Collontrek, al via le iscrizioni

Dall’Italia alla Svizzera, lungo il sentiero dei contrabbandieri e in mezzo alla natura incontaminata. Il 6 e 7 settembre 2019 ritorna il Collontrek, la gara di trail che si corre a coppie e che ha cadenza biennale.
Ventidue chilometri di storia e tradizione, ventidue chilometri che uniscono le comunità dell’Alta Valpelline e della Val d’Hérens. Una prova affascinante che presenta anche un tratto di ghiacciaio da affrontare con il proprio compagno di avventure.
Una gara magica, sempre molto apprezzata dagli atleti, anche se nelle ultime edizioni è stata sfortunata con il meteo. Da Bionaz ad Arolla, 1.250 metri di dislivello positivo, altrettanti in negativo, un lungo serpentone di sportivi che arrivano da mezza Europa per non perdere lo spettacolo.
A quattro mesi dall’evento gli organizzatori sono pronti a lanciare la campagna iscrizioni. Dal 1° maggio partirà la caccia a uno dei 1000 pettorali (500 coppie) messi a disposizione. Ci sarà un contingente riservato agli svizzeri, che per tradizione fanno registrare il tutto esaurito in poche settimane, e uno per gli italiani. Gli eventuali posti liberi verranno poi ridistribuiti in base alle richieste.
Meglio quindi iscriversi subito e assicurarsi un pettorale per l’edizione 2019 di fine estate. Il costo è di 60 euro a partecipante per gli italiani o per gli atleti rientranti nell’Unione Europea, 100 franchi invece per gli svizzeri.
L’organizzazione prevederà come sempre una notte in albergo in Italia per gli elvetici e il rientro in bus da Arolla a Valpelline per gli italiani. All’atto dell’iscrizione potranno essere effettuate anche le rispettive prenotazioni.


Bar Valeruz

Per quelli come me nati all’inizio degli anni Ottanta, il suo nome è sempre stato associato in maniera quasi naturale allo sci estremo. A dire il vero non riesco nemmeno a ricordare quando l’ho sentito per la prima volta, forse mai, quasi fosse stato inserito direttamente in quel particolare software che ci viene installato alla nascita. Tone Valeruz, naturale. Lo sciatore estremo. Valeruz, per tutti Tone. Il suo modo di sciare ha da sempre trasceso la ristretta cerchia dei praticanti di scialpinismo e del mondo dello sci libero. Tone è diventato, grazie alle sue imprese, alla spettacolarizzazione di alcune di esse, un personaggio trasversale. Conosciuto sia dalla massaia di Torino, che apostrofava le sue imprese urlate da qualche notiziario con un secco Oh basta là!!! È propi fol col li, sia dal mazinga pistaiolo tutto Moncler che,quando vedeva dalla seggiovia un versante particolarmente scosceso,lo mostrava al figliolo infagottato infarcendolo con un Da lì ero sceso una volta con Tone Valeruz, però oggi prendiamo la pista che ho vogliadi sciare più veloce…Per la massa, in Italia, lo sci estremo è sempre stato molto più associato a Tone rispetto ad altri nomi che come lui potevano vantare un curriculum confrontabile.

Contattare Tone sapevo che non sarebbe stato facile, nonostante i canali social oggi facciano sembrare questo aspetto immediato. Siamo dovuti passare attraverso telefonate, conoscenze comuni, ambasciatori, proprio come si faceva per le interviste fino a qualche anno fa. E sinceramente nonci è dispiaciuto, anzi, la cosa mi ha parecchio intrigato perché iniziava atrasparire il personaggio.Ma nessuna mancanza di disponibilità, ci mancherebbe! Tone è uno veroche preferisce le parole faccia a faccia. Genuino nel suo modo di sciare cosìcome nel modo di vivere. Padrone al cento per cento della sua vita.Dopo una telefonata, ci si è dati appuntamento davanti alla scuola sci diCanazei. Arriva anche Alice per le foto. È pomeriggio e il cielo sta diventandoscuro, fa freddo, ma Tone oggi teneva lezioni di sci. Il periodo dellevacanze è assai frenetico per chi lavora con i turisti in Dolomiti. Stiamofantasticando su come sarebbe averlo come maestro, poi vediamo un’ombrache ci si avvicina.Ci tende la mano, ci fissa con due occhi azzurrissimi: «Ciao! Sono Tone,leviamoci da qui, vi porto in un posto… nella mia tana! È anche l’ora dell’aperitivo,no?».

Ci siamo, si parte! Lo seguiamo in macchina scendendo la valle per alcuni chilometri, passiamo Campitello e poi parcheggiamo su uno spiazzo in curva vicino a un bar tutto rivestito in legno all’esterno. La finitura delle pareti all’interno non cambia. Il vociare che si leva dagli avventori (a una prima occhiata tutti professionisti del gioco delle carte) all’ingresso di Tone ci fa capire che siamo arrivati. La sua crew, la sua tana. Alcune foto sulle pareti, con gli amici di una vita e con il corpulento proprietario che prima si esserci seduti ci porta un paio di spritz e dello speck locale. Due parole per fiutarsi, un sorso, un clima sincero, cento per cento Tone!

Più che un’intervista ci piacerebbe fare una chiacchierata, libera, magari partendo da chi è Tone oggi, cosa fai?

«Tone oggi è pensionato, pertanto ci terrei a specificare che Tone non fa assolutamente niente!».

Ah! Decisamente categorico, però sei Maestro di sci e Guida alpina?

«Sì è vero, per lo sci ho sempre avuto una predisposizione. Oggi lavoro ogni tanto come Maestro. È sempre stata la mia unica occupazione. In realtà non ho mai aspirato a fare la Guida alpina. Se fai la Guida non è solo accompagnare qualcuno, un estraneo, ma porti il tuo cliente a vivere un’esperienza. È qualcosa di molto profondo, specie per lui. Poi ti devi far pagare e il denaro, a mio avviso, cambia totalmente il rapporto che si potrebbe instaurare. Il far parte di un’esperienza così particolare come l’andare in montagna può portare a un’amicizia, con i soldi di mezzo… non lo so».

So che hai anche altre passioni in montagna, una che mi incuriosisce molto è quella per i cristalli.

