Arrivano i caschi Backland di Atomic

Un casco unico per scialpinismo, ciclismo e arrampicata? È l’idea che c’è dietro ai nuovi Backland che vanno a completare l’omonima gamma di Atomic. Presentati ieri in anteprima alla stampa e oggi ai negozianti, i Backland saranno in vendita dalla prossima stagione invernale e puntano tutto su funzionalità e innovazione. Su due dei tre modelli, Backland UL CTD e Backland CTD, è disponibile anche la tecnologia Shocksense Connected (CTD), controllabile tramite app, che misura gli impatti del casco, ne monitora le condizioni e trasmette avvisi SOS in caso di emergenza. La sicurezza conta sulla costruzione Holocore e sul sistema AMID (Atomic Multi-Directional Impact Deflector) che, secondo quanto dichiarato dalla casa austriaca, garantisce fino al 40% di protezione in più rispetto agli standard del mercato. La costruzione è in Hybrid EPP in-mold e c’è il fissaggio anteriore per la lampada, un pratico sistema per tenere ben ferma la maschera quando non copre gli occhi e due cinturini elastici laterali che aiutano a renderla ancora più stabile. Il sistema intelligente 360* Fit System permette la regolazione su ogni asse. Oltre a Backland UL CTD (pensato per gli atleti) e Backland CTD (modello allround), ci sarà anche Backland, senza tecnologia Shocksense. 


Winter Home

Gennaio 2021. Non è poi così freddo: meno dieci. È una notte più mite rispetto alle punte di meno venticinque che hanno graffiato la pelle arsa dal sole e dal vento dei loro volti. Il tempo è passato veloce, come gli altri giorni: pellata, sciata, ripellata, altra sciata. E poi a prendere l’acqua che, inspiegabilmente, scorre sotto la neve, anche a meno venti, per scaldare, lentamente, a bagno maria, la bombola, che così riesce a sprigionare tutta la sua potenza per cucinare sull’altro fuoco del fornello. Un po’ di zuppa e i kaminwurzen, i salamini affumicati, da sgranocchiare con flemma, come un sigaro davanti al camino. Una serata avvolti nel sacco a pelo a ricordare le curve più belle e poi d’improvviso quella nebbia che ti avvolge e ti trasporta nel sonno più profondo dopo una giornata nella quale hai dato tutto. Aaron e Matthias chiudono le lampo dei loro sacchiapelo, testati fino a temperature polari. Dentro però, se non metti prima qualcosa di caldo, si incunea il freddo, e non c’è altra soluzione per scaldarli se non quella di usare il calore del proprio corpo. Oppure di infilarci prima qualcosa di rovente, come la boule dell’acqua calda che Aaaron ha rubato a suo figlio o la borraccia tonda, a fiaschetta, di alluminio, che Matthias usava quando era bambino, di quelle che potevi ricoprire anche con la custodia di loden. I sogni si susseguono veloci, uno dietro l’altro, nella mente di Aaron. Poi il sole, appena sorto, buca prepotentemente la porta della tenda. Uno sbadiglio, la mano fuori dal saccoapelo. Per terra c’è uno spesso strato di ghiaccio. «Cosa è successo, è caduta dell’acqua?» chiede a Matthias con la voce ancora rauca. 

«Questa notte si è rotto il camelbag che avevo con me dentro il sacco a pelo» risponde impassibile Matthias. Quella sacca idrica che di giorno mette nello zaino e che la notte tiene nel sacco per mantenere l’acqua a una temperatura accettabile e bere di tanto in tanto, ha ceduto. Tutta la notte a rimanere immobile e fradicio. Con il dubbio di alzarsi e scendere a valle. Ore interminabili che tra le parole di un racconto scorrono come un lampo dagli accenti comici, ma che dal vivo assumono l’aspetto della tragedia. 

© Daniele Molineris

Flashback. Aprile 2020. Sotto il piumino, con le guance affondate in un morbido guanciale e la schiena che poggia su uno spesso materasso, la sensazione è molto diversa da quella di qualche centimetro di materassino pieno d’aria, di un saccoapelo e di un cuscino gonfiabile. Eppure è bello sentire l’aria fredda sul viso, vedere il sole sorgere dalla porta della tenda, sciogliere la neve con il fornelletto per fare colazione. E poi mettere le pelli fuori dall’uscio e partire alla scoperta di linee infinite. Aaron è nel dormiveglia, ha ancora negli occhi le emozioni dell’ultima uscita. Partenza quando in valle era buio, un po’ di portage, poi su con le pelli. 

E infine una notte in tenda, per sfruttare al massimo quella libertà così preziosa nel cuore di una pandemia. Non è una fuga dalla legge, perché questo è il lavoro di Aaron, ma c’è quell’adrenalina che solo la trasgressione ti sa dare. Quella stessa adrenalina che gli saliva nelle vene quando, da ragazzino, si allenava a Merano 2000 e guardava su verso le creste dell’Ivigna, dove lo zio Renato Reali aveva conosciuto Heini Holzer, che poi quella parete l’ha sciata, e sognava di mettere le sue lamine in quel groviglio di roccia e neve. Con gli occhi già chiusi ma la mente ancora connessa, Aaron inizia a pensare all’inverno 2021. Non si sa se si potrà viaggiare, è ancora tutto incerto. Lassù, proprio sopra casa, appena sopra il brusio di Merano, sembra di essere in Patagonia. Il contrasto tra giù e su è quello tra il mondo sviluppato e quello selvaggio, nel raggio di pochi chilometri. O di un volo in parapendio. Sarebbe bello ricreare le sensazioni delle spedizioni negli angoli più remoti a due passi dal proprio giaciglio e dalla propria famiglia. 

© Daniele Molineris

Novembre 2021. Hanno pedalato un po’. Giusto un po’, perché la neve è scesa fino in basso. Così con le e-bike sono riusciti a salire appena qualche tornante, diciamo dai 300 metri di Merano fino a quota 600. C’è il lockdown e Aaron e Matthias, anche se potrebbero muoversi in auto, visto che stanno facendo il loro lavoro, hanno deciso di spostarsi solo con mezzi alternativi, ed ecco spuntare le bici. Bisogna andare su fino a 2.100 metri e le due ruote lasciano presto il posto alle pelli. Per tutto il mese di ottobre sono saliti più volte ai Laghi di Sopranes, nel Parco Naturale Gruppo di Tessa. Un modo per tenersi in forma e allestire poco alla volta il campo base. Quell’idea nata nel dormiveglia ha preso forma nel progetto Winter Home, un campo base fisso sulle montagne sopra casa, dal quale sciare tutte le linee immaginabili. Ogni volta si portavano dietro degli zaini da 10 chili e il parapendio, per rientrare più veloce- mente. Ora è tutto in quota, protetto sotto un masso. Ci sono le bombole, il fornelletto, la tenda e un po’ di provviste. Eppure quando arrivano in quota sembra di essere sulla luna. Di quel masso di quattro metri non c’è traccia, è tutto piatto. Forse si intravede un comignolo. Sarà lui? L’inizio dell’inverno pandemico coincide con la stagione più bianca da quando si registrano le precipitazioni nevose e allestire il campo base è più difficile del previsto. L’idea iniziale di Aaron è di montare la grande tenda all’interno di un igloo, in modo che la temperatura non scenda sotto lo zero. Così, insieme a Matthias, lavora sodo a spalare neve e creare grandi blocchi. Aaron e Matthias non sono eschimesi e non sanno che gli igloo, dopo la costruzione, si assestano. Così quella volta possente piano piano scende. Non c’è verso di lasciarci dentro la tenda, ma almeno può diventare un’ottima cantina. Però, con il passare dei giorni, la volta scende sempre più e l’idea di vedersi franare quei blocchi pesanti come macigni sulla testa o sulle preziose provviste non è il massimo. Il campo base si riduce alla tenda, molto spaziosa e comoda. 

