Angermund-Vik e Croft vincono la OCC

Mentre si sta correndo la CCC (al momento di pubblicare questa news è in testa il cinese Jasheng Shen, ma nel gruppo di testa, ci sono anche, tra gli altri, Hernando, Lanne, Garrivier e Marco De Gasperi) è tempo di commentare i risultati della OCC, corsa ieri tra Orsières e Chamonix sulla distanza di 55 km e 3.500 metri di dislivello positivo. La vittoria è andata al norvegese del Team Salomon Stian Angermund-Vik in 5h19’24’’ sullo spagnolo Andreu Simon Aymerich e sul cinese Tao Luo. Il podio è racchiuso in sei minuti. Primo italiano Riccardo Montani del Team Salomon in quattordicesima posizione. Tra le donne successo della neozelandese Ruth Croft in 5h50’14’’ davanti alla spagnola Azara García e alla giapponese Yuri Yoshizumi. In questo caso il podio è in oltre 16 minuti. Prima italiana Sonia Locatelli, ventunesima.


A Pablo Villa la TDS, De Gasperi al via della CCC

Ciao Ciao TDS, benvenuta CCC. Finita la prima delle gare più attese della settimana che porta all’UTMB, sale l’attesa per la Courmayeur-Champex-Chamonix. Ieri sera lo spagnolo Pablo Villa ha chiuso in 18h03’06’’ la TDS, salendo sul gradino più alto del podio insieme al russo Dimitry Mityaev e al francese Ludovic Pommeret. All’undicesimo posto Giulio Ornati in 19h44’ 39’’, primo italiano. Al femminile vittoria della francese Audrey Tanguy in 21h36’15’’ sulla statunitense Hillary Allen e la svizzera Kathrin Götz. Prima italiani Scilla Tonetti in quattordicesima posizione con il tempo di 27h56’32’’, ventiseiesima Sonia Glarey.

DEGA AL VIA – Grande attesa dunque per la CC che prenderà il via domani mattina da Courmayuer alle 9. Al via ci sarà anche Marco De Gasperi, quarto l’anno scorso. Obiettivo podio, ma dovrà guardarsi le spalle da tanti potenziali medagliati: Luis Alberto Hernando, Longfei Yan, Jiasheng Shen, Cristofer Clemente, Michel Lanne, Benoit Girondel tra gli altri. Al via anche Stefano Rinaldi. Tra le donne il rientro sui sentieri che contano di Emelie Forsberg che dovrà vedersela con Alisa Mc Donald, Ragna Debats, Brittany Petterson, Gemma Arenas e Ragna Debats tra le altre.


Si corre la TDS aspettando l'UTMB

Mentre si sta correndo la TDS, entra nel vivo la settimana dell’UTMB, con la partenza della gara regina venerdì pomeriggio e alla mattina il via della CCC da Courmayeur, poi giovedì sarà la volta della OCC. La TDS 2019 è una gara ricca di sorprese, con un percorso tutto nuovo, passato da 120 a 145 km. I favoriti? Lo spagnolo Pablo Villa, in testa dopo poco più di 9 ore di gara, il russo Dimitry Mityaev, l’altro spagnolo Tofol Castaner, ma anche i connazionali Jordi Gamito, Pere Aurell, il francese Ludovic Pommeret, il cinese Yanqiao Yun, il norvegese Hallvard Schjølberg e lo svizzero Walter Masner. Tra gli italiani occhi puntati su Giulio Ornati del team Salomon. Al femminile se la giocano Audrey Tanguy, Karin Götz, Hillary Allen, con due italiane che potrebbero lottare per una buona posizione: Francesca Pretto e Sonia Glarey. Nella OCC al via il norvegese Stian Angermund-Vik, il giapponese Rui Ueda, il francese Nicolas Martin e gli spagnoli Eugeni Gil e Pablo Villalobos. Tra le donne la neozelandese Ruth Croft, le spagnole Sheila Aviles e Azara Garcia, la cinese Yangchum Lu.

