Valanghe: quanto è pericolosa la nostra mente?
Muoversi su terreno innevato in sicurezza non è solo legato a capacità tecniche connesse allo sci, a prestazioni cardio, dislivelli, tracce in neve fresca. La conoscenza che richiede la riduzione del rischio è argomento complesso, dibattuto e con una serie di molteplici sfaccettature che non esonera neanche i più navigati scialpinisti dal dover prestare una continua attenzione verso l’elemento neve e il terreno montano innevato. Soprattutto a ogni inizio stagione capita che l’entusiasmo per le imminenti sciate smorzi la percezione degli effettivi rischi di queste attività. Capita a neofiti, ma anche agli esperti. E più spesso di quanto si è portati a pensare. «Senza quasi accorgersene, capita di gestire alcune situazioni tipiche dello skialp e dello sci lontano dalle piste battute secondo procedimenti euristici, cioè attraverso metodi di approccio alla soluzione dei problemi che non seguono un percorso rigoroso ma, piuttosto, affidandoci all'intuito e allo stato temporaneo delle circostanze. Così facendo, siamo portati a prevedere un risultato che tuttavia resta da convalidare. Ovvero la certezza di essere al riparo da una situazione di distacco di valanga non ce l’abbiamo, anzi, con questi comportamenti quasi la escludiamo. Incappiamo appunto nelle cosiddette trappole euristiche» scrive Andrea Bormida su Skialper 133 di dicembre-gennaio. Sull’argomento ha scambiato quattro chiacchiere con Daniele Fiorelli, Guida alpina lombarda, che ha recentemente ritenuto che questi argomenti dovessero essere trattati anche nell’ambito della formazione del corso per Aspiranti Guida alpina della Regione Lombardia, di cui è responsabile. «Tocca tutti, dai meno esperti, ai garisti, ai professionisti. Capita che in montagna, specie su itinerari conosciuti, ci si muova con i paraocchi. Sono stato qui due giorni fa, la conosco come le mie tasche, faccio sempre questo fuoripista dopo le nevicate. Sono tutti ragionamenti che ciascuno di noi fa quasi inconsciamente, ma sono pericolosi. L’abitudine ci porta a pensare meno, ad abbassare il livello di attenzione tralasciando tutto un processo decisionale di scelte che invece va sempre affrontato. In montagna devo sempre ricordarmi di pensare» dice Diego Fiorelli.
Un gioco ibrido
Anche un santuario del turismo invernale tradizionale come il Sellaronda può essere vissuto in modo diverso. In una stagione che ci imporrà inevitabilmente delle limitazioni, ci si può muovere con le pelli e fuori dalle piste battute senza rinunciare agli impianti quando serve o al comfort dei rifugi. Uno scialpinismo ibrido, ma pur sempre un primo passo verso l'esplorazione per chi viene da una vita di sci all’interno dei comprensori. È l'approccio backcountry degli americani, che il giornalista Porter Fox e il fotografo David Reddick hanno applicato alle nostre Dolomiti. Ne parliamo in un ampio reportage su Skialper 133 di dicembre-gennaio.
Un giro che ha il Sellaronda come riferimento, ma con molta libertà di uscire dal circuito alla ricerca della polvere. Un giro in compagnia di due sciatrici top come Giulia Monego e Christina Lustenberger. I quattro sono partiti da Armentarola, in Alta Badia, per proseguire verso Corvara e inserirsi nel carosello del Sellaronda in senso orario, fino ad Arabba e Passo Pordoi. Da qui hanno abbandonato il circuito per proseguire in Val di Fassa, salendo con gli impianti di Alba sulle piste dal versante opposto, alla Baita Cuz, che si affaccia sulla bellissima Val San Nicolò. La tappa successiva ha visto una sciata sulla Marmolada e poi via verso Passo Giau e l’ultimo giorno rientro all’Armentarola via Lagazuoi. «Non ci sono tanti altri posti al
mondo che offrono un terreno così vario e interessante, così facilmente raggiungibile con strade o impianti come le Dolomiti - dice Giulia Monego - Ovviamente la bellezza dei posti porta anche a un più alto livello di frequentazione, ma basta scegliere bene i periodi e gli itinerari, in realtà appena si mettono le pelli ci si allontana dalla massa, che continua a rimanere in prevalenza nelle piste battute». Speriamo di potere tornare presto sulle Dolomiti. Intanto, per sognare, c’è Skialper 133 di dicembre-gennaio.