«In tutto l’inverno saranno passati al massimo trenta scialpinisti, mettere una tenda ai Laghi di Sopranes ci ha permesso di scoprire una zona selvaggia come i posti più lontani del mondo» dice Aaron ripensando a quei lunghi mesi a cavallo tra 2020 e 2021. Il perché il Gruppo di Tessa sia così poco frequentato è frutto di un’equazione semplice: il limite della neve spesso è tra i 1.300 e 1.500 metri, l’ultima strada finisce a 650 metri. «Per iniziare a divertirti devi fare anche 1.700 metri» sentenzia Aaron. Avere una base, uno ski lodge, a 2.100 metri, permette di partire ogni giorno alla scoperta di una linea nuova, salendo fino a 3.400 metri. «La zona di Merano è abbastanza ventosa e di solito la neve si trasforma velocemente e alcuni pendii diventano pericolosi, invece per tutta la prima parte dell’inverno le condizioni sono state stupende». 

Impossibile soffermarsi su tutti i fotogrammi di oltre sei mesi. Aaron e Matthias hanno dormito nella loro casetta invernale un totale di una trentina di notti. A volte una toccata e fuga, altre tre-quattro giorni di vacanza-lavoro. Tanti ricordi, ma ci sono due istanti cristallizzati nella mente di Aaron. Due momenti vissuti con altrettanti compagni, perché una casa vuol dire ospitalità e Winter Home è stata aperta tutto l’inverno a chi condivide la stessa passione di Aaron e Matthias. La linea più bella? La linea più bella è stata quella del Verdinser Plattinger, che Aaron ha sciato con Bruno Mottini. La partenza da una lunga cresta affilata, poi una prima parte ripida e a metà un salto di roccia da superare aprendo il parapendio, in speed riding, poi ancora un grande e dolce pendio dove giocare con curve in aria e sulla neve. La discesa perfetta, quella che neanche nei sogni o nei videogiochi. E Poi l’Ivigna, la montagna sopra Merano 2000, la prima discesa ripida sciata da Aaaron, quella dove lo zio Renato aveva incontrato Heini Holzer. Questa volta condivisa con Matthias. 

Febbraio 2021. Il bollettino valanghe recita pericolo cinque. Aaron ha montato la tenda dove in estate inizia il lago.
Tutto intorno una conca disegnata con il compasso. Il pendio più vicino sarà, a spanne, a 500 metri. È il posto migliore, più sicuro. Però con rischio cinque non si mettono le orecchie fuori di casa. Un rombo avvolge la conca. Parte tutto il pendio lungo 270 gradi di quella scodella bianca. Quando Aaaron e Matthias salgono ai laghi, della tenda non c’è traccia. È un mondo sommerso e devono lavorare a lungo con sonde e pale per tirarla fuori. Winter Home è stata raggiunta dall’ultimo soffio, quello meno potente, ma è sparita sotto la coltre bianca. La montagna ha mandato un segnale, lo spirito dice di rimontare tutto da un’altra parte. Questa volta la scelta ricade sulla zona del Monte Hirzer, 2.781 metri a dividere la Val Passiria dalla Val Sarentino. «In linea d’aria sono pochi chilometri, è proprio dall’altra parte della valle» dice Aaron. Smontare, trasportare e rimontare. Un lavoraccio. Questa volta i due decidono di passare dalla Val Sarentino in auto per essere più veloci a salire ad allestire la nuova Winter Home. Però poi, per raggiungerla, si sale solo by fair means. In bici fino a Tall, a 1.400 metri, e su fino in vetta con le pelli, a quasi 2.800 metri, infine giù con una vela da paraalpinismo da pochi chili e un imbrago leggero. «Ripensandoci, è stata una fatica, ma ne è valsa la pena perché ci ha permesso di esplorare un’altra zona». 

È sempre così. Quando parti per le vacanze prepari le valigie con cura, pregustandoti ogni momento e ogni avventura. I dettagli fanno la differenza. Quando finiscono hai solo voglia di disfarle velocemente e pensare alla prossima vacanza. Per smontare Winter Home è bastato un giro con un po’ di amici, a maggio inoltrato. Zaini da parapendio da 150 litri in spalla e giù a valle come degli sherpa, tutti insieme. Perché le cose belle della vita vanno vissute con gli amici. Come quelle serate
a vedere il tramonto e parlare delle sciate, quel disco rosso del sole che buca la porta della tenda la mattina, la zuppa calda dopo una giornata fredda, lo speck e il grana, il rumore della neve sotto le pelli,
il soffio della polvere profonda, il digrignare dei denti della volpe che ripulisce l’osso del pollo appena mangiato. «Niente di speciale, tante piccole cose speciali». Parola di Aaron. 

Aaron è Aaron Durogati e Matthias, Matthias Weger. Saranno protagonisti del cortometraggio Winter Home, diretto da Luca Curto e prodotto dalla Digital Lighthouse, in associazione con Blizzard-Tecnica e con la partecipazione di Salewa. 

La tenda usata è Salewa Alpine Hut III, il saccoapelo Diadem Extreme RDS e il materassino Diadem Extreme Mat. Aaron e Matthias hanno sciato con Blizzard Rustler 10 e 11, Zero G 105 e Zero G 95 per le discese di ripido, ai piedi avevano Tecnica Zero G Tour Pro, l’outfit di Aaron è il completo Salewa Stella. Appena dopo avere smontato Winter Home, Aaron è partito per la Red Bull X-Alps insieme a Bruno Mottini, che faceva parte del suo team di assistenza. Ne abbiamo parlato su Skialper 137 di agosto. 

Queso articolo è stato pubblicato su Skialper 138 di ottobre 2021

© Daniele Molineris

Dal 25 gennaio torna il Banff Mountain Film Festival

Arrivano in Italia i migliori film di avventura, montagna e sport outdoor del mondo. A partire da martedì, con l’appuntamento di Milano, il Banff Centre Mountain Film Festival World Tour presenterà nei cinema di 26 città italiane una selezione di medio e cortometraggi dedicati alla montagna, all'avventura e all’esplorazione. L’edizione 2022 del festival itinerante coincide anche con il decimo anniversario della rassegna in Italia. Il festival è nato nel 1976 e si tiene ogni anno il primo fine settimana di novembre a Banff, Alberta, Canada; da allora il progetto è diventato globale con un circuito internazionale – il World Tour – di eventi annuali in oltre 500 città e 40 paesi in tutto il mondo, e anche quest’anno sarà presentata una selezione unica di film d'azione, ambientali e d'avventura, per viaggiare verso paesaggi mai visti e culture remote. 

