Ortovox e Arc'teryx uniscono le forze per un nuovo zaino airbag elettrico

Anche Ortovox e Arc’teryx entrano nel business degli zaini airbag con sistema elettrico. Il costruttore tedesco, che commercializza la serie con cartucce Avabag, ha presentato ieri la nuova joint-venture con il marchio canadese di proprietà di Amer Sports che ha dato vita alla tecnologia Litric. Si tratta di un device alimentato da supercondensatori e da una batteria agli ioni di litio a lunga durata, in grado di mantenere 60 ore di carica per almeno 2 rilasci. La ricarica avviene tramite cavo e presa USB-C. Non avendo una cartuccia, Litric lascia più spazio all‘attrezzatura e non è soggetto a restrizioni per i viaggi in aereo. Il sistema pesa solo 1.100 g, grazie ai supercondensatori resistenti al freddo e a una delle strutture di airbag più leggere sul mercato. 

Buone notizie per gli scialpinisti perché tra o modelli ce ne sono due pensati per sci e pelli e uno in particolare per chi ricerca la massima leggerezza. Con appena 1.970 g e 27 litri, Avabag Litric Zero si concentra solo sull‘essenziale. Dispone di molto spazio per le escursioni giornaliere e ha tutte le caratteristiche più importanti, come le opzioni di fissaggio per gli sci, una piccozza o i bastoncini. L‘attrezzatura di emergenza si può riporre nello scomparto principale. 

La gamma comprende anche Avabag Litric Tour con una base modulare progettata specificamente per due lunghezze del busto: regular e short. Lo zaino si può adattare all‘utilizzo previsto grazie a due sacche con cerniera specifiche per le uscite di scialpinismo nelle misure 28 litri short, 30 litri, 36 litri short e 40 litri. Avabag Freeirde si può adattare con il sistema zip-on nelle versioni 16 litri short, 18 litri, 26 litri short e 28 litri. 

Tutti gli zaini sono a impatto climatico zero e senza PFC e saranno commercializzati a partire dalla stagione invernale 2022/23. 


Ultrabericus aggiunge la 100k alla tradizionale 65k e alla Urban

Saranno quasi 2000 gli appassionati di trail che il prossimo 19 marzo prenderanno parte a una delle distanze della Ultrabericus, classica di inizio stagione che si corre sui Colli Berici con partenza e arrivo a Vicenza. Per l’undicesima edizione e, unicamente per il 2022, arriva anche la distanza da 100 chilometri (con 100 dei 400 pettorali a disposizione sulla distanza più lunga già prenotati). Per quanto riguarda le altre distanze sono già sold out circa la metà.

Oltre alla distanza da 100 km, che presenta 4.400 metri di dislivello positivo, saranno riproposte la classica da 65 chilometri, da affrontare singolarmente oppure a staffetta mista su un dislivello di 2.500 m D+ e la versione Urban (22k e 750 m D+), molto apprezzata non solo dagli appassionati di trail ma anche da quei podisti che, abituati all’asfalto, muovono i primi passi verso la corsa su sterrato.

«Quella 2022 vuole essere una special edition – spiega il direttore di gara dell’Ultrabericus Team A.S.D., Enrico Pollini – per tornare finalmente alla grande tradizione di questo evento che apre la primavera della corsa outdoor, offrendo al tempo stesso una nuova sfida che il 2020 purtroppo ci aveva tolto all’ultimo minuto».

Tutte le gare si svolgeranno sul medesimo tracciato, con partenza e arrivo nella splendida Piazza dei Signori a Vicenza, ai piedi della Basilica Palladiana. Se già la versione integrale da 65 chilometri fa un giro completo dei Colli Berici, quella da 100 chilometri si spinge ancora più in là, fino alle propaggini più estreme di questi rilievi collinari la cui altezza non supera i 500 metri di quota, passando per l’area di Lumignano, per la Val Liona e l’altopiano di Grancona e per il monte Comunale di Brendola. La gara a staffetta, a coppie miste, si svolge sul percorso della 65k con passaggio del testimone all’Eremo di San Donato, nel territorio di Villaga; mentre la prova Urban affronta i primi e gli ultimi 10 dell’anello. 

Il tracciato, caratterizzato da salite e discese che si alternano continuamente ma senza grossi strappi, è interamente corribile. Per questo, soprattutto per le gare più lunghe, è consigliabile avere una buona base di corsa. 


François Cazzanelli raddoppia con La Sportiva

Da due anni utilizza gli scarponi La Sportiva, ora François Cazzanelli passa in total look, vestendo anche con capi tecnici della casa trentina. Cazzanelli, ex atleta di alto livello di scialpinismo, ha scalato 92 volte il Cervino e scritto, da solo o in compagnia di soci come Steindl e Ratti, alcune delle più belle pagine dell’alpinismo in velocità degli ultimi anni, dal Manaslu a/r in 17 ore e 43 minuti, all’Integrale di Peuterey in meno di 16 ore, dalla Cresta Cassin al Denali in meno di 19 ore, alle creste del Cervino in 16 ore e 4 minuti. Tra i suoi progetti, Il K2: «Vorrei scalare il K2, è dal 2020 che ci provo. È una montagna che mi attrae da sempre: stiamo ancora definendo di preciso cosa andremo a fare ma di sicuro sarà qualcosa che rispecchia il mio stile, quindi un po’ fuori dagli schemi». Intanto nello scorso autunno, insieme a Emrik Favre, ha scalato l’Ama Dablam in velocità e, insieme a Favre, Leo Gheza, Francesco Ratti e Jerome Perruquet, il Kondge Ri (6.187 m) per poi raggiungere il Tenganpoche (6.498 m) tramite la cresta est. 


