Arianna Tricomi, go with the flow

«All’inizio l’ambiente del freestyle era super punk, ognuno faceva quello che voleva ed era libero di esprimersi liberamente, ma poi anche lì con l’arrivo della FIS e delle federazioni siamo tornati da capo: l’ambiente è cambiato e molti hanno mollato, come me e Markus Eder; con l’arrivo delle Olimpiadi sono apparsi sulla scena skier che non hanno mai costruito un kicker in vita loro, che non si sono sbattuti, attirati solo dai Giochi e dai benefici che possono portare. Ora questi park skier si allenano come matti in park e sui tappeti, ma poi se devono tornare a valle preferiscono montare in cabinovia piuttosto che sciare (ovviamente questo non vale per tutti i freestyler). Dov’è la passione per lo sci? Le leggende che hanno spaccato nel freeski, come Tanner Hall o Candide Thovex, presenti dal giorno uno di questa rivoluzione, non torneranno più probabilmente, ora è tutto più incentrato sulla prestazione, è un vero e proprio sport e la progressione è molto più veloce. Come dicevo riguardo le nuove leve del Tour, ad alcuni giovani sicuramente manca il background fatto di sperimentazione e passione».

Così parlò Arianna Tricomi. Alberto Casaro l’ha incontrata proprio prima del lockdown e che venisse incoronata per la terza volta regina del World Tour. L’intervista è stata l’occasione anche per un simpatico siparietto con la madre, Cristina Gravina, olimpionica di discesa libera a Lake Placid.

 «Arianna faceva incavolare gli allenatori perché o si faceva i fatti suoi o non si presentava agli allenamenti e poi alle gare andava forte e batteva gli altri bambini, figurati i genitori… Una volta aveva avuto la possibilità di andare col club a Les 2 Alpes a fare allenamento e nella sacca degli sci aveva nascosto quelli da park: un giorno l’allenatore mi chiama e mi chiede dove sparisce tutti i giorni Arianna alla fine degli allenamenti!».

Su Skialper 129 di aprile-maggio l'intervista completa. Skialper 129 è in distribuzione in edicola, oppure puoi ordinare la tua copia qui.

© Brett Wilhelm / Red Bull Content Pool

Mezzalama 2009, quando le avversità diventano opportunità

«Le Guide dislocate in quota mi annunciano che le condizioni meteo si sono aggravate, la perturbazione annunciata è arrivata in anticipo, il vento da stanotte sul Castore e sul Naso del Lyskamm sta creando pericolosi accumuli sui pendii. Mi dispiace dovervi dire che in queste condizioni il Mezzalama non può partire. Ipotizziamo di poter recuperare la gara sabato 2 maggio, ma ci sono grossi problemi organizzativi da risolvere. Vi daremo novità al più presto».

Un annuncio che avrebbe potuto essere accolto con rabbia, invece alle cinque del mattino di quel 19 aprile 2009, ai piedi del Cervino, la tensione si sciolse in un applauso liberatorio dei concorrenti del Trofeo Mezzalama. Uno dei momenti più difficili nella storia della maratona dei ghiacciai raccontato dalla penna arguta di Pietro Crivellaro su Skialper 129 di aprile-maggio. Riprogrammare la gara, dopo il riscontro positivo dei concorrenti, non sarà per nulla facile e, come in tutte le storie che si rispettano, c’è un episodio dietro le quinte che è cruciale e che Crivellaro racconta con dovizia di particolari. Uno di quei momenti di fratellanza che ha permesso di riprogrammare il Mezzalama proprio il 2 maggio, quando 798 atleti, ossia 266 cordate, hanno preso il via. L’innevamento del percorso era talmente ideale che gli alpini Eydallin, Reichegger e Trento hanno polverizzato il record della corsa, arrivando al traguardo di Gressoney in 4h1’22”, con ben 17 minuti in meno del record 2005. E le ragazze Martinelli, Pedranzini e Roux hanno migliorato il record femminile di quasi un’ora. Ma questa è un’altra storia.

