Presentato il Millet Tour du Rutor Extrême

Nella suggestiva cornice di Skyway Monte Bianco a Courmayeur, il comitato organizzatore e diverse autorità locali hanno presentato ai media la ventesima edizione del Millet Tour du Rutor Extrême. Al tavolo dei relatori il direttore tecnico e guida alpina Marco Camandona, Renzo Testolin Presidente della Regione Valle d’Aosta, Albert Chatrian Assessore Regionale all’ambiente, risorse naturali -  corpo forestale e i sindaci dei comuni toccati dalla gara Mauro Lucianaz (Arvier), Riccardo Moret (Valgrisenche) e Barbara Frigo (vice sindaco de La Thuile). In programma dal 26 al 29 marzo, sulle montagne di La Thuile, Arvier, Valgrisenche, la 20ª edizione della super classica valdostana tornerà alle origini ricalcando in parte, nella tappa d’esordio, la prima edizione del 1933 andata in scena sul ghiacciaio del Rutor, versante de La Thuile. Tappa italiana di La Grande Course, il circuito delle competizioni più prestigiose di tutto l’arco alpino e della cordigliera pirenaica, il TDR vedrà ai nastri di partenza 600 atleti da 18 differenti nazioni.

4 GIORNI DI GARE EXTRÊME DI NOME E DI FATTO
La ventesima edizione andrà in scena su quattro tappe con in totale 9.500 metri di dislivello positivo, 105 km di fuoripista, 60 km di salita, 45 km di discesa, 6 km di creste aeree. Durante ogni giornata gli atleti saliranno oltre i 3000 metri di quota. Solo due e non tre, i giorni di gara per le categorie Junior e Cadetti che si disputeranno nei giorni 28 e 29 marzo.

PRONOSTICI INCERTI
A giocarsi il successo in questa storica ventesima edizione saranno gli azzurri del Cs Esercito Matteo Eydallin – Nadir Maguet  con i vincitori di Pierra Menta Didier Blanc – Valentine Favre. Attenzione anche al binomio austro italiano composto da Jakob Herrmann - William Boffelli. Ruolo di outsider per l’esperto Filippo Beccari che, per l’occasione, correrà al fianco Al talentuoso atleta di casa Henri Aymonod. A caccia di un posto nella top five anche gli altoatesini Alex Oberbacher – Martin Stofner.  Sempre protagonisti anche i ragazzi di casa Stefano Stradelli – Francois Cazzanelli. Nella gara in rosa sfida Svezia – Italia con Fanny Borgstrom – Emelie Forsberg che se la dovranno vedere con Elena Nicolini – Martina Valmassoi.  In lizza per un posto sul podio anche le francesi Valentine Fabre – Ilona Chavailaz e le spagnole Marta Riba – Nahai Quincoces.

SFIDA NELLA SFIDA NELLA TAPPA DELLE ORIGINI
I big in gara avranno pane per i loro denti grazie al super premio Trofeo Tappa di La Thuile Eaux Valdotaines da 2.000 euro per la prima coppia maschile e femminile che si aggiudicherà la tappa inaugurale (questo riconoscimento andrà ad aggiungersi al ricco montepremi finale e sarà assegnato solo in caso di completamento delle quattro tappe previste).


Enrico Engry Dellarole: freetouring è freedom

Alagna non a torto è sempre stata una delle mete preferite dagli skibum di mezzo mondo. Proprio in seno a questa realtà è germogliata la voglia di vivere sciando di Enrico. Italianissimo, lontano dai riflettori ha orientato la sua vita al piacere che gli restituisce sciare tra la Norvegia e Alagna o dove è nevicato di più! Non è stato semplice convincerlo a raccontarci della sua idea di sci, perché non si sente di fare nulla di speciale. Leggenda vuole che gli amici lo chiamino Engry, perché sta sempre incazzato. Lui nega e in effetti il tono è calmo e pacato. Una copertura?

«Non è assolutamente vero! È tutta colpa di una mia amica! (ride, ndr). Mi ha spiazzato che mi abbiate cercato per farvi raccontare la mia idea di sci! Scio, mi piace la bella neve. Se ci pensi, nulla di speciale. Non sono un ragazzo di montagna, sono nato a Saronno nel 1984 e mi sono avvicinato alla montagna come molti verso i 10 anni: passeggiate con mio padre, qualche 4.000 verso i 14 anni. Ho studiato agraria, mi sono appassionato all’apicoltura e ho iniziato a trascorrere sempre più tempo in montagna per seguire questa passione presso la casa dei miei nonni a Riva Valdobbia. Ho iniziato a sciare ad Alagna, autodidatta. Poi, le pelli. Non mi piace la confusione e tutt’oggi Alagna rimane uno dei pochi posti dove se vuoi poi ridurre i dislivelli con gli impianti e poi, pellando qualche ora, ritrovarti da solo. Anche il territorio circostante è perfetto per lo skialp, giro sempre con le pelli. Mi sono innamorato definitivamente del Rosa quando una primavera a Macugnaga ho visto il Marinelli: ho iniziato a sognare di salirlo e scenderlo. Volevo vivere sciando e tra il 2001 e il 2009 ho vissuto ad Alagna lavorando nei ristoranti la sera, proprio come facevano gli skibum del Nord. Anche il sabato lavoravo, ma spesso ero in ritardo, perché se c’era bella neve andavo a sciare. C’è un gruppo di amici ad Alagna, con cui scio: Håkon, Alex theblacksheep, Becky&Andy. Da quattro anni mi trasferisco in Norvegia intorno ad aprile, per godermi lo sci e prolungare la stagione: mi sono innamorato di quella sensazione di libertà che regala in particolare il Nord di quel Paese. Mi piace sciare in bella neve e ti dirò che mi sono reso conto che ormai arrivare in cima a una montagna non è più così fondamentale: per esempio oggi sono in Francia, ci sono buone condizioni e abbiamo pellato solo per raggiungere un pendio che vedevo davanti a me da quattro giorni… senza nessuna cima, solo per sciare lì.

