RIP Orazio Codega
Orazio Codega, classe 1939, presidente e autentica anima di C.A.M.P. dagli anni Sessanta al 2004, se ne è andato nei giorni scorsi. Lo ricordiamo con il comunicato ufficiale dell'azienda di Premana.
Ci ha salutato di notte, perché di giorno le persone come lui hanno sempre qualcosa da fare. L'operosità era il suo modo di essere, in una prospettiva di servizio che andava al di là della sua azienda. Orazio Codega era un uomo che non si accontentava, che guardava avanti mettendo a frutto il talento della lungimiranza. Sapeva cogliere con prontezza i segni dei tempi, per non farsi sorprendere dal futuro che è sempre più vicino di quanto sembri. E dentro, nel profondo dell'anima, credeva in Dio: aveva una fede radicata di cui molti, oggi, sembrano vergognarsi. Ma lui no, come il suo punto di riferimento Giovanni Paolo II. Così ci piace immaginarli, l'imprenditore e il papa, per sempre insieme lungo i sentieri del cielo: eccoli, intenti a ricordare i grandi alpinisti polacchi di cui Orazio era amico e soprattutto il giorno in cui, entrambi appassionati di montagna, si incontrarono sulla Marmolada. Era l'agosto 1979, Karol Wojtyla era salito in vetta alla regina delle Dolomiti e Orazio lo raggiunse per donargli una piccozza, frutto del suo lavoro.
Fabbricare, ecco, creare qualcosa di bello e di utile, nel miglior modo possibile. In C.A.M.P. ci crediamo perché ci credeva Orazio, entrato in azienda nel 1959 e artefice principale del cambiamento: “Perché – si è chiesto un giorno – non puntare tutto sull'alpinismo?”. Aveva capito, in quegli anni di boom economico, che andare in montagna era più di un gioco. Non c'erano soltanto Bonatti e le sue imprese ma anche tanti appassionati, sempre più numerosi, a cui la ditta di lavorazione metallica fondata da nonno Nicola e fatta crescere da papà Antonio poteva fornire l'attrezzatura necessaria: piccozze, ramponi, chiodi, moschettoni che diventano creatività, passione, servizio. Avanti così, allora, insieme ai fratelli Nicolino, Samuele e Benedetto e senza paura di allargare l'orizzonte prima in Europa e poi oltreoceano, ponendo le basi dell'attuale dimensione internazionale di C.A.M.P.: un traguardo tutt'altro che scontato per una realtà nata in un piccolo paese racchiuso tra le montagne e che oggi, grazie a scelte giuste in anticipo sui tempi, è un marchio di riferimento mondiale all'insegna dell'innovazione. E se non c'è innovazione senza ricerca e sviluppo, già decenni fa Orazio non aveva esitato a convogliare sempre maggiori risorse aziendali in questo settore, creando le solide premesse di quello che dal 2007 è l'avanzatissimo centro R&D di C.A.M.P.
C'era una volta l'alpinismo, poi è arrivata l'arrampicata e infine ecco i lavori in altezza. Prima di lasciare il timone, nel 2004, il capitano aveva compreso che altri porti potevano essere raggiunti e nuovamente non si è fermato, preparando C.A.M.P. al suo attuale ruolo nel mondo della sicurezza sul lavoro: una visione lungimirante, come detto, lasciata in eredità ai figli e ai nipoti indirizzati sulla sua strada. Un passo alla volta, con la sana prudenza tipica degli uomini di montagna ma anche con tutto il coraggio necessario per arrivare in vetta: cuore e testa insieme, all'unisono, per guardare con fiducia al futuro nel ricordo di un homo faber nel senso più bello e pieno, da prendere ad esempio come tutti quegli irresistibili sognatori che, con talento e tenacia, sono stati capaci di realizzare i propri sogni.
Smart, steep & deep
Perché no?
C’è stato un tempo in cui la neve era fondamentale, qui. Era un sogno: se mancava la neve, mancava tutto. Nelle notti di novembre, sempre più lunghe, i bambini stavano raccolti nelle stalle, a godere del calore di animali e di vecchie favole. Ma i loro pensieri, i loro sogni, i loro desideri volavano fuori, lontano, verso quelle nuvole chiare: il primo fiocco era un evento. Poi si trattava solo di aspettare, e nel giro di poco sarebbe arrivata l’ora di sciare.
Sciare, beh, parola grossa. Più che altro si trattava di raccattare un paio di doghe buone da una botte rotta, inchiodargli sopra qualcosa che per quanto improbabile potesse in qualche modo contenere i piedi (delle vecchie pantofole rubate di nascosto a una zia erano perfette, ad esempio), e poi via. Non c’erano impianti di risalita, qui. Non c’erano elicotteri, e nemmeno motoslitte. C’era poco più di nulla. Quello, e queste montagne incredibili.