Skialper 129 è in distribuzione in edicola, oppure puoi ordinare la tua copia qui


L’anno zero della tutina

«Io e Adriano Greco ne usavamo una da ginnastica della Panzeri, un normale spezzato, con la giacca e i pantaloni a parte: per certi versi funzionava visto che la neve non si attaccava, ma se cadevi erano dolori perché ti bagnavi tutto» dice Fabio Meraldi a proposito della prima tuta che ha usato per le gare di skialp. La parentela tra skialp e fondo ha portato a provare quanto usavano gli atleti degli sci stretti. «Le tutine dei fondisti erano fantascienza per noi, però c’era quell’apertura sulle spalle che le rendeva scomode perché dovevano essere infilate da sopra e non erano funzionali per lo scialpinismo, dove avremmo dovuto mettere le pelli?» continua Meraldi. Così è nata la prima tuta da skialp, dall’esigenza della coppia Meraldi-Greco e dall’esperienza di Valeria Colturi, che conosceva bene le tute che venivano utilizzate in quegli anni e aveva fatto anche le prime da short track perché la sorella Katia era una pattinatrice che ha partecipato a ben cinque Olimpiadi. Curiosamente i due primissimi esemplari erano neri con le bande gialle, una colorazione insolita. Il ragionamento è stato semplice: i colori scuri attirano maggiormente i raggi del sole… anche questa è storia dello skialp race. Ne parliamo su Skialper 129 di aprile-maggio.

Skialper 129 è in distribuzione in edicola, oppure puoi ordinare la tua copia qui

© Enrico Marta

Avevamo tutto e non lo sapevamo

«Dopo un caffè partiamo dal Valasco portandoci dietro un asse di legno, ci servirà ad attraversare un ruscello senza dover allungare inutilmente fino al ponte situato in fondo alla piana. Il canale è stretto, ma mai ripido. Si snoda attraverso pareti di granito rossastro che sono una delle caratteristiche della zona, ben riassunte dalla Cresta Savoia che si snoda qualche chilometro più a monte. Trecento metri, poco più o poco meno. Pochi per essere l’obiettivo di una giornata, ma abbastanza per rientrare in una concezione di scialpinismo che in Italia stenta ancora ad avere seguito: anziché voler programmare la gita in funzione di una cima precisa, in alcune aree ha più senso fare l’avvicinamento iniziale e solo dopo decidere dove puntare gli sci, in base all’appetito e al menù del giorno. Come, ad esempio, la valle del Valasco, dove sono presenti pendii di qualsiasi esposizione e inclinazione».

© Federico Ravassard

Scrive così Federico Ravassard nell’articolo di apertura di Skialper 129 di aprile-maggio, che ha regalato anche la copertina al numero attualmente in edicola. Avevamo tutto e non lo sapevamo il titolo. Sì, perché Federico si è ritrovato in uno degli angoli più selvaggi d’Italia, dove il distanziamento sociale è la norma, proprio nel momento in cui è stato dichiarato il lockdown nazionale. «Cis nel frattempo controlla nervoso il telefono, fino a quando arriva la notizia che cambierà il corso della nostra primavera, e per nostra si intende quella dell’intero Paese: in conferenza stampa il premier Conte ha appena dichiarato lo stato di lockdown in tutta Italia in risposta all’aggravarsi dell’epidemia. Ci guardiamo negli occhi consci che ora la situazione si farà parecchio complicata, per dirla con un eufemismo. In altre parole: siamo tutti fottuti». Così fare scialpinismo nel Parco Naturale Alpi Marittime soggiornando in un rifugio ex reale casa di caccia sabauda, guardando le vette e canali dove si snodano decine di itinerari, si è trasformata in un lusso e nella scusa per riflettere su quanto siamo stati fortunati fino a oggi ad avere tutto, anche se spesso non ce ne siamo resi conto fino in fondo.

© Federico Ravassard

«Scendiamo uno alla volta, dandoci il cambio alla guida del gruppo. Le pareti che ci circondano sono alte, si potrebbe credere di essere ben altrove. Anche se poi, a pensarci bene, le Marittime hanno ben poco da invidiare ad altri massicci, qui la quota relativamente modesta viene compensata dalle abbondanti nevicate, merito proprio della vicinanza con il Mediterraneo, e la morfologia complicata sembra essere studiata apposta per soddisfare desideri di pornografia scivolatoria». Se le vacanze torneranno a essere più local, come è probabile, qui in Valle Gesso, nel Parco Naturale Alpi Marittime, potrete vivere esperienze in un certo senso esotiche e quella sensazione di isolamento sempre più rara sulle Alpi. Sapevatelo e… se volete approfondire l’argomento, non rimane che leggere Skialper di aprile-maggio.