Se mi chiedi il momento in cui ho iniziato a pensare allo sci lontano dalle piste, lo posso ricondurre a un episodio specifico: avevo appena finito di salire una cascata di ghiaccio con amici, vicino al comprensorio di Bosco Gurin, tra Ossola e Val Bedretto. Stavamo scendendo a piedi nel bosco, una pena infame con la neve fino alla vita, quando una coppia di scandinavi ci sfrecciò accanto con gli sci. Noi eravamo stravolti, loro avevano il sorriso: non mi serviva di più».

QUESTO RITRATTO, INSIEME AD ALTRI DI SCIATORI 'LIBERI', È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 127

© Luigi Dellarole/HIghland Production

Monterosa Skialp confermata

Gara confermata, sabato si corre la Monterosa Skialp. Parterre di livello e iscrizioni in costante crescita, deadline per accaparrarsi un pettorale venerdì alle 18. Nelle ultime ore sono arrivate le adesioni di Michele Boscacci – Davide Magnini e Alba De Silvestro – Giulia Murada. Le due fortissime equipe del CS Esercito di Courmayeur vanno ad impreziosire una starting list nella quale spicca anche l’inedita coppia composta dal valdostano Nadir Maguet e dall’austriaco vincitore della Mountain Attack  Jakob Herrmann.

Menzione d’obbligo anche per  William Boffelli – Alex Oberbacher e per i trentini Federico Nicolini – Patrick Facchini. Ad insediare le favorite nella sfida in rosa ci penserà invece il binomio piemontese composto dalla campionessa di vertical Ilaria Veronese e da Katia Tomatis. I tempi da battere? Al maschile 2h38’03” siglato nel 2016 da Matteo Eydallin – Damiano Lenzi.  Al femminile le più forti sinora su questo percorso sono invece state Bianca Balzarini e Raffaella Rossi che, sempre nel 2016, sono state capaci di tagliare il traguardo in 3h30’00

PROGRAMMA
Termine ultimo per iscriversi le 18 di venerdì. La scaletta è quella annunciata con briefing tecnico alle 17 di sabato presso il salone polivalente di Monterosa Terme ad Ayas (frazione Champoluc, piazzale Ramey), un’ora più tardi sarà dato il via alla gara. Se per le 20.40 è previsto l’arrivo della prima squadra, la serata si concluderà sempre presso il salone polivalente con cena e premiazioni.

IL PERCORSO
La Monterosa Skialp è gara nervosa, muscolare e decisamente bella.  Nelle valli dei Walser, al cospetto dei 4000, ha uno sviluppo di 28km con 2800 metri di salita, 14 cambi d’assetto e un tratto a piedi da superare con sci nello zaino. Sede di partenza e arrivo, quest’anno, sarà Champoluc, il suggestivo borgo della valle d’Ayas. Ma per potersi fregiare del titolo di finisher, i concorrenti dovranno raggiungere Gressoney-La-Trinité testando braccia e resistenza su temibili salite quali Belvedere, MonRoss, Bettaforca, Colle Betta e Lago Ciarcerio.

© Stefano Jeantet

Paolo Tassi, freetouring è... democrazia

«Ciao Paolo, grazie che mi hai richiamato. Ti chiedo subito una cosa: ma lì a Cortina quanta ne ha fatta?». Perché, se bisogna iniziare a parlare con Paolo di sci, tanto vale iniziare dalle cose fondamentali. Perché per scivolare ci vuole la neve. Così è iniziata la nostra telefonata durante la big storm di Snowvember, per poi finire a parlare della sua passione per i viaggi sci ai piedi, alla ricerca del cristallo perfetto.

«Da trent’anni a Cortina, orgogliosamente bolognese, Guida alpina, alla domanda Chi è Paolo Tassi? non posso che rispondere che sono io e appartengo alla razza umana! Fuori sta nevicando, è tutto rallentato quando nevica e mi cogli un po’ alla sprovvista. Innanzitutto ci tengo a precisare che la cosa che mi piace di più è sciare nella neve. Cerco proprio il contatto più profondo ed ecco perché spesso scio telemark. E poi, se ci pensate, lo sci è l’unica forma di alpinismo rinnovabile: dopo una nevicata puoi essere di nuovo il primo a lasciare la tua traccia!

© Martino Colonna

È vero: sono un appassionato di neve e di montagna, ma soprattutto della gente che ci vive in mezzo. Ho scoperto i viaggi quando con Mauro Gilardi ho attraversato le Alpi con gli sci, ma forse il primo che ho organizzato davvero è stato quello in Norvegia nel 1997, con Luca Gasparini, Davide Alberti e Luca Manolo: abbiamo affittato una barca per portare gruppi di venticinque persone a sciare tra i fiordi nella zona delle Alpi di Lyngen. Perché la Norvegia? Beh, lì le persone vivono veramente la neve. L’inverno è lunghissimo, tutti si spostano nella neve, usano gli sci e poi le montagne nascono dal mare, senza nessuna transizione. Mi piace organizzare viaggi e non solo per lavoro, perché ho sempre ritenuto che convivialità e possibilità di condividere ciò che offre lo sci siano una parte fondamentale dell’esperienza. Amo definirmi un po’ un antropologo dello sci.

