Kilian Jornet Burgada di nuovo re di Zegama. Elisa Desco seconda
Zegama è Zegama. Kilian Jornet Burgada è un affezionato e nel suo palmares inserisce l’ennesima ‘maratoia’. Primo con il tempo di 3h52’47”, con un margine di 2’39” su Bartlomiej Przedwojewski, con Thibaut Baronian a 3’33” a completare il podio; quarto Stian Angermund-Vik, quinto Alejandro Forcades Pujol, con Oriol Cardona Coll, Manuel Merillas, Alexis Sévennec, Andy Wacker, Ander Iñarra Olaziregi a completare la top ten. Nella gara rosa a segno Eli Anne Dvergsdal in 4h36’06” con piazza d’onore per Elisa Desco che vince il testa con Amandine Ferrato, quarta Gisela Carrion Bertran, quinta Oihana Kortazar Aranzeta.
CUET a Luca Carrara e Annemarie Gross
Luca Carrara e Annemarie Gross nella 60 km, Andrea Debiasi ed Erica Leonardelli nella 28 km: sono loro i quattro vincitori della quarta edizione della Comano Ursus Extreme Trail, che ha visto schierati ai nastri di partenza 250 atleti di 11 nazioni, premiati da una splendida giornata di sole e dal grande lavoro svolto dallo staff della Comano Mountain Runners. Un lavoro che, negli ultimi giorni, è stato necessario per garantire alcuni passaggi in quota, con oltre 40 volontari impegnati a spalare la neve e a tracciare il passaggio per gli atleti.
Carrara, che lo scorso anno aveva preso il via ma era stato costretto al ritiro a causa di problemi fisici, ha trovato pronto riscatto e ha messo nero su bianco il pronostico della vigilia, imponendosi d’autorità nella gara lunga di 60 chilometri e 4800 metri di dislivello, caratterizzata dai paesaggi del giro delle Cime e dagli altrettanto suggestivi scenari offerti dai transiti in Val Lomasona, sul Monte Brento e sul Monte Casale.
Il forte bergamasco del Team Salomon, scattato alle 6 del mattino dal Passo Durone assieme agli altri iscritti alla CUET 60 km, ha portato a termine la propria trionfale fatica in 8h35’28”, tempo di oltre 15 minuti più basso rispetto a quello del secondo classificato, il tedesco Anton Philipp, con il trentino Manuel Degasperi (fresco di conquista del record di dislivello a piedi in 24 ore) a completare il podio.
Più combattuta la CUET 28 km, che ha vissuto sul testa a testa tra i due trentini Andrea Debiasi e Gabriele Leonardi e che ha portato i concorrenti a percorrere le creste della Val Marcia. I due sono transitati assieme a metà gara, al passaggio da Malga Nardis: l’accelerazione decisiva è arrivata nel finale, quando Debiasi è riuscito a fare la differenza e a liberarsi della compagnia del rivale. Il vincitore ha coperto i 28 km e i 2800 metri di dislivello del tracciato in 3h26’15”, infliggendo un distacco di 5’10” al rendenese Leonardi, comunque soddisfatto del proprio secondo posto. Più distanziato il terzo classificato, Michele Laghetto (3h41’57”), con Marco Gubert autore di una bella rimonta nella seconda parte di gara e alla fine quarto a 1’37” dalla zona podio.
Appassionanti anche le due sfide femminili, in particolar modo la CUET 28 km in rosa, vinta da Erica Leonardelli in 4h26’11” (14° tempo assoluto) con un vantaggio di 1’37” sulla polacca con passaporto italiano Wiktoria Piejak. Quest’ultima è stata vittima di un errore di percorso nel finale di gara, ma è comunque riuscita a garantirsi la piazza d’onore, mentre la medaglia di bronzo è finita al collo di Michela Foresti, che ha conquistato un ottimo terzo posto nella gara di casa, chiudendo in 4h39’25”.
La CUET 60 km femminile, infine, ha premiato l’altoatesina Annemarie Gross, che ha raggiunto il traguardo di Passo Durone dopo 11h57’19” di gara. Seconda piazza in 12h11’08” per la svedese Helen Westerberg.