Primo appuntamento con la serata inaugurale del 25 gennaio al The Space Cinema Odeon di Milano, per poi proseguire in diverse città italiane come Roma, Genova, Torino, Bergamo e Firenze. L’edizione 2022 presenta una selezione di 10 tra i migliori corto e medio metraggi, in lingua originale con sottotitoli in italiano. Tra i titoli, Inside a Hole Ski Experience, con immagini di sci in una grotta, Link Sar, sulla prima salita della montagna del Karakoram, e The Ultimate Run di Markus Eder. I biglietti sono acquistabili online. 


Arriva Garmin epix con display AMOLED

Lo scorso 18 gennaio Garmin ha annunciato l’arrivo di un nuovo smartwatch sportivo: epix. Oltre alla collaudata esperienza d’uso del marchio americano, con tante funzionalità per l’allenamento e lo sport outdoor, epix ha un nuovo e interessante display AMOLED da 1,3 pollici always-on e durata della batteria fino a 16 giorni. epix è già disponibile presso tutti i rivenditori ufficiali Garmin a partire da 899,99 € nelle versioni Slate Stainless Steel, Carrera White Titanium e Black Carbon Gray DLC Titanium, con cinturino in silicone a 999,99 €. Ecco le principali caratteristiche del nuovo smnartwatch.  

Stile e tecnologia 

Pensato per l'uso quotidiano, epix è curato nel dettaglio con un design riconoscibile e assemblato con materiali ricercati e di qualità come nelle versioni con vetro zaffiro e il titanio, o nei modelli con lente in cristallo rinforzato e acciaio inossidabile. La versione Slate Stainless Steel presenta una lunetta in acciaio con lente Corning® Gorilla® glass a protezione del display. Le versioni Carrera White Titanium e Black Carbon Gray DLC Titanium con cinturino in silicone offrono l’ultra resistenza e la luminosità del vetro in zaffiro. L’interfaccia grafica è garantita dal display AMOLED da 1,3 pollici always-on. I controlli dei pulsanti sono abbinati a una seconda opzione d’interfaccia d’uso a mezzo touchscreen. Al suo interno le funzioni più evolute per il training, pensate per l'allenamento della forza funzionale con comodi esercizi animati da seguire direttamente dallo schermo, sono rappresentate dagli esercizi cardio, yoga e pilates. Con il comodo e rapido sistema di sostituzione QuickFit™ è possibile variare il cinturino, utilizzando cosi quello più adatto all’attività preposta o al mood della giornata.

Controllo forma fisica H24

Tra le funzioni troviamo: frequenza cardiaca rilevata al polso (con soglie e avvisi configurabili), il monitoraggio della respirazione e dello stress, il rilevamento della qualità del sonno con valore, grafici e approfondimenti del proprio riposo notturno e l’analisi dell'energia quotidiana Body-Battery™. epix è adatto a qualsiasi stile di vita attivo grazie a un set di app sportive, dall’outdoor fino all’indoor d’ampia gamma come allenamenti in palestra, arrampicata indoor, bouldering, golf, windsurf, kitesurf, sci alpino e di fondo, nuoto in acque libere, in aggiunta alle ormai consolidate app sportive fitness e sport.

Allenamenti e coach personalizzati

Qualsiasi sia l’allenamento o l’obiettivo da raggiungere, epix può accompagnare i runner fino al giorno della gara con i piani di allenamento personalizzati di Garmin Coach, completi di un personal trainer virtuale gratuito che offre utili consigli e una maggiore motivazione. Per i runner di lunghe distanze, epix include un'ampia gamma di training tool come PacePro™, che consiglia il passo corretto da mantenere in base alle pendenze del percorso. La funzione Real-Time Stamina risulta utile per monitorare e gestire lo sforzo attraverso l'attività per evitare il burnout. Up Ahead sarà il nuovo road book per trail-runner che consente di leggere in anticipo i POI di riferimento. Allenarsi grazie a Garmin Coach significa ricevere piani di allenamento giornalieri, creati ad hoc in base al livello di forma fisica, al carico di lavoro del proprio corpo, ai tempi di recupero, alla cronologia delle ultime attività e ai dati biometrici. Infine la funzione Visual Race Predictor garantirà all’atleta una stima puntuale dei tempi di gara futuri tramite un trend consolidato di almeno 15 allenamenti pregressi. 

Mappe e navigazione al top

Nel chipset di rilevamento GPS potenziato trova spazio il ricevitore multi-banda e il supporto multi-GNSS per un posizionamento e tracciamento dello spazio di grandissima precisione. Nelle sue edizioni Sapphire, epix è precaricato con mappe TopoActive che offrono ulteriori download gratuiti di mappe multicontinentali da tutto il mondo, anche tramite Wi-Fi ®. Per gli amanti dello sci alpino e fondo, troviamo le mappe SkiView™ aggiornate, con nuove metriche, un miglior censimento dei resort e altri punti d’interesse con una panoramica delle attività migliorata. Con una durata della batteria fino a 16 giorni in modalità smartwatch e gesto attivata e fino a 42 ore in modalità GPS, gli utenti possono godersi le proprie attività e avventure senza preoccuparsi della prossima ricarica.

User-friendly e funzioni smart 

epix offre la completa connessione al proprio smartphone per tutto il giorno, con Garmin Connect Mobile attivato in background, e presenta una serie di funzioni smart, tra cui:

• Notifiche: ricevi avvisi per chiamate in arrivo, messaggi di testo, aggiornamenti sui social media, promemoria del calendario e altro.

• Archiviazione musica: scarica brani o playlist nella memoria interna tramite Garmin Express, servizi musicali di terze parti compresi. Spotify®, Amazon Music e Deezer3 che sono precaricati On Device. Connect IQ™ Store consente agli utenti di scoprire nuove app, quadranti orologio, campi dati e widget consigliati e installarli tramite Wi-Fi direttamente dall'orologio.

• Sicurezza e monitoraggio: il rilevamento degli incidenti (durante determinate attività all'aperto) e l'assistenza possono inviare un messaggio con la posizione in tempo reale (se disponibile) ai contatti di emergenza oppure a un numero di chiamata emergenza predefinito come il 112.

• Garmin Pay™: la soluzione di pagamento contactless consente di pagare con un semplice gesto e senza contatto lasciando a casa contanti e carte di credito.

