Va' Sentiero

Ieri ci siamo svegliati sulle rive del piccolo lago di Favogna, tempestato di ninfee. Sembrava un quadro di Monet. Ero ancora stordito dal sonno e ho pensato di farmi una nuotata. Dal pontile di legno, nudo, mi sono tuffato nel lago deserto. Grazie al fondo torboso l’acqua era a temperatura ideale e mi è venuto da urlare di felicità. Più tardi abbiamo raggiunto la cima del Monte Roen. Non è stato solo il nome a ricordarci il Signore degli Anelli. Da lassù, a Ovest, scintillavano i grandi ghiacciai dell’Ortles-Cevedale, sormontati da vette che parevano scolpite nel cielo.

Ai nostri piedi la parete orientale del Roen volava in picchiata per centinaia di metri. Lungo la discesa verso il rifugio abbiamo allungato per la Malga di Smarano e Sfruz. Volevamo toglierci lo sfizio di vedere se esistono davvero due tali con dei nomi simili, da Stanlio & Ollio altoatesini. Alla malga non c’erano né Smarano né tantomeno Sfruz (che abbiamo scoperto poi essere dei paesini a valle), ma due cani con il manto chiazzato che ci hanno guardati arrivare in attento silenzio, senza scomporsi né abbaiare. Erano Pastori del Lagorai. Un ragazzo dagli occhi gentili ci ha offerto birre e cacioricotte fresche di minuti, sapevano ancora di erba tagliata. 

Lui e sua moglie (Alan e Roberta) salgono qui ogni primavera con le loro vivaci bimbe e le tante caprette. Ce ne hanno anche fatta mungere una. Mi ha colpito la loro serenità. Roberta aspetta un altro bimbo e, mentre mi preoccupavo della loro sussistenza, guardandoli ho realizzato di come fossero spontaneamente al di sopra di ogni tipo di preoccupazione, concentrati a vivere il presente come un dono. A fine tappa, mentre ci rilassavamo a piedi scalzi sul grande terrazzo del rifugio Oltradige, il Latemar, il Catinaccio e le Odle si sono tinti di rosa. È stata l’ultima grande vista delle Dolomiti, un bellissimo arrivederci.

© Sara Furlanetto

A scrivere è Yuri Basilicò. Insieme a Sara Furlanetto e Giacomo Riccobono, neanche 90 anni in tre, si è inventato Va’ Sentiero, una spedizione lungo il Sentiero Italia, il trekking di 6.880 chilometri che attraversa tutta l’Italia, per fare riscoprire questa gemma dimenticata. Nel 2019 dal Golfo di Trieste a Visso, quest’anno, restrizioni permettendo, quello che manca. Su Skialper 131 di agosto-settembre Yuri ha scritto per noi un diario dei primi, intensi, mesi lungo il Sentiero Italia, scegliendo qualche episodio e luogo tra i mille. Perché il senso di un viaggio lungo il Sentiero Italia è quello espresso perfettamente dalle parole di Konstantinos Kavafis nella poesia Itaca, che Yuri e i suoi compagni di viaggio hanno letto alla partenza dal Golfo di Trieste: non conta la meta, ma il viaggio. Per info su Va' Sentiero: vasentiero.org

© Sara Furlanetto

Transap

Le cose più belle della Transap sono quelle che non si vedono con gli occhi, sono quelle che non puoi toccare e quantificare materialmente. Credo sia un aspetto positivo non avere oggetti o riconoscimenti che definiscano il valore delle motivazioni e delle azioni. Non ci servono cose per essere e per fare. Nel caso della Transap, tutto ciò che ha un significato, almeno per me, rimane immateriale. A dare un senso alla Transap non sono certo i chilometri (non pochi), né tantomeno il dislivello (non male), anche se ci devi fare i conti, e magari dopo un po’ li maledici, come se fossero diventati delle vespe sotto la maglietta o delle tarme nelle scarpe bucate. Sudi e soffri, a volte sbocchi in mezzo al bosco, sbuffi come un vecchio motore a gasolio sfatto, ma vai avanti perché nella Transap c’è un perenne senso di attesa nei confronti di qualcosa che sta per accadere. Mi piace pensare alla Transap come a un viaggio ideale, che in realtà non si compie, ma ridefinisce ogni volta una meravigliosa aspettativa. Perché è sempre difficile cogliere il senso di un’attesa, visto che la sua magia è proprio il non compiersi, ma aspettare che nasca. Ci vuole impegno e il giusto atteggiamento per capire la semplicità.

