Il viaggio sul filo delle frontiere di Jacquemoud e Bruchez
«Queste ultime tre settimane ci hanno permesso di mettere i nostri sci sul versante Est del Cervino, quello meridionale delle Grandes Jorasses e del Grand Combin de Valsorey, la Nord del Monviso e la Est del Monte Bianco». Scrive con soddisfazione Mathéo Jacquemoud in un post sul suo account Instagram. Le discese, che fanno parte del progetto Sur le fil des frontières (sul filo delle frontiere), in compagnia di Vivian Bruchez, porterà alla realizzazione di un video in prossimo autunno. Sulle Grandes Jorasses i due erano in compagnia di Thomas Guerrin e hanno dovuto rinunciare ad arrivare fino in vetta alla Walker a causa del rigelo insufficiente. La discesa sulla Est del Monte Bianco ricalca quella del 1988 di Pierre Tardivel, dal Col de la Brenva. Al Coolodge, sul Monviso, c’erano anche Leo Viret e Thomas Guerrin. La prima discesa, sulla Est del Cervino, è iniziata alla Cabane Solvay. Jacquemoud e Bruchez hanno anche sciato la cresta Ovest dell’Eiger.


Ortovox, obiettivo sostenibilità. A partire dalla lana
In occasione di OutDoor by ISPO 2019 Ortovox introdurrà la sua strategia di sostenibilità PROTACT2024 con la quale l’azienda, basandosi sui suoi valori chiave, presenterà sia le iniziative già esistenti che nuovi obiettivi precisi da realizzarsi entro il 2024. Però non mancano le novità anche per quanto riguarda i prodotti: con la nuova linea Westalpen il marchio presenta la sua collezione tessile più versatile e più tecnica per alpinismo ed escursionismo ad alta quota a cui si aggiunge, nel settore hardware, la pluripremiata serie di zaini Peak Light e Peak Light 40.
SOSTENIBILITÀ – Con PROTACT2024 Ortovox ha fissato sei pilastri per formulare la sua strategia di sostenibilità fino al 2024 definendo obiettivi concreti. In qualità di esperti della lana, l’azienda, con Ortovox Wool Promise (OWP), ha sviluppato un proprio standard che mira alla certificazione della materia prima secondo severi criteri e alla trasparenza della catena di commercializzazione. L’obiettivo è quello di integrare nell’OWP, entro il 2024, anche il partner Swisswool. I pilastri amicizia e alpinismo simboleggiano il rapporto leale e responsabile sia con gli stakeholder che con l’ambiente e le risorse. In questo contesto Ortovox si è prefissata di mantenere lo stato di leader della Fair Wear Foundation e di impegnarsi a favore della neutralità climatica. Oltre il 60% della produzione avviene attualmente in Europa e questo rimarrà anche in futuro il livello minimo. I temi pionieri della sicurezza e motivati dalla funzionalità illustrano l’obiettivo dell’impiego di materiali al 100% privi di PFC sia nel settore tessile che in quello dell’hardware, il settore della gestione delle sostanze chimiche, nonché la durata dei prodotti e la possibilità di essere riutilizzati.
SISTEMA WESTALPEN - Le Alpi occidentali (Westalpen) sono sinonimo diterreno alpino impegnativo e alte montagne e di conseguenza anche di un alto livello di abilità richiesta e di un’attrezzatura congrua. Per soddisfare queste esigenze Ortovox presenta il nuovo sistema Westalpen composto da tre strati di abbigliamento: Westalpen 3L Light giacca e pantaloni, Westalpen Softshell giacca e pantaloni e la giacca Westalpen Swisswool Hybrid. La collezione più versatile e più tecnica del marchio bavarese per gli sport di montagna, offre prodotti appositamente creati per venire incontro alle esigenze delle salite in ambiente ad alta quota: protezione, funzionalità e leggerezza.


PANTALONI WESTALPEN SOFTSHELL - Nei pantaloni Westalpen Softshell viene utilizzato l’innovativo sistema quick-gaiter che sostituisce interamente il gambale nelle escursioni ad alta quota. Il sistema di regolazione dell’orlosviluppato da Ortovox permette di regolarli facilmentee velocemente in tre passaggi, adattandoli perfettamenteallo scarpone. Le fascette di fissaggio poste sotto lo scarpone sono realizzate in materiale Dyneema resistente allo sfregamento e quando non vengono utilizzate si possono stivare con estrema facilità.
PEAK LIGHT 40 - Nel settore hardware Ortovox completa nell’estate2020 la pluripremiata serie di zaini Peak Light con il modello Peak Light 40. È un compagno versatile ed altamente funzionale per escursioni in ambiente e ad alta quota. Comfort, leggerezza e una piacevole gestione della temperatura vengono assicurati dallo schienale tecnico realizzato utilizzando pannelli in Swisswool. Grazie agli elementi flessibili e rimovibili, come la tasca sulla patta, il fascione addominale o il telaio, lo zaino può essere adattato a seconda del campo d’impiego e il suo peso può essere ridotto fino a 780 grammi.