In Colorado nasce la località sciistica senza impianti
L’idea è semplice da immaginare quanto complicata da mettere in pratica: la prima località sciistica human powered o, come preferisce definirla Erik Lambert, co-fondatore di Bluebird Backountry con Jeff Woodward, «a backcountry light ski area», un comprensorio sciistico per avvicinarsi allo scialpinismo. La buona notizia è che Bluebird Backountry, il comprensorio sciistico senza impianti, aprirà alla viglia di Natale. Quella cattiva è che si trova in Colorado… Poco meno di 400 metri di dislivello, cinque chilometri quadrati, il 15 per cento di discese verdi, il 35 per cento di blu, il 40 per cento di nere e il 10 percento di double black diamond (che nelle località sciistiche americane sono paragonabili alle nostre nere, visto che nella classificazione manca il colore rosso). L’unica differenza rispetto a un tradizionale ski resort è che non ci sono seggiovie o telecabine, ma sette tracce di salita con le pelli ai piedi. E che il terreno è completamente naturale, nessun albero è stato abbattuto per fare spazio alle discese. Per il resto è tutto molto simile: un parcheggio, dove dal giovedì alla domenica è consentito dormire sul proprio van, un base lodge ospitato in una calda tensostruttura, il noleggio dell’attrezzatura, il posto di primo soccorso, i bagni (chimici), un food truck e dei barbecue all’aperto. Non manca una mid mountain warming hut, una specie di baita con bagni chimici, barbecue, posto di primo soccorso e ski patrol lungo le discese. Oltre all’area inbound, messa in sicurezza, ci sono altri 12 chilometri quadrati ai quali si può accedere solo accompagnati da una Guida. Ne parliamo su Skialper 133 di dicembre-gennaio.
Garmin Beat Yesterday, svelati i vincitori
Sei sogni e altrettanti traguardi da raggiungere. Storie e obiettivi diversi, ma accomunati da un unico spirito. I vincitori dell’edizione 2020 dei Beat Yesterday di Garmin Italia sono stati svelati martedì scorso: in un anno particolare dove tutto è stato congelato, il format del Beat Yesterday Award si è adeguato andando a premiare appassionati di sport, outdoor, motociclismo e nautica che per molto tempo hanno cullato un sogno di avventura e che nel 2021 avranno la chance di realizzarlo. Persone comuni in grado di compiere imprese fuori dal proprio ordinario. Garmin fornirà loro strumentazione e know-how specifico grazie al supporto di tutor come Simone Moro, Davide Cassani, Daniel Fontana, Alessandro Botturi e Giovanni Soldini.
I sei progetti vincitori dei Garmin Beat Yesterday Awards 2020
Alessio Alfier: nuoto, bici e scalata superano ogni ostacolo
I lettori di Skialper Alessio lo conoscono, perché, oltre che organizzatore del Vertikal Martin, è uno dei testatori della nostra Outdoor Guide. È uno sportivo a 360 gradi, appassionato di più discipline. La sua grande voglia di mettersi in gioco e buttarsi in una avventura sempre nuova, ad un certo punto della sua vita, incontra però un ostacolo imprevisto: l’asma. Un impedimento per molti, ma non per lui. Una volta imparato a convivere con questo compagno di cordata, ecco il suo sogno: «Sono asmatico, ma non per questo non posso sfidare le profondità e l’alta quota. E lo voglio fare in un modo unico». Originario di Genova Voltri, si sta preparando per riuscire a percorrere 7 km a nuoto, dopo i quali pedalerà ben 300 km in sella ad una bicicletta per raggiungere Pont in Valsavarenche, e affrontare quindi una vera e propria ultima fatica: scalare il Gran Paradiso e arrivare a Cogne, la sua seconda casa.
Ad ‘assistere’ Alessio durante le premiazioni dei Garmin Beat Yesterday Awards 2020 uno che di imprese estreme ne sa qualcosa: Simone Moro, fresco dell’annuncio della sua nuova spedizione invernale sul Manaslu. «Per me sarà il terzo tentativo su questa montagna – dichiara l’alpinista bergamasco – Questo è il mio Beat Yesterday: accettare un fallimento senza identificarlo come la fine, ma come l’inizio di una nuova avventura».
