tra gli obiettivi di qualche escursionista, finché lo scorso anno un gruppo di ragazzi del CAI di Feltre la scopre e se ne innamora. Attorno a essa costruiscono un progetto, coinvolgono il Parco e le Sezioni CAI, alcune aziende outdoor come Ferrino e Aku, vogliono ridargli vita mettendo a frutto le loro esperienze. ‘Questi sono luoghi preziosi’ dico ai ragazzi, ‘e la sola ragione che può spingerci ad incentivarne la loro frequentazione si radica, e trova la sua giustificazione, nell’esperienza concreta tra l’uomo e la natura di queste montagne. Qui possiamo ancora udire l’autentica voce dei monti, altrove è ormai sopita’». A parlare è Teddy Soppelsa, autore dell’ampio reportage sulla neonata Alta Via delle Dolomiti Bellunesi che pubblichiamo su Skialper 119 di agosto-settembre.

©Roberto De Pellegrin

DOLOMITES WILDEST PATH - Il nomignolo che è stato dato a questo trekking di una settimana (sei o sette tappe a seconda del passo) è davvero appropriato perché da Pian del la Fòpa a Passo Croce d’Aune si cammina nel cuore delle Dolomiti più selvagge, lontano da rifugi cinque stelle e comprensori sciistici. Proprio l’incontro con rifugi e rifugisti è uno dei momenti più belli del giro.

©Roberto De Pellegrin
©Roberto De Pellegrin

CAPITANI CORAGGIOSI - Luca ha 38 anni, per lui gestire il rifugio Pramperet non è stata una scelta ma una necessità: «Ero senza lavoro e ho preso un’occasione al volo. Ora però mi trovo bene e vorrei continuare, vorrei che non diventasse come i rifugi che ci sono a Nord, dove ormai è stato addomesticato tutto. Elena e Gavino sono sedici anni che gestiscono il rifugio Pian de Fontana. Lei vicentina e lui di Alghero, cercavano un posto dove lavorare in montagna e l’anno trovato qui, su un antico pascolo in vista della Schiàra. «Quando devo dire non ce l’hoa chi mi chiede l’acqua calda, la camera doppia, il tiramisù o i gelati, vedo che rimangono un po’ perplessi - dice Elena -. Abbiamo tutti molte cose e questo è un posto che ne offre meno, ma ti dà un’esperienza in più. Poi la maggior parte delle persone al mattino mi dice: Sono stato bene, grazie dell’atmosfera. Allora sono io che mi stupisco perché non ho fatto niente di speciale». Enzo un bel giorno si è stancato di fare il falegname e da sette anni con sua moglie Sonia gestisce il rifugio Furio Bianchet. «Per gestire un rifugio non bisogna amare la montagna, perché la montagna non la vedi» dice con un po’ di ironia in un marcato accento vicentino. «Io che sono il cuoco-falegname sono dentro la cucina dalla mattina alla sera e quando si sta quattro mesi fermi in un rifugio se non ci sei con la testa muori subito». Questa e altre interessanti storie nel bellissimo reportage con le foto di Roberto De Pellegrin!

©Roberto De Pellegrin
©Roberto De Pellegrin

Storia (e fascino) dello sci di raid nelle Alpi

«1888. Fridtjof Nansen e compagni  attraversano la Groenlandia con gli sci. È l’inizio di un’era, quella dello sci di montagna moderno, che trova nei grandi raid più che nella conquista delle cime la forma di espressione più pura e più completa. Si tratta della scoperta dello sci avventura e delle sensazioni profonde del viaggiare con gli sci. In altre parole è la scoperta dello Ski Spirit, ossia di una dimensione dello sci che interessa anche e soprattutto le sfere dello spirito». Inizia così l’articolo di Giorgio Daidola su Skialper 118 di giugno-luglio (disponibile in edicola, in versione digitale oppure ordinabile) a proposito della storia delle traversate.

PAULCKE & CO - Daidola parte da Nansen per passare in rassegna i principali tentativi di traversata alpina, da quella del 1897 di Wilhelm Paulcke e compagni delle Alpi Bernesi, in pieno inverno, a quella Léon Zwingelstein, lo sciatore vagabondo per eccellenza degli anni trenta, andato da solo e senza alcun aiuto esterno, dal primo febbraio al primo maggio 1933, da Nizza al Tirolo

Leon Zwingelstein

BONATTI E DETASSIS - Nel 1956 due gruppi, il primo capeggiato da Alberto Righini con Bruno e Catullo Detassis e il secondo da Walter Bonatti, partono a quattro giorni di distanza uno dall’altro da Tarvisio, rispettivamente il 10 e il 14 marzo. Entrambi, a differenza di Zwingelstein, sono seguiti da un’automobile di appoggio per i rifornimenti. La meta è il Col di Nava in Piemonte, che raggiungono insieme il 18 maggio, ossia 66 giorni dalla partenza (quattro in più per il gruppo Righini-Detassis). Nove anni dopo Detassis e Bonatti, nel 1965, un’altra grande Guida, lo svizzero Denis Bertholet, fondatore della Ecole du Ski Fantastique di Verbier, ha la brillante idea di unire con gli sci, insieme ad altre tre Guide (un italiano, un francese e uno svizzero) le due città olimpiche di Innsbruck 1964 e di Grenoble 1968. Poi nel 1970, assistiamo alla tribolata traversata in solitaria di un altro francese, Jean  Marc Bois, che, partito il 30 gennaio da St. Etienne-de-Tinée nelle Alpi Marittime, riesce a raggiungere Bad Gastein, nel Tirolo Orientale, il 25 aprile. Non manca la traversata del 1971 di Klaus Hoi e compagni che ha dato origine alla Der Lange Weg dello scorso inverno e… tanto altro. Assolutamente da leggere!

Denis Bertholet

IL LIBRO - Giorgio Daidola ha pubblicato per la nostra casa editrice Sciatori di montagna (208 pp, 19 euro). Dodici ritratti di padri dello scialpinismo, da Wilhelm Paulcke, il primo ad attraversare con gli sci l’Oberland Bernese, a Michel Parmentier, l’inventore dei moderni viaggi con gli sci. E poi Lunn e Mezzalama, Castiglioni, Gobbi.

Bruno Detassis ©Giorgio Daidola