• Personalizzazione: è possibile scaricare app, widget, quadranti e altro ancora dallo store Garmin Connect IQ™, con supporto app aggiuntivo per Garmin Golf, Explore e Garmin Connect Mobile.

www.garmin.com/it-IT   


Lontano dal rumore

Marzo 2021. Per arrivare a San Vigilio ci ho messo meno del previsto: l’autostrada era deserta. Oh no – starete pensando voi – ecco che ci risiamo con l’ennesima tirata sulle località sciistiche deserte a causa del lockdown. E un po’ avrete anche ragione, ma l’inverno 2021 per me è stato di fatto quello in cui, finito di sciare, mi capitava di ritrovarmi in un albergo vuoto a fissare il muro di fronte perché i bar erano chiusi e la gente, in Alto Adige, non poteva letteralmente uscire dal proprio comune, quindi un po’ vi tocca beccarvelo. Di positivo, però, c’è stata la possibilità di godermi questa parte di Alpi da assoluto privilegiato, assieme a Guide alpine locali che mi mostravano i loro giardini in un’atmosfera stranamente tranquilla e intima per essere, appunto, nelle Dolomiti. San Vigilio è il punto di partenza del mio tour sciistico. Sono in Val Badia, nel cuore delle terre ladine. Il ladino mi mette allegria, con i suoi suoni che mi sembrano l’anello mancante tra il bergamasco, il norvegese e il tedesco dei bolzanini. E allo stesso tempo mi incuriosisce tantissimo, perché una lingua così ben preservata, sembra qualcosa fuori dal tempo e dallo spazio, almeno a me. Il bello del viaggiare nelle Alpi è anche questo: le differenze, tanto antropologiche quanto ambientali, che ci possono essere tra una valle e l’altra fanno sì che, pur spostandosi di pochi chilometri, si abbia l’impressione di aver coperto distanze ben maggiori. 

L’appuntamento a scatola chiusa è con Simon Kehrer, che al mattino si fa trovare direttamente nella hall dell’albergo. Già dalla sera prima avevo avuto modo di intuire quanto Simon sia il beniamino della valle, quel genere di persona di cui gli altri si limitano a dire il nome senza specificare il cognome: lui è, semplicemente, Simon. Mi fa spazio nel suo furgone e insieme iniziamo a risalire la valle. Per tutto il tragitto il mio compagno mi elenca entusiasta le salite fatte da quelle parti, di tutti i tipi: aperture dal basso, sportive, invernali, solitarie, e tutte le loro possibili varianti. A dover fare un resoconto della sua attività in montagna verrebbe da chiedersi se da casa passi mai, almeno a fare finta di dormire. Al rifugio Pederü incontriamo Miriam e Walter, i gestori, che oggi hanno deciso di prendersi un giorno di vacanza per accompagnarci. 

© Federico Ravassard

Iniziamo a pellare all’ombra, dopo qualche tornante si scopre davanti a noi una delle vallate più belle del Parco Naturale Fanes-Sennes-Braies, che si merita ampiamente la posizione all’interno dei siti Unesco. Non abbiamo un vero e proprio programma: l’idea è semplicemente andare a cercare i pendii a nord dove la polvere si è conservata dopo le ultime nevicate, protetta dalle grandi pareti di dolomia che rendono uniche le Dolomiti. Saliamo verso il Piz de Sant’Antone mentre il cielo azzurro sembra volerci suggerire di non prenderla con troppa foga. La discesa sul versante opposto è perfetta, una linea sinuosa che si svolge tra contropendenze, avvallamenti e spalle fino a quando si arriva al momento che più o meno tutti aspettavamo: si ripella?  Lo zaino è carico del materiale fotografico, di cibo e acqua ne sono rimasti pochini, ma il sorrisone di Simon non può non convincerti, assieme alla promessa di una seconda discesa nel vallone parallelo a quello appena sciato. Seicento metri più tardi siamo di nuovo in cima a una montagna, a crogiolarci sopra uno spiazzo erboso e a godere della vista intorno a noi. La valle che abbiamo percorso stamattina in macchina è proprio lì sotto, protetta da bastionate di roccia gialla che sembrano essere state messe apposta per accompagnarti lungo il tragitto. Sciamo su pendii che si fanno sempre più stretti, fino a inanellare le ultime curve su una cengia che di fatto è la cima della falesia in cui si allena d’estate Simon. Uno degli aspetti del farsi portare in giro da qualcuno sulle sue montagne è la confidenza con cui lo si vede scivolare tra le pieghe del terreno, proprio come faremmo noi per passare da una stanza all’altra in casa nostra. Con Simon è la stessa cosa: la sciata non è particolarmente tecnica o ricercata, ma in un modo o nell’altro le punte degli sci sono sempre girate dal verso giusto, specialmente nei tratti più ripidi e stretti. A fine giornata ci salutiamo con un arrivederci e una frase che, se in altri contesti può apparire come una remota eventualità, tra sciatori invece si rivela spesso una constatazione, perché poi succede veramente: ci si vede in giro. 

Il giorno successivo mi sposto verso ovest, fino a entrare in quella che è conosciuta come Val Ridanna, quella di Racines, per intenderci. Come scrivevo poche righe fa, in poco più di un’ora di viaggio sembra di essere letteralmente in un altro paese: la verticalità delle Dolomiti lascia spazio a cime e panettoni più dolci e il ladino è sostituito dal tedesco. Ed è proprio ai piedi di uno di questi panettoni che mi incontro con Alfons Fassnauer, la mia Guida per la giornata. Assieme a lui si presenta anche Christof, un suo amico di lunga data. Nella notte sembra aver fatto brutto un po’ su tutta la regione: una di quelle perturbazioni primaverili che lasciano il segno solo sopra una certa quota. Dal parcheggio, di sicuro, non si capisce granché. Saliamo nel bosco ripido con le pelli che gracchiano sulla neve rigelata, la luce che filtra tra i rami illumina i suoi grani grossi. Usciti dagli alberi, la vista si apre sulla meta odierna, che nell’aspetto sembra fare decisamente a pugni con il suo nome: Zunderspitze, ovvero Cima dell’Incendio. A dispetto di quanto suggerisce la toponomastica, non c’è un singolo angolo che oggi non sia coperto da quasi mezzo metro di neve fredda e polverosa, il regalo notturno della primavera altoatesina. E, come se questo non fosse abbastanza, le condizioni sono quelle ottimali per una sciata di classe: gli strati sono perfettamente coesi fra loro, e solo la parte più superficiale scorre verso il basso quando la si tocca. Sluff leggeri e felici come la spuma delle onde durante la bassa marea. Alfons non ci pensa due volte: per arrivare in cima oggi si può passare dalla cresta, normalmente più pericolosa della via normale. Casa sua è esattamente sotto di noi: Cima dell’Incendio è poco più che un’estensione del suo giardino e batte la traccia senza la minima esitazione, mentre mi spiega come questa valle sia particolarmente fortunata dal punto di vista meteorologico. Rispetto alla parte più orientale dell’Alto Adige, infatti, qui arrivano le perturbazioni da nord, quelle che in certi anni rendono gli sciatori austriaci i più invidiati dell’arco alpino. E le condizioni di oggi sembrano confermare il tutto, specialmente quando, dopo aver postato un paio di storie su Instagram, alcuni amici sembrano non credere alle risposte dategli sulla mia posizione. 