Samuele Meucci, da Firenze a Pejo in bici e a piedi facendo un tuffo nei ricordi
Fiorentino doc di 39 anni, Samuele è amante del trail running sulle lunghe distanze e alle spalle ha due Tor Des Geants completati. È innamorato della Val di Sole, luogo dove, fin da bambino, trascorre le vacanze estive. La passione per la montagna, la corsa a piedi e il ciclismo lo spingerà nel 2021 a dare vita al suo progetto sportivo, totalmente in solitaria: «L'idea è partire da casa e percorrere la Via degli Dei fino a Bologna, per poi montare in sella alla bici che era di mio padre e raggiungere il Lago di Molveno. Da lì proseguirò in direzione di Pejo ancora a piedi, passando dalle Dolomiti del Brenta». Chi ci sarà ad attenderlo all’arrivo? «La mia famiglia e la mia roulotte! I miei genitori, a cui voglio dedicare la riuscita di questo progetto, mi hanno insegnato l’amore del vivere in modo semplice e autentico la montagna, e così voglio continuare a fare». Durante la premiazione, Samuele è stato affiancato da Daniele Piervincenzi, narratore del progetto Garmin Beat Yesterday 2020: «Credo che questa sia la dimensione più pura della passione per lo sport: sogni, fatica ed emozione».
Paolo Cazzaro e un unico obiettivo: il record dell'ora di paraciclismo
Una storia di sport e rinascita: «Mi chiamo Paolo Cazzaro, ho cinquant’anni e da sei anni sono un paratleta». La seconda vita di Paolo è iniziata nel 2004 quando capisce che lo sport, e in particolar modo il ciclismo, è il miglior medicinale che può “assumere” per trovare sollievo ai problemi fisici riportati a seguito del suo gravissimo incidente. Dopo aver raggiunto già importanti riconoscimenti sportivi, un obiettivo davvero ambizioso, che sottolinea la sua grande determinazione: «È un anno che lavoro al superamento del record del mondo su pista categoria Mc4 di paraciclismo. Da tre mesi mi alleno due giorni a settimana al velodromo Rino Marcante di Bassano del Grappa. I dati sono molto buoni, il record lo porteremo a casa!». In occasione dei Garmin Beat Yesterday Awards 2020, Paolo ha avuto la possibilità di chiacchierare a lungo con un allenatore di tutto rispetto: il CT della nazionale italiana di ciclismo Davide Cassani. «Paolo ha tutte le qualità che cerco in ogni atleta: determinazione, concentrazione e anche un tocco di sana ambizione. Sono certo che riuscirà a raggiungere anche questo grande traguardo».
Nicolò Pancini, in moto con il padre intorno al Mar Mediterraneo
«L’amore per il motociclismo mi accompagna da quando ero bambino. Mi è stato tramandato da una delle persone più importanti della mia vita, che stimo molto e che mi ha permesso di scoprire e coltivare grandi passioni: mio padre. Ed è per questo che il mio Beat Yesterday vorrei portarlo a termine con lui!». L’emozione traspare dai suoi 29 anni, ma Nicolò Pancini, della provincia di Savona, ha le idee ben chiare, così come la rotta da seguire per ‘circumnavigare’ il Mediterraneo, tenendosi sempre il mare alla sinistra, partendo dal suo paese di origine, Cairo Montenotte. Lui e il padre viaggeranno in sella a due splendide motociclette BMW R80G/S del 1986. «Non potevano che scegliere mezzi migliori per questo progetto!» ha commentato Alessandro Botturi, vincitore delle ultime due edizioni dell’Africa Eco Race, con cui Nicolò ha avuto modo di confrontarsi per la messa a punto degli ultimi dettagli del suo itinerario.