Da lì in poi non ho mai smesso e ti confesso che domani parto per i monti Altai. In questo periodo fa molto freddo e ci sono belle condizioni, ci sono stato diverse volte. Però, se ti dovessi consigliare un posto per un viaggio di sci, ti direi anche il Kashmir indiano, dove nel periodo tra gennaio e febbraio i villaggi vengono letteralmente sommersi dalla neve.  È incredibile come vivono le popolazioni di quelle zone.

E vuoi sapere cosa mi piace di più della neve? Il suo colore, il bianco, non è discriminatorio e di questi tempi non è cosa così scontata. La neve mi piace perché è democratica!».

QUESTO RITRATTO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 127

© Martino Colonna

Ilaria Veronese, dalla bici alla Pierra Menta

Con la vittoria dello scorso fine settimana alla Transcavallo in coppia con Alba De Silvestro, Ilaria Veronese ha rotto il ghiaccio anche con le gare a tappe. Una conferma in più per un’atleta che è alla quarta stagione agonistica con sci e pelli e ha scalato velocemente le tappe del successo, aprendo le porte della nazionale, dove è stabilmente tra le migliori di Coppa del Mondo (in stagione due quarti posti nelle vertical, un quarto, un sesto e un settimo nelle individual) ma togliendosi anche qualche altra bella soddisfazione come il secondo posto con Giulia Murada e Marta Martini al Mezzalama 2019 o il titolo italiano vertical conquistato a dicembre e quello individual dell’anno scorso. Ora che è passata Senior l’atleta di Coazze, in Piemonte, non può più nascondersi… Una storia diversa la sua perché in Val Sangone, dove risiede, non c’è uno sci club che segue anche l’attività agonistica nello skialp e lei a sci e pelli ci è approdata un po’ per caso.

«Arrivo dal ciclismo e per la verità sarei ancora iscritta in una squadra agonistica, anche se ormai il mio sport di riferimento è diventato lo skialp - dice Ilaria -. Tre anni fa, dopo un paio di cadute sulle strade ghiacciate, mio padre mi ha buttato lì l’idea di provare ad allenarmi con gli sci da alpinismo. Mi è subito piaciuto, così ho partecipato anche alle prime gare. Sapevo sciare in pista, ma non mettevo gli sci da anni e soprattutto non avevo mai provato il fuoripista, ecco perché all’inizio mi sono subito trovata bene nel vertical, mentre nelle gare tradizionali in ambiente devo ancora fare un po’ di esperienza».

© Maurizio Torri

Ilaria è tesserata per il Tre Rifugi di Mondovì. «A una delle prime gare ho conosciuto Katia Tomatis e mi sono subito trovata bene, così, un po’ per correre insieme la staffetta agli assoluti, un po’ perché nella società per la quale ero tesserata, il Val Sangone, avevano qualche difficoltà a farmi avere l’affiliazione per lo scialpinismo, sono passata al Tre Rifugi». Da quelle prime gare di neve ne è caduta e Ilaria è pronta ad affrontare la prossima Pierra Menta in coppia con Alba De Silvestro, come alla Transcavallo. «L’idea della Pierra è nata prima della Transcavallo e così per testarci abbiamo deciso di fare anche la gara a tappe veneta, da Alba ho molto da imparare, per me potere gareggiare con lei è davvero una bella opportunità» dice con umiltà questa studentessa al primo anno della laurea magistrale in matematica.

Già la matematica che ha plasmato la sua testa e il suo carattere. «Effettivamente non ci avevo pensato ma i miei studi mi hanno insegnato due cose: che ci sono dei passaggi da seguire, non puoi fare certe equazioni se non conosci le operazioni e così nello scialpinismo ci sono vari step nella maturazione agonistica. Allo stesso tempo però mi rendo conto che sono abituata a programmarmi, difficilmente quando esco ad allenarmi non ho deciso che cosa farò». Dunque, dalle due ruote alle pelli. E ora la stagione invernale è diventata quella principale. «Sì, prima mi allenavo in inverno per l’estate, ora l’estate serve per non perdere la condizione, anche se dalla fine della scorsa stagione sono entrata nel team Scarpa (la marca di scarponi che utilizza anche per sciare) e in inverno spesso mi tocca allenarmi correndo perché dalle mie parti negli ultimi due inverni di neve se n’è vista poca». Con le scarpe da running soprattutto vertical, con la vittoria nella gara only-up di Courmayeur a inizio agosto. Ilaria usa anche sci Ski Trab e abbigliamento Montura e dalla fine della scorsa stagione estiva è entrata nel parco degli atleti Julbo. Il marchio francese ha investito su di lei, come su Mara Martini, e su altri atleti del mondo dello scialpinismo, alla ricerca di quella freschezza dello skialp di oggi e soprattutto di domani.

«Prima in inverno usavo la maschera, ora, da quando ho scoperto i Julbo Aerolite, occhiali leggerissimi, senza montatura attorno alla lente, pensati per i visi piccoli ma molto avvolgenti, la maschera la uso solo con nebbia e visibilità davvero pessima… e poi mi trovo bene con i Julbo Aerolite perché non si appannano mai!».

E i prossimi programmi agonistici? Pierra Menta a parte, Adamello ancora con un punto di domanda… rimangono le gare in pista. «Le farò entrambe, sia la Monterosa Skialp che la Sellaronda». Sulle Dolomiti sarò in coppia con Victoria Kreuzer. Che il nome della compagna sia un presagio?

