La Sportiva, il 18 maggio riaprono produzione e negozi monomarca

Mascherine, guanti e distanziamento sociale sono i nuovi mantra della fase due nella lotta all’epidemia da coronavirus e La Sportiva è pronta ad affrontarla in sicurezza: da lunedì 18 maggio riparte ufficialmente la produzione delle scarpette d’arrampicata e scarponi da montagna nella sede produttiva di Ziano di Fiemme e con sé tutta la filiera di produzione. Inizialmente gli oltre 200 operai (su una popolazione aziendale di oltre 360 persone) si alterneranno su due turni giornalieri di 4 ore mentre gli impiegati che possono lavorare in homeworking, proseguiranno con il lavoro da casa, allo scopo di ridurre il numero di persone contemporaneamente presenti in azienda. A queste misure si aggiungeranno il controllo della temperatura corporea e l’entrata e uscita dei dipendenti a turno in modo da garantire ulteriore sicurezza a tutti i lavoratori e minimizzare il rischio di assembramenti.

«Torniamo finalmente operativi anche se non ancora a pieno regime - ha detto Lorenzo Delladio, CEO & Presidente - c’è bisogno di rimettere in moto l’azienda e tutta la filiera dei fornitori con l’obiettivo di tornare al 100% della capacità produttiva a giugno. Sarà fondamentale vedere anche come risponderà il mercato ed un sentiment immediato ce lo darà anche la riapertura dei nostri store monomarca che riapriranno sempre da lunedì 18 maggio rispettando tutti i decreti emanati dal governo in materia di sicurezza. Avremmo potuto riaprire la produzione già il 4 maggio grazie al lavoro dei nostri responsabili della sicurezza che hanno recepito ed applicato a tempo di record tutte le misure finalizzate al massimo contenimento del contagio, tuttavia abbiamo preferito aspettare e riaprire contemporaneamente sia produzione che brand store».

Lo stabilimento di Ziano non si è in realtà mai fermato del tutto fatte salve le primissime due settimane di chiusura, una task force di 18 dipendenti richiamati dalla cassa integrazione infatti ha dato vita ad una linea di produzione di 5.000 mascherine sanitarie al giorno a favore della Protezione Civile di Trento e principalmente di aziende locali trentine, mentre il reparto R&D ha lavorato incessantemente per creare l’esclusiva Stratos Mask, un prodotto lavabile e riutilizzabile che pensa anche alla sostenibilità dei dispositivi protettivi in questa fase di convivenza con il virus. «Siamo ormai pronti per la commercializzazione di questa mascherina con filtro intercambiabile ed utilizzabile nel quotidiano ma anche per fare sport outdoor - precisa Delladio - entro maggio sarà possibile acquistarla sul nostro e-commerce e a giugno partiranno le prime consegne. È un lavoro che ha richiesto molto impegno e ci ha dato tanta motivazione, non è stato semplice per una fabbrica che normalmente produce calzature riconvertirsi alla produzione di dispositivi di protezione come Stratos Mask».


Monsieur Mezzalama

«Quella è un’avventura cominciata nel 1995. La prima edizione organizzata da noi è stata nel 1997, dopo quelle tenutesi fra il 1933-39 e quelle del 1972-78. L’idea del Mezzalama moderno fu del consorzio turistico del Monte Rosa e all’epoca, lavorando per Monterosa Ski, venni incaricato della questione. Non ero assolutamente pratico di quel mondo e mi sono fatto le ossa poco alla volta. Sono state determinanti la conoscenza di queste montagne e – diciamolo - un pizzico di fortuna per arrivare a far correre la gara anche con condizioni avverse. Fin dalla prima edizione, poi, è stata fondamentale la collaborazione con il meteorologo Luca Mercalli, capace di prevedere le finestre meteo giuste nelle quali far correre gli atleti. L’edizione 2015, ad esempio, si è disputata in un intervallo di nove ore tra le perturbazioni, basti pensare che gli atleti di testa indossavano il piumino anche in salita. Nel 2003, invece, abbiamo dovuto evacuare degli atleti in ipotermia e da quel momento abbiamo introdotto regole più severe per l’attrezzatura».