Erica Fre’: il coraggio di ricostruirsi e riprendere in mano la propria vita
Una donna che non si è mai fatta abbattere dalle sfide. Una mamma che, dopo aver dedicato la propria vita alla sua famiglia, ora vuole raggiungere un traguardo solo per sé stessa. Una maratona corsa in 8 ore è stata il suo re-start: «La prossima estate l'obiettivo è fare da Biella ad Assisi in bici, per poter raccontare alle persone che se anche la vita ci abbatte, se ci sembra di essere costantemente inadeguati, e anche se siamo fisicamente poco preparati, con impegno, fatica, e la giusta guida, i sogni si possono realizzare». Lei è Erica Fre’, un mix perfetto di simpatia, solarità e determinazione: «Un giorno un amico mi ha detto "non importa qual è la tua condizione fisica (Erica era in grave sovrappeso, ndr), l’importante è quanto sono grandi i tuoi sogni!"… e i miei sono parecchio grandi, e ho intenzione di realizzarli!». E uno che di obiettivi da raggiungere ne ha avuti tanti, così come i successi sportivi, è il triatleta Daniel Fontana che ha avuto modo di dare a Erika preziosi suggerimenti su come approcciare nel modo migliore questo suo grande viaggio: «Quando dico che anche noi atleti, in realtà, siamo persone comuni mi riferisco proprio a questo: il modo di vivere di Erica è esattamente quello che spinge me a cercare sempre un nuovo traguardo e superare i miei limiti».
Nicola Livadoti e sua moglie: una nuova vita a bordo di una barca
A dire la verità, Nicola e sua moglie hanno realizzato in parte il loro sogno. Nel 2016 hanno deciso di cambiare completamente vita, lasciando le loro occupazioni e comprando una barca di 37 anni, un Azimut 28. L’hanno completamente restaurata, dagli impianti ai motori, al sottocoperta, per trasformarla in una barca che offre experience di cucina e sunset spritz tra le Cinque Terre e Portovenere. Un grande successo che ha portato tante soddisfazioni. Ora è arrivato il momento di realizzare la metà mancante del loro Beat Yesterday: «L’obiettivo adesso è quello di rendere la nostra barca totalmente ibrida – dicono afferma Nicola – Il mare ci regala grandi emozioni, ed è per questo che vogliamo poterlo ringraziare offrendo ai nostri ospiti un servizio ecosostenibile e rispettoso dell’ambiente che ci ospita». E per due amanti del mare, non poteva esserci sostenitore migliore di Giovanni Soldini: «La tutela ambientale sarà senza dubbio un tema centrale dei prossimi anni. – afferma il velista – Per chi vive il mare, il cui richiamo è sempre forte, il futuro non può non passare dal suo rispetto e dalla sua tutela».
Garmin.com/it-IT/beatyesterday/
Cazzanelli live su Facebook per presentare il film dell'ultimo concatenamento invernale
Along Our Skyline è il nuovo film di Storyteller Labs dedicato al concatenamento invernale Furggen - Cervino - Grandes Murailles - Petites Murailles, completato da Francois Cazzanelli e Francesco Ratti. La storia inizia nel febbraio 2019, quando il primo tentativo si ferma dopo tre giorni a Punta Lioy, poi i due abbandonano per le condizioni sfavorevoli della neve. Per portare a termine il loro progetto Francois e Francesco hanno dovuto aspettare quasi un anno, pochi giorni prima che il mondo intero si fermasse per la pandemia.
Sulla pagina Facebook di Salewa, a partire dalle ore 21:00, Francois Cazzanelli sarà live per commentare insieme agli appassionati di montagna il film, ripercorrere questa lunga doppia avventura sulle montagne di casa sua e approfondire la direzione dell'alpinismo moderno.
Salewa ha realizzato una pagina dedicata nel proprio website dove è possibile sia vedere il film sia leggere la storia di questa impresa alpinistica.
Il lato B di La Grave
«La mia fantasia del parco giochi dietro casa si è materializzata quando mi sono sposato e abbiamo costruito il nostro nido a Ventelon. Appena dietro le mura c’è una montagna con pendii erbosi frequentata solo dal bestiame, dai cervi, dalle volpi... e dagli altri backyardigan*. Il nostro lato soleggiato della valle è perfetto per far crescere l’aglio in primavera, fornisce l'energia solare ideale e in inverno permette comunque di mettere gli sci e toglierli in giardino appena qualche centimetro di neve ricopre l’erba. Qui gli elementi hanno rimodellato il mio ego. Fuori dal bosco i venti costanti creano onde di neve simili ai pipe dei park. Questo spirito ha alimentato la sciata interiore e influenzato lo stile e le aspirazioni. Ho iniziato a non avere più bisogno di sciare tutti i giorni perché stavo eliminando ciò che volevo dimenticare andando a sciare. L'immobilità fertilizzava la sensibilità verso la natura e la qualità delle sessioni di sci».
