It's the end of the world as we know it?

«Era l’inverno del lontano 2020 e le Dolomiti di Brenta sembravano avvolte da un incantesimo. Dopo giorni di incredibili nevicate finalmente era sbucato il sole. Così, domenica 13 dicembre, non avevamo avuto dubbi sul da farsi. Messe le pelli, eravamo partiti con destinazione quota 2.069 metri. Ricordo le impronte dei camosci confondersi con la mia traccia. Tutto intorno il manto nevoso immacolato illuminava le montagne. Le condizioni erano davvero eccezionali, favolose. Sarebbe stato tutto nella norma se non fosse che stavamo facendo scialpinismo sulla pista Cinque Laghi, che di solito in quel periodo era piena zeppa di sciatori che sfrecciavano a folle velocità verso valle. Accanto a noi, le seggiovie coperte di neve sembravano un reperto d’altri tempi e incutevano una certa tristezza. Madonna di Campiglio era semi deserta. Da allora nulla è stato più come prima. Tutti noi siamo cambiati». 

© Alice Russolo

Inizia così l’articolo It’s the end of the world as we know it di Marta Manzoni, con le stupende fotografie di Alice Russolo che pubblichiamo su Skialper 134 di febbraio-marzo. Una provocazione sul filo sottile delle citazioni musicali per partire alla scoperta di una Madonna di Campiglio irriconoscibile, naturalmente con sci e pelli, ma anche per immaginare come potrebbe cambiare l’offerta turistica della montagna dopo questo inverno inimmaginabile e irripetibile. «Questa situazione porterà un cambiamento. Dobbiamo rallentare. La giostra del su e giù con gli impianti è troppo frenetica, come la nostra vita. In questi giorni per salire in cima ti devi prendere la giornata, te la godi, assapori ogni momento – racconta Martina Marcora, proprietaria del Rifugio 5 Laghi – Mi piace la relazione con le persone e per questo soffro i momenti di alta affluenza, quando il rapporto umano viene meno. Bisogna diluire l’afflusso di turisti su tutto l’arco dell’anno».

«Siamo arrivati a un punto di svolta: la parabola del turismo dello sci alpino è sempre cresciuta e ora improvvisamente ci troviamo in una caduta verticale - dice Bruno Felicetti, direttore delle Funivie Madonna di Campiglio - Le varie forme di outdoor sulla neve non possono più essere considerate in competizione con gli impianti, la logica, al contrario, dev’essere quella dell’integrazione: si potrebbe offrire non più lo ski pass ma un winter pass, una tessera outdoor ricaricabile, per permettere a ognuno di scegliere l’esperienza che preferisce vivere. Questa situazione ha messo in evidenza i limiti della monocultura dell’offerta invernale. La normalità non sarà più quella di prima e su questo dobbiamo interrogarci».

Tante altre voci e idee dalle piste chiuse di Madonna di Campiglio su Skialper 134 di febbraio-marzo.

© Alice Russolo

48 ore al massimo. O la storia di una rapina in Appennino

«La luce è splendida e illumina un sorprendente paesaggio invernale, il bianco candido delle cime spunta in mezzo a un oceano di foresta. In lontananza, le piste da sci di una stazione sciistica chiusa, forse per sempre, attirano la mia attenzione e mi ricordano il Vermontì e gli Stati Uniti. Usciamo dal bosco delle Veline per guadagnare la morbidezza e le curve dolci dei pendii che brillano al sole, l’aria rimane relativamente fresca e non c’è un filo di vento. Questa salita è una pura meraviglia, Layla, che aveva avuto qualche dubbio a lasciare l’abbondante nevicata di Chamonix, ora è in paradiso. C’è molta gente intorno alla croce artisticamente incrostata di ghiaccio in cima al Monte Cusna; è il punto più alto della provincia di Reggio Emilia, a 2.121 metri sul livello del mare, e attira una folla variopinta venuta a festeggiare la gioia dell’inverno e della neve fresca».

È il racconto di Bruno Compagnet, arrivato in fretta da Chamonix per trovare le giuste condizioni sull’Appennino Emiliano, come si fa per l’onda giusta nel surf, quell’onda che aspetti per anni, a raccontare la meraviglia dello scialpinismo al Monte Cusna a dicembre, dopo le nevicate record di inizio stagione. In prossimità delle piste di sci chiuse, accanto a ciaspolatori e curiosi. Due giorni di sci intenso, di sci-scoperta. Un reportage alla ricerca dell’essenza di sci e pelli in questo momento così particolare della nostra esistenza. Non solo una descrizione dei luoghi, ma una riflessione sulla bellezza di scivolare nella neve fresca, di conquistarsi ogni curva, di respirare aria pura a pieni polmoni.

© Layla Kerley

«Ci sono i vecchi con l’attrezzatura collaudata, esausta e a volte anche un po’ obsoleta, e poi ci sono i giovani, i nuovi, quelli che leggono le riviste specializzate di sci, che sono attivi su Instagram, e quelli che se ne fregano. Oppure quelli che fuggono dall’atmosfera soffocante delle città. C’è tanta gente e io sono diventato un vecchio solitario, ma per una volta sono felice di vedere persone entusiaste di uscire a prendere un po’ d’aria fresca, senza mascherine, di vedere e sentire tutto questo parlare, toccare, sorridere. Non importa se con gli sci o le ciaspole, ecco che dai vari tracciati e dalla pista diversi gruppi invadono la salita».

E poi… ci sono le splendide fotografie di Layla Kerley a documentare una sciata con lo sguardo che corre dal mare al Monte Rosa. L’articolo completo è su Skialper 134 di febbraio-marzo. 