© Maurizio Torri

Ski local

«Domodossola è una base di partenza perfetta per interpretare lo scialpinismo a chilometri zero. Dalla stazione internazionale ferroviaria si possono affrontare oltre una decina di itinerari logici, evitando strade trafficate, dove esaltare le potenzialità della bicicletta per riscoprire le stesse montagne da nuovi versanti e linee. Dal Moncucco, il più accessibile a soli sei chilometri in linea d’aria, alla Weissmies, il quattromila ben visibile dalla stazione stessa, ci si può sbizzarrire, mappa alla mano, a inventare destinazioni e accessi nella totale libertà di spostamento e lontano da resse e gite blasonate. Accessi eterni, versanti abbandonati e incontaminati che hanno tenuto per decenni lontana la massa, possono ora essere considerati, riponderati nelle misure e tempi abbattendo distanze e tabù. Garantisco che la solita gita, la solita montagna raggiunta decine, centinaia di volte si trasformerà, con la giusta compagnia, in un’esperienza così nuova, così divertente da farti sembrare di aver praticato uno nuovo sport in una valle diversa da quella che conosci». Scrive così Giovanni Pagnoncelli su Skialper 128 di febbraio-marzo a proposito dell'approccio allo skialp local, con avvicinamento in bici o ebike. Il suo è un percorso che è partito da lontano, da una scelta di vita consapevole, dall'alimentazione allo shopping, passando per gli spostamenti, ma non c'è dubbio che lo scialpinismo, a certe condizioni, sia una scelta più sostenibile di altri sport alpini. E un punto d'arrivo.

© Max Draeger

Scrive ancora Giovanni su Skialper di febbraio-marzo: «Il mio passaggio in un decennio da persona standard, che vedeva e mirava limitatamente al proprio presente, a persona informata, che ha preso coscienza e si è sentita responsabile del futuro proprio e degli altri in funzione di scelte, gesti e azioni e ha iniziato un percorso per diventare ogni giorno più virtuosa mi è servito per giustificare un approccio moderno all’attività di scialpinismo, parte ricreativa importante degli ultimi trentadue anni. Lo skialp prende sicuramente più like per le sue regole e modalità poco convenzionali e amiche dell’ambiente. Sta di fatto che solo ognuno di noi sa quale contributo reale alla riduzione di impatto ambientale fornisce e, quindi, quanto è coerente con la vera filosofia green. Se un tempo mi sarei fatto trenta trasferte sopra i quattrocento chilometri e oggi rinuncio a tutte queste, sommandole mi potrei permettere di usare l’auto per trecento uscite vicino a casa. Voglio dire che fa di più, concretamente, la rinuncia a una lunga trasferta a vantaggio di una gita locale, anche se raggiunta in auto, rispetto a trenta chilometri percorsi in bicicletta una tantum se poi abusiamo dell’auto. Per cui ognuno decida come interpretare lo sport che più amiamo, come bandiera per i propri like e per mostrare la propria interpretazione radical-chic, come sfida personale o vetrina su Strava, come un diversivo per vestire di nuovo una gita conosciuta, come completamento radicale di una coerenza etica. I più atletici e tecnologici potranno permettersi di inforcare una mountain bike, intraprendendo un’esperienza by fair means non impossibile, ma roba da veri e pochi eroi. Perché la bici a pedalata assistita, pur con un impatto non trascurabile, sia per la batteria e il suo smaltimento che per l’utilizzo di materie prime o per energia elettrica non rinnovabile utilizzata per ricaricala, è innegabile che sia un uovo di colombo che solo chi ha provato può capire». Queste e altre riflessioni nell'articolo Ski Local, nelle prime pagine del numero in edicola di Skialper.

© Paolo Sartori

A marzo riparte Va' Sentiero lungo il Sentiero Italia, online la campagna per raccogliere i fondi

Si chiama Va’ Sentiero ed è l’iniziativa di sette ragazzi per rilanciare – percorrendolo tutto – il Sentiero Italia. Partito l’anno scorso a maggio da Muggia e terminato a novembre a Visso, nelle Marche, il primo step è già andato in archivio e a marzo è prevista una nuova avventura. I sette ragazzi di Va’ Sentiero lanciano una campagna di crowdfunding per sostenere la loro spedizione lungo il sentiero che con i suoi 6.880 km lungo le alte via d’Italia vanta il titolo di trekking più lungo del mondo. Il cammino di Va’ Sentiero riprenderà il 29 marzo 2020 da Visso e si concluderà il 15 novembre 2020 in Sardegna a Santa Teresa di Gallura.

Obiettivo della campagna di crowdfunding è finanziare le spese di questa seconda tranche, una marcia di 7 mesi e mezzo che percorrerà 3.500 km distribuiti su 10 regioni e scanditi da 180 tappe. Tra le mete in programma Gran Sasso, Majella, Altopiano delle Murge, Costiera Amalfitana, Pollino, Sila, Aspromonte, Etna, Madonie, Riserva dello Zingaro, Gennargentu e Gallura; luoghi meravigliosi e dall'enorme potenziale, purtroppo ancora poco conosciuti, per i quali Va' Sentiero rappresenta un messaggio di riscatto.