© Nicola Damonte

Transap, come la chiama Niki Gresteri, sta per Transappenninica. Un’idea semplice semplice e perfetta per questa estate così diversa: partire dalla pianura per arrivare al mare della Liguria, valicando quell’Appennino tanto selvaggio quanto vicino alle località più turistiche. Naturalmente a piedi, o di corsa, comunque con passo veloce. Nella sua versione-evento la Transap ha luogo l’ultimo fine settimana d’estate, come un rito collettivo senza pettorali, quote di iscrizione e ristori, ma con lo spirito della grande avventura da vivere insieme, perché non sono ammesse inscrizioni singole. Ma idealmente la Transap è dentro ogni sognatore che dalle cime dell’Appennino volge lo sguardo verso il mare ed è un’idea per una estate diversa, fosse anche solo per correre per pochi chilometri su quelle vie del sale che collegavano Pianura Padana e Mar Ligure per crinali, lontano dai briganti. Ecco perché su Skialper 131 di agosto-settembre abbiamo chiesto a due che la Transap l’hanno fatta, di raccontarcela, di raccontarci le emozioni che si vivino su quei crinali. Le parole sono di Niki Gresteri e Marta Manzoni, le splendide fotografie di Nicola Damonte. Un articolo da leggere con lo spirito con il quale si sfogliano le pagine di un racconto.

© Nicola Damonte

Made in Bangladesh

«Clacson, polvere, smog, tosse, lacrime, occhi di donne stanche, bambini dallo sguardo adulto, piedi scalzi e cumuli di ciabatte di plastica abbandonate. Bus sovraffollati, bus da rottamare in perenne sorpasso su una pista di terra battuta, bus molleggiati con sospensioni finite e sedili consumati, autisti che si scagliano nel traffico dove sembra che chi frena perda il rispetto degli altri conducenti. Correre in auto contromano per evitare un ingorgo. Imbottigliamenti pazzeschi creati da un paio di risciò e alcuni CNG (taxi motorizzati a tre ruote, delle specie di Ape Piaggio) per una mancata precedenza. Ancora clacson! Treni che si annunciano nelle stazioni spezzando il silenzio notturno mentre l'ansia sale nel sonno pensando alle tante persone che camminano per i binari bui come fossero sentieri sicuri nella foresta. Il muezzin che annuncia l’alba e quello che precede il tramonto. Cartelloni pubblicitari che pubblicizzano grandi infrastrutture del futuro. Grandi scritte che recitano safety first come fossero enormi prese in giro. Canne di bamboo che sorreggono palazzi in costruzione. Tra le palme e vicino agli argini sbucano moltissime ciminiere e camini neri che lasciano nubi grigie in cielo con file di mattoni alla loro base: famiglie intere accovacciate sulle ginocchia vivono grazie a queste fabbriche di polvere rossa, fanghi e liquami».

© Giacomo Frison e Glorija Blazinsek / Altripiani.org

Da dove arriva e come viene prodotta la giacca che usiamo quando andiamo a fare skialp, o il fleece che mettiamo sotto? Giacomo Frison e Glorija Blazinsek sono andati alla fonte, a vedere lo stabilimento dove vengono prodotti alcuni capi di uno dei marchi più noti, Salewa. Un viaggio non certo dei sogni, in Bangladesh, uno dei Paesi più sfortunati del mondo, dove 169 milioni di persone rischiano di vedere scomparire la loro casa tra le acque e lottano ogni giorno per conquistare i diritti più elementari, a partire dal cibo. «Lo sforzo più grande in Bangladesh è stato evitare di ragionare secondo le nostre regole e provare a interpretare continuamente questa logica della non logicadettata quasi sempre da un’esigenza di sopravvivenza» scrivono Giacomo e Glorija. Però a Comilla la musica cambia. Le regole non sono più quelle del traffico di Dhaka e di tutto il resto del Paese, qui non vince il più forte o chi suona con più intensità il clacson. Qui è un'oasi organizzata. Ci si rispetta, ci sono ruoli definiti: sarti, tagliatori, supervisori e manager, si hanno tutte quelle garanzie per nulla scontate in un Paese così sfortunato. Acqua potabile prima di tutto, un pasto garantito, i bagni e le docce, l’aria più fresca e l’assistenza medica con il dottore e l’ottico. Poi il sussidio di maternità e l’asilo per l’infanzia, ma soprattutto la donna che lavora riesce a ottenere più stima e diritti, creandosi un ruolo importante anche in famiglia ed evitando matrimoni combinati in giovane età. Ne parliamo su Skialper 131 di agosto-settembre.

© Giacomo Frison e Glorija Blazinsek / Altripiani.org

Giovanni & Franz, si continua a correre

Nostradamus, a noi, ci fa un baffo.

Franz: «E pensare che l’idea originale del libro era quella di dire che la corsa, una volta diventata stile di vita, si adatta all’età. Un po’ come la pelle, il colore dei capelli, o le rughe del viso. È una corsa diversa, meno competitiva e più meditativa».

Giovanni: «Tu, come al solito, la butti in filosofia. La verità è che, con l’età che aumenta, le prestazioni calano e bisogna regolare le aspettative, ma di certo non è necessario smettere di correre. Al massimo bisogna adattarsi alle nuove condizioni. Un po’ come fanno le piante».

F: «Ecco lì, dieci parole e stai già citando il mondo vegetale».

G: «Dico solo che le piante sono sottovalutate, a conoscerle meglio si imparano un sacco di cose interessanti. Comunque, tornando alla corsa, il blocco al quale il Coronavirus ci ha obbligati è stato un laboratorio. Ci sono quelli che si sono adattati correndo in terrazza o sul tapis roulant e quelli che non sono riusciti ad accettare la situazione e la corsa - antistress per eccellenza - è diventata un fattore di stress».