Si saliva a piedi su uno dei pendii appena sopra al paese. Le montagne erano più che altro una cornice: troppo ripide, troppo pericolose, troppo lontane. Poi si scivolava giù, in qualche modo, i più bravi facendo anche le curve. Giù, poi su di nuovo, col fiato che si congelava sulla sciarpa di lana e i vestiti incrostati di neve, poi ancora giù, fino a che bastava il respiro. A tanti bastava così. Tanti, ma non tutti, perché c’è sempre qualcuno che guarda dove gli altri non vedono. Così qualcuno si è chiesto come sarebbe stato sciarci, su quelle montagne così ripide, in quei canali così stretti. Che follia.
Arnaud, Aaron ed Eric salgono veloci. Il canale si sta aprendo: ancora poco, poi sarà ora di traversare a sinistra, togliendo gli sci e tirando fuori picca e ramponi. Sarà ora di seguire quella cresta sottile fino alla cima, sentendo il vuoto tutto attorno come una presenza assordante.
È mattina presto. Il sole, appena sbucato sopra all’altopiano, sta iniziando a carezzare la testa alle Pale di San Martino. Qualche raggio fende l’aria tersa; i ramponi, montati su scarponi che non arrivano al chilo e mezzo, schizzano l’azzurro con minuscoli frammenti di ghiaccio. Gli sci costruiti a sandwich, leggeri e performanti, svettano alti sopra alle teste dei tre. Le lamine perfettamente tirate catturano la luce pura del mattino, mordendo soltanto l’aria, per ora.
Una volta era diverso. Eh, averli, degli sci veri. Dovevi essere fortunato: se avevi gli amici giusti, quelli che sciavano con gli Alpini, per dire, magari ogni tanto un paio di sci rotti da sistemare saltava fuori. Magari due spaiati, diversi, e magari serviva segarne un pezzo, se erano troppo grandi. Però, eh, rispetto alle doghe delle botti non c’era paragone. Con quegli aggeggi si poteva andare sul serio, filando veloci e precisi come i campioni, come Zeno Colò che andava a centosessanta all’ora giù dal Piccolo Cervino. Bastava mettersi un maglione in più e si poteva iniziare ad andare più in alto, più lontano, in quei posti che prima erano solo una maestosa cornice. Chi lo ha mai detto che in un canale non si può sciare?
Arnaud ha 32 anni e scia da quando è capace di stare in piedi. Si usa così, nella sua famiglia. Prima in Svizzera, sulle montagne di casa. Poi, beh, il mondo è grande. In trent’anni Arnaud ha sciato un po’ dappertutto: dalle Alpi alle Rocky Mountains, dall’Alaska all’Iran. Però non passa anno, da quando ha scoperto le Pale di San Martino, senza che venga ad assaggiarne la neve in compagnia di qualche amico del posto. Non ci sono pendii aperti dove hai la sensazione di poter sciare per sempre, qui: queste sono montagne fatte di dolomia e contrasti. Ma ciononostante, anzi, forse proprio per questo vale la pena farci un giro. Canali come questi, linee così articolate e giocose, beh, non si trovano in giro. Qui bisogna saper sciare sul serio.
Testo di Giovanni Spitale/Storyteller Labs
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Lo aspettavano a Falcade per una serata con un noto alpinista. Ma a Falcade è arrivato a notte fonda, quando ormai era tutto buio. Cinquanta è il primo numero di questa equazione e sono gli anni del secolo scorso nei quali è ambientata. Novanta sono quelli all’anagrafe di Piero de Lazzer, il protagonista. Duemilacinquecento i metri di dislivello in salita (e 3.000 quelli in discesa) che questo insospettabile freerider d’antan percorreva con pesanti sci di legno quando ha Percorso la prima traversata della Catena Nord delle Pale di San Martino. Qualcosa come San Martino di Castrozza-Cima Vezzana-Val Strut-Cima Bureloni-Paaso delle Farangole Passo Mulaz-Falcade. Solo che a volte non tutto andava per il verso giusto. Appunto, come quel giorno in cui mancò l’appuntamento alla serata di Falcade. A causa della nebbia scesero per oltre 400 metri per la valle delle Galline per poi dover risalire. Fu uno dei primi inoltre, dopo Alfredo Paluselli, a percorrere la traversata delle Dolomiti da San Martino a Cortina. Altri numeri scorrono veloci nella contabilità delle Pale di San Martino. Duecentocinquanta sono i chilometri quadrati di questo gruppo del versante meridionale delle Dolomiti. Cinquanta quelli dell’altipiano che ne occupa la parte centrale. Ecco perché le Pale di San Martino sono rimaste un mondo a parte nel caleidoscopio del turismo di massa dolomitico. Un piccolo Nord dove ancora oggi c’è (un po’) meno gente a tracciare e a disegnare otto nei canali, la specialità locale. «Rispetto a qualche anno fa i couloir più famosi sono sicuramente più battuti, l’anno scorso è venuto anche Jérémie Heitz a provarne un paio, ma ci sono angoli ancora selvaggi e canali con poche ripetizioni, perché l’avvicinamento è più lungo: l’altopiano è ancora uno spazio dove si può fare esplorazione» dice Eric Girardini, Guida alpina e pioniere della seconda generazione di esploratori del ripido sulle Pale.

