Andrea Gallo, il futuro ha un cuore antico

«Ho conosciuto Andrea Gallo di persona l’anno scorso, sciando insieme a Gressoney. Dico di persona, perché se uno è torinese e va un po’ in montagna, il suo nome di sicuro l’ha già letto da qualche parte, probabilmente sulle guide Finale 8.0 o Polvere Rosa. Oppure sulle relazioni di falesie storiche come Striature Nereo l’Orrido di Chianocco, spauracchio dei climber torinesi chiamati a confrontarsi con gradi e stili di una volta, quelli su cui si sono espressi come scalatori. O ancora, per chi avesse qualche anno in più del sottoscritto, l’ha trovato sulle pagine della defunta rivista Alp, della quale è stato collaboratore e fotografo per anni. È stato anche l’artefice, insieme ad altri, della creazione della Finale Ligure che conosciamo oggi, un modello di turismo outdoor che ha fatto scuola e che permette agli sciatori tristi di sopravvivere all’autunno e di risvegliarsi in primavera. Insomma, da attore prima e narratore poi, Andrea Gallo è sul pezzo da trent’anni e, anche ora che lavora nei video musicali (il binomio video maker outdoor - musica trap è qualcosa di assurdo e romantico allo stesso tempo) continua a martellare sugli argomenti a lui cari da sempre, quando non è occupato in cose più serie, ad esempio andare in skate e sciare a Punta Indren. Con la scusa di andare ad accaparrarmi una copia della nuova guida Finale 51, sono andato a trovarlo a Gressoney-Saint-Jean per capire cosa ci fosse dietro a un nome scritto sulla copertina di un libro».

Scrive così Federico Ravassard su Skialper 125 di agosto-settembre per introdurre una lunga e davvero interessante intervista ad Andrea Gallo, più che un'intervista una chiacchierata a tutto campo su passato, presente e futuro dell'arrampicata, del Freerider e della montagna più in generale. Un articolo da leggere e rileggere durante la pausa estiva perché «bisogna conoscere la storia di ciò che c’è stato prima di noi, sulla roccia, sulla neve, ma anche in tutto il resto, perché è l’unico modo per capire il presente e sapere dove andare in futuro». #sapevatelo

© Federico Ravassard

Prima e dopo la LUT

«Dopo aver finito, mi sono seduto per alcuni minuti e il duro sforzo, il caldo e la nausea che avevo combattuto nelle ultime 15 ore mi hanno finalmente sopraffatto. Così mi sono trovato nella tenda del pronto soccorso, dove mi hanno preso la pressione del sangue e infilato una flebo. Ok, ho pensato, è normale e probabilmente aiuterà comunque la mia ripresa. Dopo un po ' tutto quello che volevo era tornare in albergo e fare un pisolino. Avevo appena finito una corsa sotto il gran caldo correndo tutta la notte; avere caldo, provare nausea e sonno mi sembrava abbastanza ragionevole. Poi in realtà sono riuscito a vomitare. Mi sentivo molto meglio! Ma a un certo punto hanno deciso di farmi un ECG. Non avevo dolori al petto, e assolutamente nient'altro che caldo e sonno. Inoltre non parlo italiano e non capivo cosa stessero dicendo o facendo. Mi sono ritrovato in un'ambulanza diretta all'ospedale locale. A questo punto ho intuito cosa stava succedendo e ho cercato di spiegare che il mio ECG ha alcune anomalie che sono state ben studiate, nulla di cui preoccuparsi per un atleta di resistenza. Ma non parlo italiano. A un certo punto ho persino provato lo spagnolo. Poi mi dicono che potrei aver avuto un infarto e devo andare in elicottero in un ospedale più adatto. Sono ancora sicuro al 99 per cento che non ci sia assolutamente nulla di sbagliato, ma quando si parla di attacco di cuore quell’uno per cento diventa molto più ampio. Così via sull’elicottero, ed era la mia prima volta! E in un paesaggio così bello! Tranne che sono stato legato in una barella e non ho visto nulla. (…) Alla fine, niente infarto, ma ero disperso in un ospedale, non so bene dove».

Scrive così John Kelly, uno dei finisher dell'ultima La Sportiva Lavaredo Ultra Trail. La sua è solo una delle tante storie che si intrecciano ai piedi delle Dolomiti. Storie che su Skialper 125 di agosto-settembre abbiamo voluto raccontare con (poche) parole e (tante) immagini di facce e corpi prima e dopo la gara. Nelle foto di Federico Ravassard.