Zegama, il film della gara
Come è andata lo sapete già, con Kilian Jornet a conquistare l'ennesima vittoria nella maratona basca davanti a Bartlomiej Przedwojewski, con Thibaut Baronian a completare il podio e la vittoria femminile di Eli Anne Dvergsdal con piazza d’onore per Elisa Desco che vince il testa a testa con Amandine Ferrato. Ma Zegama, tappa inaugurale delle Golden Trail World Series 2019, è gara che va vissuta e rivissuta perché trasmette emozioni come pochi eventi. Ecco allora il video di 23 minuti con tutto quello che è successo lo scorso 2 giugno.
The Legend, da Meraldi a Collé
È il 4 luglio 1993, ad Alagna si sta riscrivendo la storia della corsa in montagna: nasce lo skyrunning. Sono passati più di 25 anni da quando la prima sky race si è corsa sulle pendici del Monte Rosa, un progetto ambizioso che ha rivoluzionato il modo di correre in montagna e ha dato inizio a un movimento globale.
La sfida è correre da Alagna fino alla vetta del Monte Rosa, raggiungendo la Capanna Regina Margherita; gli atleti, i primi corridori del cielo, toccano quota di 4.554 metri coprendo 35 chilometri e 7.000 metri di dislivello in salita e discesa tutti d’un fiato. Fabio Meraldi in 4 ore e 24 minuti vince la gara e segna il record, un record che è stato solo l’inizio della sua leggenda.Partendo da questa data è iniziata la storica cavalcata di Fabio, vera icona dello Skyrunning e dello scialpinismo. Fabio vanta vittorie e record come pochi altri, alla Everest Sky Marathon, al Trofeo Kima e alla Dolomites Sky Race. Record allo Shisha Pangma, Monte Kenya, o quello mitico da Courmayeur al Monte Bianco e ritorno, imbattuto per oltre 20 anni.
Nel 1995 Valeria Colturi, titolare di Crazy, allora piccola azienda artigiana di Bormio, si appassiona a questo sport. Dopo aver dato una svolta al modo di vestirsi per le competizioni di scialpinismo, inventando la famosa tutina, crede in questo nuovo modo di affrontare la montagna e crea i primi capi di abbigliamento dedicati. Oggi l’evoluzione di quella prima collezione si chiama The Legend, una linea studiata a quattro mani con Fabio Meraldi, la collezione perfetta per lo sky e il trail. L’obiettivo del progetto The Legend è quello di sensibilizzare sulla sicurezza e puntare al comfort. La collezione perfetta è quindi un connubio di scelte tecniche di altissimo livello, partendo dai tessuti, passando attraverso le più dettagliate soluzioni tecniche.
Un altro grande della corsa tra i monti oggi utilizza i capi The Legend, Franco Collè, due volte vincitore del Tor des Géants. «Vestibilità e praticità, bastano queste due semplici parole a spiegare il perché della mia scelta» esordisce Franco. T-shirt e pant The Legend sono stati utilissimi anche durante il Tor. «I tessuti utilizzati sono molto piacevoli al tatto, leggerissimi e senza fastidiose cuciture, la vestibilità dei pantaloncini è davvero perfetta e la t-shirt ha due praticissime tasche porta flask e altri cinque vani molto utili» aggiunge il valdostano che ricorda, a riprova della validità dei pantaloncini, che durante l’ultimo Tor non li ha mai sostituiti.
T-Shirt Sky Run The Legend – 130 euro
È stata studiata con l’obiettivo di creare un capo che permettesse di non utilizzare lo zaino e gestire in completa autonomia lunghi chilometraggi.
Caratteristiche:
- Tessuto luminescente
- Stampa rifrangente
- Orlo incollato
- Zip invisibile incollata
- Silicon grip ferma zaino
- Fischietto tascabile
- Laserature traspiranti
- Fondo incollato con serpentina in silicone
- Tasche porta flask in tessuto traforato
- Scritta laser traforata traspirante
- 5 tasche a rete portaoggetti
Shorts Sky K-Run The Legend – 120 euro
Il tessuto esterno è leggerissimo, tasche multiuso, lo short interno contenitivo e lo slip sostenitivo.
Caratteristiche:
- Doppia tasca in rete, con zip e gancetto portachiavi
- Slip interno con sistema Suspension Plus sostegno extra, massima ventilazione per prevenire la formazione di varicocele
- Doppia tasca in gel
- Pantaloncino esterno incollato
- Pantaloncino interno contenitivo con tessuto Magic Print
- Fori laserati
- Cover impermeabile estraibile per lo smartphone
- Elastici porta bastoncini
- Tessuto superelastico water repellent traforato