Primi sci larghi
Un gruppo di amici con tanta passione per la montagna e il ripido, l’esplorazione alpina e lo sci. Il verbo si diffondeva con il passaparola, niente social. E il fuoripista in Dolomiti era perlopiù vietato. Loro seguivano le orme di Diego Dalla Rosa, che negli anni Ottanta aveva iniziato a frequentare i primi canali ripidi del gruppo delle Pale e delle Vette Feltrine, e suonavano la musica della velocità e del vuoto sotto i piedi. Erano, oltre al Colonnello (Diego Dalla Rosa), Hermann Crepaz, Mauro Rubin, Willy Marin, Leopoldo Barbiroli ed Eric Girardini, poi si sono aggiunti tanti altri amici. Sono stati i primi, nell’era moderna, ad avventurarsi lassù con gli sci larghi, nel cuore delle Pale di San Martino, e ad aprire diverse discese nei canali. Erano anni nei quali in quota fuori dai percorsi classici non incontravi nessuno. Le Pale un paradiso per pochi, pochissimi. «Qui la funivia della Rosetta chiude troppo presto, ad aprile, quando in quota inizia il bello, nelle altre stazioni delle Dolomiti i canali sono ancora facilmente raggiungibili con le funivie, sulle Pale devi sempre ripellare - aggiunge Eric». Poi da queste parti sono arrivati anche il fotografo Mattias Fredriksson e Kaj Zackrisson, immortalato in uno dei video dell’Euro Road Trip della Salomon Freerski Tv del 2010 e il contest fotografico-freeride King of Dolomites. Nel 2015 una traversata delle Dolomiti che ha riguardato in buona parte le Pale con Bruno Compagnet, Seth Morrison, Giulia Monego e il fotografo Jeremy Bernard, ma questa è storia moderna.
Bruno e i corvi delle Pale
Sulle dita ha tatuato la scritta True Crows, corvi veri. Come quelli che volteggiano sulle forcelle dolomitiche. Chi non lo conosce Bruno Compagnet, originario dei Pirenei? Ma che cosa c’entra con le Pale di San Martino? «La storia è semplice, mi sono innamorato di una ragazza di questi paesi che faceva la stagione a Chamonix, e abbiamo anche fatto una figlia, così ho iniziato a frequentare San Martino di Castrozza e le Pale». E naturalmente continua a frequentare queste valli. «Mi si è aperto un mondo, in quota non c’era nessuno, era il paradiso, diverso da Chamonix, dove poter tracciare la tua linea solitaria, senza dovere fare la coda per la powder. Le discese nel bosco della Val Cigolera, quando nevicava, erano per pochi intimi». Ora naturalmente non è più così, o meglio, non è solo così. «Le prime guide sul freeride in Dolomiti hanno cambiato il mondo, sono arrivati in tanti» gli fa eco Eric Girardini, uno dei primi compagni di gita di Bruno sulle Pale. «Oggi la Val Cigolera durante una nevicata si riempie velocemente di scie, i canali del Bureloni, del Travignolo, della Pala sono conosciuti, però quello che mi ha sempre affascinato delle Pale è che rispetto alla Marmolada, al Pordoi, a Gressoney, c’è meno gente, sei un po’ più isolato dal mondo». Ai tempi delle prime scorribande c’erano tanti divieti. «Il fuoripista era praticamente vietato, poi è stato concesso a patto di avere l’attrezzatura di autosoccorso: ricordo ancora un paio di volte che sono stato fermato, con un finanziere ho fatto finta di non capire l’italiano e sono scappato, voleva sequestrarmi l’attrezzatura». Ma in definitiva perché venire sulle Pale? «Per l’architettura dei canali, per il paesaggio, per il silenzio, non in assoluto per la neve anche se con un po’ di fortuna può essere molto bella, ma attenzione al vento». Parola di Bruno.