A parlare è Adriano Favre, anima del Mezzalama. E, come scrive Federico Ravassard, è una persona che ha «la capacità di complicarsi meravigliosamente la vita, portando avanti progetti che, presi singolarmente, basterebbero già a riempirti la giornata». Perché Adriano è «Guida alpina, tecnico e responsabile del Soccorso Alpino, viaggiatore, alpinista himalayano, organizzatore del Mezzalama e una delle menti dietro al successo della Grande Course, rifugista». Lo abbiamo intervistato su Skialper 129 di aprile-maggio. Ma come è cambiata la regina delle gare di skialp? «I partecipanti, ora, sono più preparati tecnicamente, sia perché è evoluto lo scialpinismo, sia perché la voce si è sparsa e ormai tutti hanno bene in mente quali siano le difficoltà aggiuntive del Mezzalama che ne fanno una gara unica: non è assolutamente sufficiente avere il motore e basta. Sono cambiate anche le condizioni della montagna, un fatto che si è palesato nell’edizione 2015, quella corsa in senso inverno da Cervinia a Gressoney; molte discese, a causa dello scioglimento dei ghiacciai, presentavano tratti tecnici con ghiaccio vivo e dubito che si ripeterà l’esperimento, a meno che non ci sia un’inversione di tendenza».

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Lo scaldacollo Run Local di Dynafit a sostegno dei negozi specializzati

Uno scaldacollo limited edition #RunLocal - #ShopLocal per sostenere i rivenditori specializzati di articoli sportivi. È questa l’iniziativa Run for your local dealer lanciata da Dynafit, che ha distribuito 10.000 esemplari dell’accessorio tecnico ai negozi perché venga dato in omaggio ai clienti per acquisti di prodotti Dynafit superiori a 100 euro a partire dal prossimo 20 maggio. Lo scaldacollo funzionale, che ha un prezzo al pubblico di 22 euro, è particolarmente utile anche nella vita di tutti i giorni in quanto può essere utilizzato per coprire il naso e la bocca rispettando così l’obbligo presente in molti luoghi di indossare la mascherina. E lancia un segnale chiaro: correre e acquistare local. In supporto all’iniziativa Dynafit chiuderà il proprio sito di e-commerce online dal 20 al 27 maggio.

Numerosi atleti e ambassador Dynafit hanno aderito all’iniziativa Run for your local dealer e la promuoveranno sui loro canali social. Run for your local dealer non è però l’unica proposta di Dynafit per sostenere i rivenditori. Il brand del leopardo delle nevi riproporrà infatti l’80% della collezione estiva 2020 anche nell’estate 2021, così da non sovraccaricare i rivenditori ed evitare fondi di magazzino. Le novità per l‘estate 2021 saranno presentate il 20 maggio 2020 dalle ore 17.00 nell’ambito della Oberalp Convention che per la prima volta si svolgerà in versione completamente virtuale.

 


Mountains Within: la sfida di Michele Graglia

Non è facile abbandonare il mondo dorato delle sfilate di New York e Miami. O meglio, è facile uscire da quel mondo bello e finto allo stesso tempo, ma non è facile rinunciare ai privilegi di quella vita e ricostruirsene un’altra, ripartendo da zero. È la storia di Michele Graglia, ragazzo ligure catapultato per caso (un incontro fortuito in un negozio dove si riparava da un acquazzone) sulle passerelle yankee (di lui si dice che Madonna lo abbia soprannominato the abs per i suoi addominali) e poi fuggito da quelle passerelle per ritrovare la pace nella natura e nell’ultra running. La sua storia è stata raccontata da Fosco Terzani nel libro Ultra. La libertà oltre il limite e ora è diventata un cortometraggio, Mountains Within, il primo di una serie prodotti da La Sportiva che ha sviluppato il claim For your mountain. I prossimi saranno sulla climber egiziana Amer Wafaa e su Tamara Lunger.