Marcel Kurz, l'età d'oro dello scialpinismo
Lo svizzero Marcel Kurz non è stato solo fra i primi a introdurre lo scialpinismo sulle Alpi a fine ottocento, ma ne ha influenzato più di ogni altro lo sviluppo a partire dagli anni venti in Svizzera, Francia e Italia, soprattutto grazie al suo libro Alpinisme Hivernal del 1925. Pubblicato in Italia nel 1928, questo poderoso volume è stato l'indiscusso punto di riferimento per più generazioni di sciatori alpinisti, compresa la mia. Kurz è stato, anzi è, il grande ispiratore dell'attuale scialpinismo classico. Mio padre, come ogni appassionato scialpinista, possedeva una copia di Alpinismo Invernale. Ora il libro, ingiallito dal tempo, impreziosisce la mia collezione di opere fondamentali sullo sci. È curioso come nel titolo non appaia la parola sci, mentre tutto il volume, a parte il primo capitolo dedicato ai precursori, che andavano in montagna d'inverno a piedi, è un vero inno allo sci come modo ottimale per vivere la montagna bianca.
Sono piuttosto il titolo e il sottotitolo del secondo capitolo, rispettivamente Il trionfo dello sci e La seconda conquista delle Alpi, a definire bene i contenuti dell'intero volume. Alpinismo invernale è innanzitutto un manuale tecnico denso di consigli e una guida preziosa sui grandi itinerari in sci delle Alpi Occidentali, percorsi per la prima volta da Kurz e destinati a diventare dei classici, come la haute route Bourg Saint Pierre-Zermatt, il circuito del Bernina, i quattromila intorno alla capanna Britannia. Alpinismo invernale però non è solo questo. È anche e soprattutto un saggio sulla bellezza e sul fascino della montagna vissuta con gli sci. Per Kurz lo scialpinismo è un fantastico modo di vivere, è entusiasmo puro, piacere di fermarsi per contemplare un panorama, per bearsi con calma della montagna bianca, per crogiolarsi al sole. Il tutto senza l'assillo delle lancette dell'orologio. La fatica, il gusto della performance e anche le disavventure sono sempre in secondo piano. Alpinismo invernale ci riporta insomma a valori dimenticati, a un modo sereno e gioioso di vivere lo sci. Il libro mette in evidenza molto bene le due diverse anime di Kurz, che si completano alla perfezione. Il Kurz passionale, che ama la montagna perdutamente e si abbandona a essa, e il Kurz razionale, l'ingegnere topografo pignolo, talvolta addirittura pedante, lo scrittore esigente, meticoloso. Perfette, sotto quest'ultimo punto di vista, le pagine dedicate agli albori dello scialpinismo, a Wilhelm Paulcke, Christoph Iselin, Arthur Conan Doyle. L'intera opera ha un valore letterario e fa parte a pieno diritto di quella letteratura dello sci che annovera opere di grandi scrittori, da Doyle a Hemingway, da Calvino a Parise, da Buzzati a Marchi, senza dimenticare Balzac...
Figlio d'arte
Marcel Kurz nasce a Neuchâtel nel 1887. È suo padre Louis, insegnante di violino e noto alpinista nonché autore di carte e guide del Monte Bianco, a trasmettere al figlio la passione per la montagna. A undici anni compiono insieme la prima al Grand Darrey (3.515 m). La famiglia Kurz possiede uno chalet a Saleina, campo base ideale per esplorare le Alpi del Vallese. Marcel inizia lì a fare seriamente scialpinismo, nel 1907, effettuando la prima salita invernale con gli sci del Grand Combin, insieme al professor François Frédéric Roget di Ginevra (autore del famoso e raro volume Ski runs in the high Alps del 1913) e alla guida Maurice Crettez. Per la verità gli sci vengono lasciati ai piedi del Col du Meitin (3.426 m). Laureatosi ingegnere topografo, nel 1913 inizia a lavorare per l'Ufficio Federale di Topografia. Nel 1921 partecipa, con la moglie Lilette Morand, a una spedizione al Monte Olimpo in Grecia, dove scala l'inviolato Trono di Zeuss e redige una pregevole monografia e una cartina.
Nel 1922 lascia l'impiego sicuro per dedicarsi anima e corpo alla montagna, alla redazione di carte e di guide come libero professionista. Una scelta non facile che gli permette però di organizzare spedizioni in Nuova Zelanda con Ned Porter nel 1926/27, con salite al Tasman e al Cook, e in Himalaya con Günter Dyhrenfurth nel 1930. In questa spedizione, che ha come obiettivo il Kangchenjunga, Kurz realizza la prima carta dettagliata della zona e raggiunge la massima altitudine di quegli anni: la vetta del Jongsong Peak (7.459 m). Gli sci non mancano mai nel suo bagaglio di grandi viaggi. Purtroppo però, a causa di una caduta da cavallo nella fase iniziale della successiva spedizione di Dyhrenfurth, in Karakorum, del 1934, non può dividere con l'amico Piero Ghiglione la vetta del Golden Throne (7.250 m). A un'intensa attività alpinistica e scialpinistica Kurz affianca una pregevole attività editoriale, pubblicando una versione aggiornata della guida e della cartina del padre sul Monte Bianco. Prepara inoltre le quattro guide sulle Alpi del Vallese che ancora oggi costituiscono una fonte di informazioni fra le più complete e apprezzate. Nel 1957 pubblica il volume Chronique Himalayenne, una ciclopica e fondamentale opera sulla letteratura himalayana. Negli ultimi anni ritorna a percorrere in veste estiva le grandi traversate in sci attraverso le sue adorate Alpi Pennine. Purtroppo la sua mente brillante si offusca tragicamente negli ultimi tre anni di vita. Muore a Neuchâtel nel 1967. Non avendo avuto figli, la moglie Lilette dona tutto il suo vasto archivio alla fondazione che porta il nome di Marcel e del padre: la fondazione Louis e Marcel Kurz, con sede a Neuchâtel.
Uno scialpinismo gioioso