A scrivere è Ptor Spricenieks, canadese di origine lituana che ha messo su casa a Ventelon, nei pressi di La Grave. Su Skialper 133 di dicembre-gennaio Ptor parla del lato B di La Grave, lontano dalla telecabina e poco frequentato. Quel lato B dove è andato spesso a sciare con Mathieu Bonnetbleu, ski bum e pastore con 300 pecore Merinos, «portandoci dietro patate locali, formaggio, pane e bottiglie di vino al posto dei noodle o del ramen confezionati». E dove ha anche organizzato un mistery trip nel quale i partecipanti sapevano solo che avrebbero sciato con due Guide, ma non il luogo. Nel lato B Ptor ha sciato anche con Joe Vallone e giocato con Glen Plake.
«Glen è l'incarnazione di un bambino adulto sugli sci e insieme a Joe Vallone quel giorno scivolava con naturalezza e il sorriso sulle labbra. L’esposizione con ingaggio su un terreno intricato e impegnativo è tanto più gratificante e rende lo sci migliore quando c'è la giusta attitudine e un rischio accettabile per il gruppo. È stato rassicurante sciare con un mentore che è l'antitesi del moderno freerider, con il bambino cresciuto che mostra la strada ai più piccoli con quella semplicità e capacità di divertirsi a ogni livello dello sci, lasciando da parte la competitività e l'ego».
*Serie televisiva che in Italia è stata nominata Gli Zonzoli, ma la traduzione letterale di backyard è giardino dietro casa o, volendo, cortile.
Longiarù, il villaggio degli alpinisti
«Se privilegiamo luoghi come Longiarù o la Valle Maira o una delle altre località che puntano a sviluppare un turismo diverso, possiamo contribuire a segnare la strada verso il futuro» scrive Francesco Tremolada su Skialper 133 di dicembre-gennaio. Francesco è Guida alpina e vive in Val Badia. Come tutti i local frequenta anche le zone più famose intorno al giro del Sella Ronda, ma quando vuole ritrovare quel senso di pace e di tranquillità dello scialpinismo puro, sceglie il Parco naturale Puez - Odle e la valle di Longiarù, in ladino Val da Lungiarù.
«Questo è un posto speciale ed è qui che mi piace andare per trovare la tranquillità vicino a casa. Il parco Puez - Odle non ha rifugi aperti in quota come Fanes e le gite si effettuano in giornata dalle valli. Se gli accessi dal versante della Val Gardena e dall'Alta Badia sono facilitati dagli impianti, che permettono di alzarsi in quota verso i confini del parco, sugli altri versanti le gite iniziano dal fondovalle o al più da qualche strada che sale alle numerose e caratteristiche frazioni. La valle di Longiarù, in particolare, è quella che offre il maggior numero di itinerari e si presta molto bene a un soggiorno scialpinistico di qualità. Qualità nel soggiorno, perché i ritmi e l'atmosfera sono quelli di un turismo più lento e rilassato, ma soprattutto qualità nella varietà dello sci, perché qui, oltre alle gite facili nel bosco e su terreno aperto, sono tanti i canali dolomitici e gli itinerari di stampo più moderno». E, aggiungiamo noi, decine di gite con dislivelli fino a 1.400 metri.
Inoltre Longiarù è stato riconosciuto come Villaggio dell’alpinismo. Ma cosa significa? I Villaggi dell’alpinismo sono un’iniziativa dei Club Alpini e nascono da un progetto del Club Alpino austriaco. Sono località pioniere dell’alpinismo e devono rispettare criteri rigorosi, impegnandosi nell’attuazione del protocollo della Convenzione delle Alpi (un documento stipulato tra gli otto Stati alpini e l’Unione Europea, che ha come fine lo sviluppo sostenibile e la tutela delle Alpi). Una filosofia che va oltre il semplice marketing turistico, ma spazia a 360 gradi dall’edilizia alla mobilità, ai trasporti, all’agricoltura, alla tutela del paesaggio e della cultura locale.
L’articolo e i consigli per una vacanza a Longiarù sono su Skialper 133 di dicembre-gennaio.