Martin Dematteis e Daniela Rota primi alla ResegUp
Martin Dematteis e Daniela Rota incidono il proprio nome nell’albo d’oro della ResegUp. Parterre di livello per la decima edizione: difficile azzardare un pronostico vista la caratura degli atleti presentatisi ai nastri di partenza. Alle 15.30, come da pronostico, i 1250 corridori del cielo che sono riusciti ad accaparrarsi un pettorale hanno sfidato un caldo torrido sui 24 km e 3600 metri di dislivello totale che li ha portati in vetta al Resegone e poi nella torcida di piazza Cermenati.
Al rifugio Stoppani Elhousine Elazzoui e Gabriele Bacchion del Team Tornado hanno imposto un ritmo altissimo portandosi in scia compagni di fuga scomodi come Martin Dematteis, Dennis Bosire Kiyara e Jean Baptiste Simukeka.
Al passaggio in vetta, accompagnato da due ali di folla, Martin Dematteis guidava il gruppetto dei migliori. Il forte atleta piemontese, tallonato da Simukeka, Elazzoui e Bacchion ha tenuto la testa della corsa anche al sedicesimo km all’altezza dei piani d’Erna. Colpo di scena allo Stoppani, con il vincitore 2018 Jean Baptiste Simukeka che mette la freccia e si porta al comando. In piazza Cermenati, come lo scorso anno, tutti si aspettavano vedere sbucare nuovamente la canotta rossa del team Serim, e invece no. Martin Dematteis ha nuovamente innestato il turbo e vinto in 2h13’51”, tempo che sarà il crono da battere nelle edizioni a venire. Seconda piazza per Simukeka in 2h14’53”, terza per un super Gabriele Bacchion in 2h15’27”. Completano la top five Elhousine Elazzoui e Bernard Dematteis.
Nella classifica rosa la lariana Paola Gelpi ha preso in mano le redini della gara, alle sue spalle la compagna di scuderia Daniela Rota e la keniana Caroline Cherono. In discesa Daniela Rota ha però stretto i denti e migliorato il secondo posto 2018. Per lei successo di giornata in 2h51’32”, su Gelpi -(2h56’22”) e Cherono (3h05’28”). Ai piedi del podio Gisella Beretta e Lorenza Combi.
Valle Intrasca, ci siamo
Mentre le iscrizioni stanno superando quota 250 coppie per la gara lunga e quota 85 coppie per la corta, il CAI Verbano sta ultimando i dettagli organizzativi della tre giorni di festa che culminerà con la quarantacinquesima edizione della Valle Intrasca che si terrà domenica 2 giugno con partenza e arrivo a Verbania.
Come ormai tradizione l’apertura dell’evento sarà un onore che toccherà alla Pica Da Legn, quest’anno rinnovata e trasformata in un momento culturale di altissimo livello: venerdì alle 21, infatti presso la Chiesa di Santa Marta a Verbania Intra sarà protagonista Marco Albino Ferrari che presenterà il suo monologo Freney 1961 – sulla tragedia del Freney che vide coinvolte, nel luglio del 1961, le cordate Bonatti e Mazeaud.
Il sabato pomeriggio è sempre dedicato ai bambini che si lanceranno alle ore 16 nella classica Sgambettata per Bambini in gamba in piazza San Vittore a Verbania Intra e poi, dalle 18, ritiro pacchi gara.
Intanto si va arricchendo anche la starting list di entrambe le prove: nella Valle Intrasca (33,750 km per 1.625 m D+-) Giulio Ornati e Riccardo Borgialli hanno sciolto le riserve e hanno annunciato la loro presenza, diventando così una delle coppie favorite; da segnalare anche la presenza di due campioni come Max Valsesia e Giovanna Cerutti. Occhio anche alla coppia austro/canadese formata da Tijana Gonja e Mathieu Plamondon, accreditati di alcuni risultati importanti negli anni scorsi. Nella Mezza Valle Intrasca (17,300 km per 475 m D+-) chi vorrà vincere se la dovrà vedere con Marco Giudici e Alessandro Turroni.
In 250 alla Comano Ursus Extreme Trail
Chiuse le iscrizioni giovedì sera, la Comano Ursus Extreme Trail si appresta a vivere la quarta edizione, che sabato 1 giugno vedrà schierati ai nastri di partenza 250 runner provenienti da 11 nazioni.
