Il filmato di Lama e Arnold sul Moose's Tooth

Le spettacolari riprese di Bird of Prey (1.500 m M7 90° A2)

Lo scorso aprile 2013 David Lama e Dani Arnold hanno aperto 'Bird of Prey' sull'inviolata Headwall del Moose's Tooth in Alaska incontrando difficoltà fino all'M7, 90° e A2 per ben 1.500 m di lunghezza. Per la cronaca la via è stata aperta in 48 ore con un bivacco.
Le spettacolari riprese meritano di perdere cinque minuti per guardarle.


Nuova via sul Cerro Domo Blanco

Neil e Joel Kauffman con Mikey Schaefer aprono Super Domo

Il 2 gennaio gli statunitensi Joel Kauffman, Neil Kauffman e Mikey Schaefer hanno effettuato la prima salita di ‘Super Domo’ sulla parete Est del Cerro Domo Blanco in Patagonia nel massiccio del Cerro Piergiorgio.
I tre americani hanno raggiunto il campo Niponino il primo gennaio e sono ripartiti la mattina del 2 gennaio raggiungendo la crepaccia terminale della Est del Cerro Domo Blanco.
La via, dopo un inizio su ghiaccio e misto non impegnativo, affronta dei tratti di misto più ingaggiosi in fessure e camini per poi salire su ghiaccio molto duro fino alla vetta, raggiunta dai tre alle 9 di sera sempre del 2 gennaio. Le difficoltà incontrare ammontano a WI5 e M6 per 600 m di dislivello.
A detta di Rolando Garibotti questa nuova via merita di divenire una classica della zona sia per la bellezza della linea sia per il fatto che si sviluppa al riparo dal vento ed è quindi un'ottima salita da effettuarsi anche con finestre di bel tempo incerte.

Il racconto completo su www.planetkauffman.com

 

Nanga Parbat, la grande sfida invernale parla italiano

Previtali, al campo base siamo scesi a -29°C

Dopo cento diciannove anni, il Nanga Parbat continua a rappresentare il desiderio impossibile per molti alpinisti. Nel corso di tutto questo tempo la sua vetta è stata raggiunta da poco più di quaranta spedizioni e da oltre duecento alpinisti ma rimane ancora un ultimo tabù da infrangere; metterci piede per la prima volta in inverno. Dal 1998 si sono già registrati sedici tentativi invernali ma nessuno è andato a buon fine. Quest’inverno, ben nove alpinisti hanno tentato, o lo faranno a breve, di salire in vetta. Tra di loro, ci sono anche tre italiani; Simone Moro, Emilio Previtali e Daniele Nardi. Quelli che coinvolgono gli alpinisti italiani sono progetti ambiziosi e non solo perché tentati in inverno. Ad oggi, infatti, ad esclusione di Reinhold e Gunther Messner, nessuno degli altri 19 italiani che hanno raggiunto la cima lo hanno fatto per una via diversa dalla Kinshofer, considerata la via “normale” alla vetta. La spedizione di Simone Moro tenterà la mastodotica parete Rupal e Daniele Nardi in solitaria lo sperone Mummery; due propositi che hanno dell'incredibile. Nanga Pàrbat (montagna nuda) e Diamir (Re dei monti), sono due dei nomi comunemente utilizzati per il colosso pakistano, due nomi per un unico sogno.

LA MONTAGNA KILLER - Il Nanga Parbat, il più a ovest di tutti i quattordici 8000, è l’unico del Kashmir e l’unico di quelli pakistani che non è sulla linea di confine con la Cina. Con i suoi 8.125 metri è la nona montagna più alta del mondo. Dopo l'Annapurna, è il secondo ottomila per indice di mortalità. Dal primo tentativo di ascesa nel 1895, ad opera dell’inglese Albert Frederick Mummery, alla prima conquista nel 1953 dell’austriaco Hermann Buhl, 31 alpinisti sono deceduti cercando di scalarlo. Ad oggi, sono circa 80 gli alpinisti deceduti sul Nanga Parbat, di cui 11 durante l’attacco terroristico del 2013. Tra, questi, anche due itlaiani; Günther Messner nel 1970 e Karl Unterkircher nel 2008. Anche per questo motivo è spesso soprannominata “the killer mountain”. 