UTMB, FAITES VOS JEUX – Non c’è dubbio però che la gara regina è quella che attira più attenzioni. Il parterre è sempre di livello e nel 2019 ci sarà ancora Xavier Thévenard, tre volte vincitore e autore del grande slam UTMB, ma ci sarà anche rumeno Robert Hajnal, secondo l’anno scorso, l’americano Tim Tollefson, con i connazionali Alex Nichols, Zach Miller, Hayden Hawks, Jason Schlarb, il polacco Marcin Świerc, vincitore della TDS 2018, il cinese Min Qi, i francesi Sylvain Court, Sylvain Camus, Julien Chorier, Benoit Cori, gli inglesi Tom Owens e Andy Symonds, il neozelandese Scott Hawker. Per l’Italia occhi puntati su Franco Collè del Team Hoka One One e Andrea Macchi. Al femminile occhi puntati su Francesca Canepa, vincitrice 2018, ma anche sulla statunitense Courtney Dauwalter, sulle spagnole Uxue Fraile, Maite Maiora e Nuria Picas, sulla cinese Miao Yao, sulla svedese Mimmi Kotka, sulla statunitense-svizzera Katie Schide. Fa il suo ritorno anche Rory Bosio. Ci saranno inoltre le francesi Juliette Blanchet ed Emilie Lecomte, l’ungherese Ildikó Wermescher e la brasiliana Fernanda Maciel. Purtroppo ha dovuto dare forfait Katia Fori, ma la pattuglia italiana dovrebbe essere rappresentata, tra le altre, da Alessandra Boifava, Chiara Bertina, Basilia Förster e dalla russa d’Italia Yulia Baykova.


Joe Grant al ritmo della natura

«Era il 2011. Stavo correndo lungo il Wonderland Trail, un sentiero di 96 miglia che fa il giro del Mount Rainier, nello stato di Washington. Era notte fonda. All’improvviso due pupille luminose. Un puma. Quella notte io ero la preda e lui il predatore. L’ho perso di vista qualche istante, poi si è fatto vedere di nuovo. Ha giocato con me, ma poteva essere un gioco mortale. Il contrasto con quello che avevo vissuto poco prima era grande, perché per 15 ore ero stato come in una bolla, quei momenti rari che arrivano quando tutto funziona in armonia e il corpo risponde perfettamente. Mi sentivo intoccabile. Provavo una sofferenza che andava oltre il dolore fisico, l’impressione che tutto sfuggisse al mio controllo. Ero nel panico, camminavo, correvo, non avevo idea veramente di cosa fare». Scrive così Joe Grant nell'articolo su Skialper 125 di agosto-settembre per raccontare come l'incontro con un puma, lungi dall'avere provocato un cambiamento delle sue abitudini, lo abbia costretto a ragionare in modo diverso. Un racconto sulla filosofia e i perché della corsa nella natura, dove siamo sempre ospiti e non padroni.


URMA underground

«Oggi URMA è un po’un caso. E siccome URMA è della gente, è difficile darle una direzione precisa. Ma nella testa delle persone c’era una sola idea chiara: dimostrare che intorno alla corsa c’era un modo diverso per stare insieme e che non bisognava avere nient’altro che tanta buona volontà e un tot di amici per creare qualcosa per chi non si rispecchiava sempre e solo nella classica formula iscrizione-certificato-pacco gara-medaglia-classifica-punteggio ITRA» scrive Davide Grazielli, autore dell'articolo insieme a Francesco Paco Gentilucci, con foto di Sara Lando, su Skialper 125 di agosto settembre a proposito della gara clandestina di trail, a inviti, URMA appunto. «Volevamo che fosse uno spunto. Speravamo che la gente di URMA muovesse le chiappe per organizzare altre dieci URMA. O una versione di URMA ancora più bella. O semplicemente nuova. Volevamo che la gente che non c’era, magari anche solo perché non conosceva nessuno, si mettesse a organizzare una URMA diversa, ma altrettanto bella. O che si trovasse il modo di stare insieme un weekend anche senza gareggiare. Magari anche senza correre». Appuntamento in edicola su Skialper 125.