© Dino Bonelli

Giovanni Storti, meglio conosciuto come Giovanni del famoso trio Aldo, Giovanni e Giacomo, ha scritto un libro con l’amico runner Franz Rossi sulla corsa e gli anni che passano. Eppure quel libro, Niente panico, si continua a correre, è diventato un po’ metafora della corsa nella natura al tempo del distanziamento sociale. Ecco perché i due autori hanno prodotto un articolo a quattro mani per parlare del trail running in questi strani mesi che stiamo vivendo. Di come sono cambiate le loro sensazioni, di come hanno vissuto gli scorsi mesi e stanno vivendo questa estate. Si spazia dalla natura a Kilian Jornet, con quella leggerezza tipica dei comici, per riflettere sui temi seri della nostra epoca. E, per chiudere il quadretto, Giovanni e Franz li abbiamo portati a correre – per la prima volta insieme dopo il lockdown – ai piedi del Monte Bianco, dove li ha fotografati per noi Dino Bonelli. Che direi, buona lettura! L’articolo completo è su Skialper 131 di agosto-settembre.

© Dino Bonelli

Esanatoglia state of mind

«A Esanatoglia non ci sono montagne più qualcosa di altre; la quota rimane sempre sotto i 1.500 metri. Non ci sono località balneari famose nelle vicinanze (il mare è a 70 chilometri), non ci sono location che si prestano come sfondo per foto su Instagram o didascalie da claim aziendale di industrie del fitness, profumi o auto sportive. Ed è proprio per questo che amo Esanatoglia. Qui le montagne e le colline non sono (ancora e spero mai) giostre per turisti portati in autobus a depredare il territorio e comprare souvenir e non esistono tutte quelle strutture simbolo del turismo non sostenibile delle Alpi, i belvedere in cemento o i kindergarden, i baracchini di patatine fritte e gli hotel di lusso per i russi».

© Elisa Bessega

Scrive così nell’articolo su Esanatoglia, nelle Marche, Francesco Paco Gentilucci su Skialper 131 di agosto-settembre.  «C’è ancora un piccolo borgo di meno di 2.000 anime in cui tutti si conoscono, la gente corregge il caffè al bar col Varnelli e le vecchiette ti chiedono di chi sei il figlio» continua Gentilucci. Ma cosa è andato a farci a Esantoglia? Sentieri, tantissimi sentieri, tutti curati e mantenuti in modo impeccabile, chilometri di single track nel bosco segnalati alla perfezione dove è impossibile perdersi: per avere la cartina, gratuita, basta andare a chiederla al tabacchino del paese. Questa oasi curata e tenuta sempre in condizioni perfette è opera dell’olio di gomito di Leopoldo Giordani e dei suoi soci appassionati di mountain bike che nel corso degli anni hanno iniziato a prendersi cura dei sentieri locali, rimettendoli in funzione, creando cartelli segnavia in legno fino alla loro ultima creazione, l’Esatrail Supehero, ovvero il collegamento di molti dei sentieri in un giro unico: 90 chilometri e 4.000 metri di dislivello positivo. E perché non provarlo in versione trail running? Risultato? «In 14 ore e 22 minuti di corsa ho incontrato due persone sul percorso, alcuni cinghiali, tantissimi caprioli e un serpente. Basta». Un articolo da leggere, dopo avere guardato le belle immagini di Elisa Bessega.

© Elisa Bessega

In arrivo Skialper 131 di agosto-settembre

È il bello di un’estate diversa, senza cercare premi e classifiche. «È come una canzone semplice che ascolti di notte davanti al mare, con gli amici che si abbracciano e sorridono per tutte quelle cose che ci sono state e che non si possono vedere. È come una canzone semplice che avevi in testa e che hai saputo aspettare». Sono le parole di Niki Gresteri a proposito di Transappenninica a condensare il senso del numero di agosto-settembre di Skialper, il fascicolo 131 (144 pagine), in edicola a partire dal 4 agosto. Un numero sul senso del correre e camminare nella strana estate che stiamo vivendo, per riscoprire quel senso di libertà che solo andare veloci e leggeri tra le montagne permette di vivere in pieno. E per ritornare negli angoli più selvaggi del Belpaese, spesso a pochi passi dalla città o dalle località turistiche più famose: l’Appennino Ligure, quello Marchigiano, i tratti meno frequentati del Sentiero Italia, il Lagorai. Ma anche per sognare un viaggio di corsa in Patagonia. Perché chi smette di sognare è morto, come scrive il direttore responsabile di Skialper, Claudio Primavesi, nell’editoriale.

© Jamyl Coury

Every Single Street - Correre lungo tutte le strade di una città. Una sfida inventata nel 2018 da Rickey Gates a San Francisco, ma diventata tremendamente di attualità al tempo del lockdown. Per raggiungere tutte le strade di Frisco, come i local chiamano la città del Golden Gate, Gates ha percorso 1.317 miglia (poco più di 2.100 chilometri) e 147.000 piedi di dislivello, quasi 45.000 metri. Dopotutto in sette miglia per sette miglia ci sono ben 1.100 miglia (1.770 chilometri) di strade e per percorrerle tutte, anche se sei efficiente al massimo, devi coprire alcuni tratti più volte. «Correre su ogni singola strada di San Francisco in 45 giorni è stato come fare un’ultra ininterrotta tra le montagne, perché non puoi mai staccare con la testa, devi essere sempre concentrato e il dislivello è importante - dice Rickey - Però per altri versi è molto diverso, perché la nostra idea di trail running è spesso legata alla fuga, è semplicemente esistere in un posto e non essere perfettamente presenti e consapevoli in quel luogo: correre per le strade della città è l’opposto di fuggire».