Saranno due le distanze di gara, la CUET 60 km (4800 metri di dislivello) e la CUET 28 km (2400 metri di dislivello), con partenza e arrivo per entrambe al Passo Durone, nel cuore delle valli Giudicarie. Alle 6 verrà dato lo start per i concorrenti della 60 km, mentre quelli della 28 km prenderanno il via alle 9.
Negli ultimi giorni sono arrivate anche le attese iscrizioni di alcuni dei migliori interpreti della specialità. Tra gli iscritti dell’ultima ora spicca il forte bergamasco Luca Carrara, che dovrà vedersela con il trentino Manuel Degasperi, fresco di conquista del record mondiale di dislivello positivo a piedi in 24 ore (20.865 metri, contro i 20.550 del detentore del precedente primato Andrea Daprai). Nella CUET 28 km, invece, i riflettori saranno puntati sul trentino Andrea Debiasi e sulla quotata polacca con passaporto italiano Wiktoria Piejak.
Ognuno dei 250 partecipanti affronterà una personale sfida su un doppio percorso che porterà i concorrenti a gareggiare in alcuni degli scorci più suggestivi del territorio che fa da anello di congiunzione tra il Lago di Garda e le Dolomiti di Brenta.
Anche per questo è stato forte il richiamato esercitato sugli appassionati e sportivi, provenienti da tutta Italia e anche dall’estero. Molti i runner extra regionali, che raggiungeranno il Trentino da Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Lazio, con ben undici nazioni rappresentate in starting list, quali Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Russia, Belgio, Polonia, Svezia e addirittura Stati Uniti e Singapore.
Dopo le numerose perturbazioni che hanno caratterizzato il mese di maggio, il meteo dovrebbe essere favorevole agli atleti in gara, che vedranno ripagata la loro fatica dalle bellezze del territorio. Per i partecipanti alla CUET 60 km ci saranno il ‘giro delle Cime’, caratterizzato da un paesaggio mozzafiato, e i transiti – altrettanto suggestivi - dalla Val Lomasona, dal Monte Brento e dal Monte Casale, con le ‘creste della Val Marcia’ inserite invece nel tracciato di 28 km.
Nel pomeriggio sempre di sabato 1 giugno, alle 16 al Passo Durone, ci sarà anche un appuntamento riservato ai più piccoli, il MinitrAil, con 5 differenti percorsi a seconda delle categorie e fasce d’età, dai Baby fino agli Allievi. La quota d’iscrizione, pari a 5 euro, sarà devoluta interamente all’AIL, l’Associazione Italiana Leucemia.
Attorno alle 12.30 sono previsti i primi arrivi della CUET 28 km, mentre i primi atleti della CUET 60 km sono attesi attorno alle 14.20.
Al via le Golden Trail World Series, guarda il film dell’edizione 2018
Con l’attesissimo appuntamento di Zegama di domenica, inizia l’edizione 2019 delle Golden Trail World Series, il circuito fortemente voluto da Salomon (e che prevede anche dei tornei nazionali) che toccherà anche Chamonix con la Marathon du Mont Blanc del 30 giugno, Canazei con la Dolomyths Run Skyrace del 21 luglio, la Sierre-Zinal l’11 agosto, la Pikes Peak Marathon (Stati Uniti) il 25 agosto, la Ring of Steall Skyrace il 21 settembre e vedrà il gran finale in Nepal con l’Annapurna Trail Marathon il 26 ottobre. Un circuito nato con l’obiettivo di portare il trail e lo skyrunning a un altro livello, sia in termini di atleti e professionalità, sia di controlli anti-doping, sia di mediaticità. Non è un caso che l’edizione 2018 abbia avuto un’audience di oltre 30 milioni e circa 10.000 atleti iscritti a tutte le gare. Cliccando sull’immagine in alto è possibile vedere il simpatico cortometraggio (vediamo se indovinate chi è la voce narrante…) con gli highlight dell’indimenticabile edizione 2018, gara per gara.
LA FORMULA - Per i primi cinque classificati di ogni gara comprese le finali è previsto un premio di 1.000 euro (rilasciato solo dopo esito negativo del controllo doping) e per i primi dieci uomini e donne del ranking generale alla fine del circuito la quota sale a 5.000 euro). Per la classifica finale fanno fede i migliori tre risultati nelle gare più quello della gara all’Annapurna. Gli atleti elite inoltre ricevono un supporto per viaggio, ospitalità e pettorali in base a criteri ben definiti. Ecco perché ci sono tutti gli ingredienti affinché l’edizione 2019 delle Golden Trail World Series sia quella della definitiva consacrazione dopo il successo ottenuto nel 2018.