«È vero, è la mia passione più grande! Forse perché mi permette di avere un rapporto tutto particolare con la montagna. Mi offre l’occasione di viverla a 360 gradi. Ho iniziato ad avvicinarmi e appassionarmi alla geologia completamente da autodidatta. Ho incominciato a conoscere le rocce che possono contenere i cristalli. È una passione e come tale non ci vedo nulla di venale. Non mi è mai riuscito di guadagnarci qualcosa. Anche se dietro al mondo dei cercatori di cristalli e dei minerali si nasconde un giro d’affari difficile da immaginare. Pazzesco».

Tornando alla tua specialità più nota a tutti, ci piacerebbe capire se ti ritrovi ancora nel mondo dello sci di oggi dove - ormai è evidente - si tendono a far passare come eroiche anche prestazioni che non hanno certo titolo di esserlo.

«Guarda, per quanto mi riguarda tutti possono fare ciò che vogliono e possono vendere come estreme prestazioni che certo non lo sono. Sono fermamente convinto che poi la cosa importante per dare il giusto valore al tutto sia il livello culturale di chi giudica. Cioè da chi viene il giudizio. Il problema, se di problema vogliamo parlare, è che spesso oggi chi giudica una prestazione, il pubblico, spesso non è in grado di comprendere il vero valore di una discesa. Il problema non sta in chi vende una discesa che di epico non ha niente, ma sta nel livello di preparazione di chi osserva. Un occhio esperto sa sempre dare il vero valore alle cose».

 A questo proposito, un po’ di tempo fa mi ricordo di una tua reazione ironica al video di una discesa ripida classica nelle Alpi Centrali sul Monte Pasquale che girava in rete come se fosse una discesa pazzesca. Entrambi sappiamo che si trattava di una prestazione sì ripida, ma assolutamente classica e percorsa con regolarità ogni anno, specie in primavera.

«Sì, esatto. Lì era proprio successo quello di cui parlavamo sopra. C’è stato un problema di giudizio. Uno che pratica quel tipo di sci ben sa che non era niente di particolare. L’errore stava in chi la giudicava una cosa estrema. È per questo che, se devo essere sincero, a me non me ne frega niente dei giudizi». Ride.

Domanda quasi classica che ci piace rivolgere a chi pratica o ha praticato: esiste ancora per te lo sci estremo?

«Secondo me oggi no, o per lo meno, in pochissimi sono in grado ancora di fare qualcosa che valga la pena considerare estremo. Scendere dalla cima del Cervino sarà ancora estremo. Come è stato estremo scendere il Lyskamm in meno di tre minuti negli anni in cui lo avevo fatto».

Oggi si può continuare a praticarlo, magari qui in Dolomiti?

«Penso che siano in pochi a poterlo veramente fare. E qui in Dolomiti rimangono un sacco di cose da fare».

Chi sono quelli che l’hanno praticato davvero? Vivevi una sorta di competizione nei loro confronti?

«Certamente Tardivel, Boivin, Vallençant, De Benedetti, Saudan, Holzer. Su nomi più recenti non mi sento di esprimermi. Competizione per quanto mi riguarda non ce n’era, nonostante si ragionasse come in ambito alpinistico».

L’aumento dei praticanti su terreni ripidi è certamente dovuto ai materiali. Adesso è più facile?

«Certo che è più facile! Però bisogna vedere dove ci sono sempre più praticanti. Se parliamo per esempio del canale Holzer qui sul Pordoi, sono d’accordo. Però sono tutti lì. Conta sempre l’atteggiamento di chi si avvicina a questo tipo di sci».

Occorre comunque allenarsi?

«Quando praticavo sci estremo mi allenavo facendo di tutto. Niente di specifico, ma ero in continuo movimento. Mi allenavo muovendomi! Passavo dalle salite solitarie di arrampicata come lo Spigolo Giallo, alle salite sull’Ortles e poi in Marmolada fatte di fila! Ero anche alpinista, anche se mi ritengo più uno sciatore». Caspita! A proposito di aneddoti, ci piacerebbe che ce ne raccontassi uno sullo sci. Alcune tue imprese hanno spesso suscitato scalpore. A volte anche polemiche per l’uso dell’elicottero. «È vero, a volte ho usato l’elicottero. L’ho sempre detto e mai nascosto. Non vedo il perché dovrei. Come quella volta sulla parete nord della Presanella. L’ho fatta quattro volte in un giorno la discesa: sono stato portato in cima e l’ho scesa per capire le condizioni e se c’era ghiaccio. Poi di nuovo in cima e me la sono scesa con un fascio di pali sulle spalle, piantando le porte per tutto il tracciato. Poi ho fatto il gigante. Quindi di nuovo in cima con l’eli per smontarmi da solo tutte le porte. Sì, ok l’eli, ma mi sono fatto un mazzo tanto!».

Le discese a cui tieni di più?

«Mah, ci devo pensare un attimo. Forse la parete Nord-Est del Civetta. Sciata tutta con sole due doppie in basso. E forse anche la Nord-Est del Sassolungo».

Invece qualche linea che ti senti di consigliare?

«Qui in valle, nei dintorni di Canazei, senza dubbio la Nord della Marmolada è sempre una bella sciata. Così come i canali del Pordoi. Altrimenti più lontano i versanti Nord-Ovest o Sud dell’Ortles».

Il tuo è spesso stato un approccio di rottura per certi versi. Pensiamo alla discesa del Cervino in frack o alla parete Nord-Est del Lyskamm in meno di tre minuti. Voleva esserci un messaggio dietro a tutto questo?

«Posso essere sincero? Perché volevo solo dimostrare che ho due palle così quando ho gli sci nei piedi! Dico la verità, scrivilo! (ride e cifissa con quegli occhi azzurri che non lasciano spazio a dubbi). Tutto quello che ho fatto l’ho fatto perché mi andava di farlo».

Dunque qual è la cosa più bella per te nella vita?

«Guarda, da tutto ciò che ho fatto ho guadagnato solo un’assoluta libertà personale. Non ho mai preso in seria considerazione il discorso sponsor proprio per questo. Avere degli sponsor significa prendersi degli impegni e personalmente lo ritengo folle in un’attività come questa. Ognuno deve solo saper valutare un paio di cose: come è stata fatta una discesa, lo stile. E poi la ragione per cui si è ingaggiato per farla: se per il puro gusto o per riceverne una notorietà. Dalla mia vita ho solo ricevuto la libertà di fare ciò che voglio, sempre. Per farvi capire: sono un tipo che già solo quando vado a cena spera di mangiare subito, così poi posso decidere io quando andare via. Ad esempio, ora è meglio andare, non ho più voglia di parlare!».

Tone, senza compromessi. Sempre!