© Nicola Damonte

Transap - C’è chi si porta in spalla il fornelletto e prepara l’asado, chi gira in bretelle. C’è chi cammina tutta la notte senza fermarsi mai e chi non vede l’ora che finisca. La Transappenninica è una prova di avventura e di montagna attraverso l’Appennino, lungo le antiche vie del sale che l’uomo ha usato per centinaia di anni per trasportare il sale necessario alla conservazione dei cibi verso la Pianura Padana e sui sentieri dei Partigiani tracciati durante la Seconda Guerra Mondiale, dalle colline della bassa padana fino al Mar Ligure. Tutti percorsi che toccano i crinali e non le valli come le strade moderne. Non è una gara di trail running. Non è a pagamento. La sfida si svolge durante l’ultimo weekend d’estate (che quasi sempre coincide con il terzo fine settimana di settembre) e prevede di coprire ampie distanze in poco tempo, con notevoli metri di dislivello (da 3.000 metri a 7.000 metri, tra salite e discese) e chilometri di sviluppo (dai 55 ai 110), variabili a seconda dell’itinerario scelto. La perfetta non gara per l’estate 2020, ma anche un’idea per partire alla scoperta dell’Appennino con la stessa formula, lasciando spazio alla libertà. L’articolo è firmato da Niki Gresteri e Marta Manzoni che la Transappenninica l’hanno fatta veramente, più volte, ed è un mix di ricordi, racconti e informazioni pratiche.

© Elisa Bessega

Esanatoglia - Un paese dove tutti si conoscono, lontano dalle autostrade e dal turismo di massa, nel cuore delle Marche. Un trail perfettamente tracciato e segnalato per le mountain bike che può diventare un’ottima scusa per correre liberi senza l’assillo del cronometro. L’Esatrail Supehero è il collegamento di molti dei sentieri in un giro unico: 90 chilometri e 4.000 metri di dislivello positivo. Per noi l’ha provato Francesco PacoGentilucci: «In 14 ore e 22 minuti di corsa ho incontrato due persone, alcuni cinghiali, tantissimi caprioli e un serpente. Basta».

© Dino Bonelli

Giovanni & Franz, si continua a correre - Dopo il lockdown non erano ancora tornati a correre insieme in montagna. Così ci abbiamo pensato noi di Skialper e il comico del trio Aldo, Giovanni e Giacomo si è incontrato con l’amico di avventure Franz in Val Veny per fare quattro passi con le scarpe da trail e scrivere un articolo a due voci sul senso della corsa in natura al tempo del Covid-19. Una battuta di Giovanni? «Il blocco al quale il Coronavirus ci ha obbligati è stato un laboratorio. Ci sono quelli che si sono adattati correndo in terrazza o sul tapis roulant e quelli che non sono riusciti ad accettare la situazione e la corsa - antistress per eccellenza - è diventata un fattore di stress».

© Federico Ravassard

Translagorai Classic FKT Run - 80 chilometri in uno degli ultimi angoli selvaggi delle Alpi, senza strade asfaltate e rifugi eppure a pochi passi dalle Dolomiti più turistiche. A metà luglio nove trail runner si sono dati appuntamento a Passo Rolle per mettere le basi di quello che potrebbe diventare un classico della corsa e dell’hiking nella wilderness. Prima che la costruzione di rifugi e bivacchi trasformi irrimediabilmente lo spirito del luogo. «Translagorai Classic FKT Run nasce in modo piuttosto semplice - scrive Francesco PacoGentilucci - Ordino 50 adesivi pagandoli a mie spese e decido che sono il premio per chi arriva in fondo alla traversata in meno di 24 ore. Servono a rendere l’idea che se sei a caccia di un riscontro materiale importante è meglio che aspetti che ricomincino le gare. Attenzione, la Translagorai esiste da sempre come percorso, io non ho inventato assolutamente nulla. Esisteva la traccia e, intuendo da ciò che in molti mi hanno scritto, in tanti hanno un cugino o un conoscente che aveva già stampato un tempo strabiliante. Però mancava l’ufficialità, ma soprattutto qualcosa che rendesse questa traversata un vero FKT, un percorso condiviso, ripetibile e che facesse sognare anche i non local. Abbiamo quindi creato la traccia cercando di individuare il concatenamento che avesse più logicità e linearità».