Il significato di Four your mountain è quello della propria sfida interiore. Ci sono sfide che vanno oltre l’avversario, il traguardo, la cima, il tempo da battere. Sfide che chi pratica sport conosce bene: si basano sulle nostre motivazioni più profonde, ci portano ad intraprendere intense sessioni di allenamento, ad affrontare le nostre paure, a conoscere e possibilmente superare i nostri limiti. Chi corre, arrampica, scia, chi fa escursionismo, chi pratica una qualsiasi attività outdoor per stare bene prima di tutto con se stesso, affronta ad ogni uscita la propria sfida, la propria montagna.

Mountains Within dura 13 minuti ed è stato realizzato da Storyteller Labs con la direzione di Damiano Levati e Matteo Vettorel mentre i testi sono di Michele Graglia e Giovanni Spitale. È stato interamente girato in California, dove Michele vive, dalle colline di Hollywood tra le nebbie dell’alba alle dune del deserto, passando per la Walk of Fame. Graglia ha vinto molte delle sfide che si era posto all’inizio del suo percorso: nel 2016 la Yukon Artic 100 miglia nel gelo e nella solitudine dell’inverno canadese, nel 2018 è il primo italiano di sempre a tagliare il traguardo in prima posizione alla Badwater Marathon negli Stati Uniti, l’ultra maratona su strada di 217 km considerata dagli appassionati la più dura al mondo e ancora nell’ottobre 2019 entra nel Guinness dei primati con la traversata completa del deserto dei Gobi nella Mongolia meridionale, primo essere umano a percorrere, correndo, i 1.703 km del deserto ventoso nel tempo record di 23 giorni, 8 ore e 46 minuti.


Skialper amarcord

«L’equazione era piuttosto semplice: un giovane abituato a stramazzarsi di fatica nelle gare di fondo - Lenzi era forte in tecnica classica - avrebbe potuto fare sfracelli nello scialpinismo in cui la componente fatica e motore erano altrettanto importanti. A detta del suo allenatore, Vincenzo Trozzi, del Centro Italia, il ragazzo era piuttosto dotato e mal volentieri gli dava l’approvazione per praticare lo skialp, anche se verso fine inverno gli concedeva il nulla osta quasi come un premio per quanto si era impegnato nel fondo. E così Lenzi si era guadagnato la partecipazione agli Europei di Morzine-Avoriaz del 2007 con gli altri azzurrini a difendere i colori dell’Italia. Il giorno della Vertical ho raggiunto una postazione a metà percorso in un punto in cui presumevo che il plotone si fosse già sgranato e che gli atleti migliori avessero preso il largo. Idalba un po’ più in basso, appena fuori dal bosco. Pronti, via! Da dove ero piazzato potevo seguire dall’alto il serpentone che velocemente si avvicinava. Più gli atleti si avvicinavano e più si delineavano le posizioni di testa in base ai colori delle tutine. Qualcosa non quadrava: nella mia assoluta certezza che Lenzi dovesse mangiarsi tutti, proprio grazie al suo grande allenamento nel fondo, non era in testa… Davanti a me è transitato uno spagnolo pressoché sconosciuto seguito da un francese, un po’ staccato Damiano Lenzi, visibilmente provato dal forcing dei due battistrada. Lo spagnolo era Killian Jornet Burgada».

Ecco come è nato il mito di Kilian nello scialpinismo, ma allo stesso Europeo, nel vertical, ha vinto anche una sconosciuta francese con la tuta color prugna, Laetitia Roux. Sono solo due degli aneddoti raccontati da Enrico Marta su Skialper 129 di aprile-maggio. Un amarcord dello skialp race, da Gignoux in grave difficoltà al Mezzalama, perché aveva perso le lenti a contatto, alle imprese di Guido Giacomelli o della coppia Cazzanelli-Righi. Parole e foto di un pezzo di storia dello sci.