Lo scialpinismo di Kurz non è certo quello veloce mordi e fuggi in giornata. Ma non è nemmeno quello dei grandi raid senza punti d'appoggio. Neppure quello delle tutine. È uno scialpinismo lento, segnato dal piacere della sobria ospitalità dei classici rifugi alpini. Ossia dei veri rifugi, custoditi o incustoditi ma sempre aperti, alla svizzera per intenderci. Per Kurz e compagni l'arrivo in un rifugio è sempre un momento felice e importante, il raggiungimento «di un tetto ospitale e della sognata (e meritata, ndr!) cena» fa parte a pieno titolo dei piaceri dello scialpinismo. Di mattina Kurz non ha mai fretta di partire per arrivare in cima. Quindi niente levatacce notturne: si parte piuttosto tardi, quando si è pronti, dopo una buona colazione. Ritornare al rifugio o concludere la gita con una lanterna con dentro una candela accesa è di conseguenza una cosa piuttosto normale. Le soste per le ‘belle pipate’ durante le salite, anche quelle impegnative, sono un'altra caratteristica dello scialpinismo di Kurz. Fumare fa parte del gioco. Non ho contato quante volte nel suo libro nomina la pipa, ma sono davvero tante. Ovunque c'è un bel panorama, si ferma e si accende la pipa per godere pienamente della magia della montagna bianca. In particolare le albe e i tramonti sono considerati spettacoli sublimi da assaporare lentamente con questa prospettiva, per poi lasciarsi andare a descrizioni particolareggiate di quei momenti unici che grazie allo scialpinismo si ha il privilegio di vivere. Sempre con il «fumo azzurro che sale verso l'azzurro del cielo» si sognano altri colli, altre vette, laggiù all'orizzonte «puntando il cannello della pipa» verso di loro.
Kurz non è un solitario, il suo è uno scialpinismo condiviso con amici fidati e con guide locali. Nei suoi scritti egli è molto discreto nel parlare dei compagni di gita, particolarmente avaro di notizie sulla loro vita privata, come sulla sua. Ad esempio, per mettere in evidenza l'autorevolezza di un certo Roget, premette sempre il titolo di signore o professore al suo nome, mentre per sottolineare l'amicizia che lo lega a De Choudens lo chiama affettuosamente Chouchou. L'atteggiamento da condottiero che contraddistingue la guida Crettez, nonché la sua forza e la sua determinazione, risultano invece da battute e comportamenti riportati nel volume. A proposito di guide e di portatori, Kurz si serve spesso di montanari locali. Ciò non significa che non sia esperto, forte e allenato. Prendendo a modello i grandi alpinisti inglesi di fine Ottocento è però favorevole a questa prassi, non solo per evitare la fatica delle marce di avvicinamento ai rifugi con zaini giganteschi ma anche per dividere con le guide locali le soddisfazioni di tante prime salite con gli sci. In quell'età d'oro dello scialpinismo le Alpi permettevano ancora l'emozione di essere i primi a scoprire stupendi itinerari ed era bello farlo condividendo queste emozioni con i montanari locali.
Nello scialpinismo di Kurz sono assenti le donne. È pur vero che siamo agli albori dello scialpinismo, ma grandi scialpiniste erano già in attività sulle Alpi, da Nini Pietrasanta a Livia Bertolini Magni, da Ella Maillart a Paula Wiesinger. Kurz dedica pochissime righe al gentil sesso nelle sue pubblicazioni. Abbiamo trovato una sola citazione di sua moglie, a proposito dell'acquisto di un quadro di montagna del pittore Abrate, nello chalet di Saleina. C'è poi un unico riferimento al fascino femminile quando si trova fra le tante belle donne presenti a una festa danzante presso l'hotel Kronenhof di Pontresina, alla fine del circuito del Bernina. Qui Kurz, stanco ma felice, si rende conto che l'attrazione irresistibile, la «malìa», come la chiama lui, che esse esercitano è «tanto quanto ve n'era lassù nelle solitudini ghiacciate». Infine notiamo la metafora donna-montagna utilizzata a proposito del Blindenhorn in Val Bedretto, paragonato alla «più bella ragazza del mondo» che non si dà interamente: egli non serba infatti un buon ricordo di questa bellissima montagna a causa della neve troppo dura! A parte queste eccezioni, in generale per Kurz le donne non sembrano per nulla interferire con le sensazioni forti che gli vengono offerte dalla montagna e dallo scialpinismo. Occorre però tener presente la discrezione e il pudore nel parlare di sensazioni e di passioni diverse da quelle per la montagna, come se queste ultime non fossero in alcun caso influenzate da altre pulsioni.
Lo sciatore Marcel Kurz
Secondo Walter Amstutz, che scrisse il necrologio di Kurz per la rivista dell'Alpine Club, non era uno sciatore raffinato. Probabilmente si tratta di un giudizio oltremodo severo, in quanto Amstutz, nativo di Mürren e grande amico di Arnold Lunn, fu uno dei più talentuosi ed entusiasti sciatori della sua epoca, vincitore di moltissime gare nonché imprenditore di successo ed editore di Der Scneehase, l'annuario dello Schweizerischer Akademischer Ski Club da lui fondato. Per Kurz invece gli sci erano soprattutto un mezzo per raggiungere un obiettivo, per salire le montagne e non solo per scenderle. Questo non significa che non fosse un appassionato sciatore. Nei suoi scritti non mancano molti apprezzamenti alla ‘scivolata’. Ecco alcuni esempi tratti da Alpinismo invernale. La discesa dalla Rosablanche è stata effettuata in «dieci-quindici centimetri di polvere leggera nella quale i volteggi diventano un gioco inebriante». Dai 4.206 metri dell'Alphubel, «appena calzati gli sci, addio contemplazioni: ognuno s'abbandona al piacere della sciata. La neve favorisce tutte le audacie... .era un gioco eccitante e voluttuoso che finiva per inebriare». Il gioco continua al Basodino, con un gran finale «tra le ombre allungate del crepuscolo, ... sulla neve scricchiolante e leggera, una fuga indiavolata, stordente...». Anche nella parte finale della discesa dal Grand Combin, mentre «il crepuscolo scendeva lentamente sulla montagna stendendo il suo velo uniforme, chiaroscuro... descrivemmo lunghe curve e questo movimento cadenzato ci inebriò deliziosamente». Il piacere della lentezza si ripete nella bellissima discesa sulla Cabane d'Orny dal Plateau du Trient dove, a differenza di Crettez che va «velocissimo, dritto verso il fondo del pendio», Kurz preferisce «le larghe serpentine così da protrarre il piacere il più