© Layla Kerley

La Grande Course tra cancellazioni e speciali edition

Visto l’annullamento del Trofeo Mezzalama e con la Pierra Menta riservata ai soli atleti nazionali nella gara che venerdì 12 marzo assegnerà il primo titolo mondiale ISMF-LGC Long Distance per squadre, il comitato organizzatore de La Grande Course ha deciso all’unanimità che il nuovo circuito riprenderà di fatto nel 2022 con L’Altitoy Ternua e terminerà nel 2023 con il Trofeo Mezzalama. Per chi nell’anno corrente avesse già acquistato la tessera, quella in suo possesso sarà comunque valevole per il triennio che ci attende.

ADAMELLO SKI RAID SPECIAL EDITION 

Pur non essendo tappa del circuito, il 10 aprile andrà in scena la settima edizione dell'Adamello Ski Raid. Le iscrizioni sono già aperte e, sulle montagne di confine tra Lombardia e Trentino, lo spettacolo è assicurato. Per l’occasione i ragazzi di Alessandro Mottinelli hanno infatti promesso un tracciato davvero ‘extreme’ per veri gourmet del mondo race. Vista la tecnicità del percorso, 34 chilometri di sviluppo, 3.400 m D+, saranno ammesse ai blocchi di partenza non più di 160 squadre. Nel caso in cui il numero di richieste superi la disponibilità, per stabilire le priorità verranno tenuti in considerazione il curriculum degli atleti e la data di invio del modulo. Come anticipato, dato che il circuito della Grand Course quest’anno non avrà luogo, l’Adamello Ski Raid 2021 sarà gara Fisi aperta agli stranieri e assegnerà punti preziosi per chi, il prossimo anno, sogna le grandi classiche. Maggiori info su: www.adamelloskiraid.com

GARE AFFILIATE

Sono eventi scelti ad hoc per qualità organizzativa e tecnicità dei tracciati volti ad accrescere la formazione alpinistica degli atleti per garantire loro il bagaglio tecnico necessario per correre le grandi classiche. Proprio come L’Adamello Ski Raid 2021, queste gare forniranno ai finisher una sorta di wild card per un accesso diretto alle iscrizioni delle grandi classiche dello skialp. Le gare affiliate 2021 e attualmente in calendario sono:

- La Grande Trace, Le Dévoluy (F) in programma 13 e 14 febbraio.

- Transcavallo, Alpago - Piancavallo (I) in programma il 20 marzo.

- La Belle Étoile, Les 7 Laux - Isère (F) in programma il 27 e 28 marzo.


Gruppo vacanze Sellaronda

«Arrivo a Canazei alle dieci di sera di una sera qualunque di dicembre, le poche luci accese sono quelle delle insegne. Dopo l’uscita dall’autostrada avrò incontrato sì e no una decina di auto: più che nel cuore del Dolomiti Superski, sembra di essere in una di quelle valli un po’ decadute, frequentate solo da scialpinisti e scalatori. Il mio è uno dei pochi alberghi aperti, ci sono un paio di turisti e pochi altri ospiti che sono lì per lavoro. Una volpe attraversa la strada mentre scarico le valigie, fa freddo».

Comincia così l’articolo Gruppo Vacanze Sellaronda di Federico Ravassard, autore anche delle fotografie, su Skialper 134 di febbraio-marzo. Un racconto del Sellaronda desolatamente vuoto, di una delle massime espressioni del turismo invernale di massa trasformata in ritrovo per qualche scialpinista. «Nella sola Val di Fassa, ad esempio, tra alberghi, appartamenti e seconde case si contano oltre 56.000 posti letto disponibili, a fronte di una popolazione che non arriva ai 10.000 abitanti. Nella vicina Val Gardena le presenze annue superano il milione, distribuite in più di 700 strutture ricettive. Più di metà degli arrivi sono stranieri, un terzo del totale è di origine tedesca. Nella stagione invernale metà del fatturato viene prodotto nei mesi di gennaio e febbraio, il resto si sparpaglia, fra dicembre, marzo ed aprile. Questo significa avere un modello economico, quello del turismo invernale, basato sul fare grandissimi numeri ma in un periodo di tempo brevissimo, e a quel periodo dedicare – o sacrificare, dipende dai punti di vista – tutto il resto, dalle risorse naturali a quelle umane. È come se un negozio decidesse di aprire solo per un paio di mesi all’anno, vendendo pochissimi prodotti: certamente può funzionare, e la prova sono i pop-up store che vendono capi di moda in edizione limitatissima. Ma, proprio come nel mondo del fashion, basta poco perché un prodotto rimanga invenduto e per mandare tutto all’aria: questione di trend e di collezioni, oppure di pandemie».

Le 20 pagine di reportage che dedichiamo al Sellaronda, ma anche al fuoripista della Val Mezdì, non sono solo il racconto di un inverno diverso, ma la voce di chi di solito quell’inverno non ha tempo di viverlo, cioè di quei professionisti della montagna, Guide, Maestri, albergatori, che proprio nel periodo che amano di più si trova costretti a fare gli straordinari. E invece per un anno si sono goduti il loro parco giochi privato. Non senza leccarsi le ferite, perché quel parco giochi è anche la loro fonte di reddito. «Chiudere gli impianti da sci non significa levare un giochino del weekend a borghesi annoiati, ma di fatto tagliare alla base una catena che tiene in vita indirettamente una miriade di piccole attività e lavoratori stagionali, all’incirca 400.000 persone in tutta la penisola». Per fortuna rimane il fatto che «non è detto che sciare sia un’attività funzionale a risolvere qualsiasi tipo di problema, ma di sicuro ti pone nella condizioni di guardarlo in un modo più leggero».