Skialper 129 è in distribuzione in edicola, oppure puoi ordinare la tua copia qui

© Federico Ravassard
© Federico Ravassard

Afghan Ski Challenge, lo sci è una cosa semplice

«Il giorno della gara a Bamyan è pieno di afghani con gli sci e in tanti vengono a vederli. A fare il tifo sono venuti anche alcuni dei bambini che avevamo visto a Jawkar, camminando per tre ore sulle montagne dove noi abbiamo sciato, con ai piedi scarpe da città e come pantaloni dei normali jeans».

© Ruedi Flück

Scrive così Ruedi Flück su Skialper 129 di aprile-maggio a proposito dell’Afghan Ski Challenge. Nel numero dedicato all’agonismo pubblichiamo un ampio reportage a questa gara che si tiene da dieci anni nel cuore di uno dei Paesi più belli e tormentati del mondo, una gara di skialp con modalità abbastanza diverse da quelle a cui siamo abituati sulle Alpi, spesso con concorrenti che utilizzano sci di legno e devono portarli a spalla in salita. O con spettatori armati di mitra. Ruedi è stato da quelle parti nel 2014 e il reportage è un avvincente racconto di viaggio, dove lo sci è, come spesso avviene, la scusa. Un viaggio nel quale ha incontrato anche Ferdinando Rollando, la Guida alpina italiana che in quegli anni operava in Afghanistan con la sua ong Alpistan. Un viaggio per visitare il luogo dove si trovavano le famose statue di Budda distrutte dai Talebani e per incontrare Sajjad Housaini e Alishah Farhang. Questi due ragazzi, grazie alla vittoria nella gara di quell’anno, hanno avuto l’opportunità di allenarsi per tentare di rappresentare il loro Paese ai Giochi olimpici di Pyeongchang nello sci alpino. Non ce l’hanno fatta, ma la loro storia ha fatto conoscere un volto diverso dell’Afghanistan. Ed è anche quello che cerca di fare, oltre i luoghi comuni, Ruedi con il suo articolo e le belle foto.

Skialper 129 è in distribuzione in edicola, oppure puoi ordinare la tua copia qui

© Ruedi Flück
© Ruedi Flück

Quelli della notte

È nata nel 2010 con una formula diversa e ora, alla decima edizione, è diventata una grande classica dello skialp in pista e in notturna, come la Sellaronda nelle Dolomiti. La Monterosa Skialp, che nel 2020 ha visto crollare i record maschili e femminili e la partecipazione di tutti gli atleti top, non è solo una gara con 120 coppie che si sfidano nella notte sulle piste del MonterosaSki, ma un evento che prende forma il giorno dopo che è finita l’edizione precedente. E Franco Torretta, direttore d’esercizio della Monterosa SpA, oltre che appassionato Skialper, lo sa bene.

© Stefano Jeantet

Su Skialper 129 di aprile-maggio gli abbiamo chiesto qualche curiosità legata all’organizzazione. «Solo per preparare il percorso ci vogliono 620 bandiere verdi per la salita, 620 bandiere rosse per la discesa, 30 bandiere gialle per le parti a piedi e 200 torce luminose per i cambi di direzione in pista e le zone di cambio; inoltre ci sono tre palloni luminosi e 30 fari per le zone di cambio. Dieci battipista tra le 17,15, orario di chiusura al pubblico delle piste di sci, e le 18, lavorano su un percorso di circa 30 chilometri». A illustrate l’articolo le stupende foto di Stefano Jeantet.

Skialper 129 è in distribuzione in edicola, oppure puoi ordinare la tua copia qui

© Stefano Jeantet
© Stefano Jeantet

Nadir Maguet, il Mago trasformista

Nadir, allora, sei uno scialpinista o uno skyrunner?

«Me lo chiedono in tanti adesso. Ma, come in tutte le cose, ci sono sempre delle novità. Ho iniziato con lo sci di fondo, poi ho scoperto il biathlon, diventando anche campione italiano Ragazzi. Ho provato, per un anno, pure il calcio e non andavo male: volevano farmi fare un provino per il Torino, ma non mi piaceva l’ambiente. Così grazie a Teto Stradelli, che era mio compagno di scuola e faceva già gare di skialp, ho provato sci e pelli e ho sfidato mio padre nel vertical notturno del paese: se l’avessi battuto mi avrebbe comprato l’attrezzatura, che per quell’occasione mi ero fatto prestare. Inutile dire come è andata e che grazie a Marco Camandona ho iniziato ad allenarmi con lo sci club Corrado Gex. Ricordo ancora quella volta al Trofeo Vetan quando mi ha insegnato i cambi di assetto sull’asfalto, pochi minuti prima del via. Poi dai vertical sono passato alle individual e in estate ho iniziato a fare prove di sola salita per allenarmi, infine la salita ha lasciato posto anche alle skyrace, perché sono molto simili a una gara di scialpinismo. E così siamo arrivati all’estate scorsa quando ho deciso di partecipare alle Golden Trail Series e di fare la mia prima gara di quasi quattro ore, a Chamonix. Un’altra novità».

