Kilian rinuncia all’Everest

Dopo un lungo silenzio, Kilian Jornet annuncia l’abbandono del tentativo di salita in velocità all’Everest. Il catalano era l’unico ad essere passato oltre la Icefall, minacciata da un grande seracco, mentre il polacco Bargiel e le altre spedizioni presenti nell’area avevano rinunciato, ritenendo troppo rischioso il passaggio. Probabilmente nella scelta di Kilian ha giocato anche lo stile veloce rispetto a quello delle altre spedizioni. Kilian è arrivato a quota 8.300 metri lungo una variante della Via dei Polacchi del 1980. Il suo campo base, come ha fatto quando è salito in vetta dal versante cinese, era situato in un villaggio, a Gorak Shep, e ha potuto organizzare una spedizione molto leggera. Rimane ancora la discrezione su quelli che erano i reali obiettivi di Kilian che, secondo alcuni organi d’informazione, aveva il permesso per salire sia Everest che Lhotse. «Il meteo è stato molto bizzarro, con tanta neve e precipitazioni. Avevo alcuni progetti alpinistici, in funzione delle condizioni e della velocità, ma nessuno è stato possibile per diversi motivi, però ho apprezzato molto queste montagne (…). Anche se non c’è stata la vetta, l’esperienza di una spedizione molto leggera, di essere solo sulle montagne e provare alcune possibilità intriganti è stata molto interessante e carica di energie» ha detto il catalano che è stato seguito in Himalaya dalla compagna Emelie Forsberg e dalla figlioletta Maj, sette mesi.


ATK Bindings porta il service a Milano e presenta il nuovo R12

Non è necessario andare alle gare di skialp per trovare il furgone di ATK Bindings e fare un bel check-up dei propri attacchini. Il servizio di assistenza del marchio di Fiorano Modenese, infatti, sarà presente a Milano Montagna Week, durante i Sustainable Outdoor Days, dal 17 al 20 ottobre. Presso BASE Milano si potranno fare controllare gratuitamente gli attacchi e farsi consigliare. L’obiettivo di ATK Service on tour è propri quello di sensibilizzare gli utilizzatori sulla corretta manutenzione del materiale tecnico per una maggiore sicurezza e perché il rapproto con il cliente non si ferma dopo la vendita ma continua per tutta la vita tecnica dei prodotti. Il Service sarà operativo giovedì dalle 19 alle 24, venerdì e sabato dalle 11 all’una di notte e domenica dalle 10 alle 22. La presenza di ATK a Milano durante i Sustainable Outdoor Days non si esaurisce con il Service. Sabato 19 ottobre dalle 17 allo Sporting San Lorenzo di Via Carroccio 6 verrà presentato il nuovo R12. Sarà un evento con interventi tecnici e verrà proiettato un video realizzato da Adventure Addicted. La collaborazione con Adventure Addicted sta a significare proprio che R12 non è un attacco solo per professionisti o per l’élite, ma per tutti i veri appassionati di freetouring, che va a colpire anche la fascia di scialpinisti emergenti che arrivano dal mondo del freeride.


In arrivo Skialper 126 di ottobre-novembre

Torno subito. Che equivale a dire (anche se non è più politically correct) esco a prendere le sigarette. E torno chissà quando. È questo il tema del numero 126 di Skialper di ottobre-novembre, in distribuzione nelle edicole a partire dall’8 ottobre. Viaggi, esplorazioni, concatenamenti, spostamenti in velocità dal mare alla montagna e ritorno, ma sempre con quel briciolo di creatività (e non necessariamente con l’assillo del record) da renderli unici. Un numero nel quale il concetto di tempo gioca un ruolo importane. Come scrive Davide Marta nel contro-edito a proposito di un curioso negozio di La Grave, in Francia: «Desolé, trop de neige. Ouvert vers 16h00. Merci. Troppa neve, apro verso le quattro. Verso le quattro, un’approssimazione che dà il senso al tempo e alla vita. È un po’ come dire, non state lì a tamburellare sulla porta alle quattro in punto, più o meno a quell’ora arrivo, magari anche un po’ prima, ma senza impegno. Ecco, in questo numero che raccoglie storie di viaggi programmati e improvvisati, di avventure sognate una vita e poi portate a compimento, credo che il primo messaggio sia quello di prendersi cura del proprio tempo, delle proprie passioni, delle persone a cui si vuole bene. Ci sono oggetti che ci servono, che vogliamo, che riteniamo indispensabili, tra questi un paio di sci, degli attacchi, una giacca, ognuno ha i suoi. Ma c’è anche una corsa al troppo, al sempre di più, che probabilmente ci ha portati fuori strada, ad avere le notifiche sul telefono che scandiscono inevitabilmente il nostro calendario. Che ci impediscono di dire, come fa Bruno, arriverò verso le quattro». Prendetevi il giusto tempo e leggete con attenzione Skialper 126!

DESERT LOVE AFFAIR - Due pro skier e un fotografo alla ricerca di discese nella polvere. Ma è una polvere diversa, appiccicosa e abrasiva, le pelli sono sostituite dai cammelli e le tracce svaniscono dopo pochi secondi, cancellate dal vento del Sud. Tof Henry e Chad Sayers sono stati tra le alte dune di Merzouga, nel deserto del Sahara, in Marocco, per disegnare la loro traccia anche sulla sabbia. Un reportage dai colori caldi, con le foto di Daniel Rönnbäck.

© Daniel Rönnbäck
© Daniel Rönnbäck

LETTERE DAI QUATTROMILA - L’obiettivo era fare gli 82 quattromila delle Alpi in un mesetto, qualche giorno in più compresi gli spostamenti. Un vagabondaggio a bordo di un vecchio furgone Volkswagen che si è trasformato in un’esperienza di vita e di amicizia. Protagonisti Silvestro Franchini e Gabriele Carrara, coordinati dalla base da Francesco Carrara. Un diario di viaggio e di formazione.

LA SCATOLA MAGICA - Sei mesi e 20.000 chilometri su un vecchio pickup camperizzato a girovagare tra British Columbia, Alberta e Alaska. Per ri-scoprire lo sci e l’euforia della velocità sulla neve. Elena Adorni si è innamorata di Fiona, un vecchio pickup con cellula camper che giaceva nel cortile di un capannone di Vancouver, lo ha rimesso a posto ed è partita, trovando la scusa per rimettere gli sci e provare anche le linee di Valdez. «Stavo vivendo nello stesso posto da due mesi, e quando mi abituo ad avere l’acqua corrente e a fare una doccia al giorno, significa che è tempo di tornare sulla strada e ripartire».

© Elena Adorni

AVVENTURE KIRGHIZE - Uno sguardo su Google, tanta immaginazione e la voglia si esplorare. È nata così la vacanza di Pietro che la scorsa Pasqua è volato in Kirghizistan con il padre, che non aveva mai messo piede fuori dall’Europa. Non una vacanza qualunque, ma un viaggio con fuoristrada, sci e pelli alla scoperta di sei cime inviolate del selvaggio Tien Shan, in Kirghizistan. Dormendo in un vecchio centro termale abbandonato e condividendo la natura selvaggia con i pastori locali e gli yak.