Da domani parte il tour di EOFT-European Outdoor Film

Si parte domani, mercoledì 9 febbraio, con la prima a MIlano all'Orfeo Multisala, per proseguire con altre 14 date in tutta Italia, fino al 24 febbraio. Dopo un anno di pausa a causa del Covid, torna EOFT-European Outdoor Film Tour, che spegne le venti candeline. Sono sette i film di avventura e sport all’aria aperta proposti, con le donne al centro dell’attenzione grazie I am North, che vede protagonista Caro North, e Climbing Iran, con Nasim Eshqi. A seguire, una breve presentazione dei cortometraggi in programma. 

I AM NORTH 

Caro North è attratta dalle montagne, dalle pareti, dall’altitudine, non importa in quale parte del mondo. A 16 anni è già in cima all’Aconcagua (6.961 m) in Argentina. Guida la prima cordata tutta al femminile sulla vetta del Cerro Torre, inaugura più di 50 nuove vie in Patagonia e scala la parete nord dell’Eiger a 22 anni. Ma non sono solo le sue spedizioni in Patagonia, Alaska, Iran e Himalaya a formare la giovane alpinista, ma anche le sue esperienze come guida alpina nelle montagne svizzere, dietro casa sua. Nel ritratto, la seguiremo esattamente lì: sulle cime ghiacciate – dove Caro North si sente più a casa. 

Germania 2021 | Protagonisti: Caro North, Nadine Wallner | Direttore: Jochen Schmoll 

MILES AHEAD

Un uomo – un mondo – un record? Per Jonas Deichmann no ci sono problemi e una sola marcia: avanti. E quello che ancora nessuno ha raggiunto è per l’atleta estremo un invito per crescere sempre di più. Dopo i suoi sensazionali record attraverso l’Eurasia, le Americhe e da Capo Nord a Città del Capo, Deichmann affronta la più grande sfida della sua carriera: Un triathlon intorno al mondo. Si tratta di 120 volte la distanza dell’Ironman in una volta sola. Quando Deichmann partirà in bicicletta a Monaco di Baviera nel settembre 2020, avrà davanti a sé 450 chilometri di nuoto, 19.000 chilometri di ciclismo e 5.000 chilometri di corsa e l’avventura di una vita. 

Germania 2021 | Protagonista: Jonas Deichmann | Direttore: Paula Flach 

AMAZONIE 

Marzo 1950: nel mezzo della giungla della Guyana, gli indigeni trovano il diario dell’esploratore francese Raymond Maufrais – ma nessuna traccia dell’autore. Quando il giovane avventuriero Eliott Schonfeld (Le Minimaliste) entra in possesso del libro 70 anni dopo, la voce di Maufrais lo affascina immediatamente. Parte per la Guyana francese per seguire le tracce di Maufrais nella giungla. Quello che inizia come un viaggio nel passato presto porta Eliott ai limiti delle sue forze così che si avvicina pericolosamente allo stesso destino di Maufrais. 

Francia 2019 | Protagonista: Eliott Schonfeld | Direttore: Eliott Schonfeld 

SPELLBOUND 

Se si vuole volare, ci si dedica a una danza con la forza di gravità. La Nuova Zelanda/ Aotearoa off e per questo ai piloti di tuta alare un favoloso terreno di gioco. Le ombre umane volanti sembrano quasi surreali mentre si lanciano su crepacci, torrenti e pendii di montagna. SPELLBOUND riesce a catturare la magia del volo una poesia in forma di film. 

Nuova Zelanda 2020 | Protagonisti: David Walden, Malachi Templeton, Gregory Noonan | Direttore: Richard Sidey 

OUT OF FRAME 

Multitool diventato umano: Il francese Mathis Dumas appartiene a una nuova generazione di alpini a 360°. Quando affronta gli ostacoli sugli sci, sulla corda o con le piccozze, il suo lavoro è appena iniziato: Come fotografo outdoor, l’atleta ha scelto una professione che gli richiede il massimo delle prestazioni atletiche, sociali e creative. L’attenzione è sempre sul suo soggetto – fino al giorno d’oggi. Seguiamo Mathis durante il suo ultimo progetto: una scalata mai vista prima nel cuore del massiccio del Monte Bianco. 