ZEGAMA - Sarà l’anno del gran ritorno di Kilian Jornet, otto volte vincitore e assente nelle ultime due edizioni. Il catalano dovrà guardarsi le spalle da Rémi Bonnet, Manu Merillas (che rientra nelle gare di alto livello), Aritz Egea, Karl Egloff, Petter Enghdal, Thibaut Baronian, Bhim Gurung, Jan Margarit, Jessed Hernandez. Tra le donne al via Yngvild Kaspersen, Megan Kimmel, Oihana Kortazar, Maite Maoira, Elisa Desco, Uxue Fraile.
Marco Zanchi e il Sentiero delle Orobie
Marco Zanchi nelle Orobie è di casa. Ha vinto due volte l’Orobie Ultra Trail, si allena su quei sentieri tutti i giorni. Così è nato il progetto Orobie d’un Fiato, per rendere omaggio a chi, negli anni Cinquanta, ha ideato e tracciato il Sentiero delle Orobie. «Ventidue anni fa - spiega l’ultrarunner e ambassador Topo Athletic - ho scoperto di essere circondato da fantastiche montagne. Le Orobie sono la mia casa e il desiderio di poterle affrontare di corsa, tutte d’un fiato, è sempre stato vivo in me. L’interesse è nato anche per la storia dei sentieri e dei rifugi presenti, che costituiscono fondamentali punti di riferimento nei miei allenamenti».
L’appuntamento è fissato sabato 6 luglio, nella giornata che precederà Save the Mountains, la festa del CAI Bergamo all’insegna dell’educazione e della sostenibilità ambientale: Marco Zanchi partirà da Cassiglio, alle ore 12, e arriverà fino al Passo della Presolana, entro le ore 12 di domenica 7 luglio, accompagnato da amici che, a staffetta, lo seguiranno di giorno e di notte assistendolo nei tratti più difficili.
Nei 140 km di attraversamento dei monti bergamaschi, con un dislivello positivo di 11.000 metri e negativo di 10.300, l’ultrarunner toccherà i rifugi Cazzaniga, Lecco, Grassi, Benigni, Ca San Marco, Baitone, Longo, Calvi, Biv Frattini, Brunone, Coca, Curò, Albani, Cassinelli. L’avvincente esperienza sarà raccontata in un cortometraggio che, tra passato e presente, riproporrà anche documenti dei primi anni del ‘900. Sarà possibile seguire l’evento live su Setetrack.
Storia (e fascino) dello sci di raid nelle Alpi
1888. Fridtjof Nansen e compagni attraversano la Groenlandia con gli sci. È l’inizio di un’era, quella dello sci di montagna moderno, che trova nei grandi raid più che nella conquista delle cime la forma di espressione più pura e più completa. Si tratta della scoperta dello sci avventura e delle sensazioni profonde del viaggiare con gli sci. In altre parole è la scoperta dello Ski Spirit, ossia di una dimensione dello sci che interessa anche e soprattutto le sfere dello spirito.
1897. Wilhelm Paulcke e compagni, emuli di Nansen, attraversano le Alpi Bernesi. Una traversata in pieno inverno folle per quei tempi ma vissuta con grande gioia e descritta con uno stile ironico e moderno dal grande Paulcke, denominato il Nansen del Centro Europa per la sua devozione al telemark. Da quel momento tutti i grandi sciatori di montagna alpini vedono nelle traversate, ossia nello scoprire cosa c’è dietro un colle, il significato ultimo dello sciare. Ci provano un po’ tutti, fra la conquista di una vetta e l’altra. Da Paul Preuss a Marcel Kurz, da Arnold Lunn a Ottorino Mezzalama. Ma è Léon Zwingelstein, lo sciatore vagabondo per eccellenza degli anni trenta, ad effettuare per primo, da solo e senza alcun aiuto esterno, dal primo febbraio al primo maggio 1933, un favoloso raid da Nizza al Tirolo, con ritorno sempre in sci fino a Briga in Svizzera. Una performance unica, con tutto nello zaino compresa una rudimentale tenda cucita con le sue mani. Una performance mai più ripetuta. E sarebbe andato oltre Briga Léon Zwingelstein, sarebbe ritornato in sci fino alla sua Grenoble, se ci fosse stata ancora neve!