© Federico Ravassard

Sci e pelli, la filosofia di Livigno

Se ne può discutere all’infinito: è scialpinismo salire accanto alle piste e scendere in pista? Non etimologicamente parlando, piuttosto ski fitness o se vogliamo ski touring, che non ha nella terminologia la parola alpinismo. Non c’è dubbio però che, a maggior ragione in una stagione come questa, con impianti finora chiusi e tanti appassionati che hanno acquistato o affittato l’attrezzatura da scialpinismo, una strategia di avvicinamento dolce sia diventata ancora di più un’esigenza. Per permettere a chi non lo ha mai fatto di provare in tutta sicurezza sci e pelli e poi magari fare un ulteriore passo nella montagna aperta.

Da diversi anni Livigno propone una filosofia di avvicinamento al freeride e allo scialpinismo con percorsi di risalita segnalati e battuti. Un progetto, quello della località valtellinese, che non si limita agli itinerari ma cerca di trasmettere anche una cultura della sicurezza. Per questa strana stagione l’offerta legata a sci e pelli prevede quattro itinerari di risalita segnalati, battuti e monitorati con dislivelli da 460 ai 620 metri che permettono di raggiungere le piste di sci per la discesa, oppure per una sciata in neve fresca seguendo le tracce della salite. Il consiglio è comunque quello di avere sempre con sé il set sonda-pala-artva nel caso si opti per la discesa fuoripista. Inoltre vengono sempre evidenziate le sei regole d’oro della sicurezza: bollettino valanghe, set di autosoccorso, prudenza, utilizzo del casco e uscita con almeno un compagno, rivolgersi alle Guide alpine se non ci si sente sicuri e prestare soccorso e chiamare immediatamente il 112 in caso di incidente. Un’offerta, quella legata a sci e pelli, che è stata potenziata in questa stagione e ha visto un’alta adesione, segno che una porta d’entrata ‘dolce’ al mondo dello scialpinismo è un’esigenza reale. 


Finché c'è neve c'è Speranza

«In montagna ho fatto più o meno tutto, più o meno bene: salite invernali, arrampicate in falesia d’estate, trekking, corse in quota, ciaspolate a non finire, sci su pista e sci da fondo. In quest’ultimo settore ho partecipato pure a qualche gara e ad almeno una dozzina di Marcialonghe, a partire dalla prima, quella del remoto 1971. Solo per farvi intendere l’età che ho accumulato. Mi mancava dunque lo scialpinismo. È un po’ che ce l’avevo in mente ma per smuovermi davvero ci volevano due cose indispensabili: l’occasione e la compagnia giusta. Adesso l’occasione l’ho trovata: la quarantena nella casa di montagna».

Inizia così l’articolo Finché c’è neve c’è Speranza, di Franco Faggiani, affermato e premiato autore di romanzi (La Manutenzione dei Sensi, Il Guardiano della collina dei ciliegi, Non esistono posti lontani), oltre che ex responsabile dell’ufficio stampa del Tor des Géants, su Skialper 134 di febbraio-marzo. Un racconto giocato sul filo di un’intelligente ironia per raccontare le domande e le emozioni di fronte alle quali si sono trovati in molti in questa stagione invernale che ha fatto muovere i primi passi con sci e pelli a tanti sciatori. Speranza Vigliani è l’amica milanese di Faggiani che lo accompagna nella prima, semplice, escursione di scialpinismo. 

«Posizione centrale - dice Speranza Vigliani - niente uso degli spigoli, movimenti accentuati di flessione-distensione e appoggio dei bastoncini, che danno il ritmo. Fluidità, scioltezza, naturalezza. Niente lunghi diagonali, per non rallentare e rendere difficili le curve. Tutto qui». E Faggiani pensa, tra sé e sé, «Certo, tutto qui. Ora che mi concentro su ogni singolo elemento viene Natale 2021 ma in questo caso bisogna fare tutto insieme, contemporaneamente». 

Esilarante anche il racconto della tecnica di salita e di tutto l’abbigliamento ficcato nello zaino. «Decenni di passo alternato nello sci da fondo mi aiutano a coordinare i movimenti, ma un conto è andare in piano tra i binari ben tracciati delle vicine piste olimpiche di Pragelato, un conto è salire, salire, salire e cercare di stare dietro a Speranza che sembra andare con una lentezza esasperante e invece guadagna centimetri ad ogni scivolata. Lei scivola, io zampetto, qui sta la differenza. C’è anche da aggiungere che il sottoscritto, da neofita, ha portato nello zaino tutto quel che serve per proteggersi dal blizzard, dalla nevicata del secolo, dall’invasione delle locuste, dall’arrivo del vento dal Sahara, dall’alluvione e da ogni altra avversità dovuta ai cambiamenti climatici, sempre più imprevedibili. Speranza, che aveva controllato di nuovo le previsioni meteo, solo quel che serve davvero in una giornata di sole tiepido che fa rintanare il freddo del mattino nelle zone ombrose di fondovalle». Il racconto di Faggiani è illustrato da una serie di fotografie evocative di Mattias Fredriksson, in bianco e nero. 

© Mattias Fredriksson

Adamello Ski Raid il 10 aprile su un percorso diverso

L’attesa è stata lunga, ma ora l’Adamello Ski Raid, la prestigiosa competizione scialpinistica che si svolge ogni due anni a cavallo fra Lombardia e Trentino, è in rampa di lancio. La settima edizione si svolgerа sabato 10 aprile, organizzata dall'Adamello Ski Team, forte dell'esperienza maturata nel dicembre scorso, quando organizzò in sicurezza a Ponte di Legno la prima tappa di Coppa del Mondo. Fra due mesi circa 160 squadre si daranno quindi battaglia su un nuovo percorso, studiato per adattarsi alle circostanze e soprattutto per ovviare all’indisponibilità dei rifugi alpini, supporto fondamentale per la logistica, ma non per questo meno selettivo e affascinante di quello tradizionale. 