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Arianna Tricomi, go with the flow

«All’inizio l’ambiente del freestyle era super punk, ognuno faceva quello che voleva ed era libero di esprimersi liberamente, ma poi anche lì con l’arrivo della FIS e delle federazioni siamo tornati da capo: l’ambiente è cambiato e molti hanno mollato, come me e Markus Eder; con l’arrivo delle Olimpiadi sono apparsi sulla scena skier che non hanno mai costruito un kicker in vita loro, che non si sono sbattuti, attirati solo dai Giochi e dai benefici che possono portare. Ora questi park skier si allenano come matti in park e sui tappeti, ma poi se devono tornare a valle preferiscono montare in cabinovia piuttosto che sciare (ovviamente questo non vale per tutti i freestyler). Dov’è la passione per lo sci? Le leggende che hanno spaccato nel freeski, come Tanner Hall o Candide Thovex, presenti dal giorno uno di questa rivoluzione, non torneranno più probabilmente, ora è tutto più incentrato sulla prestazione, è un vero e proprio sport e la progressione è molto più veloce. Come dicevo riguardo le nuove leve del Tour, ad alcuni giovani sicuramente manca il background fatto di sperimentazione e passione».

Così parlò Arianna Tricomi. Alberto Casaro l’ha incontrata proprio prima del lockdown e che venisse incoronata per la terza volta regina del World Tour. L’intervista è stata l’occasione anche per un simpatico siparietto con la madre, Cristina Gravina, olimpionica di discesa libera a Lake Placid.

 «Arianna faceva incavolare gli allenatori perché o si faceva i fatti suoi o non si presentava agli allenamenti e poi alle gare andava forte e batteva gli altri bambini, figurati i genitori… Una volta aveva avuto la possibilità di andare col club a Les 2 Alpes a fare allenamento e nella sacca degli sci aveva nascosto quelli da park: un giorno l’allenatore mi chiama e mi chiede dove sparisce tutti i giorni Arianna alla fine degli allenamenti!».

Su Skialper 129 di aprile-maggio l'intervista completa. Skialper 129 è in distribuzione in edicola, oppure puoi ordinare la tua copia qui.

© Brett Wilhelm / Red Bull Content Pool

Mezzalama 2009, quando le avversità diventano opportunità

«Le Guide dislocate in quota mi annunciano che le condizioni meteo si sono aggravate, la perturbazione annunciata è arrivata in anticipo, il vento da stanotte sul Castore e sul Naso del Lyskamm sta creando pericolosi accumuli sui pendii. Mi dispiace dovervi dire che in queste condizioni il Mezzalama non può partire. Ipotizziamo di poter recuperare la gara sabato 2 maggio, ma ci sono grossi problemi organizzativi da risolvere. Vi daremo novità al più presto».

Un annuncio che avrebbe potuto essere accolto con rabbia, invece alle cinque del mattino di quel 19 aprile 2009, ai piedi del Cervino, la tensione si sciolse in un applauso liberatorio dei concorrenti del Trofeo Mezzalama. Uno dei momenti più difficili nella storia della maratona dei ghiacciai raccontato dalla penna arguta di Pietro Crivellaro su Skialper 129 di aprile-maggio. Riprogrammare la gara, dopo il riscontro positivo dei concorrenti, non sarà per nulla facile e, come in tutte le storie che si rispettano, c’è un episodio dietro le quinte che è cruciale e che Crivellaro racconta con dovizia di particolari. Uno di quei momenti di fratellanza che ha permesso di riprogrammare il Mezzalama proprio il 2 maggio, quando 798 atleti, ossia 266 cordate, hanno preso il via. L’innevamento del percorso era talmente ideale che gli alpini Eydallin, Reichegger e Trento hanno polverizzato il record della corsa, arrivando al traguardo di Gressoney in 4h1’22”, con ben 17 minuti in meno del record 2005. E le ragazze Martinelli, Pedranzini e Roux hanno migliorato il record femminile di quasi un’ora. Ma questa è un’altra storia.