© Chiara Redaschi

Per la cronaca Nadir Maguet nel 2019, dopo avere collezionato il secondo posto alla Marathon du Mont Blanc e alla Dolomyths di Canazei e la vittoria alla Ring of Steal, presentandoti al secondo posto alle finali, dietro a quel Kilian che ha avuto davanti anche alla skyrace dei Mondiali scozzesi, nel 2018, ha dovuto ritirarsi, chiudendo al quinto posto. E una stagione a così alto livello ci ha fatto venire voglia di andare a casa sua, a Torgnon, proprio per capire qual è la vera anima del Mago. Abbiamo fatto gli ultimi tornanti prima del suo pied-a-terre sotto una fitta nevicata, pochi giorni prima del lockdown. Saremo riusciti a capirlo? Per leggere l’intervista integrale dovete comprare Skialper 129 di aprile-maggio. Però vi anticipiamo cosa pensa dei tre mondi che ha frequentato, potrebbe essere un indizio. Potrebbe…

© Chiara Redaschi

Scialpinismo, trail e skyrunning sono tre mondi molto vicini, con fatica e dislivello al centro: sono più i punti in comune o le differenze?

«Più che in generale tra i tre sport, farei una distinzione tra le Golden Trail Series e il resto, soprattutto su come sono gestite e comunicate. Prendi per esempio la Coppa del Mondo di scialpinismo: si corre con poco pubblico e per gli atleti non c’è visibilità. Alle Golden Trail Series ti intervistano prima e dopo la gara, producono un video per ogni tappa dove fanno vedere i momenti più importanti con la voce dell’atleta a commentare, c’è un live streaming. E poi la formula della finale alla quale partecipano solo i primi dieci, portando anche un accompagnatore, ti fa vivere a stretto contatto con gli altri, fino alla gara c’è un bello spirito, quasi di vacanza, mentre nelle altre occasioni sei sempre solo».

Skialper 129 è in distribuzione in edicola, oppure puoi ordinare la tua copia qui


Soul Silk, i diari della bicicletta

«Tornare a mettere gli sci è stato fantastico. Abbiamo lasciato i carretti a Kayseri e, sci in spalla, siamo saliti di primo mattino in bici fino al passo, a circa 2.000 metri, dove, seguendo le ultime lingue di neve, abbiamo iniziato a risalire le piste del comprensorio sciistico. Dopo alcune centinaia di metri di dislivello, abbandonate le piste, per alcuni avvallamenti e su dolce pendenza ci siamo via via portati ai piedi del pendio finale, maestoso e illibato. Il sole, complice l'esposizione a Est, stava già scaldando la neve, le condizioni erano ottimali e abbiamo iniziato a risalire il canale di accesso ai pendii soprastanti con numerosi dietrofront. La pendenza cresce in progressione dai 30° fino ai 40° finali per arrivare alla cresta sommitale che conduce brevemente alla vetta sciistica. Salire questo imponente vulcano con lo sguardo che pian piano spaziava a perdita d'occhio su tutta l'Anatolia fino a a lambire le coste del Mar Nero a Nord e del Mediterraneo a Sud è stata una sensazione che non potrò dimenticare, qualcosa di nuovo. Poi la discesa, su firn perfetto, con le nostre tracce a disegnare solitarie il ripido pendio sommitale. Arte del divertimento».

Salendo sull'Erciyes © Giacomo Meneghello

Con queste parole Giacomo Meneghello descrive la salita ediscesa dall’Erciyes, in Turchia. Una delle montagne salite e sciate nel corso della lunga avventura che da metà aprile a fine luglio del 2019 l’ha portato a pedalare da Livigno alla Cina, in compagnia dell’amico Yanez. Un viaggio incredibile: 9.700 chilometri, 90.000 metri di dislivello positivo, 12 Stati attraversati. Proprio quel soffio di avventura che tanto ci è mancato negli ultimi mesi. Durante Soul Silk Giacomo e Yanez hanno anche raggiunto la cima della Marmolada, del Mussala, in Bulgaria, e dello Yuhina Peak, un cinquemila vicino al Pik Lenin.