 

Tone Valeruz, è nato ad Alba, frazione di Canazei, nel gennaio del 1951. Maestro di sci, Guida alpina, ha sempre mantenuto un posto speciale nell’olimpo dello sci ripido grazie alle sue discese e a un carattere vulcanico. Vivendo in Val di Fassa ha presto iniziato a sognare di scendere con gli sci tutte le pareti che gli stavano intorno, frantumando il vecchio preconcetto che le Dolomiti fossero poco adatte allo sci. A 19 anni inizia con la parete Nord della Marmolada. Diversi i suoi itinerari sulla Nord del Gran Vernel, sulla parete Nord-Est del Sassolungo, sulla Nord-Est del Civetta, per rimanere in Dolomiti. Tra gli anni Settanta e Ottanta porta a termine discese di assoluto pregio in tutto l’arco alpino, dalla Est del Cervino (spalla a 4.200 m sulla cresta Hörnli), al Gran Couloir della Brenva nel centro alla parete Est del Monte Bianco (tra le vie Mayor e Sentinella Rossa), dalla via Lauper sulla Nord-Est dell’Eiger, alla Nord-Ovest dell’Ortles, solo per citarne alcune. La sua attività negli anni Ottanta conta anche diverse discese in Sud America tra le quali la prima dell’Alpamayo (5.947 m) e la parete Sud del Cerro Don Bosco in Patagonia. Nell’ambito di una spedizione himalayana è riuscito anche a posare gli assi sul Makalu da quota 8.100 metri. Vive ancora in Val di Fassa, continua a fare il Maestro e a coltivare le suepassioni: ricerca di cristalli e, ovviamente… lo sci!

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@Alice Russolo

Courtney Dauwalter, la trail runner con il vizietto di battere gli uomini

She did it. Courtney Dauwalter, statunitense del Team Salomon, nel 2018 prima donna alla Western States, ha vinto lo scorso fine settimana la classifica femminile alla MIUT-Madeira Island Ultra Trail (115 km, 7.200 m D+) del circuito Ultra-Trail World Tour, piazzandosi al decimo posto assoluto. Per 17 minuti e 5 secondi (15h17’05’’ il suo tempo) non ha battuto il record di gara di Caroline Chaverot (anche se le due prestazioni non sono confrontabili in quanto il percorso 2019 era leggermente più lungo e con circa 300 metri di dislivello in più), ma si tratta di un’altra prestazione nella top ten assoluta per la trentaquattrenne che in ben undici gare della sua carriera è arrivata prima assoluta, davanti agli uomini. Veronica Balocco l’ha intervistata per noi. Un'intervista inedita, realizzata qualche mese fa, che pubblichiamo a seguire.

Quando la filosofia incontra gambe e muscoli, grandi cose possono succedere. In una donna, poi, ancora di più. Le scarpe che per cento miglia pestano veloci la terra, poi rallentano all’improvviso. Quando il traguardo è tagliato e la vittoria decisa. Le ore di gara che scorrono con un senso, ben oltre la banale e semplice voglia di arrivare prima. Courtney Dauwalter lo sa, che lei è così. Incapace di correre solo per competizione, assetata di profondità anche quando fa ciò che di più fisico esista al mondo. E poi brava. Dannatamente brava. Talmente oltre da stupire tutti: prima lo scorso giugno alla storica Western States 100 californiana, la gara mito dell’endurance, chiusa con le sue 100 miglia in 17 ore e 27 minuti, secondo tempo femminile di sempre, oltre un’ora prima della seconda classificata e solo venti secondi dietro all’undicesimo uomo. E poi, alla Run Rabbit Run 100 e alla Moab 240. Nella seconda delle due, una molotov lanciata oltre dieci ore prima del maschio più veloce.

Gare mitiche e massacranti, leggende del mondo della corsa di lunga distanza, andate ad arricchire l’infinito curriculum della figlia del Minnesota che, a 33 anni, è ormai considerata una delle top ultrarunner mondiali: oro in 28 classifiche femminili su 53 dal 2011, con il piacere di guardare dall’alto di un tempo migliore il vincitore maschile in ben 10 di queste gare.

Insomma, un fenomeno. Che oggi vince e stravince senza fare della fisicità e del fanatismo la sua religione. E affascinando il mondo intero con un approccio all’endurance tutto personale. Intimo. Estremamente femminile. Assetato di ricerca e risposte, ad esempio sui limiti del corpo umano. Sulle possibilità estreme dell’agonismo spinto ai più alti livelli. E soprattutto, sui riscontri mentali di uno sport capace di sollecitare le fibre oltre ogni capacità. Sui dubbi più umani e normali. Fino a che punto è consentito spingersi? Esiste un confine?

Courtney, è per dare risposta a queste domande che corri? Oppure per cosa?

Sono molto curiosa di capire ciò che il nostro corpo può fare. Ma ancora di più, cerco di comprendere ciò che possiamo mentalmente raggiungere. Quanto lontano possiamo correre? Quanto veloce possiamo andare? Quali barriere possiamo sconfiggere o attraversare? Non credo che abbiamo ancora scoperto tutto ciò di cui gli uomini sono capaci, e io ho intenzione di continuare ad investigatore sulla parte “corsa” di tutto questo. Continuerò a correre per trovare questi limiti del corpo e della mente umana.

Dove nasce il tuo amore per lo sport?

Sono stata competitiva tutta la vita. Quando ero piccola facevo un sacco di sport. Ho due fratelli e spesso mi ritrovavo a fare le loro stesse attività. Il calcio, ad esempio. Dopo il liceo mi sono trasferita in Colorado per frequentare l’Università di Denver, dove studiavo biologia e facevo parte della squadra di sci nordico. Ho iniziato a correre sin da giovane per tenermi in forma per il calcio, ma col tempo ho capito che gli allenamenti e le gare del cross-country e dello sci nordico avevano un fascino incredibile su di me.

E il salto all’ultratrail? Com’è successo?

Dopo il college è stato naturale cercare un modo per continuare ad allenarmi e gareggiare. Ho tentato un paio di maratone su strada e mi sono piaciute. Ma con mio stupore ho scoperto che c’erano gare ancora più lunghe: nel 2011 ho provato un trail da 50 chilometri e da allora il mondo ultrarunning mi ha rapita.

Ma da lì a capire che eri una vincente?

Nel 2016 ho corso la Run Rabbit Run 100 a Steamboat Spring, in Colorado. C’erano molte donne forti e nessuno si aspettava vincessi. Nemmeno io. Ma ho vinto. Quella gara mi ha aiutata a capire che potevo competere nell’ultratrail, se ci avessi lavorato su.