Nel dettaglio le spese che saranno finanziate attraverso il crowdfunding:

  • Vitto e alloggio: i primi 15.000 euro copriranno le spese vive della spedizione: 200 pernotti e oltre 600 pasti tra colazioni, pranzi e cena per il team di 7 componenti (guida, fotografa, ufficiale logistico, videomaker, cambusiere, social media manager, driver tuttofare).
  • Il furgone: Santos è il furgone della spedizione che segue tappa dopo tappa i camminatori. Classe 1995, il vecchio Mercedes Sprinter è un insostituibile supporto logistico e, all’occorrenza, anche stazione di lavoro on the road. Acciaccato, per tornare a ruggire ha bisogno di un restyling da 5.000 euro.
  • Gli eventi: anche in questa seconda tranche della spedizione non mancheranno gli eventi pubblici sul territorio, un ricco calendario di incontri e di confronti sui temi della montagna. Con 10.000 euro, sarà possibile promuovere eventi di qualità e grande varietà.
  • L’attrezzatura video-fotografica: per incrementare il lavoro di documentazione dell’esperienza e delle terre alte del centro-sud Italia, sarà necessaria nuova attrezzatura, di qualità professionale. Di preciso, servono due corpi macchina e altrettanti obiettivi, per un totale di circa 5.000 euro.

Chi contribuirà con una donazione avrà dei bellissimi premi: dalle stampe fotografiche alle tazze Va’ Sentiero, dalle nuove T-shirt ai super zaini Ferrino Finisterre Limited Edition Va’ Sentiero.

La campagna di crowdfunding è online fino all’11 marzo sulla piattaforma Ginger.


Pindo, la neve prima dello sci

«È proprio sulla porzione greca del Pindo che cade la nostra scelta dello scorso febbraio. In preda allo sconforto per la totale assenza di neve sul versante italiano delle Alpi, decidiamo ancora una volta di puntare al magico Sud-Est, che per quantità di neve non ci ha mai traditi. È un altro degli stereotipi da sfatare, quello che in Grecia nevichi poco. Non è così, specialmente sul Pindo, che fa da baluardo alle perturbazioni e le trasforma in copiose nevicate. Scegliamo in particolare la regione dell'Epiro, che comprende la Zagoria, il Parco Nazionale delle Gole di Vikos e il Parco Nazionale del Pindo. Raggiungiamo Konitsa, che sarà la nostra base per la prima metà del viaggio. Fa un freddo cane, il vento si infila violento tra i vicoli del paese, mentre sulle vette è bufera. L'atmosfera è strana, certamente dimessa, ma non è chiaro se sia dovuto al fuoristagione o a una crisi generalizzata, probabilmente un misto di entrambi. Molti dei locali sono chiusi e le case dall'aspetto aristocratico mostrano i segni di un passato certamente più florido. Anche la villetta che abbiamo affittato sul web non viene probabilmente abitata d'inverno da decenni. Lo capiamo rimuovendo il finto fuoco a led dal camino e provando ad accenderne uno vero: il fumo in pochi istanti si impadronisce della casa e dei nostri polmoni. In fondo è l'inizio balcanico che ci aspettavamo».

© Umberto Isman

Inizia così il racconto di Umberto Isman di un viaggio di esplorazione sciistica in Grecia, per andare oltre lo stereotipo del Paese del mare, delle spiagge e degli dei. Un’avventura tra monasteri deserti, come quello di Moni Stomiou, villaggi incantati con Micro Papigo, boschi con gli alberi carichi di neve come quelli del Monte Bogdani e del Gomara, balli tipici e piatti da gustare con la faccia bruciata dal vento e del sole.

© Umberto Isman

«Non è questo il genere di esotismo che ci interessa, ma quello che semplicemente ci porta a entrare in contatto con luoghi e realtà diversi dai nostri, in punta di piedi, anzi di sci – scrive Umberto Isman -. Perché sta proprio negli sci la vera componente esotica dei nostri viaggi, quella che anche a noi fa scappare qualche selfie, come le foto che vedete in queste pagine. Non cerchiamo scimmie e neanche esportiamo piccioni, ci portiamo semplicemente dietro la nostra esperienza in montagna, che ci permette di frequentare luoghi altrimenti inaccessibili d'inverno».

Su Skialper 128 di febbraio-marzo un grande reportage sulla catena del Pindo, in Grecia.

https://youtu.be/bgGdcREMV7o

© Umberto Isman


Arnaud Cottet, lo sci in punta di piedi

Arnaud Cottet è il perfetto underdog, inteso come chi arriva ai Giochi olimpici senza i favori del pronostico e vince per distacco. Che poi, a ben guardare, ai Giochi lui c’è andato, come giudice del freestyle a Pyeongchang. Svizzero, classe 1985, freestyler, freerider, un passato agonistico nello sci alpino e nei park, produttore e regista, oltre che sciatore-attore. E ora anche imprenditore con il suo marchio di occhiali da montagna, Glacier Optics. Arnaud è un’esplosione di idee e di curiosità. Il suo è un approccio in punta di piedi, lontano dagli effetti speciali, ma molto profondo. È partito in auto da casa e stato in giro due mesi per andare a vedere se veramente in Iran si poteva sciare, passando per Bulgaria, dove si è esibito con lo snowboard in uno spettrale palazzetto delle adunate comuniste in cima alla montagna, ora abbandonato e invaso da neve e ghiaccio, e Grecia. Poi ci ha preso gusto e ha fatto migliaia di chilometri, sempre sulle quattro ruote, per andare a sciare il Noshaq (7.492 m) in Afghanistan, passando per Grecia (dove ha sciato l’Olimpo), Turchia (dove ha fatto qualche curva sul Süphan), Iran (dove ha sciato il Damavand), Turkmenistan, Uzbekistan e Tajikistan. In Alaska c’è stato, ma a modo suo, facendo campeggio in quota, invece che stando in lodge, e pellando su e giù per canali. Ovunque è passato, ha lasciato la sua traccia con un cortometraggio che, oltre a documentare le evoluzioni nel grande snowpark naturale, curiosa nella cultura locale.