Piero de Lazzer
Ottantanove anni, nato e vissuto all’ombra delle Pale di San Martino, è stato letteralmente uno dei pionieri dello sci, scoprendo e percorrendo innumerevoli linee sulle Pale e sui Lagorai. Ha iniziato da bambino, quando la neve era un sogno, l’unico vero gioco dell’inverno, e gli sci non erano altro che doghe recuperate da vecchie botti. Non ha ancora smesso di sciare (e non ne ha la minima intenzione); le sue passioni sono due. Una: linee ben disegnate. Due: la velocità che deriva dalla sicurezza sugli sci.
Aaron Durogati
Trentuno anni, nato a Merano, Alto Adige. Cresce circondato da alcune tra le cime più belle dell’intero arco alpino: dall’Ortles al Gran Zebrù, dalle Alpi Venoste alle Dolomiti. Innamorato del volo in parapendio sin da ragazzino, grazie al padre, è diventato un pilota incredibilmente talentuoso, vincendo decine di gare e partecipando a svariate spedizioni esplorative. Negli anni ha allargato l’orizzonte delle proprie passioni, dedicandosi assiduamente anche allo sci e - di recente - all’arrampicata.
Arnaud Cottet
Trentadue anni, nato in Svizzera e cresciuto sulla neve di tutto il mondo. Ci sono due parole chiave nella vita di Arnaud Cottet: sci e curiosità. Da quando aveva 16 anni viaggia, sia per le gare di sci (è anche giudice olimpico in gare di freestyle) che per esplorare e raccontare luoghi incredibili. Dall’Alaska all’Iran, dall’Afghanistan alla Nuova Zelanda: Arnaud ha sciato davvero dappertutto. Inoltre si diverte a dirigere documentari e programmi radiofonici.
Eric Girardini
Quarantadue anni, nato a Feltre, ai piedi delle Dolomiti. Scia da quando aveva tre anni, prima sulle piste dietro casa, poi sulle cime delle Pale, in cerca di luoghi ripidi, selvaggi e poco battuti. Perché? Naturalmente perché in montagna c’è cresciuto, ma anche e soprattutto perché considera lo sci un modo di esprimere chi si è veramente. Lavora come Guida alpina per due ragioni: per vivere tutti i giorni la propria passione, e per far scoprire ad altre persone la magia delle sue montagne. Eric Girardini è Guida alpina delle Aquile di San Martino - www.aquilesanmartino.com
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Fischer Transalp a quota dieci
Dieci anni. Dieci anni attraverso le Alpi. Nel 2020 si festeggiano i due lustri della Fischer Transalp, organizzata dal marchio austriaco per permettere a un manipolo di fortunati scialpinisti di passare una settimana con sci e pelli e attraversare la catena montuosa. L’itinerario cambia di anno in anno. Nel 2019, per esempio, la partenza era da Livigno e l’arrivo a Innsbruck, nel 2020 invece si partirà dalla Slovenia e le date sono state anticipate rispetto alla tradizione: il kick-off è infatti previsto per il 2 marzo e l’arrivo a destinazione l’8. La partecipazione è completamente gratuita e l’azienda austriaca fornisce anche un set completo da scialpinismo oltre a pernottamenti e Guide alpine, ma i posti sono limitati e bisogna dimostrare di avere la giusta esperienza e soprattutto preparazione fisica per affrontare una settimana con migliaia di metri di dislivello e con le più varie condizioni meteo. Le richieste di partecipazione possono essere inoltrate fino al 12 gennaio tramite la pagina Internet https://www.formlets.com/forms/rdFPO1pKlHFJpNGm/
Salomon, la scarpa che diventa scarpone da sci
Una scarpa da running che può essere completamente riciclata in uno scarpone da sci. Ecco il progetto presentato ieri da Salomon. Frutto di oltre un anno e mezzo di ricerca e sviluppo, il concept propone una scarpa a tutti gli effetti riciclabile: può essere sminuzzata alla fine del suo utilizzo, consentendo a Salomon di reimpiegare le parti, combinarle con un nuovo materiale e adoperarle per costruire uno scarpone da sci. Salomon sta lavorando per implementare questo progetto nelle calzature da running che saranno disponibili nel 2021. «Riconosciamo che dobbiamo fare il meglio per l'ambiente creando calzature Salomon che riducano drasticamente l’impatto sul pianeta», afferma Guillaume Meyzenq, VP di Salomon Footwear. «Creando questo concetto di scarpa che può essere riciclata in uno scafo di uno scarpone da sci, stiamo dimostrando che è possibile trovare materiali alternativi per creare calzature