Un processo difficile?

È stato molto lungo arrivare a farmi un’idea precisa di questa disciplina. Ci ho messo del tempo per smettere di pensare ai chilometri e fare mie le gare più lunghe. È stato difficile catturare davvero questo sport. E non ho ancora finito di imparare.

 Come ti alleni?

Il cuore del mio allenamento sono la coerenza e l’autodisciplina. Esco ogni giorno a correre. Questo mi aiuta a rafforzarmi fisicamente ma anche mentalmente. Una volta fuori, non so quale allenamento seguirò: lascio che il mio corpo mi guidi. Quarantacinque minuti o 4 ore... dipende da come mi sento là fuori.

Che rapporto hai con il cibo?

Non seguo diete specifiche. Mangio quel che mi va e lascio che il mio corpo mi dica ciò di cui ha bisogno. Può andare da insalata e hamburger a valanghe di nachos e caramelle. Non faccio molta attenzione al concetto di ‘junky food’: a volte mi strafogherei di carne e uova, a volte non posso smettere di pensare al gelato. Qualunque cosa sia, penso che in quel momento il mio corpo ne abbia bisogno. E seguo i miei desideri.

In molte gare hai superato gli uomini più forti. È solo una leggenda che le donne siano il sesso debole?

Più le gare diventano lunghe, più uomini e donne si trovano a competere su un terreno paritario. Conosco donne molto forti che danno filo da torcere a tanti uomini nelle gare più lunghe. Io competo con chiunque allo stesso modo: credo che per le donne sia concretamente possibile reggere il confronto.

Eppure le differenze fra i due sessi sono innegabili. L’approccio alle gare è diverso, da un punto di vista mentale?

Penso di sì. Ci sono studi specifici su questo e trovo sia un campo molto affascinante. Dal mio punto di vista, il lato mentale dell’ultrarunning è un fattore determinante per essere vincenti.

Come ti confronti con la fatica?

Cerco di ignorarla. È fondamentale assumere questo atteggiamento.

 Dunque a cosa pensi mentre corri?

A tante cose. La mia famiglia, i miei amici. Le grandi domande della vita. Penso a quanto sia fortunata ad essere lì a correre un trail, in un posto bellissimo, facendo ciò che amo. Penso alla birra che berrò al traguardo. O a volte non penso affatto. E lascio che tutto sia silenzioso.

 Il momento cruciale in una gara?

Ognuna ha il suo. Alla Western State, ad esempio, il momento nevralgico è stato il miglio 25. Non mi sentivo così forte e il mio corpo non rispondeva al meglio. Il segreto è stato restare positiva: ho pensato che la gara era ancora lunga e potevano cambiare ancora molte cose. E in effetti così è stato.

 Resta il fatto che affrontare certe distanze è una sfida continua, dall’inizio alla fine.

Bisogna affrontare un momento per volta. Non guardo mai il quadro completo, ma lo suddivido sempre in pezzi più piccoli.

Il tuo futuro sportivo. Come lo vedi?

Spero di continuare a far parte di questo mondo ancora per lungo tempo. Continuerò a spingere oltre i miei limiti e a giocare duro finché posso. E quando tutto questo finirà, troverò un modo diverso per farmi coinvolgere. Amo la comunità dell’ultratrail e non voglio abbandonare questa grande famiglia. Per ora, comunque, continuo ad affrontare nuove sfide, sperando di migliorare sempre più le mie capacità. Poi si vedrà.


Ötzi Alpin Marathon a Patrick Facchini e Susi Von Borstel

Da Naturno fino in cima alla Val Senales in 3h37’22”. Non è un tempo record per la Ötzi Alpin Marathon, ma sicuramente sensazionale dopo aver pedalato per 25,5 km fino in cima al Monte Sole, scendendo in picchiata fino a Madonna di Senales e affrontando un dislivello complessivo di 1673 metri, quindi 11,3 km con 495 metri di dislivello di corsa off road e infine la scalata con sci e pelli sul ghiacciaio di Senales di 6,7 km, ma con 1201 metri di dislivello in una giornata da incorniciare, con una finestra di sole e cielo azzurro dopo le nevicate dei giorni scorsi e della notte.
Tutti puntavano sulla vittoria di Marc Pschebizin, ma il campionissimo tedesco non si è presentato al via di Naturno e così il primo a giungere in cima alla Val Senales, ai 3212 metri della Grawand, è stato il trentino Patrick Facchini dopo 3h37’22”. Pronostici sovvertiti anche tra le donne, con la tedesca Susi Von Borstel a svettare su tutte. Nella gara a staffetta sono stati gli stranieri a primeggiare, col team Virgosystem al maschile e il team KTM Bikes nella categoria mixed.
Partenza nel centro di Naturno sotto un bel cielo terso, e subito l’austriaco Uwe Hochenwarter mette le ali sia nella interminabile salita sul Monte Sole che nella successiva velocissima discesa verso il fondovalle, poi mette il turbo sulla provinciale fino al primo cambio di Madonna di Senales. È proprio l’austriaco il primo a calzare le scarpette ed affrontare la gara di running tallonato dal tedesco Thomas Trainer e da Patrick Facchini. Il trentino già a metà frazione della corsa conquista la leadership e amministra saggiamente la gara, presentandosi al secondo cambio di Maso Corto con un consistente vantaggio, poi sulla salita del ghiacciaio di Senales scarica tutta la sua potenza sugli sci e centra il miglior tempo di frazione, aggiudicandosi così la vittoria finale. Con la corona al collo è finita l’adrenalina e l’atleta del team La Sportiva è crollato a terra stremato.
Ma le sorprese di giornata non erano finite. Ci si aspettava un completamento straniero per il podio, ed invece a ricevere l’argento è stato l’altoatesino di Prato allo Stelvio Thomas Niederegger. Prudente con la mtb, settimo tempo, Niederegger ha fatto un gran recupero nella corsa col miglior tempo, per presentarsi poi secondo assoluto. All’austriaco Uwe Hochenwarter il terzo posto finale va decisamente stretto. Dopo il miglior tempo con la mtb si è attardato nella prova running ed anche con gli sci non è riuscito a svettare (settimo). Alle sue spalle lo svizzero Hug e quindi Alessandro Forni, uno che decisamente ama le gare di fatica.
Anna Pircher dopo un poker consecutivo di vittorie è la reginetta della Ötzi Alpin Marathon, ed era la grande attesa. L’intramontabile atleta di Laces però oggi era nella classica giornata no, ma soprattutto la tedesca Susi Von Borstel, che da queste parti (Val Martello) ha lasciato la sua impronta vincente nello scialpinismo, ha azzeccato tre frazioni vincenti: miglior tempo con la mtb, nel running nella sua disciplina, lo ski alp. E così è stata quest’ultima a tagliare il traguardo a braccia alzate dopo 4h2”. Per conoscere chi sarebbe salita sul secondo gradino del podio si sono dovuti attendere oltre 17’, con la friulana Maria Dimitra Theocharis a beffare proprio Anna Pircher, terza a 32’12” dalla vincitrice. Se può essere di consolazione, la tenente dell’esercito polacco Iwona Januszyk, data per favorita, è stata staccata dalla venostana di 2’.
Se le gare degli ironmen e ironwomen individuali erano le più attese, grande era l’interesse anche per la gara team. Gli austriaci del Team Virgosystem hanno subito messo in chiaro le proprie intenzioni con Hochenwarter a dominare la gara di mtb, Seibald quella di corsa e Verbnjak secondo con gli sci, ma dietro nessuno si è arreso anzitempo. I ragazzi della Mountainshop Hoerhager hanno cercato di contenere il distacco nelle prime due frazioni, ma nella terza hanno dovuto soccombere. Nella classifica mixed il tirolese Obwaller, il bolzanino Gerd Frick e l’austriaca Wacker non hanno avuto rivali.