© Arnaud Cottet

«Da dieci anni giro il mondo sciando e finanzio le mie spedizioni con gli sponsor e producendo video, non solo quelli di sci, ma anche documentari per la televisione. Ho fondato insieme a un amico un marchio di occhiali da montagna, Glacier Optics, che negli ultimi tempi è il mio lavoro principale insieme all’insegnamento dell’economia ai ragazzi da 13 a 16 anni. Però appena ho un po’ di tempo scappo a sciare, anche qui vicino a casa (vive a Losanna, ndr). Amo molto questo contrasto tra la vera vita in città e quella fatta di avventure in montagna. Il giudice olimpico? Non lo faccio più, Pyeongchang è stato l’apice di un percorso».

Abbiamo intervistato Arnaud su Skialper 128 di febbraio-marzo.

© Jules Guarneri

Al via la stagione 2020 del Salomon Running Team Italia

Il nuovo Salomon Running Team Italia allaccia ufficialmente le scarpe in vista dell’attesa stagione 2020. La scorsa settimana, in un apposito incontro, si sono ritrovati i componenti della squadra ed è stato definito il calendario delle gare a cui parteciperanno, ma anche la ricca agenda degli appuntamenti promozionali rivolti al pubblico ai quali alcuni di loro saranno presenti. Già perché la mission di Salomon nel 2020 non cambia rispetto alle passate stagioni: attraverso l’immagine garantita dai risultati dei suoi atleti e diversi appuntamenti promozionali per il pubblico, come i Test S/LAB, la grande S punta a coinvolgere quante più persone possibili, portandole a correre su strada, nei boschi o lungo sentieri, ovviamente mettendole nelle condizioni migliori grazie all’utilizzo di materiali ad alte performance.

IL TEAM - Alcuni degli atleti che fanno parte del Salomon Team Italia 2020, guidati dal Team Manager Andrea Callera, sono figure di riferimento del mondo della corsa nazionale e internazionale, sia su strada sia off-road, altri invece rappresentano la nuova generazione del running. Questa ideale miscellanea conferma come Salomon sia un Brand che intende parlare a un ampio pubblico, donne e uomini come ragazze e ragazzi, dentro il quale ognuno può trovare la propria ispirazione. Un esempio è quello di Davide Magnini, cresciuto negli anni scorsi nel Team Salomon e che ora è a tutti gli effetti un atleta (sempre Salomon naturalmente) di livello internazionale. Tra le donne troviamo Simona Morbelli, poi Sonia Locatelli, Virginia Olivieri, Stefi Jimenez, Camilla Magliano e Giulia Compagnoni. Per quanto riguarda il campo maschile i nomi sono quelli di Davide Cheraz, Giuliano Cavallo, Giulio Ornati, Riccardo Borgialli, Riccardo Montani, Pablo Barnes, Andrea Rota, Marco Filosi, Luca Carrara, Federico Presa, Mattia Bertoncini, Alberto Vender e Riccardo Scalet. Gli atleti del Salomon Team Italia 2020 saranno in gara nelle principali gare nazionali, come quelle proposte dal Golden Trail National Series e in altre di caratura internazionale.


New Gore-Tex Pro, 3 in 1

«Non esiste il brutto tempo, piuttosto abbigliamento inappropriato» ha detto Ranulph Fiennes, uno dei più grandi - se non il più grande - esploratori viventi. Non si può non essere d’accordo in un’epoca che ci propone il materiale e lo strato giusto per ogni attività e temperatura. Lo penso mentre, insieme a un selezionato gruppo di giornalisti provenienti da tutto il mondo, sto camminando nella neve profonda, con i ramponi ai piedi, sopra a Lake Louise, Alberta, Canada. Abbiamo addosso una giacca rossa che utilizza il nuovo Gore-Tex Pro, che sarà in vendita dall’autunno-inverno 2020. Il risultato finale, almeno con le condizioni meteo di oggi - nevischio, temperatura intorno agli zero gradi – non fa una grinza. La gestione dell’umidità lungo i 10 chilometri e 550 metri di dislivello ha funzionato, aiutata anche dalle pratiche zip di ventilazione sottomanica. Aprendole nei momenti più intensi della salita e poi richiudendole nelle pause o in discesa l’interno della giacca è asciutto. Fuori le goccioline scivolano via e l’acqua non passa. Ieri, esposti al vento forte della vetta del monte Ha Ling, abbiamo potuto constatare che la giacca è anche perfettamente sigillata e mette una barriera impenetrabile tra il corpo e il vento. Camminando, forzando il passo, ma anche facendo qualche passo di arrampicata, non sembra di avere addosso un guscio hard shell perché la libertà di movimento, soprattutto all’altezza delle spalle, è molto buona. Dopotutto sono le principali caratteristiche del nuovo Gore-Tex Pro, che propone tre diversi laminati: Gore-Tex Pro massima traspirabilità, Gore-Tex Pro stretch e Gore-Tex Pro massima resistenza. In pratica, a differenza del Gore-Tex Pro attualmente in commercio, che prevede un unico laminato, per i produttori sarà possibile combinare i tre prodotti nelle diverse aree delle giacche per ottenere parti più traspiranti, più resistenti all’abrasione o elastiche. «Se l’obiettivo è l’arrampicata, si potrebbero volere proprietà elastiche dietro a spalle e braccia, più robustezza ai gomiti e sopra le spalle, e la massima traspirabilità sul busto – dice Marc McKinnie, product specialist di Gore-Tex Pro. Per lo sci alpino, invece, la massima resistenza del laminato può avere la precedenza su traspirabilità ed elasticità».