© Giacomo Meneghello

«Il nostro carretto durante il viaggio era un po’ come la borsa di Mary Poppins. E non ne abbiamo mai saputo il peso effettivo, stimato forse in circa 80 chili totali. Un ritrovato di tecnologia artigianale tanto funzionale e robusto quanto problematico per l'ingombro e la struttura pensata per renderlo facilmente chiudibile, ma proprio per questo difficile da svuotare» scrive ancora Giacomo. Nel carretto naturalmente anche artva, pala e sonda, ramponi, piccozza, casco, zaini, imbrago, corda, tenda e sacco letto.

© Giacomo Meneghello

L’avventura di Giacomo è diventata un diario di viaggio, con parole e foto, su Skialper 129 di aprile maggio. Quattordici pagine da sfogliare con calma, quattordici pagine che in un momento come questo hanno un valore diverso.

Samarcanda © Giacomo Meneghello
Al Pik Lenin © Giacomo Meneghello

Skialper 129 è in distribuzione in edicola, oppure puoi ordinare la tua copia qui

 


Marco De Gasperi diventa brand manager Scarpa per il trail running

«La fiamma è ancora troppo accesa, non mi accontenterò di fare la mezz’oretta da pensionato, voglio ancora provare a togliermi delle soddisfazioni nel trail, soprattutto sulle distanze ultra». Partiamo dalla fine, rewind. Poco fa abbiamo terminato di parlare con Marco De Gasperi proprio mentre rientrava in auto da Asolo verso la sua Bormio. La notizia del Dega brand manager per il trail running in Scarpa era troppo ghiotta per relegarla a un semplice comunicato stampa. Perché Marco De Gasperi rappresenta per il movimento della corsa in natura quello che Kilian Jornet rappresenta per il fast and light in montagna. Il palmarès di Marco parla da solo: sei titoli di Campione del Mondo di Corsa in Montagna, una medaglia da Campione europeo, undici Coppe del Mondo, due titoli Europei di Skyrunning, senza dimenticare le imprese che l’hanno portato a realizzare dei record che non venivano infranti da oltre vent’anni. E una carriera - non ancora finita, a giudicare dal virgolettato che riportiamo sopra - che spazia dalle prime, eroiche, gare di skyrunning degli anni ‘90 alla corsa in montagna e all’ultra-trail. Non puoi liquidare con una velina l’arrivo di uno così dietro alla scrivania (si fa per dire) dove si decidono le strategie di uno dei marchi che hanno fatto la storia calzaturiera dell’Italia alpina.

I rumours erano già nell’aria da settimane, da quando De Gasperi aveva annunciato il suo addio ai Carabinieri, ma mancava l’ufficialità sul marchio e il ruolo. Si pensava soprattutto allo sviluppo dei prodotti. Invece non è così, o almeno non è solo così. «Mi occupo di prodotto, naturalmente, ma il mio ruolo va oltre, sono il referente per tutta l’area del trail running, dagli eventi, agli atleti, fino alle gare perché c’è l’idea forte di portare la tradizione e l’immagine di Scarpa, leader nell’hiking, nell’alpinismo, nell’arrampicata e nello scialpinismo, anche nel mondo della corsa in natura, partendo da prodotti già affermati per fare un ulteriore salto in avanti e consolidare la reputazione tra chi corre». Forse non è il momento più felice per iniziare una nuova avventura, ma tu sei abituato a stringere i denti… «Ti confesso che quando è iniziata l’emergenza ho pensato che un’azienda in questo momento così difficile per tutti avrebbe potuto dire ‘fermiamoci un attimo, aspettiamo’, invece in Scarpa non si sono fermati perché c’è una grande voglia di affermarsi come leader anche nel trail, perché è un passo che non si può più rinviare. E questo mi dà ancora più energie». È un lavoro che passa più per lo sviluppo dei prodotti o per l’immagine? «Passa da tutte le parti, lo dice il mio ruolo stesso. Partiamo da scarpe valide e dal grande know-how del marchio, poi dobbiamo creare un vero team partendo dagli ottimi atleti che già abbiamo, dobbiamo creare lo spirito di gruppo, perché gli atleti vanno aiutati; dobbiamo stringere accordi con gare importanti e vicine alla nostra idea di montagna e di trail». Quando parli di atleti hai già qualche idea per il futuro? «Credo che non ci sia un team che, al femminile, ha i punti ITRA del nostro: penso a Elisa (Desco, ndr), a Francesca Canepa, ma anche a Ilaria Veronese e a Silvia Rampazzo che ha fatto la storia del marchio nel trail e che in qualche modo vogliamo che rimanga legata a noi. Però vorrei anche fare crescere dei giovani, abbiamo già inserito Luca Del Pero e Lorenzo Beltrami, nei quali credo. Ci sono Daniel Jung e Gil Pintarelli, che sono forti, e a livello internazionale continueremo con Joe Grant e Hillary Gerardi, ma non ti nascondo che mi piacerebbe anche fare entrare qualche nome top a livello internazionale. Questa stagione, vista anche la situazione, servirà per creare lo spirito di gruppo e rodarci». La tua lunga esperienza cosa ti dice: dove sta andando il trail running? «C’è una fetta sempre più grande di principianti, che arrivano al trail dalla città o dalla corsa, non dalla montagna, e che cercano scarpe comode e sicure e ci sono aziende di altri mondi che credono sempre di più nel trail, questo è il trend più forte che vedo, però non va dimenticato l’appassionato che arriva dal nostro mondo, che è sempre più appassionato ed esigente».