Arthur Conan Doyle, un passo alpino sugli ski
«Il fatto è che in inverno scalare una normale vetta e compiere la traversata di valichi alpini è più facile che in estate, a patto che il tempo resti sul bello. In estate dovrete sia salire che scendere, e le due fasi sono egualmente faticose. In inverno la fatica è ridotta a metà, poiché buona parte della discesa è una semplice pattinata. È molto più semplice salire zigzagando con gli ski sopra una neve passabilmente compatta, anziché scarpinare su per i massi sotto un cocente sole estivo». È con un inconfondibile humour british che Sir Arthur Conan Doyle, nel 1894, descrive (probabilmente è la prima relazione scialpinistica della storia) la traversata Davos-Arosa sul The Strand Magazine, che ripubblichiamo su Skialper 133 di dicembre-gennaio. La mente visionaria di Conan Doyle arriva a intuire le enormi potenzialità di quelle due assi di legno: «Fatto sta che, disponendo di perseveranza e di un mese libero nel quale superare tutte le prime difficoltà, si giungerà a credere che gli ski aprono un orizzonte di sport che è, a mio avviso, unico. Non riscuote ancora apprezzamento, ma sono convinto che un giorno centinaia di inglesi verranno in Svizzera per la stagione dello ski, in marzo e aprile».
Arthur Conan Doyle, autore delle avventure di Sherlock Holmes, il più famoso detective di tutti i tempi, scoprì lo sci come passatempo durante la lunga permanenza a Davos, al capezzale della prima moglie, malata di tubercolosi. Così, insieme ai fratelli Branger, coprì il percorso Davos ad Arosa percorrendo il passo Furka. Durante l’ultima discesa i tre si tolsero gli sci per trasformarli in una slitta, ma Conan Doyle, puntando un tallone nella neve, ruzzolò, frantumando il suo abito: «A detta del mio sarto, l’Harris Tweed non si logora mai. È una pura teoria, che non reggerebbe a un esperimento scientifico dotato di tutti i crismi. Brandelli della sua merce si trovano esposti, infatti, dal Passo della Furka ad Arosa, e per il resto di quel giorno fui particolarmente felice di camminare rasente ai muri».
L’articolo completo è pubblicato su Skialper 133 di dicembre-gennaio.
The players: Domenico Fenio
È il papà di uno dei forum legati alla montagna più famosi d’Italia, anzi, forse il più famoso. Perché tra la gente di montagna, alpinisti o pseudo tali, se tu dici On Ice tutti sanno di cosa stai parlando. E, in maniera quasi sorprendente, è sopravvissuto alle grandi evoluzioni dell’epoca digitale senza necessità di cambiare forma o di diventare esteticamente accattivante o cool. Perché quello che conta, per i frequentatori di questo forum dall’aspetto scarno ed essenziale, è il contenuto. Luogo virtuale per scambiarsi informazioni circa luoghi, ascese e condizioni, ma anche il collante che ha fatto nascere amicizie reali, tutt’altro che eteree, e che nel corso degli anni sono andate ben oltre lo sport. «C’è persino chi, grazie a On Ice, si è conosciuto e sposato» - Racconta Domonice (il suo nickname, che sta semplicemente per Domenico on ice). «Fenio, come puoi intuire, non è un cognome molto nordico. Sono calabrese e sono qui, al Nord, da quando ho 16 anni. Come tutti i ragazzi che vengono via dalla mia terra sono arrivato alla ricerca di tutto e di nulla. Le uniche montagne che conoscevo erano quelle dell’Aspromonte. Arrivato in quel di Milano mi sono avvicinato al CAI e mi sono accorto che, secondo la logica di questa organizzazione, per fare cose interessanti in montagna dovevi fare corsi su corsi, diventare istruttore. Ma io, e altri miei amici, eravamo convinti che ci fosse anche un alpinismo per tutti, possibile senza corsi e patacche. Abbiamo iniziato ad andare da soli, a farci le nostre esperienze, a organizzarci le uscite in montagna, a sbagliare e a imparare. L’idea del forum nasce verso la fine degli anni novanta e doveva chiamarsi L’alpinismo possibile, proprio per il motivo che ho appena spiegato. Poi per una serie di motivi si è chiamato On Ice e tale è rimasto». Domenico non può non parlare, nel suo racconto, di Lorenzo Conserva (nickname Lorenzorobico), webmaster del forum da 12 anni e carissimo amico e compagno di avventure. «Un tempo per conoscere le condizioni meteo e della neve in Svizzera, per esempio, dovevi telefonare! Gli amanti della montagna hanno subito capito l’importanza di un luogo dove scambiarsi informazioni ed esperienze, e così, senza nessun obbligo o forzatura, in maniera naturale e spontanea, il forum è cresciuto, acquisendo sempre più i connotati della grande famiglia. Negli anni ci sono stati numerosi raduni organizzati, occasioni di incontro per chi, magari, si conosceva solo virtualmente. Sono nate amicizie, amori, relazioni che ancora continuano. La montagna è stata il collante, ma On Ice ci ha messo lo zampino per far incontrare persone che forse mai si sarebbero conosciute». Ed è così che un calabrese - a volte la vita prende risvolti originali e poco scontati - ha dato vita a un forum di alpinismo e montagna che ha sfondato le barriere dei tempi e delle mode, diventando un punto di riferimento imprescindibile per chiunque ami la montagna e l’avventura.