LA PIU’ ALTA PARETE DEL MONDO - Il Nanga Parbat è una montagna dalle dimesioni a dir poco impressionanti. Sul suo versante sud-sudest, la parete Rupal, con i suoi 4.500 metri di dislivello tra la vetta e il campo base, costituisce la parete più alta al mondo. Sul suo versante nord-ovest, invece, la parete Rakhiot, con un dislivello complessivo di oltre 7.000 metri dal fondovalle dell'Indo, distante circa 27 km in linea d'aria dalla vetta; costituisce uno dei dieci maggiori dislivelli della Terra.

MAI NESSUNO IN INVERNO - Quest’inverno, il Nanga Parbat è tornato alla ribalta della cronaca sportiva con ben quattro tentativi di ascesa. Dal 24 dicembre ci hanno provato i tedeschi Ralf Dujmovits e Darek Zaluski. Il loro intento era quello di salire per la via Messner sul versante nord-ovest, lungo la parete del Diamir. Hanno rinunciato al loro progetto il 02 di gennaio, a causa di due torri sporgenti dalla seraccata oltre 6000 metri che secondo loro costituivano un rischio troppo alto di crolli e di valanghe. Restano in campo la spedizione di Simone Moro, Emilio Previtali e David Göttler e a quella dei polacchi Tomasz Mackiewicz, Marek Klonowski, Jacek Teler e Pawel Dunaj, entrambe impegnate sul versante sud-sudest, lungo la parete Rupal. Nei prossimi giorni arriverà in zona anche l’italiano Daniele Nardi. Il suo sarà un tentativo in solitaria, seguirà lo sperone Mummery sul versante Diamir, individuato da Albert Mummery nel 1895 e finora mai scalato. 

SIMONE MORO - Simone Moro, nato a Bergamo il 27 ottobre 1967 ha fatto il suo esordio sugli ottomila nel 1996 con la salita al Shisha Pangma. Ha poi scalato il Lhotse nel 1997, l’Everest nel 2000, il Cho Oyu nel 2002, il Broad Peak nel 2003, il Makalu nel 2009 e il Gasherbrum II nel 2011. Le salite al Shisha Pangma nel 2005, al Makalu nel 2009 e al Gasherbrum II nel 2011, inoltre, costituiscono anche le prime ascensione invernale. Il progetto della cordata di Moro è quello di scalare la parete Rupal lungo la via Sheel, che sale sul lato sinistro della parete per sbucare oltre i 7.000 metri sulla linea di cresta del versante Diamir. Lo stesso Simone Moro ha dichiarato che le possibilità di successo sono nell’ordine del 15-20%. Moro ci provò in inverno già due anni fa con Denis Urubko, l'alpinista kazako con cui ha salito due ottomila in prima assoluta invernale, Makalu e Gasherbrum II. Sul Nanga Parbat furono tuttavia respinti dalle bufere e dal pericolo delle valanghe. Sul perché abbia deciso di ritornare, risponde: “Per ritentare il progetto che ho sognato e che ha una portata storica, perché rimangono solo Nanga Parbat e K2 da scalare d'inverno. Stiamo parlando di esplorazione, quindi era forte la tentazione di andare”. Il suo sarà uno stile leggero, ma non alpino. Probabilmente, come ha dichiarato lo stesso Moro,  “piazzeremo un po' di corde fisse sulla montagna, anche se certamente non faremo i carpentieri”

DANIELE NARDI - Daniele Nardi, nato a Sezze, in provincia di Latina, il 24 giugno del 1976, ha fatto il suo esordio sugli ottomila nel 2001 con la salita al Cho Oyu. Ha poi scalato l’Everest nel 2004, il K2 nel 2007, Nanga Parbat e Broad Peak nel 2008 Quella di Nardi si preannuncia come una sfida nella sfida, ovvero salire per la prima voltas in inverno il Nanga Parbat e in solitaria. Per lo stesso Nardi, le possibilità di successo sono ancora inferiori di quelle di Moro, nell’ordine del 3-5%. Lo scorso anno arrivò a 6.500 metri sullo sperone Mummery, in cordata con la francese Elisabeth Revol. Anche lui, sul perché abbia deciso di ritornare, risponde: “È il fascino dello sperone Mummery, la speranza di completare l'opera iniziata l'anno scorso. Vorrei mettere insieme una via nuova, l'inverno a 8000 metri e lo stile alpino: questi tre aspetti non sono ancora scritti in contemporanea nella storia dell'alpinismo”. Sullo stile della spedizione, è lo stesso Nardi che dichiara: “tutto quello che serve, lo metti nello zaino. Significa dire no a tante cose: portatori, ossigeno, corde fisse, allestimento di campi alti”