lungamente possibile»: si tratta di un'affermazione importante, sulla quale i veloci scialpinisti del giorno d'oggi dovrebbero meditare... Infine c'è la discesa in neve brutta, che Kurz chiama cattiva, sulla quale «tutti i mezzi per discendere diventano buoni», sulla quale è «inutile fare dello stile come quando si vuol far colpo sulla platea di un Kurort». Quando la neve è cattiva meglio mettere «i bastoni tra le gambe» e andar giù diritti con l'intramontabile raspa. Con riferimento alla prima discesa in sci in pessima crosta dal Monte Leone, scrive: «io non dirò che la discesa sia stata deliziosa: sarebbe fare alla neve un complimento che non meritava». Malgrado grandi sforzi, non siamo riusciti a trovare una foto di Marcel Kurz in discesa con gli sci. Gli unici scatti in cui appare con gli sci sono quelli pubblicati in questo articolo: statiche, più o meno nella stessa posizione e con il medesimo abbigliamento, seppur in luoghi diversi.
L'inverno alpino
Secondo Luciano Ratto, curatore dell'ultima edizione di Alpinismo Invernale (Vivalda Editori, 1993), il capitolo più bello, più poetico del libro è il terzo, intitolato L'inverno alpino. Ha perfettamente ragione. In esso si trovano alcune pagine da antologia e alcune verità che tutti coloro che amano o si interessano di sci, compresi gli strateghi e gli operatori del moderno turismo invernale di massa, dovrebbero conoscere. L'inverno alpino, dice Kurz, è molto più lungo di quello del calendario. Esso conta tre fasi principali: una «di innevamento preliminare» spesso insufficiente; una centrale caratterizzata da periodi di «massima secchezza», da neve polverosa che viene lavorata e portata via dal vento; una terza e ultima fase con «un innevamento definitivo» che «precede immediatamente la prima estate alpina». Durante tutto l'inverno di calendario, cioè le prime due fasi, secondo Kurz «le alte Alpi (oltre i 2.500 metri, ndr.) non offrono nulla di molto seducente per lo sciatore propriamente detto, il quale farà meglio a evitare queste alte regioni fino a marzo». È invece la terza fase quella di gran lunga più adatta allo sci ed essa coincide con la primavera. La neve si consolida per effetto dell'azione del sole e del gelo notturno, diventando più facile e sicura, la superficie nevosa diventa un potente riflettore che, anziché assorbire il calore solare, lo respinge nell'aria, rendendo più gradevole la sciata. È quindi la primavera la grande stagione dello sci. Anche Arnold Lunn è d'accordo su questo: «mai le Alpi sono più meravigliose che in maggio, quando la loro bellezza è fatta di contrasti… non vi è vagabondaggio in sci paragonabile a quello di primavera sui ghiacciai». Kurz riporta nel suo volume questi pensieri dell'amico inglese, oltre al suo racconto di una traversata dell'Oberland Bernese, un massiccio che stranamente Kurz non visitò.
Un'eredità importante
Kurz descrive uno scialpinismo ricco di emozioni che sono in gran parte dimenticate ma non per questo superate. La scoperta della lentezza, della bellezza dei «campi di neve che giammai sciatore abbia sognato», le «partenze senza sveglia», l'atmosfera dolce del rifugio, le soste «deliziose» durante le gite, «l'apoteosi dello sci di primavera», il piacere di «crogiolarsi al sole» sulla neve e quello di «potersi attardare sulle vette, osservando le ombre della sera”, le sensazioni di libertà e di nostalgia che irrompono prepotenti quando meno ce l'aspettiamo, i piaceri dello sci di traversata, l'ottimismo dei «cuori gonfi di speranza». L'eredità importante che ci ha lasciato non è però solo questa. Il suo è uno scialpinismo basato su alcuni principi fondamentali anch'essi troppo spesso dimenticati dalla visione moderna che si possono riassumere in tre parole: riconoscenza, elasticità, ricerca.
Riconoscenza
Scrive nel capitolo Prime esperienze: «Io, allora, avevo diciannove anni. Mio padre mi aveva iniziato ai segreti della montagna e, a poco a poco, la passione ingigantiva dentro di me». Tre anni dopo, un Kurz in piena forma durante la traversata del Bernina, aggiunge: «Quanta riconoscenza noi dobbiamo a coloro che ci hanno fatto conoscere le montagne e le loro meraviglie». Il valore dimenticato della riconoscenza permea tutta la sua vita e dà spessore al suo scialpinismo.
Elasticità
Un altro messaggio importante che un Kurz maturo ci propone, prendendo lo spunto dalla salita non programmata alla Dent d'Hérens insieme a Crettez a fine gennaio 1920, è quello relativo all'elasticità dei programmi. Ecco cosa scrive: «Nella notte avevo cambiato i miei piani. Più corro attraverso le montagne, più constato che bisogna sapere adattarli alle circostanze del momento... una volta sul posto, bisogna essere molto elastici e non attaccarsi ciecamente alla prima idea». Se ne deduce che la vera avventura non è quella minuziosamente programmata, frutto di prenotazioni di mezzi di trasporto, rifugi e servizi vari, ma quella che, secondo esploratori del calibro di Eric Shipton e Bill Tillman, si può sintetizzare sul retro di un qualsiasi pezzo di carta».
Ricerca
Kurz ci invita a non ripeterci, a ricercare sempre nuove mete. «Lo confesso - scrive parlando delle gite effettuate fra il Sempione e il Gottardo nel gennaio 1911 - i miei sci hanno una tendenza spiccata a lasciare le tracce note; essi paiono calamitati: l'ignoto li attira ed essi si volgono volentieri verso luoghi nuovi». Per questo considera importante «estendere l'esplorazione invernale delle Alpi fino alla loro estremità... tracciare una haute route invernale, che si sviluppi lungo la cresta più alta delle Alpi, da Grenoble a Innsbruck, e verrà il giorno senza dubbio in cui qualche entusiasta percorrerà le Alpi from end to end, come ha fatto Sir Martin Conway». Ci penserà, non molti anni dopo, nel 1933, uno solitario sciatore vagabondo chiamato Leon Zwingelstein...
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SUL NUMERO 112 DI SKIALPER, INFO QUI