© Rodrigo Manns

Una corsa alla fine del mondo - «All’inizio del 2018, grazie alla donazione allo stato del Cile della terra della Valle Chacabuco da parte di Tompkins Conservation, la Reserva Nacional Lago Jeinemeni e la Reserva Nacional Lago Cochrane sono state unite nel Parque Nacional Patagonia. Queste valli sono state trasformate negli anni dall’allevamento e l’ecosistema, al di fuori dei panorami da cartolina, rischiava di essere compromesso irrimediabilmente, però la creazione del parco è andata contro alcuni degli interessi economici locali. Così, a distanza di due anni, volevo vedere come è stato accolto dalle persone che vivono da quelle parti e che effetto ha prodotto sull’economia locale. Volevo farlo a mio modo, tornando lì per correre». Scrive così il runner e ambientalista cileno Felipe Cancino nell’articolo Una corsa alla fine del mondo, alla scoperta dei parchi nazionali patagonici e delle ultime aree remote della terra a passo di trail. Cancino racconta le avventure di due diversi viaggi nei quali ha toccato anche la Terra del Fuoco, la Península Mitre e l’isola di Navarino.

© Sara Furlanetto

Va’ Sentiero - Silenzio, natura, cultura, incontri. Sono le Alpi e gli Appennini attraversati dalla spedizione sul più lungo trekking del mondo. Il diario dei primi 3.458 chilometri riserva pagine ricche di sorprese e piccoli tesori di un’Italia tutta da scoprire, come per esempio la malga Smarano e Sfruz, il paese di Topolò o le Alpi Marittime. «Non ero mai stato nelle Alpi Marittime: a duemila metri ritrovi i colori della macchia mediterranea - scrive Yuri Basilicò - Anche l’odore dell’aria è diverso, a volte sembra sappia di timo. L’estate è finita, ma le giornate sono ancora belle e regalano grandi vedute. Da settimane il Monviso compare a ogni cima o valico, comincio a capire perché i Romani pensavano che fosse il più alto delle Alpi».

© Giacomo Frison-Glorija Blazinsek /Altripiani

Made in Bangladesh - Clacson, polvere, smog, tosse, lacrime, occhi di donne stanche, bambini dallo sguardo adulto, piedi scalzi e cumuli di ciabatte di plastica abbandonate in un Paese di 169 milioni di abitanti che rischia di sparire tra le acque. Ma anche le garanzie di una fabbrica dove si produce l’abbigliamento di un noto marchio dell’outdoor, per nulla scontate nel Paese asiatico. Un reportage di Giacomo Frison e Glorija Blazinsek per andare oltre l’apparenza. «Lo sforzo più grande in Bangladesh è stato evitare di ragionare secondo le nostre regole e provare a interpretare continuamente questa logica della non logica dettata quasi sempre da un’esigenza di sopravvivenza».

© Yunes Boiocchi

Must Have e non solo - 19 pagine con i materiali più sexy per camminare e correre selezionati dalla redazione e fotografati da Daniele Molineris in una location insolita quanto accattivante (no spoiler), ma anche un’ampia sezione di portfolio sui tanti fastest known time di inizio estate, un estratto dal libro Correre, viveredi Emelie Forsberg sul senso di libertà dell’andare per monti a passo più o meno veloce, l’outro sulle gare virtuali e l’immancabile controcopertina di Caio completano un numero pensato per leggere e riflettere durante le vacanze.

 

 

 

 

 

 


I porta piccozza di Peak Light 40

Galeotto fu il porta piccozza, e così sulla nostra Outdoor Guide, la guida all’attrezzatura per gli sport estivi in montagna, nella recensione dello zaino da alpinismo Orotovox Peak Light 40 abbiamo scritto che ha un solo porta piccozza. Però in realtà il prodotto della casa tedesca di porta piccozza ne ha due. Lo schienale presenta il sistema Swisswool Tec-Knit per un maggior controllo della temperatura e la struttura in alluminio è estraibile. È leggero mantenendo però una buona resistenza alle abrasioni e con una particolare cura dei dettagli. Ha caratteristiche ormai comuni agli zaini da alpinismo come il porta sci o il porta bastoni ma ha anche dettagli innovativi come il coperchio rimovibile e la zip perimetrale. Pesa 740 grammi e costa 200 euro. Ortovox.com


Cosa resta del record di Poletti sul Sentiero delle Orobie a 15 anni di distanza

Sono passati quasi 15 anni dal quel 7 agosto del 2005 quando Mario Poletti, allora trentaseienne, intraprendeva il viaggio sul Sentiero delle Orobie, completando gli 84 chilometri con oltre 5.000 metri di dislivello in 8 ore 52 minuti e 31 secondi. Un sogno che si realizzava, da Valcanale al Passo della Presolana.

«Il record - dice Mario Poletti - è stato fatto per portare a Bergamo il primo campionato del mondo di skyrunning a staffetta, Orobie Skyraid». Alla gara partecipò anche Kilian Jornet, allora giovanissimo. Orobie Skyraid è stata la prima delle 47 gare che Poletti, con la sua Fly-Up Sport, ha organizzato in 13 anni sul territorio provinciale.

Se è vero che le gare di trail running sono diventate un fenomeno di massa, vale la pena ricordare la quantità di gente comune che quella domenica di 15 anni fa si assiepò sul percorso alpino per assistere all’evento tanto atteso e dall’esito per nulla scontato. Il Sentiero delle Orobie divenne nell’immaginario popolare un tracciato iconico, quello del record del Mario, un posto dove praticare regolarmente la corsa e appassionarsi al mondo delle gare di montagna.