Francia 2020 | Protagonisti: Mathis Dumas, Xavier De Le Rue, Marion Haerty, Conrad Anker | Direttore: Jordan Manoukian 

CLIMBING IRAN 

Una scalatrice professionista in Iran – dovrebbe essere una contraddizione in se stessa. Per Nasim Eshqi invece è una realtà vissuta: l’iraniana segue il richiamo delle montagne e sfid così i limiti sociali imposti alle donne dal suo paese d’origine. Nel frattempo, Eshqi ha stabilito cinquanta nuove rotte in Iran. Il film racconta la storia di una donna straordinaria che, spinta dalla sua passione, supera barriere mentali, geografiche, fisiche ed ideologiche, 

Italia 2020 | Protagonista: Nasim Eshqi | Direttore: Francesca Borghetti 

PLAYING GRAVITY

Il professionista dello snowboard Elias Elhardt e il pilota di droni Sebastian Schieren sono entrambi maestri dei voli: uno con il suo snowboard e le sue grandi acrobazie, l’altro con il suo drone da ripresa in una nuova dimensione del filmmaking. I PLAYING GRAVITY, entrambi trovano un modo per sfidare la gravità lanciandosi in una corsa acrobatica giù per la montagna. 

Austria 2021 | Protagonisti: Elias Elhardt, Sebastian Schieren | Direttore: Elias Elhardt, Sebastian Schieren 


Del Pero show ai Mondiali di Skysnow

La prima edizione di Mondiali di Sklysnow, la versione invernale dello skyriunning, con ramponcini ai piedi, andata in scena a Sierra Nevada, in Spagna, il 4 e 5 febbraio e fortemente voluta da Rogello Macias, vice-presidente dell’International Skyrunning Federation, è stata un successo per la spedizione azzurra che porta a casa l’oro nella classifica per nazioni oltre ai tre successi di Luca Del Pero nella Classic, nel Vertical e nella combinata. Argento per Lorenzo Rota Martir nella Combinata, dove Daniele Cappelletti è arrivato terzo e bronzo nel Vertical di Rota Martir. 

Nella Skysnow si è corso su un anello di 12,5 km e 925 m D+, con arrivo a 2.913 m. La neve soffice ha reso più complicata la gara che ha visto lo statunitense Mike Popejoy al secondo posto e il russo Aleksei Pagnuev al terzo. Nel Vertical si è corso su 950 m D+ e 4,3 km, con arrivo a 3.050 m e l’argento è andato al russo Vitalii Chernov.

Tra le donne successo della svedese Lina El Kott sulla spagnola Silvia Lara e la connazionale Virginia Perez. La Perez ha anche vinto la Classic davanti alla portoghese Joana Soares e alla svedese Sanna El Kott Helander. Nella combinata oro a Lina El Kott, argento a Virginia Perez e bronzo a Joana Soares. La classifica a squadre ha visto l’Italia, con 624 punti, superare la Spagna (588) e la Russia (490).

© Josè Miguel Munoz

Mollaret e Gachet fanno il bis nell'Individual della Valmalenco

Dominio della coppia Axelle Mollaret-Xavier Gachet anche nell’individual di Coppa del Mondo della Valtellina Orobie del 3-5 febbraio, spostata da Albosaggia alla Valmalenco per mancanza di neve, dopo il successo nella tappa di Morgins, in Svizzera.

Tra le Senior, giovedì 3 febbraio, la francese ha ottenuto la quarta vittoria nella gara individuale su quattro gare di questa disciplina disputate nella stagione 2021/22. Sul podio con lei sono salite anche la svedese Tove Alexandesson, seconda, e la transalpina Emily Harrop. Tra gli uomini, Michele Boscacci era in testa nella prima parte della gara, ma ha poi ceduto il passo negli ultimi tratti al francese Xavier Gachet e al compagno di squadra Matteo Eydallin. Il podio: Xavier Gachet, Matteo Eydallin e Michele Boscacci. L'austriaco Paul Verbnjak è stato il vincitore della categoria U23, seguito da Matteo Sostizzo e Giovanni Rossi. Tra le donne, Lisa Moreschini si è imposta su Katia Mascherona e la francese Mallaurie Mattana. Manuela Pedrana ha dimostrato di essere l'atleta più forte tra le U20, davanti alla compagna di squadra Silvia Berra e alla spagnola Maria Costa Díez. Trym Dalset Lødøen (NOR) è stato il primo uomo U20 a tagliare il traguardo, davanti allo spagnolo Marc Ràdua Ivern e Rocco Baldini. 

La vincitrice della Sprint di sabato è stata Emily Harrop (FRA), seguita dalla svedese Tove Alexandersson e da Mara Martini. Tra gli uomini, lo spagnolo Oriol Cardona Coll ha regolato Arno Lietha (SUI) e Hans-Inge Klette (NOR). Negli U23, Giovanni Rossi ha vinto davanti al pubblico di casa sugli svizzeri Patrick Perreten e Matteo Favre Tra le donne, c'è stato un podio tutto italiano che comprende, in ordine di arrivo, Lisa Moreschini, Samantha Bertolina e Katia Mascherona. L'atleta U20 Robin Bussard (SUI) ha ottenuto la medaglia d'oro, mentre lo svizzero Thomas Bussard e l'andorrano Oriol Olm Rouppert sono arrivati rispettivamente secondo e terzo. Silvia Berra, Maria Costa Díez (ESP) e Manuela Pedrana hanno preso le prime tre posizioni nella categoria U20 femminile.