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L’anno zero della tutina

«Io e Adriano Greco ne usavamo una da ginnastica della Panzeri, un normale spezzato, con la giacca e i pantaloni a parte: per certi versi funzionava visto che la neve non si attaccava, ma se cadevi erano dolori perché ti bagnavi tutto» dice Fabio Meraldi a proposito della prima tuta che ha usato per le gare di skialp. La parentela tra skialp e fondo ha portato a provare quanto usavano gli atleti degli sci stretti. «Le tutine dei fondisti erano fantascienza per noi, però c’era quell’apertura sulle spalle che le rendeva scomode perché dovevano essere infilate da sopra e non erano funzionali per lo scialpinismo, dove avremmo dovuto mettere le pelli?» continua Meraldi. Così è nata la prima tuta da skialp, dall’esigenza della coppia Meraldi-Greco e dall’esperienza di Valeria Colturi, che conosceva bene le tute che venivano utilizzate in quegli anni e aveva fatto anche le prime da short track perché la sorella Katia era una pattinatrice che ha partecipato a ben cinque Olimpiadi. Curiosamente i due primissimi esemplari erano neri con le bande gialle, una colorazione insolita. Il ragionamento è stato semplice: i colori scuri attirano maggiormente i raggi del sole… anche questa è storia dello skialp race. Ne parliamo su Skialper 129 di aprile-maggio.

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© Enrico Marta

Avevamo tutto e non lo sapevamo

«Dopo un caffè partiamo dal Valasco portandoci dietro un asse di legno, ci servirà ad attraversare un ruscello senza dover allungare inutilmente fino al ponte situato in fondo alla piana. Il canale è stretto, ma mai ripido. Si snoda attraverso pareti di granito rossastro che sono una delle caratteristiche della zona, ben riassunte dalla Cresta Savoia che si snoda qualche chilometro più a monte. Trecento metri, poco più o poco meno. Pochi per essere l’obiettivo di una giornata, ma abbastanza per rientrare in una concezione di scialpinismo che in Italia stenta ancora ad avere seguito: anziché voler programmare la gita in funzione di una cima precisa, in alcune aree ha più senso fare l’avvicinamento iniziale e solo dopo decidere dove puntare gli sci, in base all’appetito e al menù del giorno. Come, ad esempio, la valle del Valasco, dove sono presenti pendii di qualsiasi esposizione e inclinazione».

© Federico Ravassard

Scrive così Federico Ravassard nell’articolo di apertura di Skialper 129 di aprile-maggio, che ha regalato anche la copertina al numero attualmente in edicola. Avevamo tutto e non lo sapevamo il titolo. Sì, perché Federico si è ritrovato in uno degli angoli più selvaggi d’Italia, dove il distanziamento sociale è la norma, proprio nel momento in cui è stato dichiarato il lockdown nazionale. «Cis nel frattempo controlla nervoso il telefono, fino a quando arriva la notizia che cambierà il corso della nostra primavera, e per nostra si intende quella dell’intero Paese: in conferenza stampa il premier Conte ha appena dichiarato lo stato di lockdown in tutta Italia in risposta all’aggravarsi dell’epidemia. Ci guardiamo negli occhi consci che ora la situazione si farà parecchio complicata, per dirla con un eufemismo. In altre parole: siamo tutti fottuti». Così fare scialpinismo nel Parco Naturale Alpi Marittime soggiornando in un rifugio ex reale casa di caccia sabauda, guardando le vette e canali dove si snodano decine di itinerari, si è trasformata in un lusso e nella scusa per riflettere su quanto siamo stati fortunati fino a oggi ad avere tutto, anche se spesso non ce ne siamo resi conto fino in fondo.