«Sarà comunque necessaria un’ottima esperienza alpinistica, oltre ad una buona preparazione fisica, per partecipare a questa gara – spiega il presidente del comitato organizzatore Alessandro Mottinelli – dato che abbiamo reso ancora più tecnico il tracciato per compensare la sua riduzione: avrà una lunghezza di 34 chilometri e un dislivello positivo complessivo di 3.400 metri. La pandemia ci costringe ad accogliere un numero inferiore di coppie rispetto al solito, ma rimane un appuntamento top».

Le iscrizioni si apriranno dal primo minuto della giornata di lunedì prossimo (8 febbraio) e dovranno essere inviate, al solito, utilizzando l’apposita sezione presente sul sito de
La Grande Course. C’è tempo fino al 29 marzo o fino a quando non si esauriranno i 160 posti disponibili per ogni coppia. Nel caso in cui il numero di richieste superi la disponibilità, per stabilire le priorità verranno tenuti in considerazione il curriculum degli atleti e la data di invio del modulo. Ci sarà tempo fino al 29 marzo per comunicare la modifica delle coppie.Dato che il circuito della Grande Course quest’anno non avrà luogo, ridotto ad una sola giornata di gara il programma della Pierra Menta, e annullato il Mezzalama, l’Adamello Ski Raid 2021 sarà gara Fisi aperta agli stranieri. Il quartier generale sarà allestito al palasport di Ponte di Ponte di Legno, struttura capiente in grado di ospitare al meglio briefing, premiazioni e pasta party finale.


Scala del pericolo e incidenti da valanga

La notizia dei recenti incidenti avvenuti in Valle Maira il 31 gennaio mi ha raggiunto proprio il giorno precedente ad una mia deposizione, in veste di perito, presso il Tribunale di Aosta, che deve pronunciarsi in merito alle possibili responsabilità degli organizzatori dell’escursione durante la quale il distacco di una valanga ha provocato la morte di due partecipanti. Nella mia perizia ho fatto anche riferimento al Supporto Interpretativo prodotto dal ben conosciuto IFNV (Istituto Federale Neve e Valanghe) di Davos.

In queste note voglio riportare alcune nozioni che ho prelevato proprio dal Supporto interpretativo, nozioni che dovrebbero essere ben conosciute dai praticanti dello sci al di fuori delle aeree controllate, ma che qui richiamo perché, a volte, lo stesso pensiero può essere reso più chiaro semplicemente mutando la forma espressiva. Ecco, con altro carattere, i passaggi che ritengo interessanti; ho aggiunto solo alcune sottolineature per richiamare l’attenzione sui punti che ritengo più significativi.

Il pericolo delle valanghe

Le valanghe sono un pericolo naturale del tutto particolare: diversamente da un maremoto o terremoto, il processo pericolosodella valanga può essere innescato dall’uomo. Quando qualcuno attraversa un pendio pericoloso, il suo sovraccarico può provocare il distacco di una valanga. Oltre il 90% degli appassionati di sport invernali sepolti hanno causato personalmente la propria valanga oppure a provocarla è stato un altro membro della stessa comitiva.

Le varie sfaccettature del pericolo di valanghe

Il grado di pericolo è una misura che indica quanto è alto il pericolo di valanghe anche in presenza di situazioni valanghive meno tipiche. Qui di seguito vengono descritte le varie sfaccettature del pericolo di valanghe e la loro valutazione da parte del servizio di avviso valanghe. Dal momento che si tratta di situazioni atipiche, l’elenco non potrà mai essere completo. In situazioni atipiche sono indispensabili scostamenti dalla definizione del grado di pericolo. Questi vengono descritti nel miglior modo possibile nella descrizione del pericolo contenuta nel bollettino delle valanghe.

Gradi di pericolo: un quadro semplificato della realtà

Il pericolo di valanghe non aumenta in modo lineare da un grado all’altro, ma in maniera sproporzionata. In questo caso:

  • la stabilità del manto nevoso e con lei anche il sovraccarico necessario per provocare il distacco di una valanga diminuiscono, causando un aumento della probabilità di distacco di valanghe.
  • la diffusione dei punti pericolosi aumenta, cioè i punti in cui le valanghe possono subire un distacco spontaneo o provocato sono più numerosi e le dimensioni delle valanghe aumentano.

Nei giorni in cui sono avvenuti gli incidenti il livello di pericolo annunciato dal Bollettino Valanghe per la zona interessata era 3 – marcato. Sui dizionari della lingua italiana il vocabolo marcato è definito: Ben avvertibile, chiaramente evidente, accentuato, spiccato.

Per questo livello di rischio, il Supporto Interpretativo fornisce le precisazioni riportate a seguire:

Situazione valanghiva critica: I rumori di whum e le fessure sono tipici. Le valanghe possono facilmente essere staccate, soprattutto sui pendii ripidi alle esposizioni e alle quote indicate nel bollettino delle valanghe. Possibili valanghe spontanee e distacchi a distanza.

Raccomandazioni per le persone che praticano attività fuoripista: questa è la situazione più critica per gli appassionati di sport invernali! Sono necessarie una scelta ottimale dell’itinerario e l’adozione di misure atte a ridurre il rischio. Evitare i pendii molto ripidi alle esposizioni e alle quote indicate nel bollettino delle valanghe. Persone inesperte dovrebbero rimanere sulle discese e sugli itinerari aperti.