© Pietro Mercuriali

PELLEGRINAGGIO DI UN DANZATORE DELLA NEVE - La prima discesa con gli sci di una montagna in una remota zona della Colombia, popolata da una delle ultime tribù del mondo antico rimasta ancora intatta. L’autore, Ptor Spricenieks, è una delle poche persone a essere stata autorizzata a esplorare le terre abitate da questa tribù a patto di non parlarne sul web. E per questo non possiamo dirvi di più… vi toccherà leggere l’avvincente articolo su Skialper.

PROBLEM YOK - Un vecchio furgone Volkswagen, l’idea di partire da Istanbul e andare a sciare in Georgia ma… con la quinta marcia rotta non si può andare a più di 80 all’ora. E così Elena e Achille vengono calamitati nelle valli rurali della Turchia, tra i selvaggi monti del Ponto. «Tempo perso o speso meglio?» si chiede Elena Gogna. Quindici pagine di reportage alla scoperta della powder a due passi dal Mar Nero, ma anche dell’ospitalità di Ahmed, Emre, Fatma, persone diverse ma che sono tutte pronte ad aprirti la porta di casa.

© Achille Mauri
© Achille Mauri

RITORNERÒ PRESTO A CASA - Hans Gmoser è emigrato a 19 anni dall’Austria in Canada alla ricerca di fortuna. Ed è finito per inventare l’heliski. Ma la sua idea originaria era di utilizzare l’elicottero per portare gli sciatori in zone remote a fare scialpinismo, come sta tornando di moda. La penna di Emilio Previtali racconta la storia di questo incredibile personaggio e delle sue idee visionarie.

HÉLIAS MILLEROUX - Le vere avventure dovrebbero avere una parte riservata alle incognite e all’improvvisazione. È quello che cerca Hélias Millerioux, lo si legge nei suoi occhi. Piolet d’Or 2018, Guida, alpinista, sciatore, soli 32 anni e un curriculum top con ottomila, ascensioni di alto livello in giro per il mondo, discese estreme, spedizioni e viaggi nei quattro continenti per esplorare i luoghi più verticali del pianeta. Andrea Bormida e il fotografo Federico Ravassard hanno incontrato Hélias sul Monte Bianco. Ne è nata una piacevole conversazione sull’impresa al Nuptse e sull’ultimo viaggio al selvaggio Monte Logan, nello Yukon.

© Hélias Milleroux

5 SUMMITS, 1 RECORD - Cinque vette, le cinque vette che vede dalla finestra di casa, a Sauze d’Oulx. L’idea di salirle in velocità, con le scarpe da trail, in cinque giorni consecutivi, battendo i record di ascesa e stando sotto le cinque ore totali. Per ricordare il suocero, recentemente scomparso e che quelle montagne le amava. Ecco l’ultima invenzione di Simone Eydallin.

© Damiano Benedetto

MARE AMARO - Prima alle montagne voltava le spalle, guardano verso il mare. Poi il gruppo della Majella è diventato il giardino delle avventure di Alex Tucci e così si è inventato di andare e tornare in giornata, correndo, dal mare dell’Abruzzo, dalla splendida Costa dei Trabocchi, alla vetta del Monte Amaro, a oltre 2.700 metri.

© Mirko Picco

IL CAMMINO SOSTENIBILE - Si può pensare di fare un trekking lasciando meno tracce possibili del nostro passaggio? Ci ha provato Carlotta Montanera che la scorsa estate ha percorso l’Altavia 4 delle Dolomiticercando di ridurre il più possibile i rifiuti prodotti, ma anche di utilizzare abbigliamento a bassa dispersione di microfibre e di mangiare a km 0. Scoprendo che…

© Giuseppe Ghedina

MUST HAVE - I furgoni d’epoca Volkswagen sono un leit-motiv di molte delle avventure raccontate da Skialper 126 e allora abbiamo pensato di usarne uno come set per la nuova sezione Must Have, che tornerà su tutti i numeri: 18 pagine di oggetti dei desideri fotografati ogni volta in un contesto diverso e particolare. Dimenticate la cara di credito…

© Daniele Molineris

E ANCORA… - Il primo contatto con la Scott Supertrac 2.0, scarpa da trail presentata lo scorso agosto, le nuove calzature con Gore-Tex Invisible Fit e i guanti stretch e antivento, dieci pagine di portfolio fotografico con scatti selezionati da Federico Ravassard: si spazia dai grandi parchi americani, alla Groenlandia, alla Mongolia e all’Antartide.

© Marco Buttu

 

 

 

 

 

 

 


Il Manaslu andata e ritorno in 17 ore e 43 minuti per Cazzanelli

Dopo il record sulla Cresta Cassin al Denali e la salita in velocità dell’integrale di Peuterey, ecco un altro primato per François Cazzanelli nel 2019. Il valdostano ha raggiunto nei giorni scorsi la vetta del Manaslu (8.162 m) ed è ritornato al campo base in 17 ore e 43 minuti. In totale sono 44 km e 3.280 metri di dislivello in salita e discesa. L’arrivo in vetta dopo 13 ore. Cazzanelli si trova in Himalaya in compagnia di Marco Camandona, dello svizzero Andreas Steindl, suo compagno di avventura altre volte, tra le quali il record alle creste del Cervino, Francesco Ratti ed Emrik Favre. Tutti hanno raggiunto la vetta e per Francesco ed Emrik era il primo ottomila, mentre Camandona ha messo la nona bandierina sulle vette più alte della terra. Steindl ha coperto salita e discesa in 21 ore e 30 minuti. Quello di Cazzanelli è il primato di salita e discesa, mentre il precedente record era del polacco Andrzej Bargiel, in 21 ore e 14 minuti, ma la discesa era stata effettuata con gli sci. Ora la spedizione di Cazzanelli & co si sposta al Pangpoche (6.620 metri).

Abbiamo intervistato François Cazzanelli su Skialper 126 di agosto-settembre, info qui


Bargiel rinuncia all’Everest

«Siamo qui da tanto tempo e non ci sono stati progressi e la possibilità di fare acclimatamento oltre il campo base (…) però dobbiamo finire la nostra spedizione, è la decisione più ragionevole. A volte bisogna fare così, stimare il rischio e se è troppo alto dire ‘stop’». Con queste parole il polacco Andrzej Bargiel, dopo avere sciato l’anno scorso il K2, ha annunciato nelle scorse ore la fine, senza successo, dell’Everest Ski Challenge. Bargiel e compagni hanno passato tre settimane al campo base ma questa estate ci sono state tante precipitazioni alte e lo zero termico è alto, così la Icefall è in cattive condizioni, con tanti crepacci. Il problema più grande è un immenso seracco alto 50 metri e largo 30, 800 metri sopra la Icefall. Camminare lì sotto è pericoloso: «Non lo farò, non posso accettare questo rischio, può rompersi in ogni momento e questo ci fa desistere dai nostri tentativi» ha concluso Bargiel.