© Federico Ravassard

Le ragioni di Franco Faggiani

In tanti lo conoscerete perché cura l'ufficio stampa del Tor des Géants, in molti perché ha scritto due deliziosi romanzi nei quali, per un verso o per l'altro, la montagna fa sempre capolino: La manutenzione dei sensi e Il guardiano della collina dei ciliegi. Ma la vita stessa di Franco Faggiani è un romanzo, nel quale i monti hanno una parte importante. Per farvelo conoscere meglio, su Skialper 125 di agosto-settembre l'abbiamo fatto intervistare da un altro scrittore, Simone Sarasso. Un ritratto assolutamente da non perdere.

La manutenzione dei sensi – il primo dei libri in ordine cronologico – narra la storia di come la vita di Leo, scrittore, padre, vedovo e amante del quieto dislivello venga prima stravolta dall’arrivo di Martino – ragazzino in affido con la Sindrome di Asperger. E di come, successivamente, dopo un trasferimento in quota, lo scrittore riesca a riappropriarsi di quella vita sopita dal dolore.

Il secondo, Il guardiano della collina dei ciliegi – recentissimo (è in libreria dal 2 maggio scorso) – è la storia del più antico maratoneta del Paese del Sole Levante. E di come, senza desiderarlo minimamente, sia passato da giocarsi una medaglia alle Olimpiadi a vivere in una sorta di eremo all’aria aperta (la collina del titolo) espiando un peccato che chissà se aveva veramente commesso.

Scrive Sarasso: «Perché un giornalista affermato improvvisamente si mette a leggere e – soprattutto – a scrivere libri in cui la montagna e comunque la natura non mancano mai? L’ho chiesto a Franco e lui m’ha risposto con una storia, la storia della sua vita. Il genere di storia che suscita non poca invidia, anche nei più zen».

Non resta che leggere l'articolo completo su Skialper 125 di agosto-settembre...


François Cazzanelli, prova a prendermi

«La salita vera e propria l’abbiamo fatta il 28 maggio, sempre con Francesco. Siamo partiti presto con Teto e Roger, poi loro hanno proseguito sulla West Rib. Siamo scesi per la Seattle Rump e in 4 ore e 20 minuti eravamo alla base della via. Dieci minuti per preparare il materiale e rifocillarci e poi via. Le condizioni al Japanese Couloir non erano delle migliori, c’era parecchio ghiaccio, ma siamo riusciti a cavarcela velocemente. La traccia delle due cordate davanti a noi ci ha aiutato parecchio e in poche ore siamo arrivati al ghiacciaio pensile. La prima rock band ci ha riservato un’arrampicata splendida, mai difficile e molto divertente. Arrivati in cima abbiamo superato le altre due cordate: una stretta di mano, un po’ di incoraggiamenti reciproci e poi su verso la seconda rock band. Abbiamo trovato agilmente il couloir nascosto e lo abbiamo superato. In cima a questo tratto, a circa 5.000 meri, ci siamo fermati a mangiare qualcosa.Il passaggio successivo era superare la terza rock band, ma è stato più difficile: per i successivi 400 metri avremmo dovuto tracciare la via con la neve alle ginocchia. La notte stava arrivando e abbiamo deciso di fermarci due ore a riposare e bere dentro la tendina monotelo. Alle due del mattino è venuta l’ora dell’attacco alla vetta. Faceva molto freddo, circa -36 con vento a 45 chilometri orari. Gli ultimi 700 metri sono stati difficilissimi. Stringendo i denti, finalmente alle 7 del mattino eravamo al sole e in vetta».

A parlare è François Cazzanelli che lo scorso maggio ha scalato in velocità la Cresta Cassin al Denali: 26 ore e 45 minuti dal campo 4, 18 ore e 58 dalla terminale. Una delle non poche imprese di un anno vissuto intensamente, dal record delle quattro creste del Cervino con Steindl all'apertura della nuova via Diretta allo Scudo sulla parete Sud del Cervino. Prossimo obiettivo Manaslu.

Siamo stati a trovarlo a Cervinia e lo abbiamo intervistato su Skialper 125 di agosto-settembre.