performanti. È uno sviluppo entusiasmante che ci aiuterà a realizzare soluzioni per calzature più sostenibili in futuro». Circa il 30% dell'impatto ambientale globale causato dall'industria calzaturiera è dovuto alle materie prime utilizzate nei prodotti. L'ingrediente chiave nella ricetta di questa nuova concezione della scarpa Salomon riciclabile è il poliuretano termoplastico (TPU). Invece di utilizzare più materiali per creare la scarpa, come nel caso della costruzione di calzature tradizionali ad alte prestazioni, il nuovo modello utilizza solo TPU per costruire sia la parte superiore sia inferiore. Questa costruzione innovativa consente di poter ridurre in piccole parti e riutilizzare la materia prima, senza limitare le prestazioni della scarpa. Quando la scarpa da running raggiunge la fine del suo utilizzo, Salomon è in grado di ridurla in piccoli pezzi di TPU, che vengono quindi mescolati con un po' di TPU nuovo e inseriti in una macchina a iniezione per diventare uno scarpone da sci. Il risultato finale: gli scarponi da sci presentano le stesse caratteristiche prestazionali delle versioni tradizionalmente presenti nell'attuale gamma Salomon, che già utilizza plastica riciclata. La maggior parte delle costruzioni di calzature tradizionali si basa su materiali come cotone, poliestere, EVA (Etinile Vinil Acetato) e gomma. L'utilizzo di più materiali richiede colla e cuciture per legarli insieme. Ciò rende la maggior parte delle calzature quasi impossibili da riciclare completamente perché i materiali devono essere separati l'uno dall'altro e con la colla che in qualche modo va recuperata. Nel processo di creazione della nuova scarpa Salomon, in più, vengono registrati meno consumi energetici e nessun altro materiale di eccesso. Tutto è riutilizzato. Per garantire che la tomaia di questa nuova scarpa sia sufficientemente traspirante, gli ingegneri Salomon si sono affidati a due tipi di poliuretano termoplastico (TPU). Uno ha un aspetto estremamente leggero, quasi trasparente. L'unità inferiore della scarpa, invece, offre un'ammortizzazione con prestazioni migliori rispetto alla schiuma EVA attualmente utilizzata nella maggior parte delle calzature da corsa.


5 Summits 1 Record
L’idea era semplice: salire cinque cime nel minor tempo possibile affrontando ogni giorno una montagna diversa con l’obiettivo di chiudere i 25 chilometri di vertical e i 7.000 metri di dislivello in meno di cinque ore. Considerando che una persona normale ne impiega quasi 25. Le cinque cime sono il Monte Seguret, lo Chaberton, il Genevris, il Niblé e la Rognosa del Sestriere, quelli che Simone Eydallin ha sempre visto dalla finestra di casa sua. «5 summits 1 record nasce dalla voglia di scoprire i miei limiti e di sfidare le montagne preferite attraverso il cronometro. Sono sempre stato affascinato dai record e in particolar modo dallo scalare le montagne nel minor tempo possibile, così ha preso forma questa mia idea un po’ pazza di salire le più alte vette dell’alta Val di Susa considerando solo il tempo di ascesa. Ho scelto le mie montagne, quelle vette che fin da bambino ho sempre ammirato, quelle vette che vedo ogni giorno dalle finestre di casa» dice Simone.

E la sua idea ha preso corpo dal 19 luglio al 2 agosto scorsi. 4h58’43” il tempo totale impiegato, 60 chilometri la distanza comprese le discese. Detto così sembra tutto facile, ma non è andata sempre liscia, soprattutto all’inizio. «Dopo un anno di progetti, tentativi, allenamenti, sconfitte e gare finalmente arriva quel lunedì 29 luglio tanto aspettato - scrive Simone - Si parte da Oulx per arrivare in punta al Seguret, tappa lunga e difficile da gestire. Passano pochi minuti e capisco subito che sarà una giornata difficile, il fiato corto, pulsazioni alle stelle, le gambe un po’ dure per essere solo all’inizio. Cerco di non pensarci, ma la fatica è davvero tanta come la voglia di fermarsi. Arrivo con tre minuti in più di quanto mi ero prefissato, sembreranno pochi ma sulla carta sono tanti». Sul numero 126 di Skialper di ottobre-novembre un grande reportage su 5 Summits 1 record con il diario di quei giorni, i dietro le quinte, tutte le informazioni sulla preparazione, il recupero e l’alimentazione di Simone Eydallin.