Dopo Zwingelstein, un precursore in grande anticipo sui tempi, bisogna aspettare il primo dopo guerra per annoverare altre grandi traversate sulle Alpi. Nel 1956 due gruppi, il primo capeggiato da Alberto Righini con Bruno e Catullo Detassis e il secondo da Walter Bonatti, partono a quattro giorni di distanza uno dall’altro da Tarvisio, rispettivamente il 10 e il 14 marzo. Entrambi, a differenza di Zwingelstein, sono seguiti da un’automobile di appoggio per i rifornimenti. La meta è il Col di Nava in Piemonte, che raggiungono insieme il 18 maggio, ossia 66 giorni dalla partenza (quattro in più per il gruppo Righini-Detassis). Stranamente nel celebre capitolo del libro Le mie montagne di Bonatti, interamente dedicato a questa grande traversata, non si fa cenno al gruppo di Righini-Detassis, quasi fosse un gruppo di fantasmi, e non si dice che l’ideatore della traversata era stato Alberto Righini, che aveva infatti invitato Bonatti a parteciparvi... Comunque sia, i due gruppi decidono, cammin facendo, con un accordo scritto e firmato da tutti, di effettuare insieme tutta la seconda parte della traversata, dal Colle del Teodulo al Col di Nava. Questo accordo di pace fra i due gruppi è il primo segnale che il tarlo dell’agonismo, ossia di voler primeggiare a tutti i costi sugli altri, è arrivato anche nello sci di raid, guastandone la purezza.
Nove anni dopo Detassis e Bonatti, nel 1965, un’altra grande Guida, lo svizzero Denis Bertholet, fondatore della Ecole du Ski Fantastique di Verbier, ha la brillante idea di unire con gli sci, insieme ad altre tre Guide (un italiano, un francese e uno svizzero) le due città olimpiche di Innsbruck 1964 e di Grenoble 1968. Grande è stato l’effetto mediatico di questa traversata, soprattutto grazie al film girato da Bertholet, non solo Guida e Maestro di sci, ma anche cineasta professionista, vincitore del Premio UIAA al Festival di Trento nel 1969. Denis si è portato sulle spalle per tutto il percorso del raid una pesante cinepresa da 16 mm, cosa impensabile per i moderni atleti dei raid di velocità. Il film di Bertholet, Traversée Innsbruck-Grenoble à ski, è visibile gratuitamente nel sito internet della Médiathèque di Martigny. Pochi anni dopo, nel 1970, assistiamo alla tribolata traversata in solitaria di un altro francese, Jean Marc Bois, che, partito il 30 gennaio da St. Etienne-de-Tinée nelle Alpi Marittime, riesce a raggiungere Bad Gastein, nel Tirolo Orientale, il 25 aprile: una traversata funestata da brutto tempo e valanghe dall’inizio alla fine, che ha reso l’impresa di Bois davvero epica. L’anno successivo, il 1971, un gruppo di cinque austriaci, fra i quali la Guida alpina Klaus Hoi, compiono, con sci da fondo escursionistico e scarponi di cuoio, la traversata più lunga, da Vienna a Nizza, fruendo di un mezzo di appoggio. Durante il percorso di 1.917 km, con un dislivello totale di 85.000 metri, scalano anche cime importanti, impiegando complessivamente 41 giorni: una prestazione sportiva di indubbio valore.
C’è però anche chi, con tre amici, anziché cercare l’exploit, effettua l’intera traversata da est a ovest, a tappe, in tre anni (1975,1976,1977), privilegiando il piacere di sciare e cogliendo l’occasione di testare nuovi materiali. Ideatore di questa gioiosa traversata a tappe è il vulcanico e geniale Angelo Piana, inventore dei primi scarponi in plastica per scialpinismo, i San Marco Raid, e dei leggendari sci Explorer della Roy. Nel 1977 ha anche luogo una delle più belle, a parere di chi scrive, traversate delle Alpi: è quella di Bernard e Hubert Odier, da Mallnitz in Austria alla spiaggia di Mentone in Costa Azzurra. In tre mesi esatti, dal 18 febbraio al18 maggio, senza utilizzare il cronometro e senza auto di appoggio, lungo un itinerario diretto ed elegante. I fratelli Odier hanno scritto sulla loro traversata un magnifico libro, tradotto in italiano con il titolo Tutte le Alpi in sci. Questo libro è ancora oggi una vera Bibbia per lo sciatore alpino errante, che non cerca l’exploit a tutti i costi ma un rapporto vero con la montagna e i suoi abitanti. Come Zwingelstein, come Bois e forse tanti altri che non hanno fatto sapere nulla sulle loro traversate. Il volume è diviso in 17 capitoli che sono altrettanti inviti a conoscere separatamente i diversi massicci toccati dagli Odier nel loro raid.