© Sara Lando
© Sara Lando

La confraternita di Barkley Marathons

C'è una gara che in 34 anni ha visto solo 18 volte un finisher (e mai nessuna donna) su oltre mille iscritti. La più difficile ultra al mondo è qualcosa di completamente fuori dagli schemi. E proprio per questo piace, per quanto sadico possa apparire il pensiero. Tra le colline insulse del Tennessee, nel cuore degli States più profondi, solo in 40 sono ammessi a correre ogni anno, ma le richieste sono molte di più. Già iscriversi è una prova a ostacoli: bisogna mandare un'email a un indirizzo che solo chi ha già fatto la gara può sapere e in un determinato giorno dell'anno. Un segreto che, come nelle più antiche confraternite, viene rivelato con molta parsimonia dai confratelli. Se la propria richiesta viene accettata bisogna pagare un dollaro e sessanta centesimi e si riceve un messaggio che suona più come una condoglianza: purtroppo sei stato ammesso ala Barkley Marathons. Non c'è nulla di particolarmente difficile nel percorso, non un versante nord, non l'alta quota, eppure le statistiche dicono che quella del Tennessee è la peggiore ultra al mondo. «A casa mia i bambini non li lasciavano vincere, se vincevano era perché la vittoria se l'erano meritata». È in questa frase di Lazarus Lake, l'ideatore, il perché filosofico, il comandamento più importante della Barkley Marathons. La ragione storica è diversa. Quando James Earl Ray evase dal vicino carcere di Brushy Mountain e rimase intrappolato in quel dedalo di cespugli e fitta vegetazione, Lazarus Lake disse che lui inello stesso tempo avrebbe percorso cento miglia sulle montagne che conosceva come le sue tasche. «La vera attrazione è che ogni anno arrivano diversi atleti forti e che quasi nessuno la finisce» ha detto Blake Wood, uno dei finisher.

Ne parliamo, con un ampio reportage di 14 pagine e le spettacolari foto di Alexis Berg su Skialper 125 di agosto-settembre.


Andrea Gallo, il futuro ha un cuore antico

«Ho conosciuto Andrea Gallo di persona l’anno scorso, sciando insieme a Gressoney. Dico di persona, perché se uno è torinese e va un po’ in montagna, il suo nome di sicuro l’ha già letto da qualche parte, probabilmente sulle guide Finale 8.0 o Polvere Rosa. Oppure sulle relazioni di falesie storiche come Striature Nereo l’Orrido di Chianocco, spauracchio dei climber torinesi chiamati a confrontarsi con gradi e stili di una volta, quelli su cui si sono espressi come scalatori. O ancora, per chi avesse qualche anno in più del sottoscritto, l’ha trovato sulle pagine della defunta rivista Alp, della quale è stato collaboratore e fotografo per anni. È stato anche l’artefice, insieme ad altri, della creazione della Finale Ligure che conosciamo oggi, un modello di turismo outdoor che ha fatto scuola e che permette agli sciatori tristi di sopravvivere all’autunno e di risvegliarsi in primavera. Insomma, da attore prima e narratore poi, Andrea Gallo è sul pezzo da trent’anni e, anche ora che lavora nei video musicali (il binomio video maker outdoor - musica trap è qualcosa di assurdo e romantico allo stesso tempo) continua a martellare sugli argomenti a lui cari da sempre, quando non è occupato in cose più serie, ad esempio andare in skate e sciare a Punta Indren. Con la scusa di andare ad accaparrarmi una copia della nuova guida Finale 51, sono andato a trovarlo a Gressoney-Saint-Jean per capire cosa ci fosse dietro a un nome scritto sulla copertina di un libro».