Mondiali, l'Italia sfiora il podio
Due quarti posti per gli azzurri nei Campionati Mondiali di trail in Portogallo. Il team italiano sfiora il podio a squadre e anche nella gara individuale sulla distanza di 44 chilometri, con una prova in rimonta di Francesco Puppi, arrivato a soli dieci secondi dalla medaglia di bronzo. Vittoria del britannico Jonathan Albon in 3h35’35 davanti al francese Julien Rancon (3h37’48), terzo lo svizzero Christian Mathys (3h40:35) dopo aver condotto per quasi 30 chilometri, mentre il comasco nel tratto conclusivo scavalca l’altro transalpino Nicolas Martin (3h42’28). Tra gli italiani Luca Cagnati riesce a lottare con i big e chiude quindicesimo, poi Marco De Gasperi dopo una crisi risale nell’ultima parte fino al diciottesimo posto. Più dietro Alessandro Rambaldini, vittima di una caduta e 24esimo, seguito da Andreas Reiterer, 36esimo, e Davide Cheraz, 51esimo. Dominio della Francia a squadre, davanti a Spagna e Gran Bretagna, con l’Italia in quarta posizione.
Al femminile Silvia Rampazzo si conferma una delle migliori al mondo, dopo il bronzo di due anni fa. La veneta è sesta, leader di una formazione azzurra che coglie il quinto posto. Per il successo, prende subito il largo la francese Blandine L’Hirondel scavando un solco sempre più profondo tra sé e le avversarie: oro in 4h06’18 con più di otto minuti di vantaggio nei confronti della neozelandese Ruth Croft (4h14’29), in recupero sulle spagnole Sheila Aviles (4h15’05) e Salmones Azara (4h15’31) che superano la romena Denisa Dragomir (4h17’04). Sul traguardo Barbara Bani è ventesima, poi Emma Quaglia (44esima), Sarah Palfrader (53esima) e Lidia Mongelli (125esima), invece Gloria Giudici si ferma dopo pochi chilometri per un problema al quadricipite. Ancora Francia e Spagna in vetta alle classifiche per team, bronzo alla Romania che precede Gran Bretagna e Italia.
Doppia W Ultra 60 a Riccardo Montani ed Emily Schmitz
Dopo i sopralluoghi della vigilia, il direttore gara Luca Tenni non ha avuto dubbi e ha tagliato le parti alte del tracciato originale dopo avere costato che la neve, non più portante, non avrebbe garantito le condizioni minime di sicurezza. In base a questa ultima modifica il percorso aveva uno sviluppo 54 km con 3800 metri di dislivello. Ne è scaturito un itinerario comunque tecnico e muscolare che non è andato a intaccare la spettacolarità dell’evento. Pronti, via e sul primo tratto di ascesa in terra svizzera i colombiani Jesus Gaviria Ospina e Adolfo Buitrago hanno innestato il turbo sgranando il gruppo di testa. Superato il tratto sulla neve a Passo Malghera, il portacolori del Team Salomon Riccardo Montani ha però cambiato passo guadagnando la testa della corsa. La sua è stata una cavalcata trionfale sino al traguardo. Per lui ingresso trionfale in piazza Cavour a Tirano con crono di 5h51’32”. Secondo ,alle sue spalle, Jesus Gaviria Ospina con un distacco di 20’58”, mentre sul gradino più basso del podio è salito lChristian Pizzatti che ha stoppato l’orologio sul tempo di 6h29’30”. Hanno completato la top ten di giornata Adolfo Buitrago, Daniele Nava, Riccardo Faverio, Stefano Rossatti, Mirko Pedroli, Maurizio Perlini e Luigi Zanaboni.
Nella gara in rosa serrato testa nelle fasi iniziali tra la colombiana Emily Schmitz e Cecilia Pedroni. Con il passare dei chilometri la vincitrice della prima edizione si è però arresa alla manifesta superiorità della propria avversaria. Per Schmitz successo strameritato in 7h27’41”. Secondo posto per l’ottima Pedroni in 7h38’05”, mentre terza si è piazzata Cristiana Follador in 7h53’56”.
Non solo individual race, il numeroso pubblico accalcato nella città aduana ha applaudito e sospinto al traguardo anche i numerosi staffettisti in gara. Nella classifica di coloro che hanno diviso le fatiche di questa Doppia W successo di giornata per le coppie Giuditta Turini-Laura Besseghini e Sergio Bongio-Mauro Manenti. Nella corsa a tre elementi, vittoria per il team composto da Valentino Speziali, Mirko Bertolini e Mattia Bonesi al maschile, mentre nel ranking in rosa si sono imposte Michela Della Maddalena, Francesca Mottalini e Enrica Mattaboni.
In arrivo Skialper 124 di giugno-luglio
«Una linea difficile ed effimera come lo sono quelle sugli ottomila, in balia dei forti venti e del meteo, che ora scarica neve, ora dissemina roccia che impedisce la discesa con gli sci, se mai si riesce ad arrivare in vetta. Una linea unica e irripetibile. Ma ognuno ha la sua linea». scrive così Claudio Primavesi nell’editoriale di Skialper di giugno-luglio per introdurre la foto di copertina e il tema del numero 124: fedeli alla linea. Si parte, appunto, dall’estetica Dream Line di Hilaree Nelson e Jim Morrison sul Lhotse, ma scriviamo anche di trail running, escursioni dolomitiche, discese norvegesi, vacanze in bici e sci, concatenamenti alpinisti in velocità, rifugi del massiccio francese degli Écrins. Dopotutto, sono tutte traiettorie in cui si sviluppa un movimento se vogliamo rimanere fedeli alla definizione di linea. E sono linee tracciate o sognate da uomini e donne, come scrive il direttore editoriale Davide Marta. «Una linea si può tracciare. Si può seguire, ci si può discostare. Si può senz’altro studiare, sognare, immaginare. Se ne può avere una sola, oppure più di una. Una linea può essere dritta, oppure curvilinea, può girare attorno a degli ostacoli. Può assecondare, ma può anche filare dritto per dritto. Noi abbiamo un’idea di fare riviste che poi è una linea. Parlare di persone, prima di tutto, usando il pretesto della montagna, dello sci, dell’arrampicata, della corsa. Che senso avrebbe, se no, tutto questo? Le linee sono cose che hanno a che fare con la vita delle persone, tutti i giorni». Skialper 124, 160 pagine, è in distribuzione nelle edicole a partire da martedì 11 giugno.
LA LINEA DI DISCESA PRIMA DI TUTTO - Quella di Hilaree Nelson e Jim Morrison sul Lhotse del settembre 2018 è stata, insieme alla discesa del K2 di Bargiel, l’impresa dell’anno. Per conoscere i retroscena della sciata sulla Dream Line abbiamo intervistato Hilaree. Una chiacchierata che non si è fermata al Lhotse, ma è arrivata al Papsura, al ruolo di mamma e sciatrice estrema-esploratrice e tanto altro.