Ventiquattro podi per il Team RaidLight Italia
Un anno fa RaidLight ha annunciato la creazione del team RaidLight Italia, nato all’insegna degli hashtag #sharethetrailrunningexperience e #notimeforcompromise e composto da ragazzi, uomini e donne con la passione per la corsa e con specializzazioni che vanno dallo skyrunning fino ai grandi raid multi-tappa in giro per il mondo. Da atleti già affermati, come Nicola Bassi, alle giovani speranze e agli amatori. Accomunati dalla voglia di fare bene e di correre divertendosi e nel rispetto della montagna. Che si sono allenati duramente e, in molti casi, hanno collezionato ottimi risultati. Senza compromessi, esattamente come la nuova linea di scarpe trail lanciata dal brand. I ragazzi hanno partecipato nel 2019 a 53 gare, inanellando 24 podi e ben sei vittorie.
Nicola Bassi, ultratrailer e amante delle grandi avventure estreme e in ambienti ostili, non ha tradito le aspettative dimostrandosi la punta di diamante della squadra: all’inizio di stagione entusiasmante che lo ha visto sul primo gradino del podio del Winter Trail Monte Prealba, hanno fatto poi seguito i primi posti della Magusus Sky Marathon e del Cro Trail, gara sponsorizzata RaidLight in cui Nicola si imposto davanti a tutti, chiudendo in volata. Secondo gradino del podio, poi, al Trail dei Cervi e a quello dei 3 Castelli, oltre che alla 95 km del Dolomiti Extreme Trail. Tra i risultati più importanti della stagione, certamente, anche l’argento alla 5° edizione dell’Ultratrack Supramonte Seaside in Sardegna, 90 km in un territorio aspro e selvaggio, con salite impegnative e discese tecniche che lo ha visto arrivare alle spalle di uno degli atleti simbolo del trail running, Franco Collè.
Anche in occasione dell’Eremitica e della Ronda Ghibellina Bassi ha saputo dire la sua, posizionandosi al terzo posto. Ma RaidLight non è solo gare e competizione! Durante l’estate, con l’abbigliamento e l’attrezzatura del brand, ha anche percorso il mitico GR20 in Corsica insieme alla compagna di vita e di avventure. Una impresa non per tutti, a contatto con la natura e in pieno stile RaidLight. Nicola Bassi è stato inoltre fondamentale per quanto riguarda lo sviluppo prodotto: ha collaborato con il brand dando feedback che si sono dimostrati fondamentali per migliorare le calzature in vista della prossima stagione.
Ottimi risultati anche per Roberto Fregona, che ha collezionato diversi podi tra cui anche due primi posti, alla Transcavallo Equinox Run e all’Euganeus trail.
Tra le promesse ha saputo farsi notare il giovane Daniel Degasperi, 2° italiano assoluto alla Rosengarten Marathon, a soli 15 minuti dal primo e vincitore del Trittico dei Laghi. Daniel si è dichiarato entusiasta di correre per il marchio e soddisfatto di questi primi risultati, che rappresentano il suo esordio nelle competizioni trail. Fortemente motivato e intenzionato a “darci dentro” in vista della prossima stagione, si è dimostrato un avversario da non sottovalutare. «Le mie scarpe preferite sono sicuramente le Ultra e le Revolutiv, che ho utilizzato sempre, sia in allenamento sia in gara».
Un piccolo infortunio ha purtroppo limitato per questa stagione l’attività di Maurizio Basso, comunque secondo classificato al Lucetto Classic e al Campionato regionale Uisp, nonché primo al MNT Salomon trail sulla distanza dei 38k. Poche gare buone, come si suol dire. Stesso discorso anche per la seguitissima (a livello social) Laura Palluello, che si è trovata a dover affrontare una stagione difficile a causa di qualche problema a un ginocchio, che però non l’ha fermata del tutto e non le ha impedito di partecipare ad alcune gare di livello come la Monterosa Est Himalayan Trail e la Limone Extreme. L’altra donna del team, Anais Bstieler, si è classificata seconda (donna) al Trail degli Dei a Positano e seconda anche nella staffetta femminile alla Valmalenco Ultra Trail.
Tommaso De Mottoni, atleta e a sua volta organizzatore di gare, ha partecipato quest’anno alla Ultra Dolomites, all’Andorra Ultra Trail, al K24 Ultra e all’Ultra Trail Baunei Seaside e ha in serbo grosse novità per il prossimo futuro. Ad esempio la UTMB Oman, la Gran Canaria 360 (con navigazione GPS), la nuova Ultra Dolomites, la UTMB Pireniei e l'Échappée Belledonne. Specialista delle grandi corse estreme in Italia e non solo, ha anche preso parte al nuovissimo Tor De Glaciers. Oltre alle calzature De Mottoni ha utilizzato e recensito anche lo zaino Revolutiv 12. “Credo che il Revolutiv 12 abbia tutte le potenzialità in termini di innovazione e comodità per diventare un punto di riferimento come lo fu il vecchio zaino Olmo. Sono utilizzatore RaidLight da anni, da prima di fare parte del team e quindi conosco anche i vecchi modelli. La chiusura magnetica, come l’idea del girarlo davanti sono vincenti e davvero utili”.