AGGIORNAMENTI DI EMILIO PREVITALI - Emilio Previtali, collaboratore di Ski-alper, comunica quotidianamente dal campo base tramite il suo blog (http://emilioprevitali.blogspot.it/). "Oggi, ha riportato un resoconto sulla settimana di acclimatamento e sull’attività in parete di simone Moro e David Göttler: “Inizio subito la cronaca di quanto è accaduto in questa settimana spiegandomi in poche righe, perché poi devo raccontarvi un'altra storia che ha sempre a che vedere con il Nanga Parbat. Simone e David sono saliti nei giorni scorsi fino quasi a C2 a 6000m e strada facendo hanno dormito un paio di notti a C1 che è a circa 5100m. Il loro programma di acclimatamento procede bene, sono in forma e viaggiano come treni, la via di salita è aperta fino a C2 - grazie anche al gran lavoro dei nostri amici polacchi - e le condizioni della montagna sono per ora ottimali. Il tempo è per ora buono e la temperatura è fredda ma sostenibile, in base alle previsioni che riceviamo da Karl Gabl da Insbruck ci aspettiamo ora il crescere del vento. Al campo base, di notte, siamo scesi un paio di volte a -29°C. Ieri (18.1) Simone e David sono saliti di nuovo ai campi alti con l’ambizione di sbucare sulla cresta che poi conduce con un lunghissimo cammino fino in vetta al Nanga Parbat. L’obiettivo di Simone e David è quello di fare, vento permettendo, una puntata a 7000m, questa sarà una tappa fondamentale per l’acclimatamanto e in prospettiva per il tentativo alla cima. Questo il riepilogo dei fatti”.

Breve storia alpinistica del Nanga Parbat

1895 - Nell’estate del 1895, l’inglese Albert Frederick Mummery fu il primo uomo che tentò l’audace impresa di scalare un ottomila. Scelse una delle montagne più ostili, il Nanga Parbat per il versante nord-ovest, lungo la parete del Diamir e uno stile, definito poi in seguito “alpino”, precursore dei tempi. Partì con altri tre alpinisti britannici, Collie, Hastings e Bruce e due portatori gurka Raghobir Thapa e Gaman Singh. La spedizione si fermò a 6.100 metri di quota. Mummery scomparve il 24 agost con i due portatori nel tentativo di ricongiungersi agli altri compagni sul versante Rakhiot.
1953 - Dovettero passare altri cinquantotto anni, e 31 alpinisti deceduti, prima che un uomo riuscisse a mettere piede sugli 8.125 metri della grande montagna Pakistana. Il 3 luglio 1953 l'alpinista austriaco Hermann Buhl sale la parete Rakhiot, lungo il versante nord-est per quella che ancora oggi è considerata una fra le più grandi imprese della storia dell'alpinismo. Si trattò della prima ascesa assoluta, senza ossigeno e in solitaria a partire dall'ultimo campo, per 40 ore di arrampicata e un bivacco a 8.000 metri senza protezione. La via fu ripetuta con successo solo dopo 18 anni, il 7 luglio 1971, da Michal Orolin e Ivan Fiala, facenti parte di una spedizione cecoslovacca.
1962 - I tedeschi Toni Kinshofer, Sigfried Löw e Anderl Mannhardt raggiungono la vetta per una nuova via sul versante del Diamir, nel settore destro della cima nord. Questa via è oggi considerata la via normale al Nanga Parbat.
1970 - Per la prima salita della parete Rupal sul versante sud-sudest, con i suoi 4.500 metri di sviluppo la più alta del mondo, dovettero passare altri diciotto anni.  Il 27 giugno del 1970, riuscirono nell’impresa i fratelli Reinhold e Gunther Messner con quella che fu la terza salita in vetta nella storia. Si videro costretti a scendere dal versante ovest, compiendo così, fuori programma, la prima traversata della montagna. Ai piedi della montagna, Gunther vierne sepolto da una valanga.
1978 - Reinhold Messner compie sulla parete Diamir la prima solitaria al Nanga Parbat e contemporaneamente la prima solitaria di un 8000. 
1982 - Lo svizzero Ueli Bùhler compie la prima salita del pilasytro sud-est fino alla cima sud. 
1984 - La francese Liliane Barrard è la prima donna a salire sul Nanga Parbat. Sale per la via Kinshofer con il marito Maurice Barrard.
1985 - Le polacche Anna Czerwinska, Krystyna Palmowska e Wanda Rutkiewicz costituiscono la prima cordata femminile che sale in cima. Anche loro lo fanno per la via Kinshofer.
1988 - Nives Meroi è la prima italiana a salire su Nanga Parbat. 
1990 - L’italiano Hans Kammerlander compie la prima discesa in sci lungo la parete Diamir.
2005 - In poco più di una settimana, venne aperta finalmente una via diretta sulla parete Rupal, la più alta parete del mondo, sulla quale la cordata composta da Steve House e Vince Anderson aprì una via lunga 4.100 metri.
2012 - L'alpinista scozzese Sandy Allan e l'inglese Rick Allen realizzano la prima salita della cresta sud-ovest, la cresta Mazeno, che separa la parete nord-ovest, detta Diamir, da quella sud-est, detta Rupal. L'attacco finale è iniziato il 2 luglio dal campo base, al quale i due sono ritornati il 19 luglio.  