Anche Garmin alle Safety Academy di Ortovox

Ortovox e Gamin hanno raggiunto un accordo per la collaborazione nell’ambito delle Safety Academy organizzate dal marchio tedesco specialista della sicurezza in montagna. In ognuna delle date in calendario infatti Garmin sarà presente con il suo staff tecnico per la presentazione dei prodotti e in particolare dell’ultimo dispositivo nato, il GPSMAP 66i. Ortovox ormai da sette anni propone agli appassionati di montagna invernale, nell’ambito del suo programma Safety Academy, corsi ed eventi legati alla sicurezza su neve: i corsi Safety Academy, su tre livelli progressivi, le Safety Nights, eventi serali brevi e divulgativi e i Safety Events, portati avanti in collaborazione con i negozi più tecnici. Tutti questi sono coordinati e gestiti dalle guide alpine UIAGM partner di Ortovox, a garanzia della massima qualità e uniformità didattica e operativa su tutto l’arco alpino. A completamento del mondo Safety Academy, sono nati poi negli anni altri strumenti educativi alla sicurezza in montagna, tutti a disposizione del pubblico, come i Safety Academy Guidebook Snow e Rock, piccoli ma completi manuali di base, i Safety Academy Lab Snow e Rock, piattaforme digitali interattive per la diffusione della conoscenza dei principi di base della sicurezza in montagna e le presentazioni e i video Safety Academy, a disposizione di guide alpine e club alpini per corsi e serate. La tecnologia di comunicazione satellitare Garmin inReach, risulta un fondamentale strumento di sicurezza per chiunque viva il mondo outdoor. La serie di prodotti inReach e il nuovo GPSMPA66i (con tecnologia di comunicazione satellitare integrata) permette di richiedere soccorso in caso di necessità in qualsiasi luogo ci si trovi, soprattutto quando non esiste copertura telefonica, appoggiandosi alla rete Iridium, la più performante rete di satelliti per la comunicazione. Avere a disposizione un dispositivo di questo tipo, consente di rimanere in contatto con chiunque, anche in montagna, dove spesso il nostro telefono non può funzionare, offrendo inoltre una durata estrema della batteria.

IL CALENDARIO

Solda, 9 novembre 2019: Safety Event Retailer. Partner: Mountain Spirit (Bolzano)

Livigno, 18 gennaio 2020: Safety Event Retailer. Partners: Mountain Planet, Silene, Zinnerman Livigno.

Assergi (AQ), 24 gennaio 2020: Safety Night. Partners: UIAGM Mountain Evolution

Madonna di Campiglio, 31 gennaio 2020: Safety Night. Partners: UIAGM Piergiorgio Vidi e Adriano Alimonta

Polsa Brentonico (TN), 7 febbraio 2020: Safety Night. Partners: UIAGM Guide Mmove

Asiago, 22 febbraio 2020: Safety Event Retailer. Partner Pesavento Mountain Store.

Le iscrizioni alle Safety Nights saranno possibili solo sul sito Ortovox:

www.ortovox.com/it/safety-academy/corsi-di-formazione/programma-invernale/safety-nights/

Le iscrizioni ai safety Events saranno possibili contattando i negozi indicati.


Eletto il direttivo della ISMF. Lo svizzero Thomas Kähr nuovo presidente

Tempo di elezioni per la ISMF. In Turchia assemblea per trovare il nuovo numero uno della federazione internazionale dello ski-alp, alla scadenza del mandato di Armando Mariotta, nominato, al termine del lavori, membro onorario della ISMF e che resterà con una posizione ‘operativa’ come Project Leader per i Giochi Olimpici. I rappresentanti di 23 federazioni hanno eletto lo svizzero Thomas Kähr, unico candidato in lizza, già vice-presidente dell’UIAA. Nel consiglio, nel ruolo di vice presidente, lo svizzero Leo Condrau, il francese Pierre Dupont e Marco Mosso, mentre il segretario generale sarà lo spagnolo Lluis Lopez; consiglieri la polacca Monika Strojny, lo statunitense James A. Moore, l’andorrano Jaume Esteve e la svizzera Regula Meier. Rappresentanti degli atleti, due giovani: la russa Ekaterina Osichkina e il belga Maximilien Drion Du Chapois.


Glacier Haute Route Fast & light

Dan mi dice: «Se inizia a scivolare, salta in quel crepaccio». Il contrappeso potrebbe essere il modo migliore per impedirci di finire nella prossima crepa tra le nevi eterne, laggiù. Guardo giù in un buco senza fondo, blu e terrificante. Per un secondo, o forse anche due, immagino di bere un caffè, di avere un gatto sulle mie ginocchia e delle scarpe da running che mi aspettano sul tappetino della porta. Darei qualsiasi cosa per essere lì. Per essere in un altro luogo piuttosto che legato a due ragazzi su un ghiacciaio in scioglimento. Non ci sono crepacci nella cucina del mio appartamento, in un normale martedì mattina. Voglio venir fuori da questo ghiacciaio che fa saltare i nervi, ma l'unica via d'uscita è continuare a muoversi, prima che si sciolga. Avanzando attraverso il labirinto apparentemente infinito davanti a noi, affrontando il minor rischio, facendo marcia indietro. Schiaccio più forte i miei ramponi nel ghiaccio, pronta ad aggrapparmi alla piccozza o addirittura a saltare in quell'abisso mentre Pascal avanza di qualche centimetro, sondando il ponte innevato davanti a lui.

«Questo non è un bene» lo sento borbottare tra sé e sé mentre osserva attentamente i crepacci per ricostruire il percorso sull'ultimo tratto di ghiacciaio che si frappone tra noi e la nostra destinazione: Zermatt. Non è proprio il tipico percorso di un trail. Solo poche settimane prima, in un'altra escursione di corsa con Dan, avevamo dato uno sguardo al ghiacciaio di Arolla, mentre lui indicava una linea attraverso il ghiaccio, riportando alla memoria i ricordi di svariate settimane ed escursioni sulla famosa Haute Route da Chamonix a Zermatt. Dan, in preda all’eccitazione, aveva interrotto il suo stesso racconto con questa domanda: «E se la facessimo di corsa?».

Sapevo prima che finisse la frase che lo avremmo fatto. Tante avventure iniziano in questo modo: un perché non diventa un progetto accattivante e in breve ti trovi legato a due amici su un ghiacciaio nelle Alpi. Ma anziché la classica versione estiva dell’Haute Route, che può richiedere fino a due settimane di trekking, stiamo percorrendo la Glacier Haute Route, una linea più diretta che attraversa le Alpi francesi e svizzere. Si rimane più in alto, senza grandi saliscendi nelle valli, seguendo gran parte dell'itinerario sciistico della Haute Route. Più conosciuta come la High Level Route estiva, questa alta via di 90 chilometri può essere percorsa in sei giorni. Ci si muove spesso sui ghiacciai (dal 30 al 40 percento dell’itinerario), attraversando molti valichi in quota e dormendo nei rifugi di montagna. Come per la Haute Route sciistica, è necessario avere esperienza su come muoversi in ambiente alpinistico in quota e sui ghiacciai. A causa dei crepacci è un percorso impegnativo con il bel tempo, potenzialmente molto pericoloso con cattivo tempo. Un itinerario pieno di se…

© PatitucciPhoto

Come trail runner, voglio andare più in alto, affrontare un terreno più tecnico, persino sconfinare in spazi riservati agli alpinisti. Loro stessi sempre più spesso si muovono veloci e con scarpe imparentate con quelle da trail. La differenze in quota si assottigliano e siamo sempre di più a muoverci fast & light, anche se con diverse culture di partenza. I miei compagni di avventura hanno più esperienza in alta montagna e mi affido alle loro conoscenze per imparare la tecnica necessaria per un trail in alta quota come questo. Entrambi conoscono il percorso, hanno fatto escursioni in estate e sciato in inverno da queste parti. Pascal Egli è uno dei migliori skyrunner della Svizzera, scialpinista e dottorando in glaciologia. Dan Patitucci ha decenni di esperienza alpinistica e in falesia, scia e corre. Entrambi sanno come leggere il terreno, valutare i rischi e prendere decisioni sicure. Sono le persone giuste annodate alle due estremità della mia corda.