A conti fatti una piccola rivoluzione. Il risultato finale, che dipende naturalmente anche dal design dei singoli gusci, da una intelligente scelta degli strati da indossare e che ci riserviamo di mettere alla prova più intensamente durante tutta la stagione, è lì, ma rappresenta il punto di arrivo di un percorso lungo. Davanti a me, in fila indiana, ci sono Tamara Lunger, Stefan Glowacz e Greg Hill. Per i lettori di Skialper non hanno bisogno di presentazioni. Rappresentano una selezione del meglio in termini di avventura ed esplorazione. Scalando, sciando o attraversando le desolate solitudini della Groenlandia e della Penisola di Baffin. Stefan ha provato tra i primi in condizioni estreme il nuovo Gore-Tex Pro proprio a Baffin. Un passato nell’arrampicata sportiva, oggi è la grande avventura la sua passione. Tamara si è spinta nei luoghi più freddi della terra e Greg per raggiungere e sciare le cime del Nord America deve ravanare per ore tra rovi e boschi per poi strisciarsi su rocce dure e appuntite. Ma quando il nuovo Gore-Tex Pro è arrivato a loro erano comunque uno degli ultimi – ma non meno importanti – ingranaggi della catena, anche se proprio dai loro input si è partiti per creare il nuovo laminato perché Gore-Tex Pro è pensato per utilizzatori di alto livello: atleti, professionisti, scialpinisti, alpinisti, su roccia e su ghiaccio.

© Bruno Long

Scienza del comfort. Si chiama così l’ombelico da cui nasce tutto. Esistono strumenti per misurare ogni aspetto di come un vestito fascia il nostro corpo e lo scalda. Ma la definizione più difficile è proprio quella del comfort stesso. «Il corpo umano percepisce solo la mancanza di comfort ed è da qui che in realtà si parte» dice Ray Davis che nella sede di Landenberg, in Pennsylvania, è il responsabile della divisione che all’interno di Gore-Tex si occupa di comfort science. Sono quattro i fattori che influenzano la mancanza di comfort, quello termico piscologico (la percezione del calore o meno), quello puramente piscologico, quello ergonomico e sensoriale. E per ogni categoria di prodotti e utilizzatori Ray Davis e i suoi uomini stanno cercando di trovare la giusta ricetta, per garantire comfort e prestazioni. Si testa in laboratorio, sulle persone, ma anche sui manichini. I test termici e non termici vengono effettuati in un’area di più di 300 metri quadrati. La rain tower può gestire temperature tra + 5° C e + 25° C con venti da 0,4 a 5 metri/secondo e fino a 150 mm/ora di pioggia. C’è anche un’area di 150 metri quadrati dove la temperatura può essere portata da – 50° C a + 50° C, con umidità relativa tra il 10% e il 95% e radiazioni solari simulate fino a 1.100 Watt/metro quadrato. Con i sensori si arriva a mappare il corpo e le singole parti per creare delle mappe termiche, ma i sensori misurano anche la pressione esercitata: meno ce n’è, più i movimenti sono liberi. La percezione di limitazione dei movimenti con il nuovo Gore-Tex Pro è stata ridotta in maniera significativa, con valori che sono passati da circa il 55% a poco più del 40%. Sulla nostra giacca le parti elastiche si concentrano sul retro, dietro le due spalle. Le parti più resistenti sono proprio sulle spalle e sule maniche. La resistenza del nuovo Gore-Tex Pro è stata testata anche con il temibile 5 finger scratch test che prevede che cinque puntali di metallo scorrano a lungo su e giù per misurare l’abrasione nel tempo.

Alla base del comfort termico ci sono sempre tre elementi: il corpo umano, l’abbigliamento e l’ambiente. Il corpo produce calore e umidità e si raffredda dopo l’esercizio fisico, soprattutto se sudato. Il resto lo fanno l’isolamento termico e la traspirabilità dei vestiti, la temperatura esterna, il sole, l’ombra. Per misurare la traspirabilità, oltre ai test sul campo, si utilizza un macchinario con una piastra calda (35° C) sulla quale viene steso il materiale e sopra c’è un flusso d’aria a 23° C con umidità relativa del 50%. Questo secondo la norma ASTM F1868, mentre per quella ISO 11092 tra la piastra e la membrana c’è un tessuto traspirante inumidito (che determina un’umidità relativa del 100%) e il flusso d’aria è a 35° C con umidità relativa del 40%. In questo secondo test Gore-Tex Pro massima traspirabilità è stato classificato con i migliori valori RET possibili, inferiori a 6 (estremamente traspirante), mentre gli altri due laminati Pro sono nel range appena sotto (tra 6 e 13, molto traspiranti).