Un Mezzalama senza 4000, ma con 4000 metri di dislivello nelle gambe

Un Mezzalama senza 4000, ma un Mezzalama tosto, difficile, impegnativo, con 4000 metri di dislivello. Adriano Favre ha fatto scattare il piano C, viste le condizioni meteo - freddo, nebbia, nevischio, ma soprattutto tanto vento - così, dopo il Castore salta anche il Naso del Lyskamm (e la Roccia della Scoperta): dal Quintino Sella non si sale, ma si scende sino alla sorgenti del Lys, una bella discesa in canale, ma dopo bisogna risalire sino al Colle della Salsa e i metri di dislivello sono comunque quasi 800. Insomma più sciabile, ma con tanta salite nelle gambe. Per fortuna arriva il sole sul traguardo di Gressoney.

GARA MASCHILE - I favoriti erano loro, la squadra del CS Esercito: hanno vinto ma è stata bagarre vera. Le prime tre squadre in 3’51”. Michele Boscacci, Robert Antonioli e Matteo Eydallin hanno dovuto dare il massimo, hanno forzato sull'ultima salita, per battere Werner Marti, Martin Anthamatten e un William Boffelli in gran palla. Nella discesa gli alpini sono rimasti in cordata, gli altri hanno avuto la possibilità di farlo in ‘libertà’. Ma aldilà di qualche ‘incomprensione’ (aggiungiamo legittima visto difficoltà vere per gli organizzatori) gli ‘alpini’ ne avevano di più. Quinto Mezzalama per Eyda, ciliegina sulla torta per la stagione perfetta di Robert dopo Mondiali e Coppa del Mondo, ennesima conferma della classe di Miky.
E alle spalle delle prime due squadre sempre in agguato Kilian Jornet che va forte anche da papà, questa volta con gli austriaci Jakob Herrmann e Armin Hoefl.
I quarti, Xavier Gachet, Samuel Equy e William Bon Mardion, sono arrivati a quasi 23’, poi quinti Henri Aymonod, Alex Oberbacher e Pietro Lanfranchi, sesti Alex Salvadori, François Cazzanelli e Stefano Stradelli, settimi Filippo Beccari con i norvegesi Lars Erik Skjervheim, Hans-inge Klette, ottavi Mirco Pervangher, Cristian Minoggio e Luca Morelli, noni Bastien Fleury, Julien Michelon e Florian Sautel, decimi Henri Grosjacques, Stefano Castagneri e Nadir Giovanetto.

GARA FEMMINILE - E undicesime assolute Alba De Silvestro con le francesi Axelle Mollaret e Lorna Bonnel. Piazza d’onore per Giulia Murada, Ilaria Veronese e Mara Martini che hanno vinto la sfida con Elena Nicolini, Bianca Balzarini e Corinna Ghirardi.


Cambia il Mezzalama: non si sale al Castore

Hanno fatto i salti mortali, ma alla fine gli organizzatori del Trofeo Mezzalama hanno dovuto fare i conti con condizioni climatiche a dir poco difficili. «E domenica il meteo dice sicuramente freddo, vestitevi». Adriano Favre parla alle trecento squadre del Mezzalama. Tutti in silenzio ad ascoltare qual è il piano B: non c’è il Castore, troppo pericoloso salire lassù dopo il vento che ha soffiato in questi giorni. Così non si sale, ma si scende, tanto. Dal Colle di Verra sino al Rifugio Mezzalama e poi ancora più giù ai Piani di Verra. Da 3800 metri di quota a 2400, in discesa. Ma poi si sale e sono 1200 metri di dislivello sino al Quintino Sella. Insomma, togliendo i 400 metri di salita al Castore, sono 800 metri in più nelle gambe. Prima e dopo percorso confermato: partenza a piedi da Cervinia alle 5.30, Colle del Teodulo, Breithorn dove c'è il primo cancello orario delle tre ore. Nel finale Naso del Lyskamm e al momento confermato anche il passaggio al ‘nuovo’ 4000, quello della Roccia della Scoperta, prima della discesa su Gressoney.


Le sfide del Mezzalama Jeunes

Sulle nevi del Monterosa Ski, sopra Gressoney-La-Trinité è andata in scena la terza edizione del Mezzalama Jeunes, gara riservata alle categorie Junior e Cadetti inserita nel circuito de La Grande Course Jeunes. Le gare sono partite da Gabiet all’ombra del Monte Rosa e a pochi metri dalle tracce dell’ultima discesa del Trofeo Mezzalama. Fabien e Sebastien Guichardaz chiudono alla grande la stagione vincendo il Mezzalama Giovani. Per loro un primo posto mai in discussione davanti i francesi Esteban Cifermas e Bastien Flammier e i valtellinesi Matteo Speziale e Alessandro Gadola. Nella classifica juniores ‘in rosa’ sigillo di Beatrice Bastrentaz eAmalia Laurent su Alessia e Giulia Giudici.
In gara cadette sigillo delle ‘ragazze di casa’ Noemi Junod e Elisa Tron che si sono imposte sulle compagne di comitato Chloe Collé e Valentina Bisazza. Tra i pari categoria al maschile il Team AOC ha visto salire sul gradino più alto del podio Filippo Bernardi ed Emanuele Balmas che hanno tagliato il traguardo davanti a Andrea Murisasco e Giuseppe Cantamessa e Laurent Battendier e François Battendier. Il tracciato di gara disegnato da François Cazzanelli ed Emrik Favre è risultato molto tecnico e spettacolare con due tratti a piedi e veloci discese in neve fresca. Gli Junior hanno affrontato un tracciato di 1100 metri di dislivello positivo distribuiti in quattro salire, mentre i Cadetti e le ragazze Junior hanno gareggiato lungo un tracciato con tre salite e 640 metri di dislivello positivo.