Scrive così Federico Ravassard su Skialper 125 di agosto-settembre per introdurre una lunga e davvero interessante intervista ad Andrea Gallo, più che un'intervista una chiacchierata a tutto campo su passato, presente e futuro dell'arrampicata, del Freerider e della montagna più in generale. Un articolo da leggere e rileggere durante la pausa estiva perché «bisogna conoscere la storia di ciò che c’è stato prima di noi, sulla roccia, sulla neve, ma anche in tutto il resto, perché è l’unico modo per capire il presente e sapere dove andare in futuro». #sapevatelo

© Federico Ravassard

Prima e dopo la LUT

«Dopo aver finito, mi sono seduto per alcuni minuti e il duro sforzo, il caldo e la nausea che avevo combattuto nelle ultime 15 ore mi hanno finalmente sopraffatto. Così mi sono trovato nella tenda del pronto soccorso, dove mi hanno preso la pressione del sangue e infilato una flebo. Ok, ho pensato, è normale e probabilmente aiuterà comunque la mia ripresa. Dopo un po ' tutto quello che volevo era tornare in albergo e fare un pisolino. Avevo appena finito una corsa sotto il gran caldo correndo tutta la notte; avere caldo, provare nausea e sonno mi sembrava abbastanza ragionevole. Poi in realtà sono riuscito a vomitare. Mi sentivo molto meglio! Ma a un certo punto hanno deciso di farmi un ECG. Non avevo dolori al petto, e assolutamente nient'altro che caldo e sonno. Inoltre non parlo italiano e non capivo cosa stessero dicendo o facendo. Mi sono ritrovato in un'ambulanza diretta all'ospedale locale. A questo punto ho intuito cosa stava succedendo e ho cercato di spiegare che il mio ECG ha alcune anomalie che sono state ben studiate, nulla di cui preoccuparsi per un atleta di resistenza. Ma non parlo italiano. A un certo punto ho persino provato lo spagnolo. Poi mi dicono che potrei aver avuto un infarto e devo andare in elicottero in un ospedale più adatto. Sono ancora sicuro al 99 per cento che non ci sia assolutamente nulla di sbagliato, ma quando si parla di attacco di cuore quell’uno per cento diventa molto più ampio. Così via sull’elicottero, ed era la mia prima volta! E in un paesaggio così bello! Tranne che sono stato legato in una barella e non ho visto nulla. (…) Alla fine, niente infarto, ma ero disperso in un ospedale, non so bene dove».

Scrive così John Kelly, uno dei finisher dell'ultima La Sportiva Lavaredo Ultra Trail. La sua è solo una delle tante storie che si intrecciano ai piedi delle Dolomiti. Storie che su Skialper 125 di agosto-settembre abbiamo voluto raccontare con (poche) parole e (tante) immagini di facce e corpi prima e dopo la gara. Nelle foto di Federico Ravassard.

© Federico Ravassard

Le ragioni di Franco Faggiani

In tanti lo conoscerete perché cura l'ufficio stampa del Tor des Géants, in molti perché ha scritto due deliziosi romanzi nei quali, per un verso o per l'altro, la montagna fa sempre capolino: La manutenzione dei sensi e Il guardiano della collina dei ciliegi. Ma la vita stessa di Franco Faggiani è un romanzo, nel quale i monti hanno una parte importante. Per farvelo conoscere meglio, su Skialper 125 di agosto-settembre l'abbiamo fatto intervistare da un altro scrittore, Simone Sarasso. Un ritratto assolutamente da non perdere.

La manutenzione dei sensi – il primo dei libri in ordine cronologico – narra la storia di come la vita di Leo, scrittore, padre, vedovo e amante del quieto dislivello venga prima stravolta dall’arrivo di Martino – ragazzino in affido con la Sindrome di Asperger. E di come, successivamente, dopo un trasferimento in quota, lo scrittore riesca a riappropriarsi di quella vita sopita dal dolore.

Il secondo, Il guardiano della collina dei ciliegi – recentissimo (è in libreria dal 2 maggio scorso) – è la storia del più antico maratoneta del Paese del Sole Levante. E di come, senza desiderarlo minimamente, sia passato da giocarsi una medaglia alle Olimpiadi a vivere in una sorta di eremo all’aria aperta (la collina del titolo) espiando un peccato che chissà se aveva veramente commesso.