© Federico Ravassard

«Scendiamo uno alla volta, dandoci il cambio alla guida del gruppo. Le pareti che ci circondano sono alte, si potrebbe credere di essere ben altrove. Anche se poi, a pensarci bene, le Marittime hanno ben poco da invidiare ad altri massicci, qui la quota relativamente modesta viene compensata dalle abbondanti nevicate, merito proprio della vicinanza con il Mediterraneo, e la morfologia complicata sembra essere studiata apposta per soddisfare desideri di pornografia scivolatoria». Se le vacanze torneranno a essere più local, come è probabile, qui in Valle Gesso, nel Parco Naturale Alpi Marittime, potrete vivere esperienze in un certo senso esotiche e quella sensazione di isolamento sempre più rara sulle Alpi. Sapevatelo e… se volete approfondire l’argomento, non rimane che leggere Skialper di aprile-maggio.

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© Federico Ravassard
© Federico Ravassard

Afghan Ski Challenge, lo sci è una cosa semplice

«Il giorno della gara a Bamyan è pieno di afghani con gli sci e in tanti vengono a vederli. A fare il tifo sono venuti anche alcuni dei bambini che avevamo visto a Jawkar, camminando per tre ore sulle montagne dove noi abbiamo sciato, con ai piedi scarpe da città e come pantaloni dei normali jeans».

© Ruedi Flück

Scrive così Ruedi Flück su Skialper 129 di aprile-maggio a proposito dell’Afghan Ski Challenge. Nel numero dedicato all’agonismo pubblichiamo un ampio reportage a questa gara che si tiene da dieci anni nel cuore di uno dei Paesi più belli e tormentati del mondo, una gara di skialp con modalità abbastanza diverse da quelle a cui siamo abituati sulle Alpi, spesso con concorrenti che utilizzano sci di legno e devono portarli a spalla in salita. O con spettatori armati di mitra. Ruedi è stato da quelle parti nel 2014 e il reportage è un avvincente racconto di viaggio, dove lo sci è, come spesso avviene, la scusa. Un viaggio nel quale ha incontrato anche Ferdinando Rollando, la Guida alpina italiana che in quegli anni operava in Afghanistan con la sua ong Alpistan. Un viaggio per visitare il luogo dove si trovavano le famose statue di Budda distrutte dai Talebani e per incontrare Sajjad Housaini e Alishah Farhang. Questi due ragazzi, grazie alla vittoria nella gara di quell’anno, hanno avuto l’opportunità di allenarsi per tentare di rappresentare il loro Paese ai Giochi olimpici di Pyeongchang nello sci alpino. Non ce l’hanno fatta, ma la loro storia ha fatto conoscere un volto diverso dell’Afghanistan. Ed è anche quello che cerca di fare, oltre i luoghi comuni, Ruedi con il suo articolo e le belle foto.

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© Ruedi Flück
© Ruedi Flück

Quelli della notte

È nata nel 2010 con una formula diversa e ora, alla decima edizione, è diventata una grande classica dello skialp in pista e in notturna, come la Sellaronda nelle Dolomiti. La Monterosa Skialp, che nel 2020 ha visto crollare i record maschili e femminili e la partecipazione di tutti gli atleti top, non è solo una gara con 120 coppie che si sfidano nella notte sulle piste del MonterosaSki, ma un evento che prende forma il giorno dopo che è finita l’edizione precedente. E Franco Torretta, direttore d’esercizio della Monterosa SpA, oltre che appassionato Skialper, lo sa bene.

© Stefano Jeantet

Su Skialper 129 di aprile-maggio gli abbiamo chiesto qualche curiosità legata all’organizzazione. «Solo per preparare il percorso ci vogliono 620 bandiere verdi per la salita, 620 bandiere rosse per la discesa, 30 bandiere gialle per le parti a piedi e 200 torce luminose per i cambi di direzione in pista e le zone di cambio; inoltre ci sono tre palloni luminosi e 30 fari per le zone di cambio. Dieci battipista tra le 17,15, orario di chiusura al pubblico delle piste di sci, e le 18, lavorano su un percorso di circa 30 chilometri». A illustrate l’articolo le stupende foto di Stefano Jeantet.