Ma in quei giorni soffiava vento e quindi erano possibili oscillazioni del livello di pericolo verso 4 – forte. Ancora un’ultima citazione dal Supporto interpretativo, un avvertimento che deve sempre essere tenuto presente quando ci si muove in condizioni di variabilità meteorologica.

Il pericolo di valanghe cambia nel tempo e all’interno del periodo di validità del bollettino valanghe può passare da un grado di pericolo a quello precedente o successivo. Normalmente l’aumento del pericolo, causato ad es. da una nevicata o dal vento, avviene in modo nettamente più veloce che la sua diminuzione.

Concludo con una mia osservazione:

  • Una nevicata fa aumentare il pericolo in modo progressivo e regolare su tutto il territorio, in proporzione all’entità della precipitazione ed all’inclinazione dei versanti interessati.
  • Il vento agisce in funzione della direzione e velocità, ma subisce le infinite variazioni di velocità e direzione imposte dalla morfologia dell’ambiente, per cui i processi di erosione, trasporto e ridistribuzione del manto nevoso sono raramente ben localizzabili e, talvolta, tragicamente sorprendenti.

La fotografia in apertura di questo articolo della zona in cui è mosso il Tenente Filippo Calandri lo dimostra chiaramente: il canalone è stato disceso senza difficoltà; poco lontano, appena oltre il traverso a destra, era celato il trabocchetto preparato dal vento.

INTEGRAZIONE:

Il NUCLEO RILEVAMENTO DEL 1° REGGIMENTO ARTIGLIERIA DA MONTAGNA ha effettuato una ricerca sulle cause del distacco del 31 gennaio sul pendio della Cima Cobre ed ha condotto una prova penetrometrica il cui risultato è riprodotto nel profilo conclusivo della relazione.

Partendo dall’alto, si possono riconoscere:

  1. Quattro sottili strati, per uno spessore complessivo di ≈ 35 cm, di neve recente per precipitazione o trasportata dal vento (simbolo linea tratteggiata), tutti a debole coesione.
  2. Questi strati, ricoprono un lastrone, abbastanza resistente, spesso ≈25 cm (il simbolo a lato indica particelle rotonde sfaccettate).
  3. Sotto al lastrone si trova uno strato di ≈ 25 cm di cristalli sfaccettati (simbolo quadretto); la resistenza dello strato è molto bassa, come mostra chiaramente il rientro della linea di profilo.
  4. Infine uno strato di fondo di policristalli (grumi di granuli ghiacciati) di buona resistenza.

Lo spessore degli strati di superficie non è stato sufficiente a smorzare gli incrementi di pressione che lo sciatore in discesa esercitava sul manto nevoso; ne è conseguito che queste sollecitazioni hanno potuto raggiungere il lastrone e lo strato debole sottostante, provocando la frattura di quest’ultimo. Il lastrone, privato del sostegno al letto, è rimasto “aggrappato” agli ancoraggi periferici, ma questi erano sottili e, inoltre, l’ancoraggio a monte, come si vede bene nell’immagine n° 2, era interrotto dai due grandi massi che affiorano dalla neve. In queste condizioni non era possibile aspettarsi altro che la frattura ed il distacco del lastrone.

© Elisabetta Caserini
© Elisabetta Caserini

 

 


Dentro la Corsa della Bora

Quando un’ora prima della tua partenza fuori è buio e il vento sembra voler scoperchiare la casetta in cui ti trovi, ti viene il dubbio che quella di iscriverti alla distanza più lunga della Corsa della Bora, con partenza alle 22.30 di sabato 9 gennaio, sia stata una pessima idea. Poi ti rendi conto che sono mesi che hai voglia di tornare a spillarti un pettorale, che dalle edizioni degli scorsi anni il Carso e il suo fascino rude ti sono rimasti nel cuore, che in realtà quel vento che ruggisce là fuori non vedi l’ora di sentirtelo addosso, e allora ti vesti, molto bene, e vai.

Non amo chi parla con toni troppo enfatici del trail running, non trovo nulla di eroico nel seguire le proprie passioni su e giù per i monti, anche quando ti fanno stare sveglio per varie notti e ti consumano le suole a forza di chilometri e dislivello: sono ben altre le cose importanti e ammirevoli nella vita. Eppure la Corsa della Bora quest’anno a suo modo eroica lo è stata davvero. Non per chi è riuscito ad arrivare in fondo, ma per chi è riuscita a portarla alla partenza.

Il lavoro organizzativo complessivo è stato veramente mastodontico, perché una volta acquisito lo status di gara di interesse nazionale, e quindi la possibilità di far arrivare i concorrenti da tutta Italia anche in giorni di zona arancione, l’organizzazione guidata da Tommaso de Mottoni ha dovuto impararsi a memoria tutti i DPCM usciti negli ultimi 12 mesi e trovare il modo di rispettare alla lettera ogni singolo cavillo. Ne è uscita una manifestazione molto diversa dal solito, fin dal ritiro dei pettorali, con orario da prenotare per tempo per evitare assembramenti davanti alla segreteria, per proseguire nella partenza, sparpagliata su più orari diversi, e nei ristori durante la gara, dove ogni concorrente prendeva il suo sacchettino già pronto e schizzava via. Ma al di là del lavoro vero e proprio, il merito maggiore degli organizzatori è probabilmente quello di averci sempre creduto, dando dimostrazione concreta del fatto che davanti alle difficoltà si può arrendersi, o arrampicarcisi sopra. 