Arriviamo quindi alla traversata delle Guide alpine Paolino Tassi e Mauro Girardi del 1996, effettuata con l’attrezzatura da telemark e con la tenda, per evitare di scendere in basso per dormire. L’idea era di seguire l’itinerario dei fratelli Odier ma i due partono con zaini troppo pesanti e cammin facendo decidono di alleggerirsi, dando alla traversata un’impronta più godereccia, privilegiando le belle sciate in diverse stazioni, facendosi un punto di onore di utilizzare gli impianti quando possibile, eliminando alcune tappe poco sciistiche e usufruendo di un pulmino di appoggio. Nulla di male, hanno fatto benissimo, non avevano bisogno di dimostrare la loro bravura a nessuno. La mancanza di neve ha fatto concludere la loro traversata nella valle di Névache in Delfinato, togliendo a Paolino e Mauro il privilegio di percorrere le Alpi Marittime, vero Paradiso dello sci. L’ultima grande traversata delle Alpi, prima del Red Bull Der Lange Weg del 2018, è quella in solitaria del piemontese Paolo Rabbia. Partito da Forcella della Lavina, in Friuli, il 29 dicembre 2008, Rabbia arriva sulle piste di Garessio, in Piemonte, il 28 febbraio 2009. Una performance eccezionale, da solo in 62 giorni, ma soprattutto la prima traversata completa delle Alpi in pieno inverno. Con lo stesso stile veloce Rabbia ha effettuato la traversata integrale dei Pirenei nel 2014, sempre in pieno inverno, dal Mediterraneo all’Atlantico in 29 giorni. Tanto di cappello!
La ricerca dell’exploit a tutti i costi è però sempre più evidente nelle traversate delle Alpi con gli sci. Il tarlo già presente nella traversata di Bonatti ha lavorato parecchio. L’ultima Red Bull, sulle tracce della sopra citata Vienna-Nizza del 1971 ne è l’esempio più eclatante: l’obiettivo principale, raggiunto, è stato quello di diminuire il numero di giorni necessari per effettuare il raid, trasformandolo così di fatto in un rally competitivo. Lo spirito del raid però non è questo. Trasformare un raid in una gara significa non averne capito l’essenza. Come scrisse il grande fotografo e scrittore Jean-Pierre Bonfort (andate a vedere il suo sito web!) in un vecchio articolo su Montagnes Magazine, lo spirito del raid in sci è «passare la giornata camminando, vedere il sole tramontare e preparare il nido... poi, leggeri, senza zaino e senza duvet, salire lassù fino in cima al pendio, fino a quel colle. Flessibilità ci vuole, soprattutto flessibilità. Nei programmi e nella propria testa. Bisogna lasciar decidere alla neve». Ci sono certamente ancora scialpinisti che si mettono sulle tracce degli Zwing, dei Bois, degli Odier, dei Bonfort, magari senza far sapere nulla: ad essi va tutta la nostra stima.