Duerocche a Ivan Geronazzo e Anna Conti

Fango e passione, panorami e fatica. E poi tanti campioni, un concentrato di stelle mai viste, tutte assieme, sui sentieri tra Cornuda e Asolo. Per la 48esima edizione la Duerocche indossa l’abito delle giornate migliori. Il podio della 48 chilometri, la gara più dura è stato monopolizzato dagli atleti trevigiani. Ivan Geronazzo, classe 1971, originario di Valdobbiadene, ma residente a Solighetto, ha chiuso in 4h22’19”, precedendo altri due atleti di Marca. L’argento è finito al collo della novità Alberto Garbujo (4h26’03”), di Caerano San Marco, portacolori della società organizzatrice, alla prima prova lunga della carriera. Terzo il valdobbiadenese Mirko Miotto (4h28’16”). Probabilmente decisivo per la definizione del podio, l’errore di percorso che ha coinvolto, poco prima del ventesimo chilometro di gara, due tra i favoriti, Matteo Pigoni, il re della Duerocche 2017, e Francesco Trenti, in quel momento leader della corsa davanti a Geronazzo. La loro prova è finita lì, e Ivan non ha più incontrato ostacoli sulla strada della vittoria.

L'arrivo di Ivan Geronazzo

La veronese Anna Conti si è imposta nella gara femminile in 5h09’30”: è arrivata sul traguardo tenendo per mano il figlio Rudy. Lontane le rivali: la seconda classificata, Alessandra Olivi, ha chiuso in 5h26’22”. Terza, in 5h30’52”, la regina del Monte Bianco, Francesca Canepa, ambasciatrice del Team Scarpa, azienda del territorio da anni partner della Duerocche, rappresentata a Cornuda dall’amministratore delegato Diego Bolzonello. L’unica italiana ad aver vinto, nel 2018, il mitico Ultra-Trail du Mont-Blanc, ha speso elogi per l’organizzazione: «Una bellissima gara, con panorami da lasciare a bocca aperta e boschi che non ho mai visto altrove. Non mi aspettavo di salire sul podio: tra pochi giorni parto per la Cina, dove mi attende una 100 chilometri. Sono contenta, la forma sta crescendo». La mattinata della Duerocche si era aperta con le vittorie di Gil Pintarelli (Val di Sole Running Team) e Silvia Rampazzo (Tornado) sul traguardo della 21 chilometri. Il trentino Pintarelli ha dominato la prova maschile, fermando il cronometro a 1h43’42”. La sua è stata una corsa in solitaria sin dai primi chilometri, con Cristian Sommariva (Scarpa Team) vanamente ad inseguire (1h45’39”). Terzo il trevigiano Roberto Fregona (1h46’44”), campioncino di casa (abita nella vicina Castelli di Monfumo), al primo podio nella gara vinta per dieci volte dal papà Lucio, questa volta finito alle spalle per una manciata di secondi (1h47’08”). «Chiamiamolo pure passaggio di consegne – ha commentato Lucio Fregona, classe 1964, gloria della corsa in montagna azzurra (iridato a Edimburgo 1995) - A 23 anni, Roberto è pronto per il salto di qualità. Il risultato della Duerocche lo dimostra. Abbiamo corso insieme per gran parte della gara, poi nel finale ho preferito rallentare perché non sono al meglio della forma. Speriamo che il podio di Roberto sia solo il primo di una lunga serie. Lo merita, per l’impegno che ci mette». La veneziana Silvia Rampazzo, iridata 2017 di corsa in montagna long distance, in preparazione per i Mondiali di trail che si terranno l’8 giugno a Miranda do Corvo in Portogallo, ha bissato il successo dell’anno scorso, chiudendo in 1h48’51”. Argento per Tiziana Di Sessa (2h15’46”), bronzo per Tiziana Casali (2h17’12”). I giovanissimi Aymen Elaamrani e Isabel Zandonà sono stati i più veloci nella prova sui 6 chilometri a carattere non competitivo. Eros Botter e Anna Ferrazza si sono invece messi tutti alle spalle nella 12 chilometri. Risparmiata dal maltempo, e anzi a lungo riscaldata da un bel sole, la Duerocche 2019 ha registrato oltre 5000 iscritti, che non si sono lasciati intimorire dal tanto fango presente sui sentieri, a causa della pioggia caduta negli ultimi giorni. Tra loro anche l’ex ginnasta Igor Cassina, oro olimpico nella sbarra ad Atene 2004, impegnato, senza badare al cronometro, sui 12 chilometri. «Corro da due anni, conoscevo la Duerocche solo di fama – ha spiegato Igor, accompagnato dalla fidanzata trevigiana, Valentina - Mi sono divertito molto. La ginnastica mi ha dato tantissimo, ed è ancora uno sport a cui penso ogni giorno, ma il senso di libertà che mi offre la corsa non ha eguali. Alla Duerocche è il massimo». Appuntamento al 25 aprile 2020. Con una garanzia: sulle colline trevigiane sarà ancora spettacolo.

Igor Cassina con il presidente Carlo Fabris

Trofeo Mezzalama, chi sono i favoriti?

Manca davvero poco alla partenza della XXII edizione del Trofeo Mezzalama: domenica mattina alle ore 5.30 dal centro di Breuil-Cervinia le 283 squadre iscritte (16 team femminili, 267 maschili di 18 nazioni) partiranno per una lunga cavalcata sino a Gressoney-La-Trinité attraversando il ghiacciaio del Monte Rosa. Dopo lo slittamento della partenza di un giorno per garantire la ritracciatura del percorso a causa del maltempo, la marcia d’avvicinamento verso la partenza sta proseguendo senza intoppi. 
Un viaggio lungo 45 chilometri con 3272 metri di dislivello positivo che toccherà per ben tre volte i quattromila metri di quota. Nelle passate edizioni i mezzalamisti affrontavano due quattromila, il Castore e il Naso del Lyskamm, domenica invece, ci sarà un terzo quattromila, la Roccia della Scoperta, prima di cominciare la discesa verso Gressoney.