Gli italiani sul Nanga Parbat

1970 - Reinhold e Gunther Messner (Rupal)
1978 - Reinhold Messner (Diamir)
1981 - Alessandro Fassi, Luigi Rota e Gianbattista Scanabessi (Kinshofer)
1986 - Fausto De Stefani e Sergio Martini (Kinshofer)
1987 - Giovanni Calcagno, Soro Dorotei e Tullio Vidoni (Kinshofer)
1990 - Hans Kammerlander (Kinshofer)
1998 - Romano Benet e Nives Meroi (Kinshofer)
2001 - Christian Kuntner, Abele Blanc e Stefan Andres (Kinshofer)
2003 - Kurt Brugger e Giampalo Corona (Kinshofer)
2005 - Silvio Mondinelli (Kinshofer)
2008 - Daniele Nardi e Mario Panzeri (Kinshofer)

 

Addio a Vasco Taldo, grande alpinista d'altri tempi

Il 14 gennaio si è spenta all'età di 81 anni una vecchia gloria dell'alpinismo italiano, il sestese Vasco Taldo se ne è andato pedalando sulla sua bicicletta, altra sua passione oltre all'alpinismo.
Tra le sue maggiori realizzazioni alpinistiche sono da ricordare la spedizione italiana del 1963 alla Torre Centrale delle Torri del Paine in Patagonia con Armando Aste, Josve Aiazzi e Nando Nusdeo; la prima invernale alla parete Nord del Disgrazia nel 1957 partendo a piedi da Chiesa Valmalenco e l'apetura di alcune pietre miliari dell'alpinismo come la Taldo-Nusdeo al Picco Luigi Amedeo in val Torrone e sempre in questa valle la Taldo alla Punta Ferrario entrambe nel 1959.

 


Domenica 19 gennaio 'Sicuri con la neve'

CAI e CNSAS organizzano la tradizionale giornata informativa sul campo

Saranno coinvolte oltre 40 località montane in tutta Italia, in particolare in Piemonte, Lombardia e Toscana, nella 13.a edizione dell'iniziativa di informazione e prevenzione sul campo organizzata da Club alpino italiano e dal Corpo nazionale di Soccorso alpino e speleologico.   

IN MONTAGNA CONSAPEVOLI -
Affrontare la montagna e la neve fresca in sicurezza e con consapevolezza: è l'obiettivo che da anni la giornata informativa Sicuri con la neve, organizzata da Club alpino italiano e Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico, cerca di diffondere tra chi frequenta le Terre alte durante la stagione invernale.  Valanghe, incidenti sulla neve, scivolate sul ghiaccio e ipotermia sono alcuni dei pericoli a cui vanno incontro esperti e principanti di tutte le età, sia sciatori che escursionisti e ciaspolatori.  

40 LOCALITÀ INTERESSATE -
L'appuntamento con la XIII^ edizione di Sicuri con la neve è il 19 gennaio 2014 in oltre 40 località montane di tutta Italia. Dall'Alto Adige alla Sicilia gli appassionati della montagna hanno la possibilità di ricevere utili informazioni e consigli sui comportamenti più adatti da tenere dagli esperti di CNSAS e CAI, oltre a poter assistere a dimostrazioni pratiche nei campi neve allestiti. In particolare sono Piemonte, Lombardia e Toscana le regioni con più località coinvolte nel progetto.  