The players: Stefano Gregoratto
Su On Ice è presente con il nickname di Furbo. Il nome deriva dal mondo dell’arrampicata e ogni riferimento o allusione… non è puramente casuale. Lo racconta ridendo. «Nella vita ho anche arrampicato e possedevo quell’aggeggio, che da me si chiama appunto furbo. E sai come è tra amici, soprattutto quando sei nell’ambiente della falesia, ci si prende in giro. Così quando mi sono registrato sul forum ho pensato che Furbo fosse un nickname perfetto».
Stefano Gregoratto, ingegnere civile di Milano, classe 1971, sa ridere di se stesso ed è uno che Quelli bravi, i fenomeni, i mostri, sono gli altri, non certo io. A vederlo scendere però, saltellando sugli sci e disegnando curve strette anche su terreni ripidi o su neve difficile, ci si toglie il cappello. Anche se ad ascoltare lui ormai l’obiettivo principale, la motivazione più importante del suo andare in montagna ora è (oltre all’amore per la natura e l’ambiente delle vette) la compagnia.
«Gli altri hanno una marcia in più e li posso seguire solo quando non sono al top della loro forma atletica» racconta ridendo mentre, a fine gita, addenta una fetta di salame con del pane che la compagnia ha portato per concludere la giornata. Quello della merenda post-gita è un grande classico. Non manca neanche il vino. «Pensa te che questo è il momento della gita che amo di più - continua a ridere - Preferisco la discesa alla salita, soprattutto se c’è la possibilità di fare tante, anzi tantissime curvette, strette e regolari, lasciare il mio segno sulla neve vergine». Ha cominciato a sciare e a frequentare la montagna fin da piccolissimo, dall’età di cinque anni ed è scialpinista da quando ne ha 25. Lo sci non deve essere ultratecnico o super leggero, deve essere quello con cui si trova bene. «Ultimamente prediligo i lunghi giri in bicicletta, percorsi intorno ai 200 chilometri che faccio insieme a Domenico Fenio». Dalla mattina alla sera, sulle due ruote come con gli sci, come per dire che lo sport e l’amicizia non hanno frontiere. Oltre allo scialpinismo pratica moltissima bicicletta da strada, arrampicata, escursionismo, vie ferrate, alpinismo, e qualche vertical: «Sono il mio ultimo giocattolo».
QUESTO RITRATTO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 122
Nasce l'archivio digitale Ferrino
Per festeggiare i 150 anni Ferrino, il marchio outdoor torinese che ha fatto la storia delle esplorazioni e dell’avventura in giro per il mondo, oltre che del campeggio, si è regalato un archivio digitale storico. In mesi di intenso lavoro sono stati raccolti i documenti più significativi della lunga storia del marchio - dalle fotografie ai ritagli della rassegna stampa, fino ai cataloghi e agli schizzi dei progetti dei prodotti - e trasferiti su una piattaforma digitale. Lo strumento, presentato ieri da Anna Ferrino nel corso di un’anteprima in streaming, per ora è interno all’azienda, ma il prossimo passo potrebbe essere quello di creare un museo digitale d’impresa.