Nuova discesa sul Monte Cook per Hewitt e Serle
Nuova e probabile prima discesa di ripido per Ross Hewitt e Dave Serle sulla Caroline Face al Monte Cook, in Nuova Zelanda, nei giorni scorsi. La linea, che scende sul fianco destro dell’estetica Face, era stata adocchiata da Hewitt durante una precedente esplorazione, mentre la fall line classica è stata sciata da Enrico Mosetti, Tom Grant e Ben Briggs nell’autunno del 2017 (avrebbe dovuto esserci anche Hewitt, ma un’ernia lo aveva fermato). I due, come scrivono in alcuni post sui loro account social, sono saliti dal versante opposto e hanno trovato buone condizioni, con neve polverosa e vento molto forte. Il meteo molto variabile ha messo in forse fino all'ultimo la linea, che potete vedere nella foto qui sotto.

Marker presenta Duke PT, l’attacco touring in salita e alpino in discesa
Arriva Marker Duke PT (Pin Technology) il nuovo attacco touring con performance freeride in discesa grazie all’innovativo puntale con due funzionalità completamente differenziate. La principale rivoluzione del nuovo attacco ibrido è infatti la possibilità di essere utilizzato come un normale attacco a pin in salita, e di trasformarsi per la discesa in attacco di tipo alpino grazie ai braccetti che si sovrappongono a chiudere tutta la punta dello scarpone. Il gioco è semplice: per camminare basta ribaltare in avanti la parte alpina e bloccarla (oppure asportarla per ridurre il peso al piede di 250 grammi circa su risalite lunghe). In questa configurazione il puntale è quello di un attacco a pin. Riportando i braccetti in posizione Ski, Duke PT blocca la punta dello scarpone sotto gli sci e assicura sganci con valori da 6 a 16 nella versione PT 16, e da 4 a 12 (PT12). La tecnologia AFD garantisce lo sgancio laterale. Le operazioni di passaggio hike / ride e viceversa sono semplici e automatiche grazie alla tecnologia Auto Quad Lock. In pratica in salita Duke è molto simile a un KingPin (ma senza slitta né selettore ski-walk), mentre in discesa a un Jester. La talloniera è step-in, in tutto simile a quelle di Jester e degli altri Duke. La tecnologia Sole.ID rende compatibile il puntale con le suole alpine, touring e GripWalk. Duke PT 16, in vendita dalla stagione invernale 2020-2021, pesa 1.280 grammi in assetto di discesa e 1.000 in salita stivando la mascella nello zaino. PT 12 corrispondentemente 1.090 e 850 grammi.

Garanzia a vita per gli attacchi Dynafit
I dati di mercato mostrano che oltre il 70% degli attacchi da scialpinismo è privo di intelaiatura e che quasi tutti gli scarponi sono compatibili con gli attacchi pin. Grazie all’intuizione di Fritz Barthel, Dynafit ha dato vita a questo sistema che è ancora oggi un punto di riferimento mondiale nella produzione di attacchi da scialpinismo. Nel catalogo dell’azienda sono presenti ben 12 modelli differenti, tutti prodotti in Germania, nei pressi della cittadina di Passau, a mano, e sottoposti a numerose prove di resistenza e sicurezza. L’azienda controllata dalla holding Oberalp per ribadire la totale fiducia che ripone nei propri prodotti e nella loro qualità, ha annunciato ieri l’introduzione di un’importante novità: a partire dalla stagione invernale 2019/20 offre per tutti gli attacchi a catalogo acquistati a partire da oggi la garanzia a vita. Una volta effettuato l'acquisto, il cliente dovrà registrare il prodotto sul sito web di Dynafit, inserendo il numero di serie. In questo modo il periodo di garanzia si estenderà dai due ai dieci anni, equivalenti alla durata di vita stimata di un attacco da scialpinismo oltre i quali i materiali impiegati e la struttura dell’attrezzo possono aver subito modifiche tali da non garantire il corretto utilizzo. La garanzia copre tutti i difetti del materiale e di fabbricazione e tutti gli attacchi difettosi saranno riparati da Dynafit gratuitamente. Qualora non fosse possibile la riparazione, l’attacco sarà sostituito con un modello del valore medesimo o superiore. La garanzia non copre l'usura dovuta al normale utilizzo e i danni a seguito di utilizzo improprio o di incidenti.