Che ambiente hai trovato ad Asolo? «Un bel gruppo, giovane, con tanta voglia di emergere. Io ho portato la mia esperienza, che è soprattutto tecnica e sportiva, poi sono loro che hanno dato forma alle scarpe e credo che, un po’ perché il trail lo consente, un po’ perché è un campo dove c’è più libertà rispetto al grande heritage del marchio, abbiano dato ancora più sfogo alle loro doti creative». Dunque, quando vedremo le prime scarpe dove c’è anche il tuo zampino? «Già nella collezione primavera-estate 2021». Troverai il tempo di allenarti, visto che hai confessato che le scarpe al chiodo non hai intenzione di appenderle? «Spero di riuscire a togliermi delle soddisfazioni, perché non ho raggiunto ancora tutti i miei obiettivi, e poi stare all’interno del team mi può aiutare a essere un brand manager migliore». Allenatore in campo, per vincere. In bocca al lupo Marco.

Da sinistra, l'ad Bolzonello, il presidente Parisotto e De Gasperi

L'incredibile storia dell’attacchino che fa impazzire il mondo

«È un quadrilatero che ha come estremi Bad Haring, in Tirolo, Graz, in Stiria, il Monte Bianco e la Valtellina. Non c’è dubbio però che il caso abbia voluto che il Monte Bianco, il luogo che apparentemente centra meno con questa storia, sia stato determinante. Siamo agli inizi degli anni Ottanta. Uno studente di ingegneria di ritorno da una vacanza con un amico per arrampicare nelle Calanques passa da Chamonix. Guarda il Monte Bianco e, con quell’incoscienza tipica dei ventenni, non ci pensa due volte: perché non proviamo ad arrivare in vetta? I due scelgono di traversare dall’Aiguille du Midi, poi Tacul e Mont Maudit. Alla fine in vetta ci arrivano, ma devono battere traccia e quell’attrezzatura pesante – sci da due metri e attacchi da skialp con telaio – li distrugge più dell’intera vacanza nelle Calanques».

Inizia così l’articolo di Skialper 129 di aprile-maggio, in distribuzione a partire da questi giorni, che ripercorre la storia dell’attacchino. Un incredibile incrocio di coincidenze e incontri che ha portato un visionario come Fritz Barthel a creare un oggetto rivoluzionario ma poco compreso agli inizi. L’attacco che è diventato lo standard e ha in parte spinto lo skialp verso il boom è nato dall’intuizione e dalla testardaggine di uno studente di ingegneria, ma si è sviluppato grazie all’incontro con il mondo dello skialp race italiano, Fabio Meraldi e Adriano Greco in primis, e al rapporto, fin dagli inizi, prima che il marchio del leopardo delle nevi acquisisse i diritti esclusivi, con Dynafit. Parlando con i protagonisti di questa piccola rivoluzione abbiamo ricostruito tutti i passaggi, gli aneddoti, le variabili.

«Credo che i pin resisteranno ancora, ma la storia dice che i sistemi vengono sostituiti da altri sistemi migliori e dubito che sarò io a fare il prossimo passo, non è giusto che lo faccia un vecchio testardo: giovani, fatevi avanti!». Se c’è qualcuno pronto a raccoglierla, è bene che si legga prima di tutta la storia.