Chantel Astorga, la donna forte

A Chantel non piace far rumore, forse è proprio per questo che a volte ricerca la solitudine nel suo modo di andare in verticale. Confesso che il suo nome per me era legato alla recente prima solitaria femminile della Cassin Ridge al Denali con uno stile a dir poco fantastico: minimale e sci per avvicinamento e discesa. Un numero come questo del Denali del giugno 2021 però non è alla portata di tutti: avevo capito che Chantel non era soltanto una forte alpinista, ma prima di tutto una donna, una donna forte. Una donna preparata e appassionata per la quale la molla dell’avventura prima di tutto nasce dal piacere di stare  – in modo totalizzante – in montagna. 

Chantel Astorga, atleta del Team The North Face USA, è americana, classe 1985: un’antenata di origine italiana e una vita da vera montanara. Oltre che una delle migliori alpiniste al mondo. Nel curriculum un elenco di salite dall’Alaska all’Himalaya e allo Yosemite che si distinguono non solo per la difficoltà, ma anche per lo stile e il livello di impegno. Non solo sciatrice, ma soprattutto una delle alpiniste top sulla scena mondiale: arrampicata su ogni terreno, dal ghiaccio e misto tecnico in quota alle grandi big wall dello Yosemite. Esattamente dieci anni fa, nel settembre del 2011, insieme a Libby Sauter, a soli 26 anni, ha stabilito un nuovo record di velocità femminile sul Nose a El Capitan, nello Yosemite, salendo la via in 10 ore e 40 minuti. 

Solitamente quando si parla di velocità su The Nose, si pensa ai fantasmagorici record maschili in simul climbing, ma anche queste ragazze avevano voluto dire la loro, polverizzando il record precedente del 2004. Quelli che la conoscono e i suoi partner tecnici dicono che Chantel è sempre rilassata e naturale, quasi non sembra che si stia impegnando molto: la puoi vedere salire su tiri di ghiaccio strapiombanti, attraversare difficili creste incorniciate al buio e arrampicare per oltre 30 ore con un sorriso sul viso. Ed è così che ci ha accolto, con un bel sorriso. Genuino.

Ciao Chantel, prima di parlare dei tuoi più recenti exploit, ci piacerebbe far scoprire ai nostri lettori chi è la Chantel di tutti i giorni; insomma, cosa fai, come vivi la montagna nella tua quotidianità, come è nata la Chantel alpinista di punta che stiamo imparando a conoscere. 

«Beh ecco, la montagna è una presenza di tutti i giorni. Vivo in Idaho, nel nord-ovest degli Stati Uniti, dove lavoro come previsore valanghe per la rete autostradale (e questo la dice lunga sulla quantità di neve che cade in quelle zone, ndr) e per il dipartimento dei trasporti locale. L’autostrada è importante per le comunità rurali, è un passaggio che consente di raggiungere la città, per esigenze anche primarie. Questo lavoro mi permette di trascorrere molte giornate in montagna e sugli sci. Però sono molto attratta dalla scalata in ambiente e mi sono dedicata molto all’arrampicata in velocità, specie nello Yosemite. È pericoloso, ma fa parte della cultura del posto. Nel 2014 ho portato a termine la salita solitaria del Nose in poco più di 24 ore, per la precisione 24 e 39 minuti. Sempre in valle, ho anche chiuso il primo concatenamento femminile in giornata del Nose a El Capitan e della North West Regular Route dell’Half Dome». 

La tua passione è un affare di famiglia o personale? 

«Penso che l’approccio qui sia diverso che in Europa, proprio da un punto di vista culturale. Personalmente non sono nata come climber, ma con i miei genitori praticavo solo escursioni e vita all’aria aperta, fino a quando, da adolescente, mio padre mi portò in Alaska, non lontano dal Denali. Lì l’emozione fu grande, qualcosa cambiò. Iniziai a interessarmi, andavo a comprare libri per documentarmi. Dai 18 anni ho iniziato a trascorrere la maggior parte del mio tempo in montagna, prima lo scialpinismo, poi le salite su ghiaccio in autosicura. C’è un incontro che è stato fondamentale per la mia evoluzione alpinistica, quello con i fratelli gemelli Damian e Willie Benegas. Sono due alpinisti con una grande esperienza in Patagonia e Himalaya e hanno salito un numero incredibile di vette in tutto il mondo. La loro curiosità per l’arrampicata è stata innescata dal padre, Rafael Benegas, che, durante i lunghi e freddi inverni argentini, li intratteneva con le foto e i racconti delle sue avventure in Patagonia. Loro sono stati i miei mentori, mi hanno aiutato a essere meno approssimativa, specie con il materiale. Mi ricordo che quando avevo 19 anni giravo con scarpette da arrampicata non esattamente del mio numero: pensa che a quell’età mi ero messa in testa di sciare il Denali e lo volevo fare con scarponi che erano due numeri più grandi del mio!». 

Dunque quella per la montagna è una passione allround... 

«Esattamente, prima lo sci e poi l’alpinismo e via via terreni sempre più tecnici. Ma l’importante è sempre stato l’essere in montagna». 

Come scegli i tuoi obiettivi, soprattutto quelli più importanti? 