© Achille Mauri

Dentro la Dolomyths Run Ultra

«È quasi l’alba sul Gruppo del Sella. La partenza del Sellaronda, la Dolomyths Run Ultra, è fissata per le cinque. Il cuore degli atleti si agita e gli occhi si preparano ad accogliere il primo raggio di sole. Il ritmo delle gambe scandirà i tempi di questo viaggio che attraversa in senso orario gli abitati di Colfosco, Arabba, Canazei e Selva Valgardena.
Correre la Dolomyths significa partecipare a una festa emotiva che le parole faticano a descrivere. Il contesto sportivo lascia spazio alla bellezza della montagna e si interseca con l'essenza del territorio, con le sue radici fatte di pascoli accuratamente curati, di malghe splendide, di sentieri ordinati, di persone semplici, di attenzione per i dettagli». Inizia così il racconto di Luca Carrara della gara simbolo attorno al gruppo del Sella in versione trail. Un racconto quello dell’atleta Salomon arrivato quinto nell’ultima edizione e già vincitore, che va oltre l’aspetto agonistico, alla scoperta di un percorso e panoramici unici al mondo. Citiamo a caso un altro passaggio: «L’arrivo ad Arabba è speciale: è il paese più piccolo tra quelli attraversati. Sembra che il tempo si sia fermato. Godetevi qualche sguardo benevolo, vi aiuterà a sopportare meglio la fatica della seconda salita che, come pendenze, è la più impegnativa. Salendo i pini si diradano fino a giungere a un’ampia balconata. Qui ci si aspetterebbe di puntare dritti a Punta Vescovo e invece il percorso vira a sinistra per raggiungere il Rifugio Padon. L’ultima rampa di circa 200 metri di dislivello (molto dura) è preceduta da un paio di chilometri di salita leggera in cui riprendere fiato. Da qui fino al Viel dal Pan e al Passo Pordoi inizia un divertente saliscendi con vista Marmolada. Sarà dura evitare di distrarsi: il ghiacciaio alla vostra sinistra e il Lago di Fedaia in basso, con i sui colori, proveranno in ogni momento a carpire la vostra attenzione». Insomma, se ancora non vi è venuta voglia di iscrivervi alla prossima edizione, su Skialper 125 di agosto-settembre ci sono anche le spettacolari fotografie a corredo dell’articolo per convicervi…

© Martina Valmassoi
© Filippo Menardi

Kilian Jornet e Maude Mathys, una Sierre-Zinal da record

Una gara che unisce le Golden Series e la Coppa del Mondo della World Mountain Running Association: è la Sierre Zinal. La prova svizzera non ha tradito le attese, con un parterre d’eccezione e una grande bagarre in gara. Sempre nel segno di Kilian Jornet, si potrebbe dire, che nel Vallese, non solo conquista la settima vittoria, ma ci riesce con il nuovo record, 2h25'35”, contro il 2h29'12" realizzato da Jonathan Wyatt nel 2003. Ci ha provato Petro Mamu, secondo in 2h26'28, con terza piazza per Jim Walmsaley in 2h31'52". Decimo Davide Magnini in 2h37’21”.
Infranto anche il record al femminile. Ci è riuscita Maude Mathys in 2h49'20: un tempone rispetto al precedente primato di 2h54'26”. Sul podio anche Judith Wyder in 2h54'20”, con terza Silvia Rampazzo in 2h56'17”.


A close call con Jesper Petersson

«In tutti gli sport, ciclicamente, si incontrano quei giocatori che per il modo con cui impattano sul gioco possono essere definiti a tutti gli effetti un crack. Sono atleti di gran classe, che portano qualcosa di mai visto, di nuovo per estro o disciplina». Introduce così Andrea Bormida lo svedese Jesper Petersson su Skialper 125 di agosto-settembre. Negli ultimi sei o sette anni, insieme a Mikko Heimonen, ha collezionato un’attività fantastica in termini di discese. Sono diventati uno dei riferimenti dello steep skiing a Chamonix e ciò non è semplice data la concorrenza. Come se non bastasse per garantirsi un posto tra le pagine di Skialper, in primavera è stato vittima di un incidente che poteva costargli molto caro: mentre sciava un canale di Alaska, sul Kahiltna Queen, è partita una placca a vento che lo ha trascinato a valle per alcuni interminabili minuti.