Scrive Sarasso: «Perché un giornalista affermato improvvisamente si mette a leggere e – soprattutto – a scrivere libri in cui la montagna e comunque la natura non mancano mai? L’ho chiesto a Franco e lui m’ha risposto con una storia, la storia della sua vita. Il genere di storia che suscita non poca invidia, anche nei più zen».

Non resta che leggere l'articolo completo su Skialper 125 di agosto-settembre...


François Cazzanelli, prova a prendermi

«La salita vera e propria l’abbiamo fatta il 28 maggio, sempre con Francesco. Siamo partiti presto con Teto e Roger, poi loro hanno proseguito sulla West Rib. Siamo scesi per la Seattle Rump e in 4 ore e 20 minuti eravamo alla base della via. Dieci minuti per preparare il materiale e rifocillarci e poi via. Le condizioni al Japanese Couloir non erano delle migliori, c’era parecchio ghiaccio, ma siamo riusciti a cavarcela velocemente. La traccia delle due cordate davanti a noi ci ha aiutato parecchio e in poche ore siamo arrivati al ghiacciaio pensile. La prima rock band ci ha riservato un’arrampicata splendida, mai difficile e molto divertente. Arrivati in cima abbiamo superato le altre due cordate: una stretta di mano, un po’ di incoraggiamenti reciproci e poi su verso la seconda rock band. Abbiamo trovato agilmente il couloir nascosto e lo abbiamo superato. In cima a questo tratto, a circa 5.000 meri, ci siamo fermati a mangiare qualcosa.Il passaggio successivo era superare la terza rock band, ma è stato più difficile: per i successivi 400 metri avremmo dovuto tracciare la via con la neve alle ginocchia. La notte stava arrivando e abbiamo deciso di fermarci due ore a riposare e bere dentro la tendina monotelo. Alle due del mattino è venuta l’ora dell’attacco alla vetta. Faceva molto freddo, circa -36 con vento a 45 chilometri orari. Gli ultimi 700 metri sono stati difficilissimi. Stringendo i denti, finalmente alle 7 del mattino eravamo al sole e in vetta».

A parlare è François Cazzanelli che lo scorso maggio ha scalato in velocità la Cresta Cassin al Denali: 26 ore e 45 minuti dal campo 4, 18 ore e 58 dalla terminale. Una delle non poche imprese di un anno vissuto intensamente, dal record delle quattro creste del Cervino con Steindl all'apertura della nuova via Diretta allo Scudo sulla parete Sud del Cervino. Prossimo obiettivo Manaslu.

Siamo stati a trovarlo a Cervinia e lo abbiamo intervistato su Skialper 125 di agosto-settembre.

© Achille Mauri

Dentro la Dolomyths Run Ultra

«È quasi l’alba sul Gruppo del Sella. La partenza del Sellaronda, la Dolomyths Run Ultra, è fissata per le cinque. Il cuore degli atleti si agita e gli occhi si preparano ad accogliere il primo raggio di sole. Il ritmo delle gambe scandirà i tempi di questo viaggio che attraversa in senso orario gli abitati di Colfosco, Arabba, Canazei e Selva Valgardena.
Correre la Dolomyths significa partecipare a una festa emotiva che le parole faticano a descrivere. Il contesto sportivo lascia spazio alla bellezza della montagna e si interseca con l'essenza del territorio, con le sue radici fatte di pascoli accuratamente curati, di malghe splendide, di sentieri ordinati, di persone semplici, di attenzione per i dettagli». Inizia così il racconto di Luca Carrara della gara simbolo attorno al gruppo del Sella in versione trail. Un racconto quello dell’atleta Salomon arrivato quinto nell’ultima edizione e già vincitore, che va oltre l’aspetto agonistico, alla scoperta di un percorso e panoramici unici al mondo. Citiamo a caso un altro passaggio: «L’arrivo ad Arabba è speciale: è il paese più piccolo tra quelli attraversati. Sembra che il tempo si sia fermato. Godetevi qualche sguardo benevolo, vi aiuterà a sopportare meglio la fatica della seconda salita che, come pendenze, è la più impegnativa. Salendo i pini si diradano fino a giungere a un’ampia balconata. Qui ci si aspetterebbe di puntare dritti a Punta Vescovo e invece il percorso vira a sinistra per raggiungere il Rifugio Padon. L’ultima rampa di circa 200 metri di dislivello (molto dura) è preceduta da un paio di chilometri di salita leggera in cui riprendere fiato. Da qui fino al Viel dal Pan e al Passo Pordoi inizia un divertente saliscendi con vista Marmolada. Sarà dura evitare di distrarsi: il ghiacciaio alla vostra sinistra e il Lago di Fedaia in basso, con i sui colori, proveranno in ogni momento a carpire la vostra attenzione». Insomma, se ancora non vi è venuta voglia di iscrivervi alla prossima edizione, su Skialper 125 di agosto-settembre ci sono anche le spettacolari fotografie a corredo dell’articolo per convicervi…