Un'immagine d'epoca di Fritz Barthel

WESC 1991

«Iniziò entrando nel canale con curve saltate decise e pulite, con la neve che si sollevava accanto a lui. Gestiva gli sci con una precisione estrema, in coordinazione perfetta con il movimento delle braccia e dei bastoncini. Dove la maggior parte degli sciatori faceva una curva soltanto, derapando, Coombs ne faceva tre. Non attendeva, non aveva dubbi o esitazioni. Era come un torero nell’arena che invece di un animale teneva a bada un’intera montagna. Si spostò poi a sinistra, uscendo dal canale principale e superando la parte più esposta, costellata di rocce. Una caduta qui sarebbe stata fatale. Se cadi, muori. Il tempo rallentò nella sua mente. Ogni roccia gli si avvicinava al rallentatore, permettendogli di girargli attorno con precisione, senza mai fermarsi».

Questo brano è tratto dal libro Sulle tracce di Coomba di Robert Cocuzzo. Siamo al WESC, il primo Mondiale di sci estremo, in Alaska, nel 1991. Uno sconosciuto di nome Doug Coombs arriva a sfidare tutti i più forti sciatori di ripido dell'epoca. E sbaraglia la concorrenza su pendii dove ci sono stati anche ruzzoloni epici come quello di Garrett Bartelt con 17 capovolte.

https://youtu.be/2o8_61pHLzQ

Su Skialper 129 di aprile-maggio pubblichiamo un ampio articolo sulle performance di Coomba al primo WESC, con le fotografie dell'epoca del fotografo Wade McKoy. Se vuoi riceverlo direttamente a casa tua puoi sempre abbonarti.

Se vuoi conoscere l'incredibile storia di Doug Coombs, puoi comprare il libro pubblicato dalla nostra casa editrice.


In arrivo Skialper 129 di aprile-maggio

È una frase di Martin Luther King a contraddistinguere la copertina del numero 129 di Skialper di aprile-maggio, una frase che ben si adatta ai tempi che stiamo vivendo: «Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non farete nulla per cambiarla». Un numero che avrebbe dovuto essere interamente dedicato all’agonismo e allo spirito agonistico, e lo è in gran parte, ma che l’emergenza ha costretto a cambiare leggermente, inserendo anche articoli di viaggio. Per non smettere di sognare. 176 pagine tutte da leggere e da guardare, in distribuzione a partire dal 21 aprile.

COSA RESTERÀ DI QUEI FORMIDABILI ANNI ’90 - Nel giro di poco più di un decennio, con la nascita dello skyrunning, si è imposto il concetto di fast & light che è alla base del nostro andare in montagna e di sport meno estremi come il trail. Ripercorriamo gli anni d’oro di quell’intuizione, con le prime gare sul Monte Bianco e quelle in Himalaya, gli studi scientifici e le foto dell’epoca.

AVEVAMO TUTTO E NON LO SAPEVAMO - Poco conosciuta, la Valle Gesso è stato il luogo dove, inconsapevolmente, abbiamo vissuto l'entrata dell'Italia nel lockdown del Covid-19. E dove ci piacerebbe tornare per la prima sciata. Un reportage esclusivo e autoprodotto, firmato da Federico Ravassard, da uno dei luoghi più selvaggi d’Italia, ideale per lo scialpinismo esplorativo.

SOUL SILK - 9.700 chilometri, 90.000 metri di dislivello positivo, 12 Stati attraversati. Per pedalare dall’Italia alla Cina, raggiungere (spesso sciandole) le montagne più belle e vivere quel soffio di avventura che tanto ci è mancato negli ultimi mesi. Il diario di un viaggio indimenticabile, con testi e foto di Giacomo Meneghello.

AFGHAN SKI CHALLENGE - Quando si porta il fucile con la disinvoltura di una borsa e le priorità della vita sono molto diverse da quelle a cui siamo abituati, anche una gara di scialpinismo diventa l’occasione per divertirsi senza troppe pretese. Ieri come oggi. Un reportage dall’Afghanistan firmato da Ruedi Fluck.

MONSIEUR MEZZALAMA - Adriano Favre è il signorsì della gara di scialpinismo più famosa del mondo. Ma è anche rifugista, soccorritore, himalaysta, Guida alpina, gestore di rifugio, sviluppatore di prodotti per Ferrino. A tu per tu con un personaggio davvero poliedrico.