ICE & PALMS - Dal Sud della Germania a Nizza. Una vacanza in bici per arrivare al mare. E in mezzo un po’ di cime con gli sci e le pelli. È la pazza avventura della scorsa primavera di due simpatici tedeschi (che è diventata anche un film, Ice & Palms, appunto). Con qualche imprevisto, come il passo del Furka ancora chiuso affrontato con 50 chili sulle spalle tra zaino e bici, fio da pagare per qualche sciata indimenticabile. E naturalmente non è mancato il bagno finale nelle acque del Mediterraneo.


THE GODMOTHER OF ALL COULOIRS - Una linea netta, tra le rocce a picco sul fiordo. Un nome invitante (la madrina di tutti i couloir). Non si poteva non andare alla scoperta di quella sottile fessura. Ed è quello che hanno fatto Alice, Alberto, Marco e Carolina. Ma non avevano calcolato che fiordo e tormentato territorio norvegese avrebbero richiesto molto più tempo del preventivato. Alla fine la soddisfazione di una discesa molto estetica ha ripagato la tanta fatica, ma non per tutti gli escursionisti.

TOUR DE LA MEIJE, 4 GIORNI AU REFUGE - Unire i rifugi attorno al quasi quattromila del Sud della Francia in un unico tour scialpinistico. È quello che hanno fatto Andrea Bormida e Federico Ravassard. Scoprendo, oltre a bellissime montagne e altrettanto invitanti discese, che rifugi e rifugisti di questo angolo di paradiso hanno ancora un’anima. E che la tarte au chou è più calorica delle barrette energetiche.


IO SONO MATTEO EYDALLIN - Cinque trofei Mezzalama in bacheca. Ma anche un vecchio Nokia come telefono, l’avversione per i selfie, i cd al posto degli mp3, l’allenamento di testa sua e la lingua senza peli. Siamo stati nel ritiro estivo di Matteo Eydallin per scoprire meglio il metodo steppen. E come si fa a rimanere competitivi per così tanti anni.

FAST IS THE NEW TRENDY - Salire per vie alpinistiche in velocità, partendo dal fondovalle. Un’escursione a metà tra skyrunning e alpinismo ma in compagnia e con tutta l’attrezzatura da quota. «Dʼaltronde, esiste forse uno stile più logico ed elegante del partire dal fondovalle, scalare una o più montagne e tornare al punto di partenza con il minimo materiale indispensabile, in un solo, rapido, assalto?». Ed è quello che hanno fatto Denis Trento e Robert Antonioli l’anno scorso per allenarsi, con tre uscite tra Monte Bianco e Monte Rosa che abbiamo fatto in parte ripercorre ai protagonisti per realizzare le splendide fotografie a corredo dell’articolo. Non solo un reportage sulle escursioni, ma un articolo per scavare a fondo nella filosofia fast & light, nella storia e nelle diverse opzioni di materiale utilizzabile.

LA HAUTE ROUTE DEL TRAIL - Da Verbier a Zermatt: 225 chilometri e 14.000 metri di dislivello positivo ai piedi delle montagne più spettacolari d’Europa. È la Via Valais, il nuovo itinerario lungo di trail creato, dopo attente esplorazioni, dalla premiata ditta Kim Strom, Dan e Janine Patitucci, che i lettori di Skialper già conoscono. Uno spunto per le vacanze…

ALTA VIA - Da Tires alla Val Fiscalina, l’Alto Adige da Ovest a Est, attraversando le Dolomiti e incrociando le alte vie più frequentate. Un indimenticabile trekking di otto giorni in compagnia di Egon Resch, Guida alpina altoatesina, al cospetto di cime simboliche come Sciliar, Catinaccio, Tofane, Tre Cime. E alla scoperta di rifugi unici, alte cascate e ferrate molto panoramiche.

OLTRE LE ULTRA - Come si allena Michele Graglia, ex modello e soprattutto vincitore di due delle gare di corsa più estreme, la gelida Yukon Arctic Ultra e la torrida Badwater Ultramarthon? È un mix di training atletico, alimentazione, ma soprattutto testa. Un articolo sull’approccio alle lunghe distanze che diventano una vera e propria filosofia di vita perché «l’ultra è mentale al 90% e l'altro 10% è nella tua testa».

SUL CAMPO - Le nuove New Balance Fresh Foam Hierro v4 provate da tre diversi concorrenti del Chianti Ultra Trail, ma anche i nuovi zaini Trail Force di Camp testati da Franco Collé. Non mancano i test su Skialper 124 e anche le presentazioni delle novità, come le scarpe da hiking termoformabili Tecnica Plasma o la nuova collezione di calzature da trail RaidLight o ancora tutti gli highlight per l’estate 2020 di Dynafit.
Il 9 giugno c'è Fibrosi Walking
Una camminata per una buona causa. È questo lo spirito di Fibrosi Walking, l’evento organizzato domenica 9 giugno a Legnano (MI) da Roberto Bombassei, artista, illusionista e scrittore, in collaborazione con Lega Italiana Fibrosi Cistica Lombardia. Si tratta di una camminata nel parco del castello della cittadina lombarda con gli istruttori di Nordic Walking Alto Milanese. La partecipazione è gratuita ma sarà possibile sostenere l’associazione e conoscere le iniziative per la ricerca contro questa malattia. Il ritrovo è alle 10 e la camminata inizierà alle 10,30. Alle 12,30 la chiusura della manifestazione il concerto sotto gli alberi del tenore Lucia Tedeschi. Fibrosi Walking è l’ultima iniziativa ideata da Bombassei per la raccolta di fondi per la ricerca contro la fibrosi cistica, malattia genetica degenerativa. Da sette anni va in scena Magie per la ricerca, manifestazione alla quale partecipano illusionisti, artisti e personalità varie.