«Avevamo appena raggiunto il couloir principale, dove le difficoltà erano minori, quando io ho provocato il distacco di una piccola placca a vento isolata. E lì è iniziata una caduta di 800 metri dentro al canale. La neve era sembrata in generale sicura ed è stata una fatalità staccare quella placca. Essere in buona forma e forte fisicamente ma anche avere un casco sulla testa sono i fattori che probabilmente mi hanno salvato la vita. Mi sono rotto il collo con fratture alle vertebre C6 e C7 e sette costole. Forse non riuscirò più ad avere una piena mobilità, ma cercherò di tornare in forma come lo sono stato prima dell’incidente. In futuro scierò di nuovo fuoripista e scalerò».

Nonostante l’incidente, Jesper crede fermamente che «lo steep skiing è come la meditazione: la sola cosa che pensi quando sei là fuori è la curva successiva. Diventa come una sorta di rilassamento, devi focalizzare la tua attenzione su quel momento e dimenticare tutto il resto. Al giorno d’oggi sciare linee ripide non è più importante come lo era qualche anno fa, è l’avventura stessa quello che conta davvero: scoprire posti nuovi, esplorarli e sciarli con bella neve».

© Mikko Heimonen

Drei Zinnen Alpine Run, correre nel mito

Dal 1998 sono passati oltre 15.000 finisher sotto l’arco gonfiabile con invidiabile vista sulle Tre Cime di Lavaredo. Ma il panorama, che ti mette le ali negli ultimi metri, dopo 17,5 chilometri e 1.350 metri di dislivello, è solo una delle scuse per provare – almeno una volta nella vita – la Drei Zinnen Alpine Marathon, gara simbolo della corsa in montagna. O, più semplicemente, per venire a provare il percorso, non necessariamente di corsa, con uno stile più vacanziero. Noi abbiamo percorso l’anello che collega Sesto ai rifugi Comici e Locatelli (con rientro poi a valle lungo il sentiero che non fa parte del tracciato della gara, perché il traguardo è in quota) in compagnia del presidente del comitato organizzatore della gara in programma il prossimo 14 settembre, Gottfried Hofer. Quale scusa migliore per scoprire chicche e segreti di un evento e di un luogo davvero mitici? Per esempio i deliziosi piatti del rifugio Pian di Cengia e tanti aneddoti sulla Alpine Race. Qualche anticipazione? Alla seconda edizione gli iscritti avevano già raggiunto quota 700 e alla terza 996. Ludwig Tschurchenthaler, ideatore della gara, aveva scommesso che al raggiungimento del millesimo concorrente si sarebbe rapato a zero e così gli amici del comitato organizzatore si adoperarono per trovare altri quattro concorrenti. Nel 2001 andò in scena un’edizione mezza maratona, sulla distanza di 21 chilometri, ma non ebbe successo e presto si ritornò al percorso originale.

© Giuseppe Ghedina

150 ani di alpinismo sulle Tre Cime

Il 18 luglio 1869, con la salita della Punta dei Tre Scarperi (3.152 m) a opera di Paul Grohmann con le guide F. Innerkofler e P. Salcher, si apre l’epopea dell’alpinismo nella zona delle Tre Cime di Lavaredo. Solo poche settimane dopo, il 21 agosto, lo stesso Grohmann compì la prima ascensione per la via normale, sulla parete Sud, alla Cima Grande di Lavaredo (2.999 m). Per celebrare questa ricorrenza tutta l’estate sarà ricca di appuntamenti (www.sexten.it/150). Christoph Hainz, alpinista altoatesino che sulle Tre Cime ha aperto quattro nuove vie (Das Phantom der Zinne sulla Cima Grande, Alpenliebee Pressknödl sulla Cima Ovest, Ötzi trifft Yeti sulla Cima Piccola) ha inaugurato una nuova via che vuole celebrare i 150 anni dall'ascesa di Grohmann. La Grohmann – Hainz si snoda sulla Cima Grande, parete Sud.

Tutte le dritte per una vacanza a ritmo di sport ai piedi delle Tre Cime e le bellissime foto di Giuseppe Ghedina su Skialper 125 di agosto-settembre.