Per ricordare il record del Mario, domani, sabato 1 agosto, a Songavazzo, in Val Seriana, si terrà la serata Il Sentiero delle Orobie e un sogno lungo 9 ore. Oltre a Poletti saranno presenti gli atleti che lo accompagnarono lungo gli 84 chilometri e l’imprenditore Giovanni Bettineschi che, con la sua Promoeventi, lo supportò a livello organizzativo. A moderare, Paolo Cattaneo, direttore tecnico di Orobie Ultra Trail. Appuntamento al ristorante La Baitella di Songavazzo alle ore 20.30, ingresso libero.


Andrea Prandi e Simone Eydallin, anatomia di un record

Lontani da linee di partenze e arrivi, pettorali e classifiche. Sarà ricordata così l’estate 2020 che ha visto l’annullamento della maggior parte delle gare in calendario a causa dell’emergenza sanitaria. Gli appassionati di sport endurance hanno però continuato ad allenarsi e a mettersi alla prova, alzando l’asticella sempre di più nel tentativo di migliorarsi, raggiungere nuovi obiettivi e, perché no, anche nuovi record. Ne abbiamo parlato, dando spazio alla cronaca dei record, su skialper.it. Tra i fastest known time uno di quelli che ha fatto parlare di più è firmato da Andrea Prandi e Robert Antonioli alle 13 cime, in Valfurva, mentre, tra le imprese curiose, il nuovo record del mondo di Everesting di corsa di Simone Eydallin. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con i due atleti Dynafit per conoscere più nei dettagli le imprese.

Mai mollare

Ventidue anni, grinta e forza da vendere e tante vittorie portate a casa, la più grande poco più di un anno fa, sconfiggendo il tumore che lo aveva colpito al sistema immunitario. Andrea però non si è mai abbattuto. La determinazione, la passione per lo sport e l’amore per la montagna lo hanno aiutato anche in quell’occasione, dandogli la forza di andare avanti e di continuare a sperare per poi superare il buio e vincere una delle battaglie più difficili. Nel mese di maggio 2019, a distanza di nemmeno due mesi dal suo ultimo ciclo di chemioterapia, Andrea ha ricominciato a gareggiare e allenarsi fino a quando il 12 luglio scorso, nella sua Valfurva, l’atleta Dynafit ha realizzato l’ennesimo suo sogno, percorrendo l’anello delle 13 cime in sole 6h52’56’’. Un tracciato lungo oltre 37 chilometri con 4.000 metri di dislivello, percorso in coppia con il compagno Robert Antonioli. «Durante il periodo di lockdown mi è venuta voglia di mettermi in gioco, facendo qualcosa qui sulle montagne di casa e così ho pensato al giro delle 13 cime - racconta Andrea - Ho deciso di farlo con Robert, oltre che per il rapporto di amicizia che ci lega, per l’esperienza alpinistica e per la conoscenza che ha di questo ambiente. Nei punti più tecnici mi sono completamente affidato a lui». Un tempo strepitoso il loro, abbassato di quasi un’ora rispetto a quello che la settimana precedente aveva visto il sigillo della coppia Pintarelli-Boffelli. «Le condizioni erano praticamente perfette, la neve era dura e tutto è filato liscio. Ma non abbiamo dato nulla per scontato fino alle fine, in imprese come queste basta un piccolo imprevisto per far saltare tutto. Sull’ultima discesa ho avuto i crampi ma la testa alla fine l’ha avuta vinta e ha prevalso sul dolore e la fatica». Mai mollare, insomma. «No, mai mollare è ciò che si sente di suggerire Andrea a chi sta vivendo momenti difficili. Anche durante i cicli di chemioterapia non ho mai smesso di uscire di casa per qualche passeggiata sui miei sentieri, anche se ero letteralmente uno straccio. Lo sport, la montagna e l’aria aperta sono stati fondamentali. Per smaltire i farmaci e lo stress, per liberare la mente e per continuare a crederci, sempre».