«Principalmente per la loro estetica, per qualcosa che mi colpisce della linea, della montagna, meglio se hanno il fascino del non ancora percorso. Per esempio, per quanto riguarda il Denali, ci avevo trascorso e speso già un sacco di tempo negli anni passati. Gli obiettivi magari se ne stanno nella testa per tanto tempo». 

Come ti prepari per questi obiettivi? 

«Ritengo che gran parte della preparazione risieda in realtà nella visualizzazione dell’obiettivo stesso. Trovo ispirazione dalla sfida mentale di una scalata alpina, dall’arrampicata veloce su big wall, dall’ignoto, dalla ricerca di target che non sono sicura che siano alla mia portata. Da un punto di vista tecnico, la preparazione consiste nel muoversi in montagna, trascorrere il più tempo possibile fuori». 

Quali sono gli spot preferiti per il tuo alpinismo? Visto che ci sei stata molte volte, mi sbaglio se dico Alaska? 

«No, assolutamente! L’Alaska è una delle mie destinazioni preferite. Ci sono spazi enormi, grandi ghiacciai, l’Alaska è spettacolarmente selvaggia. Sono molto affezionata anche alle montagne in cui vivo, in Idaho, il Sawtooth Range. È casa mia e ci passo un sacco di tempo ad allenarmi». 

Abbiamo parlato di Alaska e non posso non chiederti della tua ultima avventura solitaria sulla Cassin Ridge al Denali dello scorso giugno. Da dove è nata questa idea? Un sogno di lunga data? 

«In questi ultimi anni ho passato tanto tempo sola in montagna e non mi dispiace stare con me stessa. Lo faccio arrampicando e soprattutto sugli sci durante l’inverno. Ho iniziato a cercare un obiettivo che mi permettesse questo stile e che mi ingaggiasse allo stesso tempo, con un terreno tecnico e su una grande montagna. Volevo provare, capire come mi sarei sentita. La Cassin è una linea ultra classica, estremamente bella ed estetica.Ho pensato di usare gli sci per l’avvicinamento perché mi avrebbero permesso di essere più veloce e pertanto più sicura. Ci avevo già provato qualche anno fa, ma le condizioni meteo erano orribili. Poi altri obiettivi mi hanno allontanato dall’idea per qualche tempo». 

Come hai scalato, con gli scarponi da sci? Come hai gestito il materiale? 

«Ho scalato con gli scarponi da scialpinismo, degli Atomic leggermente modificati per renderli più rigidi e più caldi. Non ho usato la corda per autosicura, ho scalato tutta la via in free solo. Naturalmente avevo uno spezzone da 30-35 metri per eventuali emergenze e due viti da ghiaccio just in case, ma fortunata- mente non ho usato nulla. A quel punto è stato logico portare il materiale lungo la cresta e continuare fino in cima per poi usare gli sci in discesa. La parte alta della montagna era in pessime condizioni e il mio piano originale di scendere su una main line l’ho subito scartato e ho sciato sulla West Rib, che conoscevo e avevo anche già salito da sola». 

Il momento che porterai con te di questa salita? 

«I momenti clou sono stati l’avvicina- mento, la sciata dalla West Rib e dalla Seattle Ramp, una discesa in una seraccata decisamente complessa di circa 900 metri. Ho aspettato le 11 del mattino per avere neve morbida e infatti era perfetta, ma faceva caldo; ero un po’ impaurita, e in quel momento ho visto un’aquila enorme. È stato magico». 

Cosa ti spinge a salire in solitaria? 

«Mi piace la sensazione di poter essere leggera e voglio capire fin dove mi posso spingere come individuo, quanto posso salire di grado. Così arrivo a conoscermi meglio». 

Pensi che utilizzare gli sci per questo genere di salite o in alta quota porti dei vantaggi? 

«Ritengo che sia un bello stile. Figo! Non certo per terreni tecnici, ma rappresentano un buon compromesso quando ci si deve muovere su pendii o negli avvicinamenti. Mi piace l’alta quota, ci sono stata già due volte, su terreno tecnico, come nel 2017 sulla parete sud-ovest del Nilkantha, nel Garhwal centrale, in India. Vorrei tornare in Himalaya». 

Domanda secca: tre cose che cerchi in un’avventura in montagna. 

«Estetica. Stile. Partnership, che è un po’ strano per una che fa salite solitarie». 

Ultima. Prossimi obiettivi? 

«Preferisco non... ho origini italiane!». 


Polartec per l'inclusività con Outdoors are for everyone

Diversità e inclusione sono due temi al centro dell’agenda dei grandi marchi globali. E sono sempre più al centro del mondo dell’outdoor, come dimostra la nuova campagna digitale Outdoors are for everyone di Polartec. Inaugurata da un video di due minuti sulle note di Colors dei Black Pumas, nominati ai Grammy Award, la campagna ha come protagonisti oltre 30 diversi appassionati di outdoor che indossano prodotti di 16 differenti marchi partner, ed include un sito web dedicato alla promozione dell’iniziativa.