© Giuseppe Ghedina

Silvia Rampazzo, la forza di battere gli uomini

Ora, dopo le medaglie Mondiali, dopo gli exploit a Zegama, dopo che nello scorso fine settimana ha vinto la classifica assoluta della Camignada poi siè refuge di Auronzo di Cadore (35 km, 1.200 iscritti), battendo gli uomini e rifilando 13'' a Ivan Geronazzo, è la donna copertina. Con un altro primato non da poco: oggi è in prima pagina sul Corriere della Sera. Ma Silvia Rampazzo è forte perché è forte soprattutto dentro, e lo ha dimostrato da subito. La sua è una di quelle belle storie, di persone normali, con un lavoro impegnativo, che hanno iniziato a correre con la maglietta di cotone e che riescono a liberare la mente mettendo un piede davanti all'altro, sempre più velocemente. Silvia è stata testatrice della nostra Outdoor Guide per diversi anni e nel giugno 2016 l'abbiamo intervistata per la prima volta. Ecco le risposte più significative e come è nata la sua grande passione per la corsa tra i monti. E se volete conoscerla meglio, c'è anche il bel capitolo scritto da Simone Sarasso in Trail Rock Girls, appena pubblicato dalla nostra casa editrice.

Silvia, oggi sei una tra le più affermate runner off-road a livello nazionale, ma come hai iniziato a correre?

«Sono ingegnere ambientale e passo tanto tempo al computer oppure in viaggio. Per questo sento il bisogno di muovermi. Però a correre ho iniziato una decina di anni fa, in pianura, sull’asfalto, in un difficile momento famigliare. Mi aiutava a scaricarmi e a liberare la testa. Correvo tutti i giorni, senza cardio, con i pantaloni e la maglietta di cotone, senza pensare al tempo né mai gareggiare. Per me era una valvola di sfogo. Che purtroppo è durata poco perché dopo qualche mese ho iniziato ad avere male alle ginocchia. Se facevo una corsetta zoppicavo per giorni…».

Come mai?

«La diagnosi è stata subito impietosa: sublussazione a entrambe le ginocchia, infiammazione e consumo delle cartilagini. Così per anni ho smesso di correre, a volte zoppicavo anche solo a camminare. Mi avevano detto che non avrei più potuto correre, al massimo venti minuti la domenica. Ho sempre amato la montagna e appena potevo me ne scappavo sulle Dolomiti, a volte salivo a piedi e tornavo con gli impianti per non sollecitare le ginocchia. Poi ho conosciuto Michele, il mio ragazzo. Lui correva, su strada e qualche skyrace. Un giorno mi ha proposto una corsetta sui sentieri e da lì è nato tutto. Forse il terreno diverso mi ha aiutato. Alla fine del 2010 ho rimesso le scarpe, qualche garetta, a partire dalla Transcivetta - con tempo eterno… - fino alla stagione 2013 quando ho iniziato a ottenere risultati di soddisfazione».

Poi è stato un crescendo…

«Sono riuscita ad allenarmi bene e i risultati sono venuti, ma inaspettati. Mi è sempre piaciuto il senso di libertà della corsa e amo la montagna pur essendo di pianura, ma non ho mai avuto spirito agonistico. Improvvisamente mi è sembrato di vivere un sogno».

Poco spirito agonistico allora aiuta a vivere le gare con meno stress…

«Non lo so, diciamo che per me le gare sono uno stimolo perché sono di indole pigra, così mi pongo degli obiettivi per correre nella natura e tra le montagne. Delle gare amo la fatica e la soddisfazione che premia il raggiungimento di un obiettivo, la sfida contro me stessa e i miei limiti».

La montagna, una grande passione?

«Sì e anche gli sport di montagna, al liceo e all’università mi piaceva andare anche ad arrampicare. All’inizio camminavo, poi ho iniziato a correre con addosso il pesantissimo equipaggiamento dettato dal ‘non si sa mai’, con il solo scopo di abbattere i tempi di avvicinamento e andare più lontano».

Come ti alleni?

«In settimana solo in pianura, riesco a fare salita e discesa esclusivamente nei week-end. La salita è un toccasana per le mie ginocchia perché lavoro molto di muscoli e si rinforza la struttura della gamba, ma abito in pianura…».

Raccontaci qualche corsa insolita, visto che fai un lavoro che ti porta spesso in giro per il mondo.

«Sì, sono ingegnere ambientale nel campo oil&gas e spesso ho viaggiato in posti lontani. Mi è capitato di correre, naturalmente tutta coperta dalla testa ai piedi, con un caldo pazzesco, in Iran. Oppure in Kazakistan, o anche in Congo».