Per saperne di più visitare il sito:
https://www.dynafit.com/lifelong-guarantee-dynafit-bindings
Lettere dai quattromila
«Mentre scrivo queste riflessioni sono a Courmayeur, è il 26 di giugno e sono trascorsi 45 giorni da quando sono partito con il mio compagno Gabriele Carrara e abbiamo salito la Barre des Écrins. Lo scopo del nostro viaggio era traversare tutti gli 82 quattromila delle Alpi e per farlo avevo calcolato di impiegarci circa 40 giorni. Volevo sapere se in 33 giorni effettivi, con condizioni e meteo favorevole, fosse possibile salire tutte le vette più alte delle Alpi». Scrive così Silvestro Franchini nell’ampio articolo Lettere dai quattromila sul numero 126 di Skialper di ottobre-novembre. Silvestro, Guida alpina, insieme a Gabriele Carrara si è spostato da un capo all’altro delle Alpi riuscendo a salire e a volte anche a sciare 69 vette di quattromila metri. Più che un’impresa, una vacanza diversa, a bordo di un vecchio furgone Volkswagen. Una vacanza non certo aiutata dal meteo: «le condizioni meteo di questa primavera sono state pessime, tanto da costringerci a fermarci per ben 18 giorni. Però, essendo riusciti a fare quello che abbiamo fatto con questo meteo, credo di potere affermare che non mi sbagliavo: in 40 giorni alpinisti con il nostro allenamento avrebbero davvero potuto completare senza eccessive difficoltà la salita degli 82 quattromila delle Alpi» aggiunge Franchini. Un viaggio nella natura alpina, ma anche un viaggio interiore. «Sembrerà strano ma ho imparato di più dalle 13 cime che abbiamo saltato piuttosto che dalle 69 che abbiamo raggiunto e che si sono concesse. Porterò sempre con me l’insegnamento di saper rinunciare umilmente di fronte alla forza della natura, consapevoli che è la montagna che si concede» scrive Gabriele Carrara, Aspirante Guida alpina che nel ventaglio di cime è riuscito a inserire anche una integrale di Peuterey.

Dal mare dell'Abruzzo alla Majella in meno di 14 ore
«Sono cresciuto con la scuola, il calcio e il mare, volgendo lo sguardo all’orizzonte, verso Est, verso il mare. Alla montagna ho sempre dato le spalle e per me non era nient’altro che parte del landmark del mio territorio. Quando avevo 12 anni, dopo una settimana verde a San Martino di Castrozza, la mia vita è cambiata. Rientrati a casa, io e mio padre abbiamo iniziato a raccogliere informazioni sulla nostra montagna, abbiamo scoperto che sulla Majella ci sono oltre 700 chilometri di sentieri e iniziato a frequentarla. Sì, nostra. Da quel momento l’abbiamo chiamata così, con gelosia e orgoglio, quando ne parlavamo con i forestieri. Il mio sguardo non era più rivolto a Est, ma a Ovest, verso la mia montagna». E così Alex Tucci proprio su quella montagna ha pensato di inventarsi un exploit, partire dal mare dell’Abruzzo per raggiungerla e poi tornare al mare. Per dimostrare che si può fare mare e montagna nello stesso giorno. La partenza all’alba, con le scarpe da running, da Fossacesia Marina, lo scorso 4 agosto. Poi a un certo punto ha calzato le scarpe da trail ed è salito fino agli oltre 2.700 metri del Monte Amaro, per fare ritorno a Fossacesia Marina dopo 13 ore e 55 minuti, cioè prima del tramonto. Centoventi chilometri con 3.000 metri di dislivello positivo. Missione riuscita e sul numero 126 di Skialper di ottobre-novembre documentiamo Mare Amaro con un ampio reportage tutto da leggere e da guardare.



Kilian vince le Golden Trail World Series, secondo Magnini
È stata scritta la parola fine sulla lunga stagione delle Golden Trail World Series. La finale all'Annapurna Trail Marathon, in Nepal, ha incoronato campione overall Kilian Jornet davanti a Davide Magnini e Stian Angermund-Vik (identiche le posizioni anche nella finale nepalese), mentre tra le donne la vittoria è andata a Judith Wyder su Silvia Rampazzo e Ruth Croft (nella classifica di gara al terzo posto c'è invece Meg MacKenzie). La gara himalayana misurava 42 km e 3.560 metri di dislivello.