© Giacomo Meneghello
© Giacomo Meneghello

L’Everest dietro casa

Ci sono sogni irrealizzabili, si sa, ma a volte è difficile arrendersi di fronte all’idea di non poter concretizzare qualcosa a cui tanto si tiene ed è allora che si trovano soluzioni. È quello che fatto Simone Eydallin che, da sempre innamorato dalla maestosità dell’Everest, ha trovato un modo tutto suo per scalarlo. «Sono un grandissimo fan dell’Everest - racconta Simone - Sono sempre stato affascinato da questa montagna ma so che probabilmente non lo scalerò mai, non sono da me queste imprese così alpinistiche. Volevo però togliermi lo sfizio di simulare una scalata percorrendo, di corsa, il dislivello di 8.848 metri e così ho pensato alla sfida dell’Everesting. Quando ho iniziato a progettare il tutto non avevo nemmeno preso in considerazione l’idea del record ma poi, verso metà giugno, ho provato a fare un po’ di dislivello per vedere come stavo dal punto di vista fisico e psicologico. È stato solo allora che, dopo aver fatto due calcoli, mi sono reso conto che stavo bene e che avrei potuto provare a battere il record. E così è stato. Proprio pochi giorni fa è arrivata l’omologazione del mio nuovo record di Everesting nella specialità della corsa». Lo scorso martedì 14 luglio, a Sauze d’Oulx, Simone ha risalito per ben 12 volte e mezza una pista di sci di 715 metri di dislivello, lunga 3,3 chilometri e con una pendenza media del 24%, ed è sceso su un percorso parallelo in bici. Il tutto con il tempo pazzesco di 10h01'. Un’impresa difficile, sia dal punto di vista psicologico che fisico e che lungo il percorso ha richiesto l’assistenza, tra ristori, assistenza e lepri, di un team di circa una decina di persone. «A livello fisico non ho avuto grosse difficoltà, il problema è stata la testa - confida Simone - Arrivando da gare corte, lo sforzo mentale in imprese come queste è completamente diverso. Fino al sesto giro è andato tutto bene, ero super gasato, ma dopo l’ottavo ho avuto un vero e proprio crollo psicologico. Per fortuna che dopo il nono giro è arrivata mia moglie Emily e sul percorso si è radunata ancora più gente, ad aiutare e a tifare e tutto è tornato come prima». Raggiunto un obiettivo (o una vetta, è il caso di dirlo) è già ora di guardare ai prossimi. «Mi aspettano ancora qualche giorno di recupero, con allenamenti blandi in bici, alimentazioni sana e tanto riposo, ma poi devo preparami per la prossima impresa, in programma a fine estate, sul Rocciamelone, proprio lì dove ho partecipato per la prima volta in vita mia a una gara di corsa in montagna e dove mi sono innamorato di questo fantastico sport».

© Damiano Benedetto
© Damiano Benedetto
© Damiano Benedetto

Salomon, nel 2021 arriva la nuova X Ultra

Salomon propone novità importanti per la primavera-estate 2021. Si parte dal mondo trail running, dove arriva la top di gamma S/Lab Pulsar, un modello leggerissimo e molto veloce già ai piedi di Kilian, ma anche la v4 della collaudata Sense Ride, Wings/Pro e Wings/Sky. Nel mondo hiking è previsto il debutto della attesa quarta versione di X Ultra, uno dei modelli che hanno fatto la storia dell’hiking moderno. Il marchio di Annecy presta sempre più attenzione al mondo femminile e proprio modelli come X Ultra propongono versioni studiate nei minimi dettagli per le nuove hiker.

TRAIL RUNNING

Sense Ride 4

Per la stagione 2021 Salomon aggiorna il classico Sense Ride con la v4. L’edizione 2021 è comoda e reattiva come le antenate grazie all'ammortizzazione Optivibe di Salomon ma è stato riprogettato il supporto del tallone che è più imbottito, a vantaggio della tenuta. La schiuma Optivibe è progettata per assorbire le vibrazioni e ridurre l'affaticamento muscolare senza appesantire. La suola è la collaudata Contagrip e la pellicola Profeel protegge i piedi da oggetti appuntiti.

Wings/Sky

Tra le novità anche Wings Sky, progettata con obiettivo supporto e grip, ma senza compromettere la reattività. I tessuti resistenti proteggono i piedi dai detriti sui tracciati tecnici e l’Advanced Chassis permette di mantenere stabilità su terreni irregolari, ottimizzando il controllo del movimento e la protezione. La suola Contagrip offre un grip affidabile man mano che le pendenze (e le discese) diventano più ripide. Wings Sky è disponibile anche in una versione Gore-Tex.

S/Lab Pulsar

Arriva sul mercato la scarpa nata dalla collaborazione con Kilian Jornet per essere la più leggera nel mondo trail. S/LAB Pulsar era ai piedi di Kilian alla Sierre-Zinal 2019... Con l'intersuola Salomon più leggera e una tomaia praticamente quasi senza peso è la S/LAB più leggera mai realizzata (170 grammi). La Pulsar ha un drop di 6 mm e la giusta quantità di ammortizzazione dove serve per mantenere l'agilità su tracciati non tecnici. La trama traspirante Matryx è rinforzata da fibre di aramide.

HIKING

X Ultra 4

Arriva la quarta versione di un autentico mito, una delle scarpe che ha inventato l’hiking moderno. X Ultra 4 prende in prestito le tecnologie del trail running ed è il risultato di approfonditi studi biomeccanici per una migliore stabilità e per prevenire lesioni alla caviglia. La ricerca mostra che l'80% delle lesioni da escursionismo sono distorsioni della caviglia e il 95% di queste sono distorsioni della caviglia nella parte esterna. Utilizzando e analizzando nel dettaglio queste informazioni, Salomon ha identificato le aree chiave del piede che necessitano di protezione e ha riprogettato tutta la collezione dell’iconica scarpa. X Ultra 4 è dotata di un nuovo telaio ADV-C per ottimizzare stabilità, ma senza limitarne la mobilità. Il risultato è una scarpa con più protezione ma che lascia il piede libero. La suola Contagrip MA è stata riprogettata pensando alle discese più insidiose e il bumper è a prova di pietre. Il modello da donna è stato adattato alla morfologia femminile. X Ultra 4 è disponibile nelle versioni uomo e donna, bassa e media, Gore-Tex e nelle larghezze medie e ampie.