Alex Honnold, la libertà è perfezione

«Scusatemi, ma non sono abituato alle strade italiane, sono strettissime e la gente guida veloce. È pericoloso. E poi non ci sono le marce automatiche e io, alle marce manuali, non ci sono abituato». Quando uno che ha scalato Freerider su El Capitan, appeso a tacche millimetriche, senza corda e imbracatura, 900 metri sopra il vuoto, ti dice così, ti lascia senza parole. Quando Alex Honnold, protagonista assoluto del documentario Free Solo, premiato con l’Oscar, si è presentato allo stabilimento La Sportiva in Val di Fiemme, aveva la faccia stravolta. Ma la visita alle linee di produzione del marchio che gli fornisce le scarpette d’arrampicata (per la cronaca in Free Solo ha usato le TC Pro) è stata l’occasione per conoscere il vero Alex Honnold, lontano dagli stereotipi e dai flash. Prima che fosse sulla bocca di tutti. Ed Emilio Previtali quel giorno c’era. Così, per parlare a modo nostro di quello che in questo momento è probabilmente il più popolare (a dispetto del suo carattere schivo) sportivo outdoor, su Skialper 125 di agosto-settembre abbiamo pubblicato e adattato un capitolo tratto dal libro celebrativo dei 90 anni di La Sportiva, realizzato dalla nostra casa editrice. E ad Alex abbiamo anche riservato la copertina, una prima per Skialper, che non aveva mai pubblicato cover legate al mondo del climbing. C’è sempre l’eccezione che conferma la regola… Lo scatto di copertina è stato realizzato dal team di Jimmy Chin, regista di Free Solo insieme alla compagna Elizabeth Chai Vasarhelyi.

«In una solitaria i dettagli sono tutto. Mani e piedi. Per piediintendo dire: scarpe. Per le mani a volte uso una colla che asciuga la pelle delle dita che non deve essere né troppo secca, né troppo umida. Deve essere giusta. Se la pelle è troppo secca, non puoi fidarti degli appigli perché non li senti bene e sei costretto a tirare con le braccia più del necessario, sprechi un sacco di energie, non va bene. Se la pelle è troppo umida invece, se suda e scivola, la magnesite non basta. Non riesci a fidarti come dovresti perché hai paura di perdere la presa. La pelle delle dita deve essere giusta, né troppo secca né troppo umida».

Questa e tante altre chicche su Skialper 125 di agosto-settembre: info qui.


Uyn Vertical Courmayeur Mont Blanc, vince Daniel Antonioli

Sole, catena del Monte Bianco in bella vista, con temperature in quota vicine allo zero. Giornata giusta a Courmayeur per la quinta edizione del vertical firmato dall’azienda Uyn di Asola. Partenza alle 7,30 dal centro di Courmayeur, poi quasi subito con il naso all’insù verso il Pavillon, per affrontare infine pendenze ancora più ardue nell’ultimo tratto fino a Punta Helbronner. Pietraia, passaggi ripidi, scale da oltrepassare per arrivare sulla terrazza panoramica. Fin dall’inizio, a fare l’andatura, è stato l’alpino Daniel Antonioli che ha sfruttato anche l’assenza di Kilian Jornet, che era originariamente previsto al via insieme ad Emelie Forsberg. È passato primo al Pavillon, è arrivato in solitaria sulla terrazza, tra gli applausi del pubblico e del colonnello del Centro Sportivo Esercito, Patrick Farcoz. L’alpino ha vinto in 1h 46’18”, davanti al francese Thibault Anselmet (1h 47’16”) e a Daniele Felicetti (1h 47’52”). La gara femminile è invece stata vinta da Ilaria Veronese, scialpinista e ciclista che è sempre rimasta davanti a tutte. Ha concluso ventunesima assoluta, coprendo i 2.000 metri di dislivello positivo in 2h 08’47”. Secondo posto per Elisa Pallini in 2h 19’05” e terzo per la francese Noémie Grandjean in 2h 22’41”.