L’obiettivo è quello di mostrare come la gioia di vivere all’aria aperta possa unirci tutti senza distinzione. Creato durante lo scorso anno, il video è stato realizzato da 13 registi provenienti da sei diversi territori (Stati Uniti, Giappone, Francia, India, Canada e Navajo Nation). Un progetto globale che, abbinando una persona ed un luogo ad un colore specifico, dà vita ad una serie emozionante di ritratti intensi che mostrano gioia, benessere e connessione con la natura. Ogni regista aveva un preciso compito: tipo di attività outdoor, ora del giorno e versi della canzone con i quali confrontarsi per realizzare la propria parte di narrazione. Polartec ha anche chiesto ai registi di girare la telecamera verso di sé, per filmarsi a loro volta.

Il sito web avrà anche un secondo fine, quello di promuovere la diversità davanti e dietro la telecamera, nel tentativo di favorire il racconto di chi vive l’outdoor nei modi più diversi. All’interno della pagina anche una breve biografia, video clip e una sezione Q&A per conoscere meglio ogni regista, tra i quali vi sono Abby Cooper, Dominique Granger, Evan Green, Gritchelle Fallesgon, Jason Edelstein, Jr. Rodriguez, Kopal Goyal, Renee Hutchens, Taylor Johnson, Textured Waves (Danielle Black Lyons, Chelsea Woody, Martina Duran), e Tom Carey. La campagna è stata lanciata all'Outdoor Retailer Snow Show di Denver, in Colorado, e continuerà a girare sui canali social e su altri spazi digitali frequentati dagli appassionati di outdoor.


La Sportiva a doppia cifra nel 2021

Fatturato in crescita del 28% e ricavi oltre il 30%: si chiude in doppia cifra il 2021 dell’azienda di Ziano di Fiemme, con previsioni per il 2022 di un + 10%-15% (nel momento in cui il 60% degli ordini sono in casa). In considerazione degli straordinari risultati ottenuti, l’azienda ha deciso di distribuire un premio di produzione straordinario, per un totale di 650.000 euro. A consolidare l’importanza di questo traguardo è arrivata anche la nomina del presidente Lorenzo Delladio, amministratore delegato e presidente de La Sportiva a imprenditore dell’anno nella categoria Consumer & Retail da parte una giuria di esperti di Ernest & Young Global Ltd. 

A trainare la crescita il segmento trail running, che per la prima volta ha superato, per volume di vendite, quello delle scarpette da arrampicata, prodotto simbolo di La Sportiva (premiato con la medaglia olimpica di Alberto Ginés López a Tokyo). La sportiva impiega oltre 400 persone nello stabilimento principale di Ziano di Fiemme e nel piano industriale per il nuovo anno sono previsti dieci milioni di investimenti in nuovi spazi per la logistica e in macchinari avanzati anche in termini di sostenibilità, così come nuovi posti di lavoro e assunzioni di figure manageriali. Il marchio è presente in 87 Paesi al mondo e con una quota di export che supera l’82%.

«Il successo di La Sportiva è maturato grazie a tutti i nostri collaboratori, nessuno escluso. Gli ultimi due anni hanno richiesto scelte rapide e consapevoli, non sempre semplici da mettere in atto - ha detto Delladio - A inizio pandemia, quando sono stato costretto a fermare le linee produttive, l’obiettivo era salvare più posti di lavoro possibili. Oggi possiamo non solo confermarli, ma premiare ogni collaboratore come merita. Ognuno di noi ha dovuto cambiare le proprie abitudini quotidiane, in certi casi anche il modo di lavorare, per far fronte ai mutamenti dovuti alla pandemia ed anche alla positiva reazione che il mercato outdoor ha avuto in questi due anni, generando una forte domanda. Credo che oltre alla cifra assegnata in sé, questo premio abbia un valore ancora più significativo se pensiamo che la nostra è un’azienda fatta prima di tutto di persone. Siamo ormai oltre 420 all’interno di un piccolo territorio del Trentino: una comunità che in La Sportiva continua a trovare un punto di riferimento».


Garmin lancia inReach Mini 2

Il colosso americano della navigazione GPS ha annunciato oggi la seconda versione di inReach Mini, il dispositivo di comunicazione e messaggistica satellitare molto diffuso tra appassionati outdoor e professionisti grazie alle dimensioni ridotte e al peso light (10 x 5 cm x 100 gr). In pratica un dispositivo tascabile per comunicare via sms, via e-mail e in grado di inviare messaggi di SOS geolocalizzati. 

Le principali novità riguardano la funzione TrackBack, per guidare l’escursionista sui propri passi e tornare in sicurezza al punto di partenza e la compatibilità con Garmin Explore Mobile, l’app di Garmin dedicata alla gestione di punti, tracce e percorsi direttamente dal proprio smartphone. Garmin Explore Mobile consente anche di digitare rapidamente messaggi dal proprio smartphone che verranno poi inviati da inReach Mini 2, scaricare una varietà di mappe e rivedere i propri viaggi. Ancora più tempo di utilizzo grazie ai suoi 14 giorni di autonomia nella modalità di rilevamento posizione ogni 10 minuti. È possibile prolungare la durata fino a 30 giorni impostando una frequenza di campionamento ogni 30 minuti. Il Mini è ora dotato di bussola elettronica, ancora più precisa e fondamentale per conoscere la direzione del Nord e quella della propria destinazione anche quando non si è in movimento. Per localizzare la posizione, oltre alla rete satellitare GPS, inReach Mini 2 si appoggia alle costellazioni GALILEO, QZSS e BeiDou riducendo così i tempi di acquisizione del segnale e garantendo un’elevata precisione e affidabilità anche nelle condizioni ambientali più sfavorevoli.