© Martina Valmassoi
© Filippo Menardi

A close call con Jesper Petersson

«In tutti gli sport, ciclicamente, si incontrano quei giocatori che per il modo con cui impattano sul gioco possono essere definiti a tutti gli effetti un crack. Sono atleti di gran classe, che portano qualcosa di mai visto, di nuovo per estro o disciplina». Introduce così Andrea Bormida lo svedese Jesper Petersson su Skialper 125 di agosto-settembre. Negli ultimi sei o sette anni, insieme a Mikko Heimonen, ha collezionato un’attività fantastica in termini di discese. Sono diventati uno dei riferimenti dello steep skiing a Chamonix e ciò non è semplice data la concorrenza. Come se non bastasse per garantirsi un posto tra le pagine di Skialper, in primavera è stato vittima di un incidente che poteva costargli molto caro: mentre sciava un canale di Alaska, sul Kahiltna Queen, è partita una placca a vento che lo ha trascinato a valle per alcuni interminabili minuti.

«Avevamo appena raggiunto il couloir principale, dove le difficoltà erano minori, quando io ho provocato il distacco di una piccola placca a vento isolata. E lì è iniziata una caduta di 800 metri dentro al canale. La neve era sembrata in generale sicura ed è stata una fatalità staccare quella placca. Essere in buona forma e forte fisicamente ma anche avere un casco sulla testa sono i fattori che probabilmente mi hanno salvato la vita. Mi sono rotto il collo con fratture alle vertebre C6 e C7 e sette costole. Forse non riuscirò più ad avere una piena mobilità, ma cercherò di tornare in forma come lo sono stato prima dell’incidente. In futuro scierò di nuovo fuoripista e scalerò».

Nonostante l’incidente, Jesper crede fermamente che «lo steep skiing è come la meditazione: la sola cosa che pensi quando sei là fuori è la curva successiva. Diventa come una sorta di rilassamento, devi focalizzare la tua attenzione su quel momento e dimenticare tutto il resto. Al giorno d’oggi sciare linee ripide non è più importante come lo era qualche anno fa, è l’avventura stessa quello che conta davvero: scoprire posti nuovi, esplorarli e sciarli con bella neve».

© Mikko Heimonen

Iscriviti alla newsletter


Mulatero Editore utilizzerà le informazioni fornite in questo modulo per inviare newsletter, fornire aggiornamenti ed iniziative di marketing.
Per informazioni sulla nostra Policy puoi consultare questo link: (Privacy Policy)

Puoi annullare l’iscrizione in qualsiasi momento facendo clic sul collegamento a piè di pagina delle nostre e-mail.

Abbonati a Skialper

6 numeri direttamente a casa tua
43 €per 6 numeri

La nostra sede

MULATERO EDITORE
via Giovanni Flecchia, 58
10010 – Piverone (TO) – Italy
tel ‭0125 72615‬
info@mulatero.it – www.mulatero.it
P.iva e C.F. 08903180019

SKIALPER
è una rivista cartacea a diffusione nazionale.

Numero Registro Stampa 51 (già autorizzazione del tribunale di Torino n. 4855 del 05/12/1995).
La Mulatero Editore è iscritta nel Registro degli Operatori di Comunicazione con il numero 21697

Privacy Policy - Cookie Policy

Privacy Preference Center

X