INFORMAZIONE E PREVENZIONE -
L'obiettivo della manifestazione, che rientra all'interno del progetto Sicuri in montagna, è quello di accrescere la consapevolezza personale riguardo i rischi che si incorrono nella frequentazione della montagna durante la stagione invernale. 'La prevezione è l'unico rimedio per contrastare le disgrazie sulle neve, in particolare quelle causate dalle valanghe', ha dichiarato il Presidente del Soccorso alpino Piergiorgio Baldracco. 'Per educare i frequentatori delle Terre alte bisogna cominciare dai più giovani, con iniziative anche nelle scuole'. A queste parole si è associato il Presidente generale del CAI Umberto Martini.  

LA CRONACA DEL PERIODO NATALIZIO -
I fatti di cronaca dell'ultimo periodo natalizio denunciano infatti una diffusa impreparazione personale nell'approccio alla montagna, soprattutto quando si viene in contatto con la neve fresca. 'E' sufficiente fare pochi passi al di fuori di piste o percorsi battuti per entrare in un altro ambiente che presenta caratteristiche e accorgimenti richiesti molto differenti. Neanche i più esperti sono in grado di fare valutazioni certe sulla sicurezza del terreno quando si trovano sulla neve fresca', dichiara Elio Guastalli, responsabile del progetto. 'I giovani e gli scialpinisti rappresentano i due segmenti maggiormente critici da raggiungere in questa opera di sensibilizzazione, in quanto particolarmente attirati sulle attività nella neve fresca e tra i meno scolarizzati riguardo agli accorgimenti necessari da prendere'.  

LA RESPONSABILITÀ È PERSONALE -
Un'ultima finalità di Sicuri con la neve è ricordare che la responsabilità dei gestori delle piste termina nel momento in cui lo sciatore esce dai limiti delle stesse. I gestori non possono garantire la sicurezza di chi scia fuori pista e neanche prevenire la caduta di valanghe causate da chi si avventura sulla neve fresca.   

L'ELENCO DELLE LOCALITÀ -
Consultalo cliccando sul link qui a fianco.  


Nanga Parbat in winter

Tre spedizioni tenteranno la prima salita invernale

La nona montagna più alta della Terra, ossia il Nanga Parbat (8.125 m), è in questo mese di gennaio 2014 al centro dell’attenzione della cronaca alpinistica e lo sarà sicuramente anche durante il prossimo.
Ben tre diverse cordate tenteranno la salita invernale lungo due linee diverse: una costituita dai polacchi Tomaz Mackiewicz, Marek Klonowski, Jacek Teler e Pawel Dunaj; una italiana formata da Simone Moro, David Goettler ed Emilio Previtali; l’ultima dal solitario italiano Daniele Nardi.
Le prime due cordate lungo la via Schell sul versante Sud Rupal, mentre Nardi tenterà la salita solitaria dello spallone Mummery, naturalmente tutte le cordate effettueranno la salita in stile alpino.
Il Nanga Parbat e il K2 sono gli unici due dei quattordici ottomila a non essere mai stati saliti durante la stagione fredda. Il Nanga ha visto ben sedici tentativi di ascensioni invernali dal 1988 ad oggi, tutti falliti.
Va sottolineato che Daniele Nardi tenterà la salita, oltre che in solitaria, lungo una via nuova, lo sperone Mummery, mai percorso da nessuno.


Nuova via di misto a Kandersteg

Robert Jasper apre The Black Death

L’11 dicembre il forte alpinista tedesco Robert Jasper in cordata con Wolfram Liebich ha aperto una nuova via di ghiaccio e misto di elevate difficoltà nella valle di Kandersteg in Svizzera sulla parete Nord-Est del Gallihorns (2.284 m).
La salita, ribattezzata ‘The Black Death’, non molto lunga ma molto intensa, racchiude in 250 m difficoltà fino all’M8 e WI7 su roccia da verificare e ghiaccio di dubbia qualità, aperta oltretutto senza l’utilizzo di spit.
La linea sale sulla Schwarze Wand, una parete nera dove la qualità della roccia lascia molto a desiderare ma dove si sviluppa anche una fantastica colata. Il nome emblematico dato alla via può far capire oltre alle difficoltà tecniche anche la difficoltà a proteggersi su questa roccia.
Una salita su ghiaccio sottile e roccia friabile non per tutti a detta dello steso Jasper, che sul tiro chiave è prima salito in artificiale piazzando chiodi normali, scalandolo poi successivamente in rotpunkt. 