© Federico Ravassard

Mentre i pendii sciati ieri nel Parco Naturale Fanes-Sennes-Braies sembravano invitare a uno sci selvaggio, quelli di oggi sono agli antipodi: qui tutto sembra essere molto più godereccio, l’equivalente invernale di quella che in arrampicata si definisce una via plaisir. Un itinerario poco ingaggioso alpinisticamente ma su roccia buona e in un ambiente bucolico, in cui allo scalatore viene solo richiesto di godersela. Pure il fondovalle abitato sempre in vista non disturba, anzi. Probabilmente per la sua tranquillità: questa non è una valle di passaggio, seguendo la statale fino in fondo non si arriva da nessuna parte. Certo, il fatto di essere in zona rossa (ops, non volevo parlare di pandemie e decreti) aiuta a ovattare la situazione, ma da queste parti mantenere una certa distanza dagli altri non è che venga particolarmente difficile. I miei due compagni di gita sembrano fare parte dello stesso pacchetto: vanno in montagna insieme da così tanto tempo che fanno pure fatica a ricordarlo; non solo io non ero ancora nato, ma probabilmente i miei genitori erano due perfetti sconosciuti tra loro. Una volta in cima, Alfons si siede a pochi passi dalla croce di vetta, guardando per l’ennesima volta il panorama circostante. Qui le montagne non sono altissime, i nomi non particolarmente blasonati. Quelli che per alcuni sciatori possono essere difetti, per altri diventano pregi: magari si farà qualche curva in meno, ma con molto meno stress. A posteriori, l’atmosfera selvaggia di Fanes e quella rilassata della Val Ridanna sembrano aver fatto da anticamera per prepararmi alla prossima tappa del mio viaggio, dove troverò il meglio delle due. 

In Val Martello ci arrivo nel pomeriggio, quando la luce del sole ti permette di guardarti intorno durante il tragitto. Se c’è una cosa che mi spiace dell’inverno è il dover spesso guidare col buio, potendo solo immaginare come sia il panorama fuori dai finestrini. Come tanti altri luoghi in cui sono stato in questi giorni, nella mia mente era un nome e poco più, sentito spesso riferito alla gara di scialpinismo nota come Trofeo Marmotta. Guardando una cartina, però, le idee sono più chiare: mi sono avvicinato alla Lombardia, ma soprattutto, a separarci, c’è il gruppo Ortles-Cevedale, cime simbolo di questa parte di Alpi e del Parco Nazionale dello Stelvio. Poi beh, ci sarebbero le fragole, che la rendono famosa al di fuori del nostro ambiente, tanto da essere conosciuta anche come Valle delle Fragole, rese particolarmente dolci grazie alla maturazione lenta data dalle giornate calde e notti fresche tipiche delle quote a cui crescono. Quando vengono raccolte qui, a oltre 1.500 metri di altitudine, nel resto d’Europa la stagione è già finita. 

© Federico Ravassard

Oltre alle fragole, c’è un’altra caratteristica che può far gola a chi decidesse di buttare il naso da queste parti: in tutta la valle, infatti, non esistono impianti sciistici. Un fattore penalizzante in passato ma che, in alcune località, si è poi rivelato determinante per un’offerta turistica di nicchia, assolutamente non in termini economici quanto di interessi. Il paragone inevitabile è con la piemontese Valle Maira, nota ormai da anni come località simbolo dello slow-tourism montano. E, proprio come in Valle Maira, in Val Martello si fanno molto bene due cose in particolare: sciare e mangiare. A ospitarmi sono Alexander ed Hermann Mair nel loro albergo di famiglia, il Waldheim. Trent’anni fa è stato proprio Hermann a rilevare la vecchia locanda e a trasformarla, lavorando parallela- mente allo sviluppo di una delle principali attrazioni locali, la pista da fondo e biathlon, di cui sono entrambi Maestri.

A cena conosco Hubert Wegmann, la Guida con la quale mi trastullerò in giro il giorno successivo. Nei nostri piatti c’è la trota affumicata cucinata direttamente da Hermann, che oltre a essere il gestore del Waldheim ne è anche il cuoco. Mi raccontano della passione che in valle nutrono per lo scialpinismo agonistico, che si sublima annualmente il giorno del Trofeo Marmotta, vinto quest’anno da Matteo Eydallin. La perizia con cui il percorso viene preparato è tale che, per minimizzare l’impatto sull’ambiente, ogni materiale viene trasportato a mano, facendo a meno dell’uso dell’elicottero. Il giorno dopo, come mettiamo gli sci, capisco perché gli occhi di Alexander e Hubert avevano quella strana luce parlando delle loro montagne: sopra il Rifugio Corsi, infatti, la vista si apre sulla mole del Cevedale e del Gran Zebrù, circondati da una serie infinita di pendii che sembrano in letargo, in attesa della primavera e delle grandi sciate in quota. Dal Corsi noi puntiamo a nord, verso la Punta Marmotta. L’ambiente è totalmente diverso da quello in cui mi sono mosso negli scorsi giorni: siamo in alto, a oltre 3.000 metri, e qua e là si intuisce la presenza di un ghiacciaio sotto i nostri piedi. Certo, Alto Adige significa Dolomiti, ma oltre a esse c’è ben altro, quell’altro che qualche ora più tardi contemplo con Hubert e Alexander mentre togliamo le pelli da sotto gli sci, affacciati sopra la Val di Pejo. Vicino a dove siamo partiti, mille e qualcosa metri più sotto, ci sarebbe un’altra chicca – se così possiamo definirla – per gli amanti del genere: l’imponente struttura razionalista dell’Hotel Paradiso, costruito nel 1935 dal maestro Gio Ponti come meta di villeggiatura per l’alta società fascista. Dal 1955 è rimasto sempre abbandonato, visitato occasionalmente da studenti di architettura e pochi altri. Nessuno, compresi i proprietari, ha mai pensato di trasformarlo in qualcos’altro, come se fosse un gesto inconscio della valle per rimanere pura il più a lungo possibile da un turismo fatto di grandi numeri e rumore di motori. Quel rumore che in questi giorni ho sentito poche volte. 

Per informazioni sullo scialpinismo in Alto Adige 

www.suedtirol.info/it/esperienze/inverno/sci-alpinismo 


Bode Miller lancia il nuovo 4-Quattro di SCARPA

Non poteva esserci ambassador più azzeccato per il lancio del nuovo 4-Quattro, il primo scarpone ibrido scialpinismo/sci alpino con attacchi a norma Gripwalk di Scarpa. Il marchio di Asolo ha infatti annunciato che Bode Miller sarà l’ambassador del nuovo prodotto e di Scarpa nel mondo. 

Indimenticato campione della Coppia del Mondo di sci alpino per il suo stile unico e lo straordinario talento, Bode Miller può vantare nella sua lunga carriera un palmarès ricco di trofei, tra cui 6 medaglie olimpiche, 33 gare di Coppa del Mondo e 5 medaglie iridate. Oggi si dedica in particolar modo ad attività di impegno sociale e alla promozione dello sci tra le nuove generazioni. «Dal mio punto di vista l’evoluzione di uno sport va di pari passo con lo sviluppo dell’attrezzatura che si utilizza – sottolinea Miller Questa nuova collaborazione è per me una scelta naturale: SCARPA può vantare una lunga esperienza nello sviluppo di nuovi prodotti e condivido il suo approccio fondato su ricerca e innovazione, con una grande attenzione alla sostenibilità e alla performance. Sono davvero entusiasta di iniziare questa partnership e dare il mio contributo a sviluppare i nuovi progetti dell’azienda». 