K1000 A BRUNOD E MURADA - Sono invece stati 95 i concorrenti che hanno gareggiato nel K1000 di venerdì sera, corso sui sentieri - illuminati dalle frontali - che da Courmayeur hanno portato al Pavillon. È stata sfida fino all’ultimo metro tra i valdostani Mathieu Brunod e Davide Cheraz, con successo del primo che ha preceduto di 10 secondi l’avversario, chiudendo con il crono di 48’47”. Terzo gradino del podio per Mattia Luboz, a 2’55” dalla vetta e reduce dalla prima edizione del vertical La Thuile. Tripletta Esercito in ambito femminile. A vincere, in modo piuttosto netto, è stata l’azzurra di sci alpinismo, Giulia Murada (55’56”), davanti all’esperta Gloriana Pellissier (59’11”) e a Giulia Compagnoni (1h 04’02”).

KKIDS PER 45 GIOVANI - Venerdì mattina spazio ai più giovani. Circa cinquanta bambini hanno animato l’area del Pavillon che ha ospitato la Kkids non competitiva. Nessuna classifica per loro, solo un primo approccio alla disciplina, con Nutella party finale e premio di partecipazione per tutti. Il Uyn vertical Courmayeur Mont Blanc - prova del Défi Vertical - ha anche chiuso il circuito VK3000, iniziato con Chaberton e Monterosa Sky Marathon. A tornare a casa con il trofeo sono stati Ilaria Veronese e Giovanni Bosio (quinto assoluto). Premiata anche la combinata K1000/K2000 (gare venerdì e sabato), vinta da Giuliana Arrigoni e Davide Cheraz.
Domani alle 15,30, Emilie Forsberg presenterà il libro Correre, Vivere, pubblicato dalla nostra casa editrice. Appuntamento a Punta Helbronner, nella nuovissima libreria LaFeltrinelli.


Anche Kilian Jornet e Emelie Forsberg in gara all'Uyn vertical Courmayeur Mont Blanc

I 400 pettorali a disposizione sono andati ancora una volta esauriti. Il Uyn vertical Courmayeur Mont Blanc anche quest’anno ha fatto il pieno di iscritti e nel K2000 di sabato si preannuncia uno spettacolo unico. Come uniche saranno le due stelle internazionali che saranno al via della gara di sola salita che dal centro di Courmayeur porterà i concorrenti sulla terrazza panoramica di Punta Helbronner.
Sabato 3 agosto in griglia di partenza ci sarà Kilian Jornet, uomo icona della montagna e delle grandi imprese, scialpinista e atleta di corsa in montagna che ha vinto otto volte la Skyrunner World Series. E al suo fianco non mancherà Emelie Forsberg, svedese e altra protagonista dello scialpinismo e dei trail.
Nella gara femminile sarà presente anche Lisa Borzani, che cercherà la migliore condizione in vista del decennale del Tor des Géants, mentre in quella maschile atleti austriaci, finlandesi, francesi, britannici, norvegesi, olandesi, polacchi, spagnoli, americani, svizzeri e ucraini, ma anche gli alpini del Centro Sportivo Esercito, Daniel e Robert Antonioli e Denis Trento.
La gara regina sarà anticipata, come da tradizione, dal K1000 che si correrà venerdì sera (2 agosto) e che arriverà al Pavillon. Una sfida in notturna che vedrà impegnati un centinaio di concorrenti. Ci saranno anche Davide Cheraz, Mattia Luboz, Gloriana Pellissier e la scialpinista Giulia Murada.
Sempre venerdì saranno impegnati anche i bambini. Alle 11 in zona Pavillon verrà organizzata una prova non competitiva che costeggerà il Giardino Botanico Saussurea e che sarà aperta ai giovani tra gli 8 e i 15 anni. Le iscrizioni (costo 15 euro) potranno essere effettuate venerdì mattina alla partenza della funivia Skyway.
Il programma del Uyn vertical Courmayeur Skyway è lungo e molto articolato. Oltre alle due gare adulti, che partiranno alle 21 di venerdì (K1000) e alle 7,30 di sabato (K2000), sono previsti alcuni incontri dedicati a chi ama lo sport e la montagna. Venerdì, alle 18, al Jardin de l’Ange confronto con i trailer di oggi e di ieri, alla presenza di Bruno Brunod, Ettore Champretavy, Milena Béthaz e Francesca Canepa. Domenica 4 luglio, alle 15,30, a Punta Helbronner, Emilie Forsberg presenterà il libro “Correre, Vivere” della nostra casa editrice, best seller dell’estate.