Agosto 2017. Stiamo sfruttando una finestra di bel tempo. Sappiamo che i ghiacciai saranno in cattive condizioni dopo un inverno secco e un'estate calda, ma se vogliamo fare questo tour, è il momento di andare. Lasciando Le Tour, in fondo alla valle di Chamonix, sento il peso del mio zaino mentre, con le lampade frontali in testa, iniziamo a percorrere i ripidi tornanti nel bosco verso il rifugio Albert Premier. Portiamo con solo ciò di cui abbiamo bisogno: vestiti caldi e attrezzature per la sicurezza sul ghiacciaio, ramponi, piccozza e un Petzl RAD (sistema di soccorso da crepaccio ultraleggero). Non è molto, ma è un peso maggiore di quello che ci si porta dietro quando si va a correre in giornata. Con queste premesse, il ritmo di partenza mi sembra veloce. Dan e Pascal corrono davanti a me. Inizio a credere che mi trascinerò dietro di loro tutto il tempo, ma almeno sui ghiacciai saremo legati insieme.

Poco dopo il rifugio, il sentiero scompare e ci leghiamo per risalire il Glacier du Tour. È la prima volta che cammino sul ghiacciaio. Nel bene o nel male siamo legati alla distanza di cinque metri l'uno dall'altro mentre scavalchiamo grandi buche sulla strada per il Col du Tour. Ben presto incontriamo la prima vera sfida che la ritirata dei ghiacciai ci pone: il colle che avevamo pianificato di scalare è completamente asciutto, disseminato di massi franati dall’alto. Siamo costretti a rivedere la rotta e salire su un altro colle, dove troviamo una corda fissa per calarci in doppia fino al Plateau du Trient. Non è troppo frequente quando si va a correre che capiti di doversi calare… Una volta liberati dalla corda e di nuovo sul ghiacciaio, alcuni sassi scivolano accanto a noi. Non perdiamo tempo e ci trasciniamo giù, allontanandoci rapidamente dalla frana E verso il mare di ghiaccio grigio diviso da crepacci neri belli aperti. Dan e Pascal riconoscono quanto è sceso il ghiacciaio. «Sono scioccato, l'altopiano è solitamente coperto di neve sufficiente per poterlo attraversare» dice Dan. Oggi dobbiamo zigzagare sulla superficie crepata.

Finalmente fuori dai ghiacciai, corriamo giù per un sentiero fino a Champex. Abbiamo programmato di raggiungere il rifugio Chanrion per trascorrere la nostra prima notte, ma le condizioni sono state peggiori del previsto e il tempo sta cambiando. Ci chiediamo se dovremmo continuare o meno. I crepacci sono già una sfida sufficiente e non è certo necessario aggiungere la pioggia e una scarsa visibilità. Ci sediamo nei pressi di Champex Lac, controlliamo le previsioni del tempo, chiamiamo amici e Guide che potrebbero avere informazioni sulle condizioni dei ghiacciai che ci attendono. Dicono tutti la stessa cosa. «I ghiacciai sono in cattive condizioni» e «Non è una bella situazione, ma alcune persone stanno andando». Stiamo per rinunciare, ma alla fine si decide che vale la pena DI dare un'occhiata. Quando raggiungiamo il rifugio Chanrion, dopo una facile corsa in salita, il custode non usa mezzi termini: «I ghiacciai sono una merda».

Il prossimo giorno sarà impegnativo: da Chanrion, passando per il ghiacciaio d'Otemma, il Glacier d’Arolla, l'Haut Glacier d'Arolla e infine una ripida salita fino alla Cabane de Bertol. Nell'ombra del mattino attraversiamo il ghiacciaio d’Otemma, prima che il sole sia abbastanza alto per raggiungerci. Ci fermiamo a visitare la stazione di monitoraggio che Pascal ha contribuito a installare. Questo enorme ghiacciaio, lungo quasi otto chilometri e con uno spessore massimo di 260 metri, si sta sciogliendo a una velocità allarmante di dieci centimetri al giorno, in estate. In media i ghiacciai nelle Alpi stanno perdendo quattro metri all'anno. Entro il 2050 la maggior parte dei piccoli nevai sparirà e i restanti ghiacciai saranno insignificanti. Entro il 2100 anche i più grandi come l'Aletsch, il più lungo delle Alpi, che raggiunge i 23 chilometri, non esisteranno quasi più, resteranno solo le parti alte. La ritirata delle nevi eterne comporta più rischi naturali, più frane. «Penso che deciderò di andare sui ghiacciai solo in inverno, stanno diventando pericolosi e brutti» dice senza usare mezzi termini Pascal. Prima di continuare la rampa di ghiaccio coperta di sabbia, ci fermiamo brevemente a guardare verso il fondo di un mulino con una tonalità blu mai vista e bellissima.

Ci muoviamo in modo efficiente sui ghiacciai, ma è correre sulle morene sassose e passare da un nevaio all’altro che porta via la maggior parte del tempo. Gli escursionisti ci guardano sorpresi, se non preoccupati, per i nostri piccoli zaini e per la mancanza di supporto alla caviglia mentre saltelliamo sui sentieri rocciosi. «Belle scarpe» dice una Guida dietro di noi con un certo tono di disapprovazione. Sorpassiamo il suo e altri gruppi prima di raggiungere il rifugio successivo. La nostra velocità non ci dà falsa fiducia o sicurezza, ma ci consente di allontanarci dal pericolo e di trascorrere meno tempo in condizioni pericolose. Siamo una squadra forte, in forma, con esperienza, poliedrica e cauta; noi ci conosciamo e ci fidiamo l'uno dell'altro. Non siamo un gruppo di estranei, legati dietro una singola Guida, un gruppo che dipende completamente da una sola persona, e siamo consapevoli della responsabilità di ognuno; conosciamo le nostre capacità e i nostri limiti e prendiamo decisioni ragionevoli per minimizzare i rischi.