«Bode Miller ha fatto la storia dello sport ed è considerato una vera e propria leggenda dello sci - sottolinea il presidente di SCARPA Sandro Parisotto - Essere rappresentati nel mondo dal più forte discesista di tutti i tempi è per noi un passo importante e siamo convinti che insieme si possa compiere da qui in avanti un percorso davvero significativo, a cominciare dal lancio di 4-Quattro, che segna il debutto di SCARPA nel mercato degli scarponi ibridi. Si tratta di un prodotto caratterizzato da estrema leggerezza, altissime performance e adatto a soddisfare gli sciatori più esigenti». 

4-Quattro, compatibile con attacchi a norma AT, Low Tech e Gripwalk, segna l’ingresso nel segmento di SCARPA ed è il primo quattro ganci della casa di Asolo. Il peso alla bilancia però lo inserisce in una categoria a parte perché, anche nella versione più pesante, non va oltre il chilo e mezzo. 4-Quattro XT, il top di gamma, con durezza dichiarata delle plastiche di 130, è realizzato con lo scafo e il gambetto in Grilamid Bio e la lingua è in Pebax. Esistono anche una versione più soft (SL) sede ed entrambi sono declinati al femminile, con durezze delle plastiche e tonalità colore differenti. La costruzione Alpine Axial Hybrid unisce i plus di uno scarpone overlap con la facilità di calzata di un cabrio e la mobilità totale del gambetto è di 61°. 4-Quattro sarà in vendita dalla stagione invernale 2022/23.


Fedeli alla Linea

Che Robert Antonioli sia uno specialista delle linee dritte è cosa nota. L’azzurro è uno dei più efficaci interpreti della tecnica di discesa e disegna righe perfette a velocità elevate, quasi come un discesista della Coppa del Mondo di sci alpino. Con la differenza che lui scende sul tritato, sulla crosta, nella polvere. Tra i massi. Con sci abbondantemente sotto il chilo. «Meglio picchiare di culo che di testa» dice con il suo stile per spiegare la tecnica che lo porta a stare leggermente arretrato per controllare equilibrio e velocità. «Quando ti butti giù a tutta per vincere una gara, la prima cosa che chiedi è l’affidabilità, devi sapere di potere contare al cento per cento sull’attrezzatura, che non si romperà se darai un impulso più forte o su un atterraggio più brusco da un salto» aggiunge Robert mentre guarda negli occhi Daniele Trabucchi, responsabile della progettazione di Ski Trab. 

Per parlare degli ultimi adattamenti della tecnica nello scialpinismo agonistico e di come gli sci si stanno sviluppando per venire incontro alle esigenze degli atleti, li abbiamo fatti sedere attorno al tavolo della tavernetta della storica sede del costruttore bormino, dove sono passati tutti i più grandi dello skialp. Uno dei massimi interpreti dello scialpinismo agonistico e uno dei maghi che stanno dietro ad attrezzi che ormai adottano dettagli da Formula Uno.
In compagnia dell’ultimo arrivato, il nuovissimo Gara World Cup 70, che condensa buona parte di questi sviluppi verso uno skialp più moderno. «È uno degli sci nuovi sui quali abbiamo cambiato di più rispetto al modello precedente, ma partendo dagli stessi contenuti che hanno garantito affidabilità nel passato, a cominciare dalla costruzione a 14 strati con nucleo alveolare in aramide e legno di frassino, che non cambia se non per piccoli dettagli nell’assemblaggio» esordisce Daniele. Con il nuovo Gara World Cup nella durezza massima (Ski Trab propone, come da tradizione, anche il flex 60, più adatto a pesi leggeri e agoniste) si è pensato soprattutto a creare un attrezzo più preciso e stabile, nell’ottica dell’economia generale della gara e della gestione delle energie. «È più fluido in salita e discesa, in picchiata, soprattutto su nevi crostose, tiene meglio la linea perché non rischia di prendere di spatola» dice Robert. Frequenza. La parola magica di Daniele è frequenza. Quella che con Gara World Cup 70 puoi tenere anche in salita, dove fila dritto, eliminando quella tendenza ad allargare che fa sprecare energie e disturba il ritmo. 

«Ho chiesto di portare il feeling delle gare sprint, dove tutto è più veloce, e in salita, soprattutto sul diagonale, lo sci sta sempre a contatto con la neve e favorisce una frequenza esatta». Anche se sali solo di punta, come ama fare Robert nelle sprint. Oppure se, al contrario del valfurvino, che nelle altre gare è uno di quelli che amano tirare il passo, adotti una tecnica più simile alla corsa, fatta di piccoli passi veloci. Il risultato finale risponde alle richieste degli atleti top ed è frutto di uno sviluppo continuo, con ripetuti passaggi dalla prototipazione alla neve. La forza di Ski Trab sta proprio nella vicinanza alla materia prima (che non è solo la neve ma anche la possibilità di avere fuori dall’uscio di casa collaudatori come Robert e Nicolò Canclini), ma anche nella possibilità di realizzare velocemente tutte le parti e i prototipi nell’atelier di Bormio. Però, in fin dei conti, uno sci deve essere sciabile e per realizzarlo come nei sogni di Robert c’è tutta l’esperienza (e le notti in bianco) di Daniele. «Siamo intervenuti soprattutto sulla geometria, con uno sci un po’ più dritto, ma lavorando su alcuni dettagli per evitare che fosse meno manovrabile e più difficile da girare, a partire soprattutto dai punti di contatto di punta e coda» interviene Daniele per spiegare la ricetta di Gara World Cup 70. In pratica la punta è stata arretrata e la coda è stata avvicinata allo scarpone. 

«Entrambe sono più lunghe, la punta ha anche maggiore larghezza». Se il valore numerico dei raggi è leggermente aumentato, intervenendo proprio su questi dettagli si è lavorato per non cambiare molto il feeling. «Il raggio è stato minimamente ritoccato e, soprattutto in coda, continua ad aiutarti a uscire, punta e coda più lunghe favoriscono il galleggiamento, su tutte le nevi» dice Daniele. «Avere più coda ti dà maggiore sicurezza quando scendi a tutta, è un’altra vita perché in discesa su nevi difficili eviti quell’aggancio che ti può fare andare in rotazione e infatti, quando provavo i primi prototipi, Nicolò Canclini era geloso» aggiunge Robert. C’è un altro dettaglio, non di poco conto, che influisce sull’esperienza generale: il montaggio attacco leggermente avanzato rispetto al vecchio modello. Come coda e punta più lunghe, è un adattamento derivato da modelli più ludici, come Magico.2 e Maestro.2. «Trovo che renda più veloce i cambi d’assetto, è un dettaglio che ti fa guadagnare centesimi e risparmiare energie e nell’economia di una gara può essere vincente» aggiunge Robert. Come la coda rastremata, pensata per entrare ancora più facilmente negli anelli dello zaino e non fare perdere tempo nei cambi d’assetto. «E poi dà più libertà d’indirizzo» interviene Daniele. 