La rinnovata interfaccia utente di Garmin inReach Mini 2 consente di monitorare gli aggiornamenti sulla posizione, gli avvisi meteo e i messaggi ricevuti in modo ancora più semplice e intuitivo. Con la nuova ‘visualizzazione rapida’ è possibile scorrere i widget del dispositivo per rivedere velocemente i tool più importanti. Con il set di feature di inReach Mini 2 si può contare sull’invio e la ricezione di sms ed e-mail, sul rilevamento della posizione e su accurati report meteorologici, il tutto garantito dalla rete satellitare globale Iridium. Inoltre, in caso di emergenza, gli utenti inReach Mini 2 possono attivare un messaggio di SOS interattivo indirizzato direttamente a Garmin IERCC, il centro di coordinamento internazionale di emergenze attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

inReach Mini 2 costa 399,99 euro. Per comunicareè necessario sottoscrivere un piano di abbonamento. I piani disponibili sono molteplici e si rivolgono a privati e professionisti, con opzioni mensili flessibili o un pacchetto annuale, a partire da 14,99 euro al mese.

www.garmin.com/it-IT  


Il primo febbraio aprono le pre-iscrizioni al TOR330

Appuntamento da domani alle 12 fino alla mezzanotte del 14 febbraio per le pre-iscrizioni al TOR330 2022. Il kick off sarà preceduto da un evento in streaming sulla pagina Facebook e il canale YouTube della manifestazione nel quale verrà presentato il nuovo manifesto, opera dell'artista Francesco Bongiorni come l'anno scorso.

Dopo avere aggiunto negli anni altre gare al tradizionale Tor des Géants, il TOR450 – Tor des Glaciers, il TOR130 – Tot Dret ed il TOR30 – Passage au Malatrà, il Tor ora guarda oltre. Con queste e altre gare intorno al mondo nasce la TORX eXperience, un sistema di competizioni accomunate dall’esperienza e dai valori del TORX. Diretta conseguenza TORX eXperience sono i PAX, pettorali dedicati esclusivamente a chi ha concluso una gara TORX ed eXperience: essere finisher significa avere i numeri per provare a concludere il TOR330 - Tor des Géants. Grazie al nuovo sistema dei PAX è possibile sognare la sfida delle sfide dell’anno successivo senza passare dal sorteggio.

Ogni anno viene messo a disposizione per il TOR330 un numero limitato di PAX dedicati esclusivamente a chi ha concluso una gara TORX® eXperience: quest’anno sono disponibili 200 PAX per i finishers del TOR130 – Tot Dret e 100 PAX per quelli del GTC100, il Gran Trail Courmayeur. Il numero di PAX è destinato a crescere, per una TORX® eXperience di respiro mondiale con nuove gare che si aggiungeranno.


Veloce ma non troppo

Il peso è un limite, la sicurezza no dice Manuel Aumann, Operations and R&D Director Bindings, mentre a pochi metri di distanza, nella stessa stanza, uno strano apparecchio emette una luce verde. A intervalli regolari nel macchinario entrano piccoli pezzi metallici che vengono misurati: se le dimensioni sono corrette, la luce è verde, ma se sono sbagliate, diventa rossa. Di quei pezzi, stivati ordinatamente in scaffalature come quelle dei ferramenta, sempre nella stessa stanza, ce ne sono circa mille. Mille parti diverse, mille forme e 25 materiali. Ognuno viene inventariato per controllare la qualità quando arrivano le nuove commesse dai 40 fornitori, dei quali 25 nel raggio di pochi chilometri. Venticinque chilometri da dove? Da Aschheim, 6.879 abitanti, nell’ordinato hinterland di Monaco di Baviera.

Di fatto in questo tranquillo sobborgo, tra villette con giardino e qualche capannone, c’è la capitale dell’attacchino. Perché qui c’è il quartier generale di Dynafit e il reparto ricerca e sviluppo del famoso attacchino inventato da Fritz Barthel e prodotto da sempre dal marchio del leopardo delle nevi. Insieme a Manuel nei tre stanzoni del reparto che si occupa di R&D, qualità e logistica ci sono una ventina di persone. Nel locale della macchina che emette luce verde o rossa ci sono altri macchinari. Qui vengono fatti i controlli di qualità. C’è anche un apparecchio identico a quello utilizzato dal TÜV per i test sui valori di sgancio. Lì dentro passa un prodotto finito ogni cento, anche quelli non certificati. «Mettiamo l’incolumità al primo posto e riteniamo che non si possa scendere sotto un certo peso, se serve per garantire sicurezza, non accettiamo compromessi» dice Manuel mentre il rumore dei macchinari crea una sinfonia di sottofondo. Garantire è un altro dei verbi che sentiamo ripetere spesso. Perché gli attacchi Dynafit sono garantiti a vita. E anche questo si traduce in un severo lavoro di progettazione e di test. Per capirlo facciamo rimpiattino tra la prima stanza e il grande locale accanto a quello dove ci troviamo. Appena entrati in reparto, dietro a una porta a vetri, c’è un piccolo ambiente con diversi macchinari. Uno apre e chiude incessantemente un attacchino. Milioni di step in e out. Ma ci si può sbizzarrire con il test degli impatti laterali e c’è anche un ice box, che non è altro che una cella refrigerata dove vengono eseguiti gli stessi test. I valori di quello di impatto laterale a meno venti, quando tutto è più rigido, hanno una rilevanza maggiore, come quelli sulle vibrazioni di pre-release. E cosa succede quando si salta? L’effetto viene simulato con il test delle forze verticali. In totale sono una dozzina le prove effettuate in questo sancta sanctorum prima di andare sulla neve. Con diversi fori per i pin «perché ci sono cinque produttori e 0,2 millimetri possono fare la differenza» aggiunge Manuel. 