Mentre discutiamo il nostro piano per l'ultimo giorno, da Bertol a Zermatt, delle comitive di escursionisti arrivano al rifugio e i pesanti scarponi da montagna riempiono gli scaffali attorno delle nostre scarpe da trail. Al mattino presto scendiamo le scale delle nostre cuccette e poi quelle che dal rifugio Bertol portano sul ghiacciaio. Iniziamo a correre tra la minaccia di un cielo nero e il terreno bianco, entrambi pieni di buchi. Le stelle illuminano le sagome delle montagne, le frontali degli alpinisti rischiarano la strada fino al Dent Blanche e un bagliore crescente riempie il cielo. Saliamo alla Tête Blanche percorrendo il ghiacciaio del Mont Miné giusto in tempo per vedere l'alba sul Cervino. È la prima volta che vedo questa cima così simbolica. Svetta dal ghiacciaio sottostante verso il cielo pallido, è una delle prime a essere raggiunta dai raggi del sole. Il panorama ci blocca per un momento, ma dobbiamo proseguire verso Zermatt. Fa già caldo mentre ci dirigiamo verso lo Stockjigletscher, l’ultima ghiacciaio che dobbiamo attraversare. «Potrebbe essere l’ultimo giorno per percorrere questo tratto» ci aveva ammonito al rifugio una Guida che arrivava dalla direzione opposta alla nostra la sera prima. E in effetti anche le sue orme si sono già cancellate nel disgelo. Ci muoviamo con molta attenzione, saltando oltre piccoli crepacci e procedendo a zigzag in questo grande puzzle che riempie i nostri pensieri di tanti se. Abbandoniamo il ghiacciaio con grande sollievo, ci togliamo i ramponi e le imbragature e arrotoliamo la corda. Gli ultimi 20 chilometri sulla morena rocciosa e lungo un sentiero bellissimo ci portano a Zermatt. Il calore e la polvere salgono dalla terra, una sensazione così diversa da quella che abbiamo provato muovendoci su ghiaccio e roccia. Acceleriamo come quando finisci una qualsiasi corsa, un qualsiasi gara, ma questa volta è diverso: un misto di sollievo, gratitudine e orgoglio riempie i nostri animi. Ci siamo mossi veloci in un ambiente naturale che definirei enorme, potente e terribile allo stesso tempo. È stata una vera avventura e mi rimane tra le labbra una domanda: «Dove altro potrebbero portarmi le scarpe da trail?».

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La Glacier Haute Route in versione trail

Dan, Kim e Pascal hanno percorso la Glacier Haute Route in quattro tappe giornaliere.

Partenza: Chamonix (Le Tour) 

Arrivo: Zermatt

Distanza: 88 km      

Dislivello positivo: 6.000 metri

Chamonix - Champex: 23 km / 2.127 m+ 2.156 m-

Mauvoisin - Chanrion: 13 km / 872 m+ 255 m-                                                      

Chanrion - Bertol: 26 km / 1.955 m+ 1.127 m-

Bertol - Zermatt : 26 km / 1.033 m+ 2.645 m-

Da Champex a Mauvoisin hanno preso un’auto, come fanno gli scialpinisti in inverno.

QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 119, INFO QUI

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Serpentina for a livin'

Quando penso alla serpentina, la prima immagine che mi viene in mente è quella della lavatrice nella pubblicità della Calfort degli anni '80, una serie sinuosa di curve strette unite da un elegante diagonale; la stessa diagonale che permetteva a sciatori leggendari come Doug Coombs, Dean Cummings o Jean-Marc Boivin di ricalibrare i movimenti tra una curva e l’altra durante una ripida discesa. La serpentina è sempre stata una curva chiave nella tecnica dello sci, a prescindere dal materiale usato dagli anni ‘70 a oggi. Certo, con l’evoluzione degli sci anch’essa ha subito una costante mutazione diventando sempre più condotta e scorrevole, adottando diverse sfumature in base appunto alla tipologia di sci usato e ovviamente ai tipi di neve e alla pendenza.

Prima della rivoluzione dei fat ski e dei carving, lo sci era tutta un’altra storia, le aste che andavano dai due metri fino ai due e dieci non permettevano fluide planate in neve profonda, e nemmeno una gestione slideata della curva verso la massima pendenza, per perdere quota in neve crostosa o difficile. I casi erano due: o si eseguiva una curva saltata (sci ripido e neve dura) o una serpentina. Questo tipo di curva permetteva il massimo della fluidità possibile per scendere un pendio controllando la velocità in nevi la cui profondità non consentiva agli sci senza sciancratura di curvare rapidamente e tornare sotto il baricentro dello sciatore semplicemente ruotando i piedi. Per dare un’idea io prenderei: Doug Coombs in Alaska, dove effettuava serpentine dalla lunghezza eterna; Jean-Marc Boivin in una qualsiasi discesa di ripido e il grande Steve McKinney, che faceva dei veri propri drittoni giù per le Palisades a Squaw Valley con ai piedi gli sci da chilometro lanciato! Per vedere curve lunghe più fluide avremmo dovuto aspettare gli anni ‘90, con Kent Kreitler e Shane McConckey, rivoluzionati poi dallo snowboard e dalla leggendaria discesa in tre curve di Jeremy Nobis.

© Alberto Casaro

WE TEST ON HUMANS

Dopo avere pensato a tutti gli scenari passati è venuto il momento di tirare le somme; perché fare un articolo sulla serpentina nell’epoca dei drittoni e di film come La Liste, dove ognuno cerca la planata e la velocità più alta? Perché da sempre questa accomuna gli sciatori di ogni tipo. A seconda delle situazioni è la curva che viene eseguita sia dai freerider più veloci, sia dagli scialpinisti classici. Quindi che fare? Ci siamo armati di sci di 207 centimetri di lunghezza, oltre ai materiali soliti, e abbiamo sciato in condizioni variabili, cercando similitudini tra passato e presente e soprattutto di evidenziare le differenze nell’utilizzo di aste diverse. Tecnicamente lo sciatore ha a disposizione quattro movimenti fondamentali: alto-basso, inclinazione, antero-posteriore e rotazione. Questi movimenti si sono adattati nel tempo ai materiali, più sciancrati, più larghi e pre-deformati (rocker), riducendo via via l’alto basso, o meglio utilizzandolo come regolatore per ricercare il contatto col terreno; e rendendo le inclinazioni sempre più preponderanti ed accentuate, grazie al vincolo molto solido creato dai nuovi sci. Ma cosa accade quando sotto ai piedi mettiamo qualcosa di lungo, stretto e totalmente dritto, sci che solo dall’aspetto ti fanno capire che forse non è il caso di maledire gli snowboarder, ma che forse è meglio offrirgli da bere?