Certo, le gare tradizionali, con il pasta party e tutte le altre occasioni di socialità dentro e fuori dalla corsa vera e propria, mancano a tutti e a tutte, ma una manifestazione un po’ asettica come questa è comunque mille volte meglio di stare a casa a struggersi per la nostalgia del pettorale. Tornando alle cose di corsa, la 80 km non è stata certo una passeggiata di salute (e, visto che la Bora ha proseguito a soffiare imparziale anche per tutta la giornata di domenica, neanche le distanze più corte lo sono state).  Durante la notte sono state registrate temperature di -10 °C, con raffiche di Bora fino a 130 km/h che hanno molto abbassato ulteriormente la temperatura percepita.  Eppure essere lì, nel buio, con il vento che suonava tutti gli alberi della foresta e, dove mancava la foresta, suonava abbondantemente anche te, è stato a suo modo magico. Personalmente ho sentito molto la mancanza delle stelle e del cielo azzurro, ma forse è giusto che il Carso ti accolga con il colore della sua roccia, anche sopra la testa.

Freddo, era freddo, ma con un minimo di attrezzatura (pantalone lungo felpato rinforzato con collant 40 denari, doppia canottiera termica più manicotti, maglietta pesante, guscio in Gore-Tex, scaldacollo in pile, berretto e doppio paio di guanti…) si è potuto correre più che bene. Unico  momento davvero critico alla base vita di metà gara, dove molti avrebbero voluto cambiarsi, ma il protocollo anti contagio permetteva l’ingresso contemporaneo nei locali riscaldati di un numero esiguo di persone, e dopo due minuti ad aspettare fermi all’aperto il freddo iniziava ad entrare nelle ossa. Dopo gli abbondanti saliscendi della prima parte della gara, con ampia panoramica by night sul golfo di Trieste, doppia scampagnata fin sul confine sloveno prima sul Monte Orsario e poi sui 650 metri dell’anonimo punto più alto della gara, e faticosa risalita alla Vedetta di San Lorenzo con nuova e differente visuale sul golfo di Trieste, gli ultimi 30 chilometri, rappresentati in un fumetto sarebbero stati pieni di puff – puff – pant – pant!. Ad attendere i concorrenti, già piuttosto provati da Notte&Bora, c’era infatti una sequenza di strade sterrate e sentieri, a volte affacciati sul mare, a volte stritolati fra due dei milioni di muretti di sasso del Carso, dove chi aveva gambe buone poteva correre a 4 al chilometro, e chi non le aveva avrebbe tanto desiderato averle, per far avvicinare il traguardo un po’ più velocemente. Quest’anno niente romantica escursione sui ciottoli della spiaggia prima di Porto Piccolo, ma foto ricordo davanti alla Grotta Azzurra di Samatorza, prima degli ultimi infiniti 7 chilometri fra le campagne. Poi finalmente l’arrivo, nel gelo della Bora e della solitudine del traguardo, dove le norme anti pandemia hanno fatto piazza pulita di amici, conoscenti, tifosi o semplicemente degli altri atleti già arrivati. 

E ancora una volta è venuto da ringraziare chi nonostante tutto ci ha permesso di essere lì con le gambe a pezzi e i polmoni congelati, ma anche da sperare fortissimamente di poter tornare al più presto anche a sbaciucchiarsi e scambiarsi sudori dopo l’arrivo.


Trail-food

Molte delle comodità a cui eravamo abituati non saranno disponibili, ma questo significa anche che potrebbero presentarsi piacevoli scenari inaspettati se saremo pronti a coglierli. In fondo, per quanti sarà davvero un deterrente l’idea di non trovare un rifugio o un bar aperto a fine gita? Era bello fermarsi con gli amici a bere una birra dopo una sciata, certo. Per non parlare della comodità di poter pernottare in quota e raggiungere la cima dopo una colazione al caldo. Ma non era ciò che ci motivava a partire e non lo sarà neanche adesso. Anzi, in alcuni casi il rifugio o l’impianto in funzione erano addirittura motivo per cambiare destinazione: il rischio di ritrovarsi in un luogo troppo affollato ha sempre fatto desistere chi dalla montagna si aspetta esperienze di stampo più esplorativo. Perché non riorganizzare questa stagione invernale anomala e ripartire dalle basi, ricordandosi che in fondo tutto quello che serve è un paio di sci ai piedi? Anzi, un paio di sci ai piedi e un pranzo al sacco.

Ed è per questo che su Skialper 134 di febbraio-marzo parliamo di trail-food. Una pratica che nasce tra backpacker e thru-hiker d’oltreoceano dove, a differenza di quanto accade normalmente nei territori alpini, i punti per rifornirsi lungo i più famosi cammini di lunga percorrenza distano normalmente parecchi giorni l’uno dall’altro. Più che di scienza culinaria si tratta di una vera e propria cultura dell’arrangiarsi nella wilderness. E di un modo per produrre meno rifiuti e fare una scelta più consapevole e amica dell’ambiente. Come si fa? Basta avere un essiccatore, ma anche un forno ventilato, con alcune accortezze, può funzionare. Abbiamo chiesto a Elisa Bessega, che si produce il cibo per le sue avventure nella natura, di darci qualche dritta e di consigliarci qualche ricetta. Per esempio quadretti energetici al cioccolato, cous cous e infuso di zenzero e limone. Non resta che comprare Skialper e provare le ricette. 


Salomon, obiettivo sostenibilità

Salomon annuncia un ambizioso piano ambientale che coinvolgerà design e sviluppo dei pordotti per gli sport invernali. Entro il 2030 l’azienda di Annecy punta a ridurre le sue emissioni complessive di CO2 del 30% e si è impegnata a creare il 100% dei prodotti attraverso i principi dell’economia circolare. A seguire il comunicato stampa ufficiale dell’azienda. 