SKIALPER AMARCORD - Enrico Marta, fondatore di Skialper, ha seguito la parabola dello skialp race dagli esordi e ricorda alcuni degli episodi più curiosi, dai primi exploit di Kilian e Roux, alle funamboliche prestazioni di Giacomelli. Con le foto dell’archivio della nostra rivista.

L’ANNO ZERO - 1989: Fabio Meraldi e Adriano Greco, insieme a Valeria Colturi, partono dall’abbigliamento per lo sci di fondo per creare la tutina che ha fatto la storia dello skialp agonistico.

L’INCREDIBILE STORIA DELL’ATTACCHINO CHE FA IMPAZZIRE IL MONDO - Una serie di coincidenze ha permesso di sviluppare un’idea rivoluzionaria che dalle gare si è velocemente imposta come lo standard dello scialpinismo. Ecco come è nato e si è sviluppato l’attacco a pin, con le testimonianze dei protagonisti e le foto dei primi prototipi.

QUELLI DELLA NOTTE - 240 atleti, 80 volontari, 30 chilometri di percorsi da preparare in meno di un’ora e da disallestire entro l’alba: dietro alla Monterosa Skialp c’è una macchina organizzativa complessa, che lavora tutto l’anno per un evento di qualche ora. Curiosità e le spettacolari foto di Stefano Jeantet dell’ultimo evento agonistico top che si è disputato.

WESC 1991 - Per anni in Alaska è stato organizzato il Mondiale di sci ripido. Alla prima edizione uno sconosciuto sciatore di Jackson Hole ha sbaragliato la concorrenza. Si chiamava Doug Coombs. Il racconto di Robert Cocuzzo, che ha scritto un bellissimo libro su Coombs, illustrato dalle foto di quell’edizione del WESC del fotografo Wade McKoy

GO WITH THE FLOW - Dopo il terzo Freeride World Tour Arianna Tricomi è sempre più la freeskier del momento, ma il suo successo è frutto di un background che va dallo sci alpino alla prima scena freestyle, quella di chi il kicker lo costruiva con le proprie mani. Perché la passione per lo sci viene prima di tutto. Alberto Casaro l’ha incontrata poco prima del lockdown

NADIR MAGUET, IL MAGO TRASFORMISTA - Prima fondista, poi biathleta, scialpinista. E ora dobbiamo chiamarlo skyrunner? Per capirlo siamo andati a trovarlo a casa sua.

DOLOMITI HALF MARATHON EXPERIENCE - La mezza maratona dell’Alpe di Siusi e del Sassolungo non sono solo due delle gare più belle tra i Monti Pallidi, ma percorsi unici da provare tutta l’estate. Ognuno al proprio ritmo, magari fermandosi per una pausa in una delle tante baite gourmet lungo il percorso.

MUST HAVE - Le chicche per chi ha lo spirito agonistico dentro, che sia con una tutina, un pettorale in una gara di trail o dei padelloni ai piedi in un contest di freeski. Pagine da sfogliare tenendo ben lontana la carta di credito…

E NON FIISCE QUI - Il consueto appuntamento con il portfolio fotografico, un approfondimento sulla Workstation di ATK Bindings e sulle anteprime Dynafit per il prossimo inverno in chiave skialp race, opinioni e tanto altro.


Iscriviti alla newsletter


Mulatero Editore utilizzerà le informazioni fornite in questo modulo per inviare newsletter, fornire aggiornamenti ed iniziative di marketing.
Per informazioni sulla nostra Policy puoi consultare questo link: (Privacy Policy)

Puoi annullare l’iscrizione in qualsiasi momento facendo clic sul collegamento a piè di pagina delle nostre e-mail.

Abbonati a Skialper

6 numeri direttamente a casa tua
43 €per 6 numeri

La nostra sede

MULATERO EDITORE
via Giovanni Flecchia, 58
10010 – Piverone (TO) – Italy
tel ‭0125 72615‬
info@mulatero.it – www.mulatero.it
P.iva e C.F. 08903180019

SKIALPER
è una rivista cartacea a diffusione nazionale.

Numero Registro Stampa 51 (già autorizzazione del tribunale di Torino n. 4855 del 05/12/1995).
La Mulatero Editore è iscritta nel Registro degli Operatori di Comunicazione con il numero 21697

Privacy Policy - Cookie Policy

Privacy Preference Center

X