© Alberto Casaro

ANCHE A MONTE, BUSTO A VALLE

Appena saliti in funivia mi accorgo degli sguardi della gente, il mio abbigliamento all’avanguardia dello stile e della tecnica stona totalmente rispetto agli sci che mi porto dietro: sono quasi mezzo metro più alti di tutto e continuo a sbatterli contro gli stipiti delle porte, ma il bello deve ancora venire… Calzo gli sci e l’effetto visivo è perfino più incredibile, sono la metà della pianta degli scarponi! Faccio le prime curve in pista, su neve dura coperta da dieci centimetri di polvere. Fino a qui tutto bene. Prime curve strette: accentuo leggermente i movimenti verticali e mi ricordo di non inclinarmi troppo, giro i piedi e gradualizzo il movimento, una meraviglia! Gli sci girano e sono veramente agili, tant’è che la mia arroganza mi spinge a prendere velocità per allungare le curve; inizio a inclinarmi e gli stecchini vanno per la tangente, quasi cado e metto la mano in terra, benissimo. Ritorno a curvare stretto e riprendo gradualmente ad aumentare la velocità, cerco la fluidità, anche a monte fino all’ultimo e con il busto bene verso valle. Eccola la serpentina! È veramente una soddisfazione e la sensazione non è niente male, sento la stabilità e chiudo bene le curve. Quindi qualche adattamento e in pista ci siamo, le curve lunghe le faremo un'altra volta, ora è il momento di uscire dal seminato… L’inverno per ora non ci ha dato granché, ma in alto qualche nevicata l’ha fatta e quindi usciamo fuoripista e vediamo com’è la situazione. Il manto è un mix di cartone, crosta e fondo inconsistente, insomma una meraviglia. Nelle prime curve è duro, azzardo due curve saltate su discreta pendenza e, a parte la lunghezza, gli sci sono solidissimi e mi danno sicurezza; due curve dopo la neve sfonda e fare girare le aste diventa un altro paio di maniche, devo quasi fermarmi tra una curva e l’altra per fare ritornare l’esterno sotto di me. I movimenti verticali diventano basilari per creare l’alleggerimento necessario a impostare la virata: niente slashate, niente scrub, qui il capitano va giù con la nave. Come primo giorno poteva anche andare, ma avevo bisogno di sciare ancora un po’ per trarre delle conclusioni, magari con condizioni più morbide e divertenti. Però nulla sarebbe cambiato in termini di neve nelle settimane successive, quindi sotto a chi tocca e via con la seconda parte dell’esperimento. Dopo avere scelto un bel pendio con fondo incerto, coperto da venti centimetri di neve nuova ventata, decidiamo per un approccio scientifico: prima una serie di curve con un 177 centimetri, 96 millimetri sotto il piede e poi con il famigerato 207. Non sapendo a cosa andare incontro parto cauto: curve profonde controllando la velocità per minimizzare i danni in caso di squali, cercando la leggerezza e la perdita di quota, dosando la pressione e la presa di spigolo. Questi sci li conosco bene, galleggiano e girano molto facilmente, non devo preoccuparmi di nulla se non rimanere centrale e inclinarmi il giusto. La neve non è male, portante il fondo, polveroso lo strato superiore; è il momento dei 207. Anche se so cosa mi aspetta in termini di neve, non mi fido e mi muovo con cautela: accentuo i movimenti verticali per impostare la curva e mi abbasso molto in piegamento per assorbire il carico che imprimo allo sci nella seconda parte. Fluidità e morbidezza, non ho un grande feeling, ma neppure pessimo, senza dubbio non sono a mio agio. Quando riguardiamo le sequenze l’effetto è sorprendente: due serpentine quasi uguali! Incredibile come sensazioni cosi contrastanti abbiano però prodotto lo stesso risultato.

TAKE HOME MESSAGE

Evidentemente quando non è possibile cavarsela mollando a tutta verso valle ed è quindi necessario controllare la velocità, la serpentina è davvero l’unica via. Gli sci nuovi ci fanno risparmiare molte energie rispetto agli sciatori del passato, ci fanno andare veloci: però quando è crosta o è ventata, quando non vediamo dove andare e sciamo sulle uova, o semplicemente quando vogliamo far durare più tempo la discesa dopo una salita dura, senza nemmeno accorgercene, sapete che curva faremo? Serpentina for a livin’!

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Lanciata anche in Italia Patagonia Action Works

Patagonia ha lanciato ieri anche in Italia Patagonia Action Works, una piattaforma digitale per collegare le comunità alle organizzazioni ambientaliste locali che si battono per salvare il pianeta.  Il lancio in tutta Europa segue l'enorme successo ottenuto in Nord America, dove la piattaforma ha visto mezzo milione di persone intervenire per supportare le questioni ambientali e ha permesso agli utenti di offrire volontariamente tempo e competenze, partecipare a eventi, firmare petizioni e donare a favore della conservazione ambientale.

Patagonia Action Works verrà presentata ufficialmente a BASE Milano il prossimo 3 ottobre alle ore 19, durante una serata in compagnia di organizzazioni no-profit e cittadini che lottano per salvare il pianeta. Tra i relatori Stephanie Brancaforte, Direttore di Change.org Italia, Sara Capuzzo, Presidente di ènostra, lo scienziato Luca Mercalli e Gianluca Pandolfo, Patagonia Sales Director EMEA. I biglietti d’ingresso per il pubblico sono disponibili attraverso la pagina Facebook dell’evento, e il ricavato della vendita sarà devoluto in beneficenza alle ONG partecipanti.

L’iniziativa nasce in un momento di minacce ambientali senza precedenti, in cui cresce la domanda da parte del pubblico, dei politici e delle imprese italiane di intraprendere azioni urgenti per affrontare la crisi climatica. I recenti movimenti climatici in Europa e in Italia testimoniano l’urgenza di proteggere il pianeta, ed è per questo che Patagonia Action Works collega le persone con le organizzazioni orientate a questo scopo, in modo da promuovere azioni collettive.

La piattaforma online, basata su community, segna un nuovo capitolo nella storia di attivismo di Patagonia, lunga ben 45 anni e che comprende il programma  1% For The Planet, un movimento globale creato dal fondatore di Patagonia Yvon Chouinard e dall’ambientalista Craig Mathews. Il supporto dell'azienda alle organizzazioni ambientaliste ha totalizzato oltre 100 milioni di dollari e ha raggiunto migliaia di gruppi. Molte no profit operano con risorse limitate e, attraverso Patagonia Action Works, l'azienda mira a rendere questi gruppi più efficaci e potenti che mai.


Domenica a Colle Isarco c'è il nono Hühnerspiel Vertical-KM

Domenica prossima, 29 settembre, la sezione Skialp dell’ASD Colle Isarco organizza la nona edizione della tradizionale Hühnerspiel Vertical-KM. La partenza della gara vertical con uno sviluppo di 2,9 km su un dislivello positivo di 1.000 metri si terrà alle ore 10 in Piazza Ibsen di Colle Isarco. Il record da battere è di Manfred Reichegger con 35'04" (2012) e Stephanie Jimenez con 43'05" (2017). Nell’ambito del vertical competitivo si terrà anche una marcia per escursionisti. Per coloro che preferiscono la camminata senza cronometro la partenza è possibile dalle 8 in centro a Colle Isarco. Il percorso a scelta porterà gli escursionisti fino a quota 1.860 a Malga Gallina. Gli escursionisti che rientreranno alla Piazza di Colle Isarco entro le ore 14 parteciperanno a un ricco sorteggio di premi. Info: www.sv-gossensass.org.