L’evento è stato l’occasione per sbirciare nei ricordi di un’azienda che ha un patrimonio di storie e di ambassador unico, a partire da Reinhold Messner. La digitalizzazione dell’archivio è stata affidata a Promemoria e la piattaforma non è un punto d’arrivo ma un percorso. Oltre alla ricerca nei documenti interni, infatti, si pensa di accedere agli archivi pubblici. Alcuni documenti sono stati recuperati direttamente negli archivi personali delle famiglie Ferrino e Rabajoli (entrata in società a partire dal 1971) perché nel 1943 lo stabilimento fu bombardato e completamente distrutto. Proprio a proposito del bombardamento, ieri Anna Ferrino ha mostrato le foto di un album fotografico che documenta i danni subiti che non era mai stato reso pubblico. Altre ‘chicche’ sono i ritagli di giornale tratti da Time sull’impresa degli Ottomila di Messner o una tenda Ferrino in un quiz di Mike Bongiorno.
The players: Pier Luigi Mussa
«Un tempo a Lanzo, 500 metri di quota, nevicava a inizio stagione e quei 20, 30 centimetri rimanevano per tre mesi, ora fa al massimo una spruzzata che si scioglie subito». Pier Luigi Mussa, classe 1956, vive da sempre a Lanzo, anche quando faceva il pendolare tutti i giorni per lavorare a Torino, in un’azienda del mondo delle telecomunicazioni. E in montagna ci va da fine anni ‘70. «La quota neve è salita di almeno 500 metri, ma non è l’unico effetto del cambiamento del clima: l’estate una volta finiva con i primi temporali dopo Ferragosto, oggi va avanti anche fino a ottobre e poi pioveva quasi tutti i pomeriggi, ora molto meno, ma quando arriva il temporale fa danni».
Tutte osservazioni frutto di tanti giorni passati sulle sue montagne e di una passione per la meteorologia. Una delle tante, perché Pier Luigi non ama annoiarsi e anche lo scialpinismo era all’inizio solo uno dei tanti hobby. Più un modo per mantenersi in allenamento che una vera e propria passione. «Per un po’ di anni ho fatto un po’ di tutto: deltaplano, tanta montagna e alpinismo, bici e mountain bike, sci di pista e snowboard. Lo scialpinismo era un altro modo per andare in montagna anche in inverno, le prime uscite le ho fatte con gli scarponi da pista nello zaino e gli sci normali, poi ho comprato la prima attrezzatura vera da scialpinismo». Poi smette di fare deltaplano e quel modo di andare in montagna in inverno diventa davvero una passione. «Ho anche fatto parte del Soccorso Alpino e ho partecipato a tanti interventi, soprattutto per escursionisti e fungaioli che si erano persi».
In anni di escursioni Pier Luigi non si è mai trovato a tu per tu con la valanga. «Ripensandoci, qualche rischio l’ho corso, ma soprattutto da giovane, poi ho cominciato a studiare la neve e con la conoscenza e con l’esperienza ho adottato un atteggia- mento conservativo, la montagna è talmente grande per scegliere i posti più sicuri, se li conosci, e poi è importante soprattutto sapere uscire con le condizioni giuste». Ed ecco che si arriva al consumismo, quella voglia di macinare, di consumare metri e metri, di salire solo sulle vette più iconiche e vendibili sui social, di cambiare sempre meta e vallata. Mentre lo scialpinismo è tanto bello per quel senso di attesa, di profonda conoscenza dei luoghi, di studio e preparazione della gita giusta e nel posto giusto. E anche per la rinuncia. O per la ripetizione. «Incontro sempre più spesso scialpinisti che sono in valle per la prima volta e poi scappano via alla ricerca di altri posti oppure che vanno al Ciarm del Prete in pieno inverno perché lì bisogna esserci stati prima possibile e poi postano relazioni su una brutta sciata, ma le gite vanno fatte nel periodo giusto. Oggi se non scii oltre una certa quota o fai solo mille metri di dislivello non va bene». Posti giusti nei momenti giusti, e allora dove? «Per esempio nel vallone degli Ortetti che è proprio qui sopra: io amo soprattutto itinerari molto vari, dove il terreno è aspro e cambia continuamente e spesso sono posti che in estate sono più difficili da raggiungere, perché la montagna in inverno si trasforma. E poi se sei uno scialpinista, come dice la parola stessa, passi quasi dappertutto». Magari però dove non sono passate le orde da social...
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