'Neve, compendio di nivologia': un libro imperdibile

L'opera di Renato Cresta e' quanto più' completo in fatto di nivologia

La collana Specialist della nostra casa editrice si è recentemente arricchita di un magnifico volume, unico nel suo genere probabilmente su scala mondiale. Si tratta di ‘Neve, compendio di nivologia’, scritto da Renato Cresta, uno dei massimi esperti di neve e valanghe (leggi l'intervista uscita su La Repubblica all'autore del libro). A proposito del concetto di esperto, abbiamo estratto dalla prefazione dell’autore la sua definizione. «Sono trascorsi ormai quarant'anni da quando André Roch, uno dei miei maestri, mi ha confidato: "Renato, moi aussi j'ai été pris dans une avalanche; moi, j'étais un expert, mais l'avalanche ne le savait pas!" (Renato, anch'io sono stato preso in una valanga. Io ero un esperto, ma la valanga non lo sapeva). Adesso, dopo tanti anni di pratica, anch'io sono considerato un esperto, ma proprio pochi giorni prima di iniziare a scrivere ho sentito qualcuno che, durante una trasmissione radiofonica, diceva che l'esperto è quel tale che, nel suo campo, ha commesso più errori degli altri…».

Ascoltare Renato Cresta parlare di neve e valanghe è un’esperienza affascinante. È capitato a tanti professionisti della montagna, maestri di sci, guide alpine, soccorritori, direttori di stazione, che negli anni hanno preso parte ai suoi corsi di formazione. Pochi, però, rispetto all’immenso bacino di appassionati di montagna, fatto di scialpinisti, alpinisti, escursionisti, freerider, ciaspolatori che non hanno avuto questa fortuna. ‘Neve, compendio di nivologia’ permette di rimediare. Un manuale ricchissimo di informazioni, tabelle, grafici, che racchiude in 400 pagine l’esperienza di una vita dell’autore, maturata in anni di studi, situazioni vissute in prima persona sul campo, perizie e soprattutto lezioni. Già, perché il linguaggio estremamente tecnico e divulgativo è proprio quello di chi ha dovuto ingegnarsi per rendere chiara e comprensibile al proprio uditorio una materia tanto complessa ed articolata. Una lettura indispensabile per tutti coloro che amano la neve e la montagna invernale.

‘Neve, compendio di nivologia’ (400 pagine, 35 euro - prezzo comprensivo di spese di spedizione in posta prioritaria) si può acquistare solo on-line sul sito di Ski-alper (nell’apposita pagina dedicata ai libri), oppure contattando il nostro ufficio spedizioni al numero 0124 428051 o con una mail a ordini@mulatero.it. Vi verranno fornite tutte le indicazioni per il pagamento.  


Prima salita del Cerro Marconi Central

Haley e Garibotti aprono La SuperWhillans

Il 17 dicembre 2013 la cordata composta dallo statunitense Colin Haley e dall’argentino Rolando Garibotti ha compiuto la prima ascensione del Cerro Marconi Central in Patagonia.
La salita è avvenuta lungo l’elegante rampa di neve e misto che corre sulla parete Est dove sono state trovate difficoltà tecniche non eccessive grazie alle ottime condizioni di neve e ghiaccio: alcuni tratti a 70° e un tiro di M3 per raggiungere la cresta sommitale.
La via è stata salita dai due forti alpinisti in circa 5 ore è battezzata ‘La SuperWhillans’, oltretutto si tratta anche della prima salita completa del Cerro Marconi Central, del quale l’unica ascensione conosciuta è quella di una cordata argentina lungo la parete Ovest datata 1966 che non raggiunse però la vetta.
Colin Haley aveva già in precedenza tentato di salire lungo questa evidente rampa per ben due volte, la prima nel 2012 fermato dal forte vento e la seconda nel settembre 2013 bloccato dalle pessime condizioni del ghiaccio.


Nel 2013 il CAI ha compiuto 150 anni

Intervista al presidente generale del CAI, Umberto Martini

Per tutto il 2013 si sono susseguite le celebrazioni di un anniversario significativo: il Club Alpino italiano ha compiuto un secolo e mezzo di vita. Si tratta di uno dei Club Alpini più importanti al mondo. L’Italia ospita sul proprio territorio lo sviluppo completo dell’arco alpino, unica nazione europea a godere di questa caratteristica geografica.

E per tutti noi che andiamo in montagna, anche in modo molto sportivo, il CAI è comunque un riferimento inevitabile. Per molti di noi ha anche rappresentato l’ambiente che ci ha introdotto all’alpinismo.
E chi non ha mai messo piede in un rifugio del CAI?