Grignetta Vertical, sabato la sfida
Format vincente non si cambia. Sabato 8 giugno torna la Grignetta Vertical, con 905 metri di dislivello positivo sulla Grigna Meridionale, ‘parco giochi’ per gli amanti del free climbing e ambiente storico dove i vari Bonatti, Cassin e i Ragni di Lecco hanno costruito la preparazione per le loro imprese mondiali. Il GSA Cometa ripropone la sesta edizione di una gara storica (ex Trofeo Vidini) per la classica Via Cermenati con partenza dal Pian dei Resinelli ed arrivo al Bivacco Ferrario, in cima alla Grigna a quota 2.184 metri con passaggi su roccette e catene. Ritiro pettorali dalla mattinata e start a crono a partire dalle ore 14.00, con partenze ogni 20". All'arrivo in vetta verrà consegnato una maglia tecnica Montura (offerta dallo sponsor Alpstation Brianza) e uno zainetto CT offerto dagli altri sponsor.
Nel 2017 sono crollati i record storici con il portacolori La Sportiva Michele Boscacci che ha fermato il suo crono a 32'33" e Silvia Cuminetti con 41'12”; entrambi nel 2018 sono ritornati per cercare di migliorarsi ma non ci sono riusciti: ce la faranno quest'anno?
Iscrizioni ancora aperte su www.mysdam.net con super prezzo promo di 15 € con un mega pacco gara e un terzo tempo stellare che è diventato un must!
Sabato è il giorno della Doppia W Ultra 60
Doppia W Ultra 60, il countdown è cominciato. In vista della seconda edizione in programma sabato mattina con start nell’abitato grigionese di Poschiavo e arrivo nella città valtellinese di Tirano, il comitato italo svizzero sta lavorando a ritmi serrati per regalare ai quasi 500 concorrenti una giornata indimenticabile. Vista la troppa neve in quota, dopo ripetute supervisioni e su consiglio del direttore gara – la guida alpina Luca Tenni – sono state apportate alcune modifiche che hanno tagliato i punti più esposti, senza per questo pregiudicare la spettacolarità dell’evento. I numeri cominciano a essere importanti con atleti provenienti da sei differenti nazioni: in 160 correranno la prova integrale. Sono inoltre accreditate 29 staffette a 2 elementi, 22 team da 3 e 200 iscritti alla camminata.
IL PERCORSO - Si correrà comunque su una distanza di 60 km con un dislivello prossimo ai 4300 metri. Rispetto al percorso originale sono stati tolti i punti a maggiore rischio valanghivo. Nonostante il rialzo termico degli ultimi giorni, in quota vi è ancora molta neve, si è quindi optato per un piano B.
Partenza confermata alle ore 5.30 di sabato mattina da Poschiavo. Da lì si punterà Passo Malghera. Raggiunto l’omonimo rifugio, non si andrà più al Passo di Pedruna, ma si tornerà in Svizzera sempre dal Passo di Malghera (tracciati di andata e ritorno per buona parte su percorsi differenti). Passaggio di San Romerio e la zona di cambio staffetta resteranno invariati. Altra modifica in zona Pian Cavallino, qui non si salirà più verso la cresta ed il Passo Portone (condizioni davvero proibitive) ma si percorrerà un sentiero altrettanto bello e caratteristico che porterà gli atleti a Prà Campo, Prà Baruzzo, Ghiaccia, Sovo e Rifugio Schiazzera (anche per il secondo cambio staffetta nessuna variazione). Il resto del percorso rimarrà invariato.
Anche programma e eventi collaterali non hanno subito variazioni con festa grande in zona arrivo, premiazioni alle 17:30 e un terzo tempo da non perdere. Dalle 21 sono infatti previsti concerto e festa con Jovanotti Tribute Band Jovanotte
I PROTAGONISTI - Se il campionissimo valdostano Franco Collé sarà presente nel ruolo di guest star per alcuni acciacchi che all’ultimo gli hanno impedito di indossare il pettorale, la starting list di questa seconda edizione si preannuncia comunque di livello. Sfogliando la lista partenti spiccano i nomi di Michele Tavernaro (vincitore 2018), Marco Zanchi, Christian Pizzatti e Luca Manfredi Negri.
Gara vera anche al femminile con la vincitrice 2018 Cecilia Pedroni chiamata a guardarsi le spalle da Cristiana Follador. Ruolo di outsider per l’esperta Patrizia Pensa e la ‘local’ Lucia Moraschinelli.
Scott Sports inaugura la nuova sede
Sette piani, 440 scale, fino a 600 postazioni di lavoro, 50 sale riunioni, 800 motori per la gestione delle finestre, oltre 4.000 metri quadrati di showroom. Sono questi alcuni dei numeri del nuovo headquarter di Scott Sports, realizzato da IttenBrechbühl Architects e General Planners a Givisez, in Svizzera, con molta attenzione alla sostenibilità e alla vivibilità degli ambienti di lavoro. L’edificio è il primo in Europa ad avere un sistema per controllare il riscaldamento, la ventilazione e l'acustica tutto allo stesso tempo. Grazie alla geotermia viene fornita energia sostenibile e riscaldamento a basso consumo, tecnologia solare e teleriscaldamento ne sottolineano ulteriormente il carattere sostenibile. Incorniciata da un'architettura chiara e una combinazione di materiali senza tempo come il legno, cemento, vetro e metallo, la nuova sede offre il palcoscenico ideale per il portafoglio dei prodotti del gruppo che ha fatto di innovazione e design i suoi valori chiave.

L’atrio centrale si sviluppa su tutta l'altezza dell'edificio e una scala che conduce l'ospite all'ingresso dell'auditorium Le stanze pubbliche si sviluppano ai lati dell'auditorium. La caffetteria e il ristorante sono collegati a questo spazio aperto offrendo uno sguardo completo nell'area esterna grazie a una superficie in vetro continua. Lo spazio dedicato agli uffici si trova sui quattro piani superiori. L'ampiezza degli spazi promuove lo scambio vivace e lo sviluppo di idee, mentre le aree chiuse favoriscono un'atmosfera di lavoro più concentrata. La facciata in alluminio microforato e controllata dal sole consente alla luce del giorno di fluire piacevolmente all'interno. La protezione dinamica, studiata per contrastare i raggi del sole, e la facciata high-tech del seminterrato rendono visibile l'attività svolta all'interno e suscitando curiosità. L'ampio atrio illuminato valorizza le doghe in legno posizionate verticalmente e il pavimento in cemento grezzo, mentre le tonalità dei colori naturali sottolineano e donano tranquillità agli spazi e agli uffici.

Nell’headquarter trovano spazio anche i marchi controllati: Syncros, Bergamont, Bold Cycles, Avanti, Malvern Star, Dolomite, Powderhorn, Bach, Lizard e Outdoor Research. «La cultura del lavoro e il luogo in cui si svolge sono molto importanti per noi - ha detto il ceo Beat Zaugg - Viviamo una forte filosofia di gruppo e i progetti sono seguiti da diversi dipartimenti contemporaneamente. Avere tutti i dipendenti nello stesso edificio consente una comunicazione e una collaborazione veloce e senza interruzioni, una vera alternativa all'home office».