© Federico Ravassard

Il motto di Dynafit è speed up. Nel DNA del marchio c’è la velocità, lo sguardo verso il futuro e l’innovazione, ma lo sviluppo di un attacco è un processo lungo. Mediamente tre-quattro anni dal primo white paper, dalle informazioni raccolte attraverso il dialogo con i consumatori, per capire le esigenze del mercato. Ma ad Aschheim sono abituati a guardare oltre e stanno già ragionando su cosa succederà fra cinque anni. Lavorano a gruppi di cinque persone su ogni singolo progetto. «Siamo orgogliosi di avere progettato il Radical, l’attacco a norma TÜV per i valori di sgancio, riteniamo di essere nella parte alta dell’asticella, per questo per qualche anno abbiamo rilasciato prevalentemente aggiornamenti dei prodotti esistenti, mentre ora stanno per arrivare diversi attacchi nuovi» dice sorridendo Manuel. Dall’idea alla produzione ci vuole del tempo, ma tutto è ottimizzato per essere veloci. Lo capiamo mentre varchiamo la porta dell’ultimo grande locale. 

© Federico Ravassard

Lo schermo del computer sputa disegni 3D del puntale di un attacco. Con il mouse l’operatore ruota l’immagine per cambiare la visuale. Sembra un gioco, invece è il cuore del sistema. La parola magica è software di analisi agli elementi finiti. Permette di calcolare con precisione le forze in gioco e i punti di maggiore stress e di rottura. «In una notte possiamo fare una ventina di simulazioni, che equivalgono anche a un paio di settimane di test con i macchinari». Ai macchinari, quelli dei famosi 12 test, ci si arriva dopo, ma se si è lavorato bene con il software, difficilmente verranno rilevate anomalie. E così poi si va sulla neve. Di solito una ventina di persone, atleti, ma anche semplici appassionati, dei quali fanno parte anche alcuni dei venti addetti che lavorano nel reparto. Perché un’altra delle parole chiave in Dynafit è obsessed, ossessionati, ovvero appassionati. «Non è sempre facile trovare le figure professionali per il reparto R&D di Aschheim, perché non cerchiamo solo ingegneri, ma anche sciatori e amanti del dislivello» conferma Manuel. Il test sulla neve è la parte più delicata del risiko perché nessuna macchina misura le emozioni. Così i prototipi fanno avanti e indietro dalle montagne ad Aschheim. La velocità di reazione sta nella vicinanza alla neve, ma anche nella capacità di modificare, evolvere. Il reparto prototipazione è in grado di produrre singoli pezzi in poche ore e un attacco completo in un paio di giorni. Si lavora non solo sull’affidabilità e la risposta alle sollecitazioni meccaniche, ma anche sull’usabilità dei prodotti. Grazie alle stampanti 3D vengono realizzati fino a 20 tipi diversi di leve prima di arrivare in produzione. Una sfida ancora più ambiziosa ora che le materie prime scarseggiano a causa della pandemia e la mancanza di una minuscola vite può ritardare la produzione di un attacco o la progettazione di un componente. «Siamo sempre alla ricerca di nuovi materiali e fornitori, ma è difficile cambiare perché le parti di un attacco devono resistere alle sollecitazioni meccaniche e a condizioni atmosferiche proibitive». Come dire che il libro degli ingredienti è ben definito. 

E allora la sfida si sposta in un alto campo. «Dobbiamo semplificare, ridurre il numero di attacchi, che può disorientare lo scialpinista, e allo stesso tempo rendere ogni prodotto il più specifico possibile». Ecco la vera sfida per il futuro, per certi versi piccola rispetto a quella titanica di Fritz Barthel che ha immaginato due pin per farci risalire e sciare leggeri. Una sfida che non verrà più affrontata ad Aschheim, ma a Kiefersfelden, al confine tra Germania e Austria. Ancora più vicino alle montagne. Lì sorgerà il nuovo headquarter di Dynafit. Sapendo come è venuto quello di Oberalp, la holding bolzanina che controlla il marchio, c’è da giurare che sarà un bel parco giochi. Magari anche più bello di quello di Bolzano. Ecco, un’altra sfida... +