© Stefan Głowacz

Sotto di noi le acque di Lake Louise sembrano quelle di una laguna blu. Il colore è il risultato delle microparticelle di polvere delle rocce del Mount Victoria trasportare dalle acque. Difficile non pensare che ogni nostra azione, oggi, può avere effetti su quelle acque simbolo della natura più pulita, che ogni gocciolina che scivola via dai gusci finirà lì. «I valori del rispetto dell’ambiente e delle condizioni di lavoro fanno parte del DNA di WL Gore & Associates da quando è stata fondata nel 1958 da Bill e Vieve Gore, ma è chiaro che non si può rimanere fermi e da una parte le ricerche scientifiche ci permettono di avere più risposte sull’effetto inquinante di prodotti e cicli, dall’altra il progresso aiuta a produrre materiali meno inquinanti» mi dice Bermard Kiehl, a capo del team che si occupa di sostenibilità in Gore. Tra le certificazioni Gore-Tex ci sono Bluesign (che assicura che i prodotti sono realizzati in modo sostenibile) e Oeko-Tex Standard 100 (che garantisce che i materiali non sono dannosi per la salute) e con la fine dello scorso mese tutti gli stabilimenti sono stati certificati ISO 14.001, ma le sfide per l’immediato futuro sono ambiziose. Molto ambiziose. Gore ha sottoposto i propri prodotti all’analisi del ciclo di vita (LCA – Life Cycle Assessment) per valutare gli effetti dalla culla alla tomba, dalle materie prime utilizzate, alla produzione, fino al fine vita. Nel 2018 sono stati introdotti dei prodotti con un trattamento DWR (durable water repellent, quello che fa scivolare via le goccioline dalla superficie dei gusci) senza PFC (composti perfluorati) di rilevanza ambientale che alcuni studi hanno dimostrato che non si degradano nell’ambiente e si accumulano negli organismi viventi. La sfida riguarda proprio le membrane e le tecnologie di prodotto per utilizzi intensi e professionisti sono ancora escluse perché in Gore non ritengono di avere trovato un’alternativa sufficientemente performante. «Su questo aspetto abbiamo negoziato a lungo i nostri obiettivi con il WWF – World Wildlife Found e ci siamo posti l’obiettivo di eliminare completamente i PFC di rilevanza ambientale entro il 2021-2023» dice Bernard Kiehl. Già con il nuovo Gore-Tex Pro sono stati raggiunti altri risultati dal punto di vista ambientale. La tintura in massa ha permesse di risparmiare l’utilizzo di acqua e ridurre le emissioni nell’ambiente prodotte dall’utilizzo di energia. Per ogni metro di Gore-Tex Pro massima traspirabilità e massima resistenza vengono risparmiati più di dieci litri di acqua per la superficie tessile e quasi tre per il rivestimento interno e rispettivamente di 71,7 e 20,5 chili le emissioni di CO2. «Il materiale alla base del Gore-Tex, ePTFE, invece, non è tossico, è molto stabile, non degrada nell’ambiente per diventare un PFC di rilevanza ambientale» conclude Kiehl. Se finisce nell’ambiente dunque ci rimane, ma non fa danni. Che sia questa la sfida successiva, una membrana non tossica e biodegradabile?

WL. Gore & Associates ha compensato le emissioni di CO 2 prodotte da tutti i voli diretti verso Banff, dove è stata presentato il nuovo Gore-Tex Pro, per un totale di 80.359 chili, con l’acquisto di certificati Atmosfair (atmosfair.de). I progetti sostenuti da Atmosfair con i proventi della compensazione di emissioni comprendono 31 cucine in Nigeria, un anno di fornitura elettrica da fonti rinnovabili per cento abitazioni in India e sei impianti a biogas per abitazioni in Kenia.

© Bruno Long

Eric delle montagne

All’inizio di marzo del 2001 una marea umana di uomini senza diritti partiti dal Chiapas entra a Citta del Messico dopo avere attraversato 12 stati e percorso oltre 3.000 chilometri. È la grande marcia del subcomandante Marcos. Le centinaia di migliaia di persone avanzano lentamente, al ritmo della musica sparata a palla da un camion. Su quel camion ci sono i 99 Posse, band napoletana, ed Eric Girardini, venticinquenne di Lentiai, in provincia di Belluno. Festeggia gli anni proprio in quei giorni e fa parte delle oltre duecento tute bianche antiglobalizzazione italiane che assicurano il servizio d’ordine. Cosa ci faceva una Guida della Scuola delle Aquile di San Martino nel cuore della marcia zapatista a Città del Messico? La storia è un po’ lunga…

© Alice Russolo

Per raccontarla e per conoscere meglio Eric Girardini, siamo andati a fotografarlo nel cuore delle Pale di San Martino, il suo regno. L’articolo è su Skialper 128 di febbraio-marzo. Con Diego Dalla Rosa, Hermann Crepaz ed altri è stato tra i primi a usare gli sci larghi da quelle parti. Il curriculum di Eric è di tutto rispetto, anche se non è un tipo che ama stare lì a snocciolarti le sue prime, non gli interessa. Forse perché, come Diego Dalla Rosa, lo fa per se stesso. «E poi da noi è difficile nello sci dire se è veramente la prima discesa, anche se sono sicuro che con Hermann e Diego ne abbiamo fatte molte, comunque possiamo dire di avere fatto belle linee con il nuove tra virgolette. Ai Vani Alti c’è forse il canale più estetico, simile all’Holzer, incassato e chiuso, esposto a Nord. Poi ricordo la Cima di Ramezza, sulle Vette Feltrine, la parete Nord del Colbricon italiano. Ah, dimenticavo, la Nord del Piz de Sagron, nelle Vette Feltrine, è stata forse il nostro apice. Probabilmente è una prima, ci sono solo notizie vaghe di una discesa di Mauro Rumez, ma non si sa con precisione se abbia sciato quella parete». Appuntamento su Skialper 128 di febbraio-marzo.

© Alice Russolo