In attesa del discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e del contro-discorso di Beppe Grillo, più modestamente vi proponiamo la nostra intervista al presidente generale del Club Alpino italiano. Che ci racconta qualcosa della nostra storia nazionale, e tocca anche problematiche molto attuali e interessanti per gli scialpinisti.    

LA DATA -
Precisamente mercoledì 23 ottobre 2013 il Club alpino italiano ha compiuto 150 anni. Lo stesso giorno del 1863 nelle sale del Castello del Valentino a Torino, iniziava alle 13 e terminava alle 16 l'assemblea che fu il momento costitutivo del sodalizio, quarto per ordine di nascita tra le società alpine europee. 

L'idea di fondare una società alpinistica nazionale risale in realtà a qualche mese prima, nell'agosto 1863, in occasione dell’ascensione alla vetta del Monviso compiuta dallo statista biellese Quintino Sella con Paolo e Giacinto di Saint-Robert e Giovanni Barracco. Il Sodalizio divenne presto d'interesse nazionale, assumendo l'attuale denominazione di ‘italiano’ nel 1867.    

L'INTERVISTA -
Tra decine di celebrazioni, eventi, convegni, premi e commemorazioni, siamo andati a parlare con Umberto Martini, presidente nazionale del CAI.  
Il Club Alpino Italiano ha compiuto nello scorso ottobre un secolo e mezzo di vita.  Per chiunque vada in montagna, anche senza la tessera blu con i sacri bollini annuali, il CAI è almeno una presenza immanente. Se non per storia, impatto e presenza nel sociale, almeno per l’impressionante rete di rifugi che costellano le alpi italiane, in gran parte di proprietà del Club. Ma questa non basta per spiegare l’influenza culturale che il CAI tuttora esprime su buona parte del mondo dei frequentatori della montagna.   

I tempi cambiano sempre più velocemente e la rivoluzione digitale propone altre forme di ‘associazionismo’. Il CAI rischia di risultare lento rispetto all’attualità, anzi lo è senz’altro e in misura evidente. Ma questo ritardo fisiologico sembra riguardare l’establishment e gli organi centrali mentre sul campo, nelle sezioni, la vita è meno ingessata e i giovani presenti nei consigli sezionali propongono iniziative più in linea con i tempi.   

Ski-alper si occupa di montagna sotto diverse angolazioni e non può ignorare un anniversario di oggettivo valore simbolico.  Siamo andati a Milano presso la sede centrale e abbiamo incontrato il presidente del Club Alpino Italiano, Umberto Martini.    

Quali sono state le fasi storiche che hanno caratterizzato questi 150 anni di vita del Club Alpino Italiano?

«Sono state sostanzialmente tre: fino alla prima guerra mondiale la fase dei fondatori e dei pionieri dell’alpinismo ‘sociale’, con la diffusione del Club su tutto il territorio nazionale.  Poi gli eventi politici nazionali hanno coinvolto anche il CAI: l’alpinismo inteso come affermazione, conquista, competitività, e una nascente forma sportiva hanno caratterizzato il Club. È stato anche un periodo di allargamento della base sociale a larghi strati della popolazione. Il ventennio fascista ha coinciso con questa popolarizzazione dell’alpinismo, ma i presupposti esistevano da prima. Il processo è proseguito anche dopo la seconda guerra mondiale. Sempre in questa fase, dopo la guerra ha ripreso piede un’impostazione culturale ed esplorativa, oltre a quella alpinistica pura.  Una terza fase è stata influenzata dalla tecnologia e dal conseguente benessere diffuso. Tante specializzazioni sono nate dall’offerta di strumenti che prima non erano disponibili per tutti: basti pensare alla diffusione delle racchette da neve, della mountain bike, dello stesso sci».  

In un suo intervento lei ha parlato di 150 anni di storia con vittorie e sconfitte. Vengono subito in mente due episodi che hanno coinvolto CAI e pubblica opinione: la conquista del K2 da una parte, e la vicenda Bonatti dall’altra.
«La vicenda Bonatti è stata una polemica trascinatasi inutilmente, per troppo tempo, e una lunga ricerca ha infine chiarito la verità condivisa. La conquista del K2 nel 1954 è stata ancora il prodotto dell’alpinismo di conquista caratteristico dell’epoca precedente. A parte Bonatti, che era il più giovane, gli altri alpinisti erano cresciuti prima della guerra e in quel clima. Però è stato un punto culminante della nostra storia e ha avuto effetti molto importanti in termini di orgoglio e identità nazionali. L’Italia, Paese sconfitto, coglieva così un successo organizzativo e dimostrava al mondo le capacità e la forza di volontà degli italiani».  