X Ultra 4 Mid

Outline Prism GTX

Con la flessibilità di una scarpa da corsa, la protezione Gore-Tex completamente impermeabile e il grip per qualsiasi terreno, la versatile Outline Prism GTX è il prodotto da hiking moderno. Il design leggero la rende comoda come qualsiasi scarpa da corsa, mentre il grip, il puntale protettivo e la trama traspirante la rendono ideale per le escursioni.


Bosatelli sul percorso della nuova 100 miglia del Bernina

Questa strana stagione senza gare è l’occasione per mettere a fuoco nuovi progetti. Così gli organizzatori della Valmalenco Ultra Distance Trail, la gara di 90 km con 6.000 m D+ ai piedi del Bernina, ne hanno approfittato per progettare una nuova 100 miglia. «La VUT è nata con il preciso intento di promuovere il nostro territorio, l’Alta Via e i suoi rifugi. Proprio in quest’ottica, già a partire dall’anno prossimo, ci piacerebbe affiancare alla nostra gara principe due prove che definire di contorno sarebbe limitativo: una vera e propria 100 miglia e la 35 km. Ciò ci permetterà di offrire una proposta a tutto campo, dalle medie alle lunghissime distanze» ha detto Fabio Cometti del Comitato Organizzatore. E allora ecco un tester d’eccezione per il nuovo percorso. Oliviero Bosatelli è partito lo scorso 15 luglio da Piazza Garibaldi a Sondrio e ha corso all’ombra di Bernina, Disgrazia e Pizzo Scalino. L’ultra trailer del Team Scott Italia, main sponsor tecnico della gara, era accompagnato da atleti del posto e ha toccato alcuni punti tra i più belli della zona: Passo del Ventina, Valle di Scerscen, Diga di Alpe Gerala, Val di Togno e Val Poschiavina. «Ringrazio Scott e gli amici della VUT per avermi dato la possibilità di vivere questa tre giorni di immersione in una natura incontaminata - ha detto il Bosa al termine -. Su questi percorsi si vede la vera montagna in scenari che definirei stupendi. La fatica che si fa in salita è ampiamente ripagata dallo spettacolo che si può godere. Sarà una gara impegnativa, ma vi assicuro davvero bella». Il test event è stato anche l’occasione per fare del bene. Bosatelli è molto legato alla sua terra, epicentro dell’epidemia di Covid-19 e il comitato organizzatore per ringraziarlo ha fatto due piccole donazioni ad associazioni orobiche che lo stesso Oliviero ha segnalato.


Davide Cheraz e Pietro Picco, 4x4.000 in Valle d'Aosta

Non un record, almeno questo non era lo spirito, ma un sogno, una bella avventura da vivere con l’amico Aspirante Guida alpina Pietro Picco. Ecco come è nata l’idea di 4x4000 di Davide Cheraz del team Salomon. Il runner voleva salire i quattro quattromila valdostani in velocità, concatenandoli in bici. Un progetto più volte rinviato a causa delle condizioni problematiche, soprattutto sul Cervino. Poi il via da Courmayeur venerdì scorso e l’arrivo ieri alle 16 sempre a Courmayeur. In mezzo 400 km e un totale di 16.500 m D+ per raggiungere le vette di Cervino (4.478 m), Monte Rosa (4.554 m), Gran Paradiso (4.061 m) e Monte Bianco (4.810 m), prima di fare ritorno a  Courmayeur, al Jardin de l'Ange, dove ad accoglierli c’era una nutrita folla di amici e turisti.

«E’ andata bene, benissimo - ha dichiarato Davide Cheraz -. Non fosse per il Bianco dove ci siamo trovati nella nebbia, direi che è andato tutto alla grande». Entrando nei dettagli, l’azzurro di trail running ha continuato: «Le condizioni non erano delle migliori, abbiamo anche pensato di tornare sui nostri passi, ma grazie all’assistenza di alcuni amici siamo riusciti ad arrivare in vetta. Il Cervino era la montagna che mi preoccupava di più dal punto di vista tecnico… invece siamo saliti molto più rapidi rispetto all’ascesa fatta come test. Ci siamo sempre mossi agevolmente anche grazie a delle giornate spettacolari. Momenti di difficoltà? Non molti. Oggi Pietro ha patito un dolore al tendine sull’ultima discesa verso Courmayeur, ma è stato un duro e ha stretto i denti».

Alle sue parole hanno fatto eco quelle dell’amico Pietro Picco: «Sapevamo che oggi il meteo non sarebbe stato dei migliori, ma nemmeno così proibitivo da vanificare l’ultima ascesa. È stato difficile trovare il momento giusto per partire, ma attendere e rinviare di qualche giorno si è rivelata la scelta giusta. Siamo contenti di essere riusciti a coronare questo nostro piccolo sogno. In questi giorni ci siamo sempre mossi bene, con una buona sintonia e senza prendere eccessivi rischi. Ora direi che ci siamo meritati una bella dormita.