Brody Leven, globetrotter per l'ambiente

Seguo Brody Leven sui social ormai da qualche anno e la sua figura mi ha sempre incuriosito. Un po’ insta-blogger, un po’ (tanto) scialpinista d’avventura, specialista assoluto del ravanage e dei viaggi improbabili, tipo la spedizione pedal to peak alle isole Lofoten: in bicicletta, in inverno, trasportando tenda, sci e attrezzature con un piccolo rimorchio su strade tortuose e una meteo decisamente avversa. Brody condisce il tutto con un dialogo attivo tanto nel mondo virtuale quanto quello reale sulle tematiche ambientaliste perché, dopotutto, se vengono a mancare freddo e neve la vita degli sciatori si complica non poco. Scia, tanto, e comunica anche tanto, non esitando a raccontare - e raccontarsi - attraverso storie di Instagram, video e articoli sulla carta stampata. Lui si definisce adventure skier and storyteller ed effettivamente è quello che fa: al primo impatto potrebbe sembrare l’ennesimo wannabe influencer tutto chiacchiere e distintivo, ma seguendolo si capisce che sa quello che fa e in che direzione andare, soprattutto quando si tratta di andare a martellare al Congresso di Washington DC per promuovere la causa ambientalista. Insomma, a me quelli come Brody piacciono, perché sono fuori dagli schemi in senso positivo, e si impegnano davvero, a costo di giocarsi sponsorizzazioni o attirare commenti acidi degli hater sotto i propri post.

Ciao Brody. La tua figura di atleta professionista è fuori dalla norma: non sei un freeskier vero e proprio, e nemmeno un alpinista o uno storyteller nella loro accezione più pura. Sei un mix di tutte queste attività: come ti definiresti?

«La mia qualifica professionale è qualcosa che ho pensato io stesso. Credo di essere autorizzato a farlo, dal momento che ho creato la mia stessa professione. Adventure skier and storyteller: vado in giro, scio e racconto storie che spero possano aiutare i lettori, strappare un sorriso o dare la carica per una nuova sfida, perché credo che mettere alla prova le proprie capacità faccia del bene a noi stessi».

Ho letto che quando eri giovane lavoravi come DJ ed eri uno sciatore da park. Come sei diventato il Brody di oggi?

«Come molti americani, ho dovuto ripagarmi i prestiti universitari. Mi sono impegnato molto per sviluppare le mie capacità scialpinistiche durante l’università, mentre studiavo i fondamenti per avviare una mia attività commerciale, così ho deciso di combinare insieme le due cose. A differenza di altri miei colleghi, non sono stato su vere montagne fino ai diciott’anni. Ero letteralmente indietro di una vita rispetto agli altri sciatori e ho praticamente dovuto re-imparare a sciare fuori dai park, sui grandi pendii. Sapevo di voler lavorare per me stesso e viaggiare per il mondo, quindi era una carriera perfetta a cui puntare».

Sei conosciuto per i tuoi viaggi particolari e sei stato uno dei primi professionisti a organizzare un’avventura in stile pedal to peak: un ottimo modo per promuovere il turismo sostenibile, come è nata l’idea?

«Di sicuro non l’ho fatto per promuovere nulla, compresa la sostenibilità. È che mi piacciono tante cose oltre allo sci, come il viaggiare lentamente, il bike-packing, scalare e viaggiare per vedere il mondo; specialmente quando lo vedo a bassa velocità. A piedi si è troppo lenti, e in auto troppo veloci, quindi sui pedali hai l’andatura giusta. Andare in un posto come le Lofoten non può essere definito una spedizione, perché non si è così isolati e le montagne sono basse: è più giusto parlare di viaggio sciistico, ma quando si tratta solo di sciare è facile che mi annoi. Mi piace variare le attività, così la bicicletta è stato il modo per visitare una zona relativamente piccola in un paio di settimane e nel frattempo avere la possibilità di praticare scialpinismo come piace a me. Stare all’aria aperta tutto il giorno, tutti i giorni, è un ottimo modo per sentirsi integrati nella natura, e questo è un altro dei motivi per cui amo il bike-packing. Perché siamo parte della natura, ed è naturale stare là fuori».

Che problemi hai riscontrato in questo tipo di viaggi? Come gestisci il carico pesante? Che consigli daresti a chi si vuole cimentare in un’avventura come le tue?

«No, non ci sono stati problemi, anzi, è stato fantastico! Sì, ho dovuto trasportare materiali per dormire, cucinare e sciare sulla mia bici, che era davvero pesante, usando un normale rimorchio della Bob leggermente modificato. Chi volesse provarci deve solo uscire di casa e farlo! Si capisce facilmente e in poco tempo ciò di cui si ha bisogno e ciò che invece può rimanere in garage e come settare la bici. E poi, pedalando, hai un sacco di tempo per pensare alle migliorie».

Qual è stato finora il tuo viaggio più bello? E il peggiore? Ti ricordi qualche episodio particolare?

«Ovviamente è difficile sceglierne uno solo. Ma di sicuro uno dei mie preferiti è stato il viaggio stagionalmente confusonell’estate del 2013, attraverso la Patagonia con il mio amico e fotografo Adam Clark. Abbiamo affittato un van e, nel corso di un mese, abbiamo guidato da Santiago fino all’estremità meridionale del continente, scalando e sciando montagne che vedevamo direttamente dalla strada. Abbiamo caricato autostoppisti, sciato all’ombra del Fitz Roy ed è stata davvero l’avventura della vita. Mi mancano i viaggi di quel tipo».

Qual è il motivo per cui viaggi? Curiosità? Come scegli una destinazione?

«Uhm, questa è una bella domanda. Non so se si tratti di curiosità, almeno non nel senso tradizionale del termine. Sono curioso di sapere quali sono i miei limiti e cosa si provi a visitare e sciare in altri luoghi. Mi piace trovare un punto di equilibrio tra sicurezza, sfida fisica e impegno mentale, quest’ultimo probabilmente deriva anche dal fatto che sono lontano da casa. È quella che il mio amico alpinista Graham Zimmermann chiama esposizione relativa: è più facile sciare una linea ripida ed esposta sulle montagne di casa tua, dove conosci il manto nevoso, il terreno, i tuoi margini di sicurezza e come allertare i soccorsi. Viceversa, in giro per il mondo, dove non parlano la tua lingua, non hai la possibilità di essere soccorso, non sai com’è la neve, hai tempo e cibo in quantità limitate, è diverso. Mi piace inserire l’esposizione relativa come variabile nell’equazione per programmare un viaggio. Scelgo le destinazioni leggendo i report dell’American Alpine Journal, guardando immagini satellitari su Google Earth, blog su internet e voci che girano tra le mie conoscenze. Dal momento che molte delle mie discese vengono fatte in aree più conosciute per l’arrampicata, spesso cerco di informarmi su queste ultime, piuttosto che puntare direttamente a destinazioni prettamente scialpinistiche».

Dove hai trovato la neve più bella? E qual è stata la miglior destinazione per lo scialpinismo a tutto tondo, compresi l’ospitalità, le montagne, la gente?

«Quando programmi un viaggio con mesi di anticipo è difficile pensare di trovare bella neve, ed effettivamente è quello che succede. Di sicuro quella peggiore l’ho sciata sulla Cima Margherita, al confine tra Congo e Uganda. Più che neve, era un ghiacciaio scoperto. Sull’Orizaba, la terza più alta montagna del continente americano, in Messico, non c’era praticamente copertura nevosa in cima. Ho fatto delle curve decenti alle Svalbard, ma anche lì c’era neve bruttina! Uno dei miei posti preferiti invece è stato il Kazakhistan. È un Paese bellissimo, con gente ospitale e montagne enormi, difficili e remote. Vorrei tornarci».