Qual è lo stato di salute del CAI?

« Il CAI è uno spaccato della società e quindi risente dei tempi di crisi. Anche ma non tanto come numero di iscritti – c’è una leggera flessione -, quanto come difficoltà di continuare a gestire i servizi di cui si occupa: Soccorso Alpino, la rete dei rifugi, la segnaletica dei sentieri. La gestione avviene sempre più in forma volontaristica, diventa più difficile garantire lo stesso livello di servizi, e poi si porrà anche un problema generazionale. Quindi se si vorranno mantenere attive queste facilitazioni, più che il CAI sarà la società a doversi dotare di mezzi per continuare a garantirle se vuole continuare a fruirne».  

Quali flussi riconoscete all’interno dell’associazione?

«Anche per questo aspetto riconosciamo al nostro interno il tema dell’invecchiamento della popolazione. Maggiore aspettativa di vita attiva e denatalità italiana comportano un forte incremento, anzi una moltiplicazione sul territorio delle attività dei gruppi ‘seniores’».  

Come si sta muovendo il CAI di fronte ai sempre più frequenti tentativi di limitazione della libertà di andare in montagna?

«Siamo sensibili all’argomento e ospitiamo anche fisicamente un osservatorio per la difesa della libertà di frequentazione della montagna. A livello centrale sediamo a un ‘tavolo permanente’, il gruppo parlamentare degli amici della montagna. Ma i problemi risiedono a livello locale: sono gli amministratori, i sindaci, che hanno il potere di imporre divieti. Dopo ogni incidente in montagna, e la relativa risonanza mediatica dovuta all’impatto particolare sull’immaginario collettivo – la ‘montagna assassina’ – la soluzione più facile e immediata sembra quella di imporre divieti. Ma sarebbe come chiudere le strade dopo gli incidenti».  

Secondo voi esistono reali pericoli di limitazione della libertà?

«Direi di no. Come nasce, poi si spegne. Si tratta di informare bene chi deve decidere, perché spesso non conoscono i termini del problema. Il CAI finora è stato ascoltato, 150 anni di ben operare ci danno credito».  

Scusi, ma lei conosce l’appellativo ‘caiano’? …una specie di affettuoso sfottò rivolto verso una certa rigidità istituzionale, o verso il ritardo a cogliere le novità dal campo quando si presentano.

«Ma il CAI non è più così. Lo era, ma oggi l’atteggiamento è molto meno conservativo rispetto ad altre epoche. Cerchiamo di vivere la società per quella che è».    


First Light

Prima invernale per Kennedy e Huey

Il filmato dell'incredibile invernale dei due forti statunitensi Hayden Kennedy e Jesse Huey.


Statunitensi in azione in Nepal

Adamson e Wright aprono due nuove vie su Lunag West e Pangbuk North

Nel mese di ottobre 2013 i due alpinisti americani Scott Adamson e Christofer Wright hanno aperto due nuove vie di misto in Nepal.
Le due nuove salite, entrambe su pareti alte 1000 m, sono state ribattezzate Open Fire (V WI5 M3) sul Lunag West e Purgation (VI WI6+ M6) sul Pangbuk North, due montagne di 6500 m.
Il Lunag West è stato salito lungo il canalone che corre lungo la parete Sud-Est, salita e discesa sono avvenute in 26 ore no stop, con solo un paio di ore di riposo passate in un crepaccio al riparo dal vento gelido.
Dopo aver riposato una settimana i due statunitensi sono ripartiti per Nord-Est del Pangbuk Nord, dove hanno trovato difficoltà maggiori con tiri fino all’M6 e ghiaccio verticale di scarsa qualità; qui la salita è stata effettuata con un bivacco su una piccola cengia dove sono riusciti a montare la tenda. Anche qui non è mancata la lotta contro vento e freddo intensi e una discesa molto delicata per via dell’espostissima cresta sommitale.
Bisogna sapere che il Pangbuk Nord è stato in passato oggetto di polemiche: la prima salita del 2009 è stata contestata per mancanza di foto convincenti e di una descrizione precisa della via di salita, questo ha portato diverse persone a ritenere che la vetta non fosse stata raggiunta all’epoca.


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