Sul passo conta anche lo scivolamento delle pelli, ma per favorirlo sono stati studiati alcuni accorgimenti come un ponte un po’ più alto per ridurre l’attrito, mentre l’arretramento del punto di contatto della punta, con conseguente minore sciancratura, lascia meno millimetri scoperti, in chiave grip. Tutto lo sviluppo di Gara World Cup 70 è stato studiato in abbinata con l’attacco di casa, il Titan Gara, un set pensato per rendere al massimo in sinergia. Come tutti gli attacchini race, Gara da questa stagione dovrà montare lo ski stopper, per rispettare il regolamento ISMF. Una parte del set che porta qualche cambiamento negli schemi degli atleti e che sta già facendo discutere. La soluzione trovata da Ski Trab, con posizionamento sulla talloniera, dà garanzie a Robert, perché «non cambia gli automatismi ai quali sono abituato nei cambi d’assetto». Con Gara World Cup 70 il futuro è già arrivato. E il prossimo passo quale sarà? Robert e Daniele si guardano negli occhi e sorridono: «lo sci biodegradabile». 


Tea e il Baldo

«Oggi siamo così distanti da quegli esseri umani che vivevano con poco niente. Inutile tentare di tornare a quelle origini. La frenesia di immagini inutili e disturbanti, il sovraccarico di stimoli con cui il consumismo ci ipnotizza, i record da battere, il progresso tecnologico, i video di azioni epiche e inimitabili, gli idoli perfetti, la musica liquida, l’ultimo modello di sportwatch, i social media, i tablet, l’angoscia per il futuro, il peso sempre incombente del passato, il coprifuoco: ogni tanto bisogna chiudere tutte queste cianfrusaglie in un baule col lucchetto e farsi un giro leggeri dietro casa».

Scrive così Andrea Zocca nel racconto Tea e il Baldo, che pubblichiamo su Skialper 136 di giugno-luglio. Un giorno, durante l’ultimo lockdown, Andrea e Tea iniziano a parlare del Monte Baldo e di quanta biodiversità ci sia, di quanti paesaggi diversi si possano trovare in un’area così piccola e vicina a casa. Così ci impiegano poco a pensare di prendere una bicicletta, arrivare ai piedi del Baldo e traversare tutte le creste a piedi. «È tutto un sali e scendi, mai troppo difficile. Ci si affaccia un po’ di qua e un po’ di là, tra il lago e la Valdadige, come quando si cammina su una lunga muraglia, su una linea bianca tesa e scolpita dal vento. Qualche roccia e del pino mugo ci fanno da appigli nelle parti più tecniche, ma la neve è dura e i ramponi mordono bene. Tea si sporge su una cornice e ammira il paesaggio. Sta per tramontare il sole: inizia una nuova magia, le nuvole si infuocano e tutto si tinge di rosa. È diventato palloso e quasi un cliché dire quanto sia emozionante un tramonto. Sarà colpa dei social, sarà che abbiamo paura di essere dimenticati, ma per non fare la fine dei simulacri vuoti che ostentano sensibilità è meglio abbattere quel cliché putrido che riveste la bellezza di ogni tramonto soltanto guardandolo: è bello e non lo dobbiamo dimostrare a nessuno, non dobbiamo vantarci del nostro sentire».

Poi una notte al rifugio invernale del Telegrafo e il rientro a casa tutti sudati. «Tanto quel lucchetto salterà e tutti quei folletti impazziti torneranno ad assalirci, ma almeno abbiamo respirato un attimo, per capire cosa siamo veramente e cosa stiamo diventando. E sorriderci addosso. Credo che nei luoghi selvaggi dove ci si addentra nudi – anzi magari proprio nudi no, con qualche strato di Gore-Tex e piuma – poi si esca pieni di qualcosa. Qualcosa che va oltre il sudore, i calli, le zecche, le vesciche e la disidratazione. Usciamo pieni di risposte ovvie al senso incomprensibile della natura e della vita. Per questo vado in montagna con gli amici!».


Angermund e Mathys vincono la Marathon du Mont Blanc

Parata di stelle a Chamonix questa mattina per la Marathon du Mont Blanc, seconda tappa delle Golden Trail World Series, dopo lo stop forzato del 2020 a causa della pandemia. Percorso modificato per garantire il rispetto delle regole imposte dall’emergenza sanitaria, con 4 km in meno (in totale 38) e 2.600 m di dislivello. Oltre 1.600 i runner al via. La vittoria è andata al norvegese del team Salomon Stian Angermund (3h18’08’’) che ha chiuso con circa due minuti di vantaggio su Davide Magnini e circa cinque sul polacco Bartlomiej Przedwojewski, con il podio interamente marchiato Salomon. Quinto Francesco Puppi. Tra le donne vittoria della svizzera Maude Mathys (3h51’04’’, Salomon) con circa cinque minuti di vantaggio sulla francese Anaïs Sabriè (Matryx) e sulla connazionale Blandine L’Hirondel (Hoka One One).

Angermund e Magnini sono rispettivamente al primo e secondo posto del ranking generale dopo le prime due gare in Spagna e in Francia e precedono Remi Bonnet. Tra le donne comanda Mathus davanti a L’Hirondel e alla svizzera Spycher. Nel weekend di gare ai piedi del Monte Bianco è andata in scena anche la 90 km du Mont Blanc, vinta dal francese Martin Kern (10h23’11’’) sul connazionale Mathieu Delpeuch e sul russo Dimitry Mityaev. Quarto Franco Collé. Tra le donne vittoria della statunitense Hillary Gerardi (11h54’11’’) su Giuditta Turini e la russa Ekaterina Mityaeva. Il prossimo appuntamento della Golden Trail World Series è a Canazei tra due settimane il, 18 luglio per la la Dolomyths Run.


Dobro došli

«Molte delle nostre storie nascono anche grazie a una piccola tendina gialla, in cui dormiamo presto la sera e dove ci svegliamo di buon’ora in posti magici. Proviamo a spostarci a piedi quando i passi di montagna sono ancora chiusi e camminiamo, oltre che per il semplice andare, soprattutto per stare bene e conoscere culture. Puntiamo a spazi dove il tempo si allunga e le memorie sono diverse, le relazioni umane e i segreti si sanno ancora mantenere. In città abbiamo regole e binari ben definiti a cui dobbiamo adeguare il nostro stile di vita, ma in montagna possiamo esprimerci, rilassarci e appena si arriva in altura scatta quella originalità che contraddistingue ciascuno di noi. Abbiamo piccoli obiettivi di giornata e il solo vero scopo di raccogliere storie di minoranze scovandole nella familiarità che si prova tra le mura domestiche di qualcuno che hai appena conosciuto».

© altopiani.org

Scrivono così Giacomo Frison e Glorija Blazinšek in Dobro došli, su Skialper 136 di giugno-luglio. Nel reportage che pubblichiamo scrivono di incontri e di ospitalità tra Carpazi, Balcani e Caucaso. Spesso in case semplici ma dignitose, dove sono le donne le vere padrone. «Di solito è l’uomo che rompe il ghiaccio, cerca di filtrare lo sconosciuto da quella che è la sua casa. Non è sempre facile entrare in una proprietà privata, alle volte gli interrogatori durano decine di minuti sotto la pioggia o sotto il sole rovente, si viene ispezionati alla luce di una torcia, ti chiedono da dove arrivi e per dove hai intenzione di proseguire; in altre occasioni ci sono dei cani da guardia particolarmente aggressivi. Ma poi, quando tutto si calma, e ti viene fatto quel cenno di approvazione per entrare, quando passi la soglia e vieni accolto, è lei, la donna, che premurosa come se ti conoscesse da sempre si prende cura di te. Lungo le linee a zig-zag di Altripiani, seguendo monti e confini, lontano dalla città, è sempre andata così. Le donne sono le persone che il più delle volte ti fanno sentire a casa anche se ti trovi molto distante dai tuoi cari».