Riconoscendo come il futuro dello sci alpino, dello sci nordico e dello snowboard siano direttamente influenzate dai cambiamenti climatici, Salomon da oggi conferma che la sostenibilità sarà un aspetto importante in relazione ai parametri di performance industriale per quanto concerne i prossimi prodotti declinati agli sport invernali. Per agire concretamente lungo l'intera filiera Salomon Winter Sports ha stabilito un piano per operare a lungo termine in modo più sostenibile:

- Lancio di una linea di prodotti per gli sport invernali innovativi e altamente sostenibili

- Definizione di un elenco di ‘principi fondamentali’ di sostenibilità che tutti i prodotti per gli sport invernali dovranno soddisfare entro il 2025, in linea con la strategia di sostenibilità globale di Salomon

- Collaborazione con i partner commerciali e nei canali di distribuzione, nonché l’impegno con la comunità degli sport invernali per definire un dialogo collettivo verso obiettivi di sostenibilità

Salomon Winter Sports ha già istituito una serie di misure di sostenibilità in tutti i processi della sua attività, ad esempio riducendo gli imballaggi, migliorando la durata e la riparabilità dei prodotti, rimuovendo sostanze chimiche e composti inquinanti e, poi, integrando l'uso di materiali più sostenibili. (I dettagli di queste azioni sono descritti di seguito).

«In qualità di leader mondiale nel mondo degli sport invernali, ci sentiamo in dovere di dare un esempio di come la nostra attività possa operare in modo sempre più sostenibile» afferma Xavier LeGuen, Vice Presidente Winter Sports Salomon. «La salute degli sport che amiamo dipende dal pianeta e questa è un'opportunità per fare la nostra parte e aiutare a mostrare la via da seguire condividendo i nostri pilastri di sviluppo sostenibile all'interno del processo produttivo. In futuro, ci aspettiamo che l'intero settore degli sport invernali possa cooperare per portare avanti gli sforzi in questo settore e avere un impatto positivo sulla minaccia climatica che tutti noi dobbiamo affrontare». La natura altamente tecnica delle attrezzature per gli sport invernali lascia poco spazio alla variabilità del design, solitamente destinato alle modifiche per implementare elementi sostenibili nei prodotti. La natura di prodotti come gli sci, che sono composti da metalli, fibre di vetro/carbonio e legno, rende la produzione sostenibile un compito arduo per i professionisti della ricerca e sviluppo. Nonostante questa sfida, il Dipartimento Winter Sports di Salomon si impegna a tracciare un nuovo percorso negli anni a venire, guidato dagli obiettivi stabiliti negli impegni globali di sostenibilità dell'azienda già presentati nel 2019. Come Salomon ha recentemente iniziato a attuare nella sua linea di calzature, il Team di progettazione dedicato agli sport invernali sta ora lavorando per sviluppare un'eccellenza nella sostenibilità che, però, non vada a compromettere le prestazioni.

IL NUOVO SCI NORDICO S/MAX eSKIN UTILIZZA BOTTIGLIE DI PLASTICA RICICLATA NELLA COSTRUZIONE DEL NUCLEO 

Questo mese, Salomon presenta il nuovo sci nordico S/MAX eSkin, il primo sci dell'azienda realizzato con un “atteggiamento mentale” sostenibile: la costruzione principale dello sci utilizza bottiglie di plastica riciclate. La nuova anima si chiama S-CORE 45, dove la S sta per sostenibile e 45 che rappresenta la percentuale del peso del nucleo prodotta dalla schiuma di poliuretano (PET) riciclata dalle bottiglie di plastica (la percentuale si riferisce ad una lunghezza di 201 cm). Il PET riciclato viene inserito in uno stampo Densolite, conferendo all'S-Core 45 la miscela perfetta di leggerezza e durata. Non bisogna però lasciarsi ingannare dalla declinazione ecologica dello sci: il nuovo S/MAX eSkin ha tutte le caratteristiche di un prodotto per accelerare sulla neve. Non a caso, presenta lo stesso profilo e la sciancratura degli sci da gara utilizzati da Salomon in Coppa del Mondo, ovvero, lo sci S/LAB Carbon Classic prodotto di riferimento per quanto è in grado di offrire in scorrevolezza e accelerazione. I nuovi sci S/MAX eSkin saranno disponibili a partire dall’autunno del 2021. Una fornitura prestabilita limitata di sci S/MAX eSkin arriverà in esclusiva questo mese ad un selezionato numero di rivenditori in Scandinavia, patria dello sci nordico.

«Lo sci S/MAX eSKIN è il risultato di tre anni di ricerca e sviluppo per trovare la migliore combinazione in grado di ridurre l'impatto delle nostre materie prime, mantenere i nostri elevati standard di durata e fornire le prestazioni che gli sciatori si aspettano, il tutto a un prezzo competitivo» afferma Aloïs Vacelet, Product Line Manager di Salomon Nordic Skis. «Ci impegniamo anche a rendere lo sport più accessibile e, con la tecnologia eSKIN, non è più necessario sciolinare. Si tratta di grip senza cera a scorrimento silenzioso. Inoltre, con l'attacco SHIFT-IN, puoi regolare le prestazioni a seconda delle condizioni di neve, del profilo della pista o della tua forma fisica. E puoi fare tutte queste cose restando sugli sci».