FAVORITI - Per quanto riguarda le squadre che si contenderanno la vittoria finale, nella starting list con il pettorale numero 1 c’è il team del Centro Sportivo Esercito formato da Robert Antonioli, Michele Boscacci e Matteo Eydallin. La squadra Kilian with the Austrian’s avrà il pettorale numero 2 e sarà composta appunto da Kilian Jornet e dai due austriaci Jakob Herrmann e Armin Höfl. Con il pettorale numero 3 c’è il team italo-elvetico formato da William Boffelli, Werner Marti e Martin Anthamatten, con il 5 i francesi Xavier Gachet, William Bon Mardion e Samuel Equy. L’altra squadra italiana, quella di Damiano Lenzi, Nadir Maguet e Davide Magnini purtroppo non sarà al via per problemi di salute.
Nella gara femminile la squadra da battere sarà quella formata dalle francesi Axelle Mollaret, Lorna Bonnel e dall’azzurra Alba De Silvestro. A dare del filo da torcere alla compagine italo-francese sarà il team di Elena Nicolini, Corinna Ghirardi e Bianca Balzarini. I gradini del podio saranno contesi dalle Dynafit Girls con le austriache Veronika Mayerhofer e Johanna Hiemer e la norvegese Malene Blikken Haukøy e con le spagnole Marta Riba, Nahia Quincoces e la francese Valentine Fabre.
La XXII edizione del Trofeo Mezzalama sarà anticipata dal Mezzalama Jeunes, gara che si correrà sabato mattina sulle nevi di Gressoney riservata alle categorie Junior e Cadetti. Il tracciato di gara disegnato da François Cazzanelli ed Emrik Favre è tecnico e spettacolare e ripercorrerà in parte, con il passaggio del Canalino dell’Aquila, l’ultima discesa del Trofeo Mezzalama. La gara partirà alle ore 9 dalla località Gabiet.
Per avvicinare e appassionare ulteriormente queste giovani leve al mondo del Mezzalama, il giorno successivo i partecipanti, accompagnati da guide alpine, potranno risalire in quota verso il Rifugio Mantova e la Capanna Gnifetti per assistere alla discesa degli atleti del Trofeo Mezzalama.

STARTING LIST XXII TROFEO MEZZALAMA


Il Trofeo Mezzalama slitta a domenica

Il Trofeo Mezzalama slitta di un giorno a causa del maltempo in corso sul Monte Rosa, previsto fino a venerdì. La XXII edizione della gara, fissata per sabato 27, si potrà correre domenica 28 aprile. Stesso fantastico percorso attraverso i ghiacciai valdostani, da Breuil-Cervinia a Gressoney-la-Trinité, superando ben tre quattromila: Castore, Naso dei Lyskamm e questa volta anche Roccia della Scoperta sul Colle del Lys.
Lo annuncia il direttore tecnico Adriano Favre, la guida alpina che dal 1997 regge le sorti della più ambita gara di scialpinismo, la più alta al mondo. «Stamattina – dichiara Favre - ho esaminato le cartine meteo con l’aiuto dei professionisti della Società Meteorologica Italiana. Con il miglioramento previsto da venerdì pomeriggio, il Mezzalama si potrà correre solo domenica. L’attesa pausa di sabato ci servirà per rimettere in sicurezza il percorso in quota, soprattutto nei tratti più ripidi del Castore e del Naso dei Lyskamm. Per questi lavori è mobilitato uno staff di un centinaio di guide alpine e volontari. Gli stessi che domenica mattina si schiereranno nei posti di controllo, in attesa delle cordate degli scialpinisti, quasi 300 di tre atleti ciascuna, da 18 nazioni».


Colpo di Elisa Desco in Giappone

Colpo di Elisa Desco in Giappone: vince la Mt. Awa Skyrace, prima tappa delle Migu Run Skyrunner World Series. È ancora inverno: percorso modificato per il rischio valanghe in quota, ma comunque di 23 km con 1600 metri di dislivello. Elisa Desco chiude per prima sul traguardo con il tempo di 2h27’46”, precedendo la statunitense Megan Kimmel (2h28’27”), la giapponese Takako Takamura (2h28’56”), con quarta la spagnola Sheila Aviles Castano (2h29’12”) e quinta l’altra statunitense Hillary Gerardi (2h30’31).
Nella gara maschile a segno l’atleta di casa Ruy Ueda (2h01’42”), davanti allo spagnolo Oriol Cardona Coll (2h01’51”) e al britannico Jonathan Albon (2h02’04”), con quarta piazza per Marco De Gasperi (2h04’37”).


UTMB, ecco il nuovo sistema di iscrizione

Negli ultimi anni, il successo dell'evento UTMB® Mont-Blanc è innegabile: le domande d’iscrizione sono aumentate del 68% in soli tre anni. Da 15.000 corridori iscritti al sorteggio nel 2016, l'organizzazione ha ricevuto più di 26.000 candidature nel 2019 per soli 10.000 posti disponibili (tra tutte le corse).
«Quest'anno abbiamo raggiunto i limiti dell'attuale sistema di iscrizione. Per continuare a soddisfare le aspettative di migliaia di corridori, è stato necessario evolvere il nostro processo di iscrizione. Abbiamo ideato un sistema più flessibile, più aperto, in linea con l'internazionalizzazione del trail running e sempre più rispettoso verso la salute dei corridori» Michel Poletti, co-direttore dell’UTMB®
Come ha funzionato il sistema fino ad oggi? L’accesso alle gare dell'UTMB si svolge in due fasi: i corridori devono ottenere un certo numero di punti di qualificazione per accedere al sorteggio per gli eventi UTMB. I punti di qualificazione sono stati introdotti nel 2009 e si sono evoluti nel tempo. (UTMB: 15 punti acquisiti in 2 anni, in 3 gare al massimo; TDS: 8 punti acquisiti in 2 anni in 2 gare al massimo; CCC® : 8 punti acquisiti in 2 anni in 2 gare al massimo).
Una volta ottenuti i punti di qualificazione, i runners possono iscriversi al sorteggio per la corsa da loro scelta. Se non sono stati fortunati, ottengono un vantaggio per il sorteggio dell'anno successivo sulla stessa corsa (doppia probabilità di sorteggio l’anno successivo, poi iscrizione prioritaria in caso di due rifiuti consecutivi).