Si passa dalla genuinità della contadina Mayvala, in Georgia, al polacco Jozef che ha una vecchia radio che accende solo per ascoltare le previsioni meteo, oppure a Dana e Boro che vivono ancora con Tito, padre della Jugoslavia, che li guarda severo dalle pareti della cascina. Sui monti dell’Albania i giovani Pavlin e Zef accolgono i turisti nella loro guesthouse e nel ristoro tra i boschi, mentre non lontano sorgono villaggi turistici un po’ kitsch ad uso di facoltosi turisti arabi. Solo andando a piedi si possono scoprire i luoghi e le persone. E magari anche la natura selvaggia del parco del Durmitor, in Montenegro. 

© altopiani.org

«Abbiamo piantato la tendina in ottima posizione, poco distante da un lago glaciale e alcune lingue di neve che si alternano a una vegetazione ancora in lenta ripresa dopo la stagione più fredda. Stiamo godendo di una speciale luce del tramonto, dopo una giornata di vento forte e nuvole minacciose durante la quale spesso abbiamo calpestato neve sprofondando fino alle ginocchia. Sopra una certa quota è difficile andare a esplorare, infatti non c’è un’anima viva in giro, solo un camoscio solitario che nell’indifferenza più totale ha continuato a mangiare ramoscelli di graminacee e foglie di arbusti. In questo paesaggio sconfinato la luce si fa più debole e si avvicina per noi l’ora più difficile, quella tra le sette e le otto di sera. Vorresti dormire, appisolarti, ma al tempo stesso guardare fuori curioso». 

© altopiani.org

Marco De Gasperi 2.0

«Ho avuto l’onore di sfidare i due più grandi runner della natura degli ultimi decenni, Kilian Jornet e Jonathan Wyatt e, se guardo indietro, i due episodi chiave della nostra rivalità sportiva sono stati entrambi al monte Kinabalu, in Malesia, a pochi chilometri di distanza uno dall’altro. C’è una legge del contrappasso: nel 1999, ai Mondiali di corsa in montagna, abbiamo duellato tutta la gara con Jonathan, poi lui, su una salita, è partito e non sono riuscito a tenere il ritmo. Dopo un po’ l’ho visto accasciato a terra, a pagare quello sforzo, e mi sono trovato al collo una medaglia d’oro insperata. Nel 2011 ho patito una delle sconfitte più brucianti: avevo tre minuti di vantaggio su Kilian e davanti a me una discesa per gestire il vantaggio; ancora oggi non riesco a capacitarmi di come abbia potuto raggiungermi e superarmi prima del traguardo».

A parlare è Marco De Gasperi, intervistato dal direttore responsabile di Skialper, Claudio Primavesi, sul numero 136 della rivista, in edicola ora. Un anno ricco di novità quello della leggenda della corsa in montagna. Da carabiniere, con il tanto agognato posto fisso, a manager di uno dei marchi più famosi del mondo outdoor, SCARPA. E in dodici mesi difficili ha corso tanto, ma in un modo diverso da prima. Dal suo arrivo ad Asolo, ad aprile 2020, nel pieno di una pandemia, a maggio 2021, sono arrivate nei negozi ben quattro scarpe nuove. Così quella con Marco è stata una chiacchierata a 360 gradi, dalle scarpe da trail all’ultra-running. Ecco un paio di anticipazioni.

Come sarà la scarpa del futuro? 

«Conta il cushioning, conta il rebound, ma credo che nel mondo del trail non si possa prescindere dalla precisione, non tanto o solo in punta, ma all’altezza del collo del piede, indipendentemente dalla filosofia che si utilizza per raggiungere il risultato».

Cosa cambia tra corto e veloce e lunghe distanze, dal punto di vista di chi arriva dalla corsa in montagna e dalle skyrace?

«Ho grande rispetto per i più forti atleti ultra anche se a volte si è portati a credere che le prestazioni non siano così eccezionali e che allungando le distanze si possano mescolare le carte. Non è così: prendi l’UTMB, ci sono una ventina di atleti top eppure ne arrivano al traguardo sempre pochi, non perché non siano preparati, ma perché le variabili che rendono difficile la lettura della gara sono tantissime e gli outsider che si mettono in mostra non lo fanno per demerito dei big. Cambia l’approccio all’allenamento, la crisi non la puoi eliminare, ma devi allenarti a resistere, a superarla nel più breve tempo possibile. Quello che rende tutto più difficile è che è ancora una disciplina in fase di studio, a livello di conoscenze siamo come negli anni Ottanta per la maratona».

© Federico Ravassard

PrimAscesa, prove generali di alpinismo post apocalittico

«Per una civiltà fortemente urbanizzata la natura è, nel migliore dei casi, una gita nel weekend. Una cosa da Linea Verde, da guardare nei documentari. Qualcosa che non ci riguarda da vicino, così come non ci riguardano (apparentemente) da vicino gli effetti devastanti che hanno su di essa anni di abitudini globali di consumo non sostenibile. Ok, è triste che molte specie vegetali e animali si stiano estinguendo, ma in fondo chi le aveva mai viste?».

Comincia così l’articolo PrimAscesa, prove generali di alpinismo post apocalittico di Elisa Bessega su Skialper 136 di giugno-luglio. È proprio attraverso un documentario che Simon e Juan, alpinisti trentini da sempre alla ricerca di avventure fuori dal comune, si propongono di farci sentire abitanti, e dunque responsabili, del pianeta che dovremmo chiamare casa. E non lo fanno esaltando la bellezza idilliaca di qualche vallata incontaminata lontana centinaia di chilometri da qui, né denunciando gli effetti irreversibili dello scioglimento delle calotte polari. Al contrario, ci obbligano brutalmente a fare i conti con qualcosa di molto più familiare, ovvero tutto ciò che, una volta buttato nel cestino, pensavamo fosse scomparso. Benvenuti in PrimAscesa: la prima ascesa invernale e discesa su sci di una discarica cittadina.

«Nessuno sa cosa incontreranno durante la salita, non sono stati fatti sopralluoghi prima delle riprese né è stato concordato alcun copione. Nessuna relazione a cui fare riferimento, nessun video online che anticipi le condizioni del pendio: in un momento storico in cui mappe, GPS, forum e social ci permettono di attingere a un vastissimo bacino di informazioni prima di ogni gita, la sensazione paradossale è quella di ritrovarci per la prima volta ad esplorare sul serio un territorio vergine». PrimAscesa è un mediometraggio diretto da Leonardo Panizza e prodotto da Linnea Marzagora recentemente proiettato nel corso della sessantanovesima edizione del Trento Film Festival e premiato come miglior film della sezione Orizzonti Vicini.