Sui tuoi canali social parli molto di tematiche ambientali e del tuo lavoro con la community di POW (Protect Our Winters). Quando hai cominciato a essere un attivista? Qual è il tuo ruolo in POW?

«I miei parenti mi hanno cresciuto insegnandomi a prendermi cura della natura. Alle scuole elementari ho partecipato a un progetto sul riciclo della carta e, una volta entrato all’università, come rappresentante degli studenti, ho lavorato molto sulle iniziative ambientali. Quando sono diventato uno sciatore professionista ero coinvolto già da tempo in programmi di salvaguardia dell’ambiente e iniziative varie, quindi si può dire che l’attivismo sia sempre stato una parte rilevante della mia vita e del mio modo di vivere».

Rispetto all’Europa, gli atleti americani sembrano essere molto più coinvolti nelle azioni di responsabilità sociale ed ambientale, come ad esempio nel dibattito sulle public lands o sull’esclusione di Colin Kaepernick in NFL (giocatore di football americano messo fuori squadra perché ha protestato durante l’inno nazionale). Credi che gli sportivi professionisti abbiano il dovere morale di partecipare alla vita pubblica?

«Dal momento che ognuno di noi ha il proprio senso morale, non è giusto per me dire che si tratti di un dovere in generale. Ma è come se lo fosse».

Ogni tanto vai al Congresso, a Washington, puoi dirci di più su queste attività di lobbying?

«Vado a Washington DC solo quando ho uno specifico messaggio da comunicare e sento di poter concretamente influenzare le idee e le azioni di chi mi ascolta. Ci sono stato con l’American Alpine Club e POW e un paio di altre volte. Incontrare membri del Congresso o i loro staff può essere un’esperienza frustrante, specialmente quando si tratta di persone che rifiutano di accettare i fondamenti scientifici del surriscaldamento globale. Ma quando si raccontano storie che hanno a che fare con il salire e scendere montagne di tutto il mondo, o di medaglie olimpiche come quelle vinte da alcuni atleti di POW, sembra che siano più propensi a dedicarci la loro attenzione. Ci sono degli esempi di come potenzialmente abbiamo cambiato il loro modo di vedere le cose, ma le loro decisioni sono così influenzate dalle linee guida dei partiti che preferisco investire il mio tempo nel parlare direttamente con gli elettori piuttosto che con i politici».

I viaggi aerei sono uno dei problemi principali quando si tratta di gestire la propria impronta ecologica. Come fai a vivere una vita da atleta professionista con una filosofia di basso impatto ambientale? Hai dei suggerimenti?

«Oh, io incoraggio assolutamente la gente a viaggiare. Vedere il mondo è il miglior modo per rendersi consapevoli della sua salvaguardia. L’aumento dei valori della propria impronta ecologica è compensato dai cambiamenti nel modo di vivere e agire che vengono stimolati dall’esperienza del viaggio. Essere cittadini di una società alimentata a combustili fossili non significa sostenerli e non si può frenare il progresso in nome della perfezione: vivo e lavoro nello stesso mondo degli altri ed è necessario per tutti essere consapevoli del proprio impatto sull’ambiente. Il punto è che l’impronta dei singoli individui è minima se comparata alle emissioni di gas serra delle industrie. Possiamo essere ambientalisti attivi anche vivendo normalmente nella nostra società, perché ciò di cui si ha bisogno non è un passeggero in meno su un volo aereo, ma sistemi di trasporto puliti e più corporazioni devote alla causa green. Se diciamo alla gente che sono degli ipocriti e che bisogna assolutamente vivere a impatto zero per sostenere l’ambiente, non facciamo che perdere potenziali attivisti: questo sarebbe certamente il modo per essere sconfitti definitivamente.

Personalmente, vivo in una casa che produce grazie ai pannelli solari più energia di quanta ne consumi, non utilizza gas o combustibili fossili ed è costruita con materiali riciclati. Sono ossessionato dal minimalismo, che è un ottimo modo per ridurre la propria impronta ecologica. Sono vegetariano da sempre e tengo in considerazione l’origine del cibo che mangio; non ho mai mangiato carne, che foraggia un tipo di industria veramente dannosa per l’ambiente. Mi muovo in bicicletta e per i viaggi più lunghi ho una vecchia auto che condivido con la mia ragazza e che verrà sostituita da un mezzo elettrico quando sarà tempo di un upgrade. Ma tutte queste cose, credo, sono meno di una goccia nell’oceano: lo faccio perché ho fiducia che tutto ciò possa aiutare me e gli altri a cambiare il nostro modo di vedere le cose, non perchépenso di poter frenare i cambiamenti climatici».

Hai letto le recenti dichiarazioni del presidente della Federazione Internazionale Sci Gian Franco Kasper, che ha negato l’esistenza del surriscaldamento globale? Hai firmato la petizione di POW per chiedere le sue dimissioni?

«Sì, certamente. Ne sono venuto a conoscenza tramite la newsletter di POW ed è disgustoso sapere che una figura di questo tipo rappresenti un ente così importante per il nostro settore. Gli amici mi hanno detto per anni di quanto obsoleta fosse la FIS e credo che questo episodio non faccia che confermarlo. È un’organizzazione influente e dovrebbe assolutamente agire nell’interesse degli atleti e dei fan di tutto il mondo: negare i cambiamenti climatici in atto è in antitesi con tutto ciò e per questo POW, assieme a 10.000 altri firmatari (tra cui atleti, brand e addetti ai lavori) ha chiesto le sue dimissioni. Le sue opinioni non lo rendono assolutamente idoneo alla guida della federazione».

Sei mai stato in Italia?

«Sì, ci sono stato per la prima volta quest’estate, per sei ore! Assieme al mio amico Brendan Leonard sono stato ospite di un tour organizzato da Run the Alps attraverso Francia e Svizzera, conuna comitiva di loro clienti. Abbiamo corso una versione trail della Haute Route Chamonix-Zermatt, in una decina di giorni. Un giorno, mentre assistevamo alle gare dell’UTMB, io e Brendan abbiamo preso il pullman fino a Courmayeur, mangiato un sacco di pizza e poi siamo tornati in Francia: questo è stato per ora il mio unico soggiorno in Italia. L’ho adorata. Ovviamente, essendo appassionato di ripido e canali, ho sempre voluto andare a sciare nelle Dolomiti, ma ho una regola personale che mi vieta di utilizzare gli impianti di risalita e l’idea di affrontare quelle discese muovendomi unicamente con le pelli mi intimidisce un po’, soprattutto perché chi c’è stato mi ha raccontato che sarebbe un’ambizione un po’ folle. Ma in Italia ci voglio davvero tornare, in qualsiasi periodo dell’anno. Per scalare, o sciare, o mangiare…».

Qual è l’ultimo libro che hai letto?

«Kitchen Confidential di Anthony Bourdain. Per Natale la mia fidanzata mi ha regalato un Kindle che ha riacceso la mia passione per la lettura. Mattatoio n° 5 o La crociata dei bambini, Alone on the Wall e Giorni Selvaggi sono state altre letture recenti. Ora sto leggendo How a Second Grader Beats Wall Street».

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© Joey Schusler