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© Stefano Jeantet
© Stefano Jeantet

Roberto Pecollo, il calzolaio hi-tech

«Dal 1984 nel nostro laboratorio in Via Marconi 65 a Borgo San Dalmazzo, nel Cuneese, la passione per la montagna e il lavoro si sono sempre fusi. All’inizio erano grandi passeggiate e uscite invernali con sci di legno e Marker a 45°, poi le cime più ardite e quindi le prime scalate». A parlare è Roberto Pecollo, un calzolaio, uno di quegli artigiani che hanno ancora un ruolo così importante nel risolvere i piccoli e grandi problemi che sono capitati a tutti quelli che usano uno scarpone da skialp o una scarpetta da arrampicata. E proprio le scarpette sono state la prima ‘palestra’ di Roberto e dei suoi collaboratori. «Le suole si consumavano, come si potevano riparare? Abbiamo provato a fare le prime risuolature con l’Aerlite che era la gomma che sembrava avere le migliori caratteristiche di aderenza, ma sulle tacchette aveva dei grossi limiti, oltre a quello della durata. Sugli scarponi, ringraziando, le cose andavano meglio, perché con la cucitura fatta rigorosamente a mano (esistevano già le macchine ma costavano troppo) e l’incollaggio del carrarmato Vibram il lavoro era collaudato».

Si è andati avanti per un decennio circa, fino a quando si è incominciato a vedere scarpette con forme strane e scarponi «con quella che noi chiamavamo genericamente plastica». Era diventato evidente che le forme di legno e la colla tradizionale non erano più adatte a questi materiali e molti lavori dovevano essere rifiutati. La svolta è arrivata a partire dal 2010. «Grazie alla caparbietà di un collega si è incominciato a parlare di colla poliuretanica che pareva funzionare su questi materiali particolari. Dopo i primi corsi collettivi abbiamo capito che era la strada giusta, ma c’era ancora qualcosa che non quadrava. Le presse che usavamo non erano più sicuramente adatte e poi non era l’unico problema… Abbiamo capito che occorrevano dei preparatori specifici, non si poteva solo lavorare con la colla come eravamo abituati». Servono l’alogeno e diversi tipi di preparatori a seconda del materiale che si devono lavorare. Semplice da capire, ma con un mercato in continua evoluzione e con produttori che giustamente non davano istruzioni, padroneggiare le lavorazioni non è stato semplice. «Fino ad arrivare al 2014, quando, grazie a un contatto personale è arrivato l’approccio con La Sportiva. Il corso a Ziano di Fiemme, la conoscenza del gruppo o meglio di quella che io definisco la famiglia della valle di Fiemme è stata un’esperienza indimenticabile nella quale per la prima volta ho capito come si lavora ad alti livelli».

Da qui la decisione di acquistare la prima pressa industriale e l’arrivo in bottega di forme specifiche che ha portato una vera e propria trasformazione nel modo di lavorare. Tutto risolto? «Il mondo della chimica è in continua evoluzione e bisognerebbe essere non dei ciabattini, ma dei tecnici dei materiali: è una sfida che cerchiamo di affrontare e di risolvere grazie all’assistenza di tante persone e tecnici disponibili, in particolare vorrei ringraziare Stefano e la famiglia Delladio per la loro disponibilità». Giorno dopo giorno Roberto e i suoi collaboratori continuano a lavorare con umiltà e voglia di migliorare, soprattutto con quella grande passione che ha sempre messo insieme il lavoro e lo svago, cercando nella ricerca e nello sviluppo una tecnica che permetta di rimanere al passo con i tempi e di fornire ai clienti un’assistenza sempre più qualificata. Ciabattino hi-tech, appunto. Ah, dimenticavamo, se aveste bisogno dell’aiuto di Roberto per risolvere qualche problema della vostra scarpetta d’arrampicata o del vostro scarpone, Roberto lo trovate al 334.2698809 o all’email roberto.pecollo@yahoo.it