2020: IL PRIMO ANNO DI TRANSIZIONE VERSO IL NUOVO SISTEMA DI ISCRIZIONE - Il passaggio al nuovo sistema di iscrizione messo a punto dall'UTMB avverrà gradualmente in modo che l'organizzazione possa onorare gli impegni presi nei confronti dei corridori che beneficiano di un vantaggio al sorteggio (coefficiente 2, iscrizione prioritaria). La novità per l'UTMB Mont-Blanc 2020 sta nell'implementazione di una nuova e più bassa scala di punti di qualificazione e l’introduzione di un sorteggio più flessibile: 10 punti in 2 anni (in 2 gare) per l’UTMB, 8 punti in 2 anni (in 2 gare ) per la TDS; 6 punti in 2 anni (in 2 gare) per la CCC.
«Con meno punti di qualificazione richiesti, i corridori potranno ottenere i loro punti in modo più rilassato. Un ultra all'anno sarà sufficiente per ottenere i punti per l’UTMB. Alla luce degli studi condotti sull'UTMB, questo è uno sviluppo logico che permette di rispettare meglio la salute dei corridori» spiega Nicolas Lagrange, direttore dell'UTMB.
E a partire dall'UTMB Mont-Blanc 2020, il sorteggio diventerà più flessibile: se un corridore è meno fortunato in un primo momento, più sarà fortunato negli anni a venire. La probabilità di essere estratto a sorte diventa proporzionale al numero di fallimenti nelle estrazioni precedenti, anche se il corridore dovesse cambiare idea nel corso degli anni (per esempio sarà possibile iscriversi all'UTMB il primo anno, poi alla TDS il secondo). Il corridore può anche prendersi una pausa e non partecipare al sorteggio per uno o più anni.
Due eccezioni a questa regola: i corridori non sorteggiati per l’UTMB Mont-Blanc 2019 avranno il doppio delle chance di essere sorteggiati nel 2020 per la stessa corsa. Se ancora saranno sfortunati, otterranno un’iscrizione prioritaria sulla stessa corsa per il 2021; ai finisher dei 130 km di Ushuaia By UTMB 2019 e dei 103 e 160 km di Oman by UTMB 2019 si garantirà un’iscrizione prioritaria per le gare UTMB Mont-Blanc 2020, senza passare per il sorteggio.
Il sistema di iscrizione 2020 per gli atleti élite sarà ancora basato sulla valutazione ITRA. I criteri si evolveranno per tenere conto dell’aumento del livello degli atleti élite internazionali.

2021: UN SISTEMA DI ISCRIZIONE INNOVATIVO, PIÙ FLESSIBILE E APERTO - Al di là del sorteggio, che continuerà ad esistere e offrirà al maggior numero di persone possibile l’accesso all'UTMB Mont-Blanc, l’organizzazione UTMB introdurrà nel gennaio 2020 un sistema parallelo che offrirà un accesso più veloce alle sue gare.
Questo secondo sistema sarà basato sul concetto di Running Stones, che sarà possibile raccogliere su un numero limitato di eventi accuratamente selezionati dall'UTMB. Le Running Stones saranno rilasciate solo ai finisher delle gare selezionate. Verranno registrate in un database che permetterà ad ogni corridore di visualizzare in tempo reale il suo stock di Running Stones. Quando il corridore avrà acquisito il numero richiesto di Running Stones, beneficerà di un’iscrizione prioritaria alla gara UTMB Mont-Blanc di sua scelta, senza passare attraverso il sorteggio. Se gli mancano alcune Running Stones, può trasformare quelle che ha già in ticket per partecipare al sorteggio per la gara di sua scelta, migliorando così le sue possibilità di successo.
Da gennaio 2020 (ma non prima), sarà possibile raccogliere le Running Stones partecipando e completando una o più delle gare più incredibili al mondo: gli eventi by UTMB già esistenti (Gaoligong, Ushuaia, Oman…) e, e questa è una novità, gli eventi Ultra-Trail World Tour 2020. UTMB e Ultra-Trail World Tour formalizzano così un'importante partnership strategica recentemente conclusa, i cui obiettivi sono il miglioramento della definizione del trail running in termini di ultra-distanza e lo sviluppo di numerose sinergie sportive e di marketing. Il circuito mondiale 2020, risultato della partnership tra l'UTMB e l'Ultra-Trail World Tour, sarà presentato alla stampa e ai corridori durante l’UTMB Mont-Blanc 2019. Si tratta di un'evoluzione significativa dell’attuale circuito.
Marie Sammons, direttore rsecutivo dell'Ultra-Trail World Tour, e Cristiana Queirolo, sua omologa all'UTMB International, hanno dichiarato: «Il trail running è uno sport in forte espansione e il suo potenziale di crescita è enorme in molti paesi. Il recente partenariato tra l'UTMB e l'Ultra-Trail World Tour è molto interessante. Facendo leva sui rispettivi punti di forza, combinando l'influenza dell'UTMB con quella dell'UTWT, vogliamo scrivere un nuovo capitolo nella storia del nostro sport e creare un circuito estremamente attraente sia per gli atleti élite che per i milioni di trailer appassionati in tutto il mondo».
Quante Running Stones saranno necessarie per accedere direttamente alle gare dell'UTMB® Mont-Blanc 2021 senza passare per il sorteggio? 18 per UTMB, 15 per CCC e TDS. Ma come si ottengono le Running Stones? 3 Running Stones per punto ITRA ai finisher delle gare by UTMB, 1 Running Stone per punto ITRA a quelli delle gare UTWT. Per esempio, i finisher di Gaoligong by UTMB 2020 (distanza MGU di 160 km) otterranno 18 Running Stones, ovvero 6 punti ITRA. A condizione di disporre di un numero sufficiente di punti ITRA, potranno iscriversi alla gara dell’UTMB Mont-Blanc di loro scelta, passando il sorteggio.
Le Running Stones saranno valide per un massimo di 4 anni. Per esempio, le Running Stones raccolte nel 2020 possono essere utilizzate per iscriversi ad una delle corse dell’UTMB Mont-Blanc nel 2021, 2022, 2023, 2024. Se non saranno utilizzate in un tempo massimo di 4 anni andranno perse, a meno che non vengano trasformate in ticket supplementari per il sorteggio. Saranno utilizzabili unicamente per UTMB, TDS, CCC e OCC.