LE MISURE DI SOSTENIBILITÀ GIÀ ATTUATE DA SALOMON NEL SETTORE SPORT 

INVERNALI Oltre a creare prodotti di punta a tema sostenibile, le varie categorie all'interno del business degli sport invernali di Salomon hanno lavorato per incorporare quelle ‘basi0 della sostenibilità che hanno un impatto globale nelle seguenti aree:

• IMBALLAGGIO: Tutti gli imballaggi realizzati in cartone per gli scarponi da sci alpino e nordico, scarponi da snowboard, attacchi, caschi e occhiali sono certificati FSC al 100%; tutte le plastiche monouso negli imballaggi degli scarponi da snowboard sono state eliminate; i sacchetti di plastica attorno alle coppie di bastoncini da sci sono stati sostituiti con una speciale piccola clip risparmiando così più di 5,4 tonnellate di plastica all'anno (12,6 tonnellate di CO2); la classica “finestra” in materiale plastico posta sulla confezione degli occhiali è stata sostituita con una scatola totalmente in cartone certificato FSC, eliminando l’utilizzo di colla; sono stati rimossi dall'imballaggio degli attacchi da snowboard oltre 1 milione di sacchetti di plastica monouso

• DURATA E RIPARABILITÀ: il 100% degli attacchi da snowboard è riparabile e le piastre che li compongono ora hanno una garanzia a vita, valorizzando il riutilizzo nel tempo rispetto al consumo

• ESCLUSIONE DI SOSTANZE CHIMICHE E MATERIALI INQUINANTI: il 100% di tutti gli scarponi da snowboard Salomon è privo di PFC/PVC; gli snowboard ora utilizzano parti in sughero invece di altre in gomma per un passaggio più ecologico; l'intera linea di scarpe da sci nordico sarà priva di PFC/PVC entro l'autunno/inverno 2023; la linea di scarponi da sci alpino sarà priva di PFC/PVC entro l'autunno/inverno 2025

• INTEGRAZIONE DI MATERIALI PIÙ SOSTENIBILI: tutte le pelli per lo sci di fondo, lo sci nordico e lo splitboard per snowboard ora utilizzano Mohair proveniente da una produzione sostenibile e cruelty-free; i nuclei dello snowboard nella loro costruzione utilizzano più materiali di origine biologica; in tutti gli attacchi da sci alpino di colore nero, il 10% del prodotto è realizzato con materiali riciclati

Oltre a questi differenti passaggi messi in atto presso la sede di Salomon ad Annecy, in Francia, il polo produttivo dedicato agli sci Amer Sports ad Altenmarkt, in Austria (dove vengono prodotti gli sci Salomon e Atomic), ha svolto un lavoro esemplare con il suo sistema di gestione dei rifiuti e l'approvvigionamento energetico. Il team Amer Sports Winter Sports Operations ha ricevuto il premio Austrian Phönix 2014 per la gestione dei rifiuti e il programma di riutilizzo degli stessi presso la struttura, la quale funziona al 100% con elettricità rinnovabile e disponendo di una centrale elettrica a biomasse.

«L’impulso a questi cambiamenti è arrivato dai nostri dipendenti, appassionati nel fare le cose in modo consapevole, così come da alcuni dei nostri atleti professionisti e ambassador, sempre molto impegnati sul fronte della sostenibilità ambientale» afferma LeGuen. «Gli ambassador di lunga data dello sci Salomon come Mike Douglas, Chris Rubens, Victor Galuchot, Greg Hill, Leah Evans e tutti i nostri atleti hanno espresso il desiderio di vedere Salomon realizzare i suoi prodotti dedicati agli sport invernali con un nuovo approccio sostenibile che non sacrifichi le prestazioni dei nostri prodotti».


Maître Vivian

Mai sopra le righe, mai oltre gli 88 millimetri al centro, uno stile sul ripido impeccabile, un’esperienza enorme. E tanta disarmante semplicità. Vivian Bruchez è lo sciatore che non passa mai di moda. Ed è anche per questo che il nostro Andrea Bormida l’ha intervistato per il numero 134 di Skialper, di febbraio-marzo, in edicola a partire da questa settimana. «Uno sci di montagna il suo, puro e semplice, fatto di ricerca di nuovi itinerari, di esplorazione delle pieghe della roccia una volta che la neve ha fatto il suo lavoro - scrive Bormida nell’introduzione dell’intervista - Uno sci d’avventura su pendenze sostenute, estreme ma non per necessità od ostentazione. Per vivere la montagna perdendosi nelle sue rughe, comprendendo la bellezza di essere piccoli davanti alla sua mole. Vivian negli anni ha imparato a fare conoscere questo stile inconfondibile, anche nel modo di sciare. Non capita spesso di ricordare uno sciatore per la sua tecnica eccelsa: sci vicini, compostezza, fluidità, mai una sbavatura, dosando velocità e curve, seguendo quanto la montagna e il pendio ci impone. Nessun largone sotto al piede, 88 millimetri possono bastare, eccome. È lo sciatore che fa la differenza, non gli assi. Il piede».

Chamonix e il Monte Bianco, il momento particolare che stiamo vivendo, l’affollamento delle discese più famose, i progetti, le discese con i giovani, l’amicizia con Kilian e Jacquemoud, l’evoluzione dei materiali. È un dialogo a 360 gradi quello di Andrea e Vivian. Qualche anticipazione? Meglio essere buoni sciatori o buoni alpinisti? «Idealmente direi entrambe le cose, d’altra parte se devo scegliere dico un buon alpinista, semplicemente perché l’alpinista legge meglio la montagna e capire e analizzare le condizioni è fondamentale. Come anche saper adattare il proprio percorso a seconda delle situazioni, prendere le decisioni giuste in un determinato momento». Per il seguito… c’è Skialper 134 di febbraio-marzo. E l’attrezzatura? «Ci sono sempre novità, anche solo piccole modifiche: mi piace molto lavorare sull’attrezzatura nel garage, faccio delle prove e vedo se l’idea è buona. Per me l’attrezzatura migliore è quella con cui puoi fare tutto. Credo fermamente nella versatilità dei prodotti, in generale preferisco un buon trattore ben oliato e con un motore rodato a una macchina da corsa». 

© David Machet

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