AL DI LÀ DELLE ALPI - Lo sci di raid si è sviluppato moltissimo, complice la facilità dei trasporti, sulle montagne bianche del mondo. Raid è quindi diventato sinonimo di viaggio con gli sci. Il gioco consiste nel mettersi sulle tracce (sia chiaro senza alcuna ambizione di fare meglio!) di un Marc Breuil nei Pirenei, in Terra di Baffin, nelle Alpi di Stauning, in Karakorum. Oppure di un Mario Casella, dopo aver letto il suo prezioso volume Nero-Bianco-Nero sulla traversata del Caucaso, dal Mar Caspio al Mar Nero. Oppure procurarsi (con qualche difficoltà) i due volumi di Michel Parmentier, lo sciatore errante per eccellenza, a cui dobbiamo l’idea di straordinari raid sulle montagne che si affacciano sul Mediterraneo. Oppure ancora mettersi sulle tracce della Guida alpina Pierre Neyret, autore di Hautes Vallées du Pakistan e ripetere, magari insieme a lui, la più ardita traversata in sci del Karakorum. Che è poi quella fatta da Breuil e compagni nel 1990, a sua volta sulle orme di Eric Shipton e di Bill Tilman, che aprirono (a piedi) questo fantastico itinerario nel 1937 e 1939. Il gioco finale è senza dubbio quello di chiudere il cerchio, di ritornare alle origini dello sci di raid, percorrendo la traversata di Nansen in Groenlandia. Pensiamo che uno sci di raid di questo tipo, senza camper ed equipe di appoggio, senza ossessioni cronometriche, senza sponsor da soddisfare, senza programmi troppo definiti, sia ancora possibile e non sia affatto superato dai tempi. Basta leggere e lasciar lavorare, nella giusta direzione, la fantasia.
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 118, INFO QUI
Il libro
Giorgio Daidola ha pubblicato per la nostra casa editrice Sciatori di montagna (208 pp, 19 euro). Dodici ritratti di padri dello scialpinismo, da Wilhelm Paulcke, il primo ad attraversare con gli sci l’Oberland Bernese, a Michel Parmentier, l’inventore dei moderni viaggi con gli sci. E poi Lunn e Mezzalama, Castiglione, Gobbi. INFO SU SCIATORI DI MONTAGNA QUI
Grandi sfide alla Salomon Gore-Tex MaXi-Race
Pioggia, vento, sole, caldo e fango: è successo un po’ di tutto sul lago di Annecy alla nona edizione della Salomon Gore-Tex MaXi-Race. La gara corta da 16 km era valida come prima prova del Mountain Running World Cup: vittoria del britannico Andrew Douglas (con quinto e sesto Martin e Bernard Dematteis) e della keniana Lucy Wambui Murigi. Nella MaXi Race (82 km, 5200 metri di dislivello) doppietta francese con le affermazioni di Michel Lanne e Marion Delespierre, con terza piazza per Virginia Oliveri. Nella Ultra Race (115 km, 7000 m D+) a segno lo spagnolo Unai Dorronsoro davanti allo statunitense Jason Schlarb con quinto Andrea Macchi; nella gara rosa si impone l’ungherese Ildiko Wermescher, classe 1965.
Trail del Monte Soglio per due
Condizioni meteo non facili al Trail del Monte Soglio. A Forno Canavese organizzatori e gli oltre 700 iscritti sono stati messi a durissima prova: nel cuore della gara, quando erano trascorse oltre cinque ore dalla partenza della gara principale, il Gir Lung di 72 km per 4.400 metri, un fortissimo temporale si è abbattuto sul percorso, con la grandine che ha tempestato il tratto da Cima Soglio a Peretti Griva imbiancando totalmente i sentieri. La direzione di gara è stata così costretta, per motivi di sicurezza, a fermare molti concorrenti all’altezza del Rifugio dell’Alpe Soglia.
Il clima ha fortemente influito anche sullo sviluppo agonistico della gara, non facendo mancare i colpi di scena: inizialmente si era posto al comando della corsa Andrea Biffi, seppur insidiato a pochi secondi da Alessandro Macellaro. Dopo il 30° km però Biffi era costretto a rallentare e Macellaro ne approfittava per andare in fuga. Nel tratto verso Pian Audi (km 53) rientrava su di lui Daniele Fornoni e i due procedevano sempre a distanza di pochi secondi l’uno dall’altro fino all’arrivo, dove decidevano di tagliare il traguardo insieme evitando la volata e condividendo una vittoria che, in una giornata simile, ha un sapore molto particolare. Per Fornoni è la seconda vittoria dopo quella del 2015 e il quarto podio in cinque anni mentre Macellaro era giunto secondo lo scorso anno. 9h07’16” il loro tempo finale, a far loro compagnia sul podio Nicolas Statti, autore di una grande rimonta nel tratto conclusivo fino ad arrivare a 2’18” dai vincitori. Al femminile netto successo per Sonia Glarey, al comando sin dalle prime battute, in 9h59’50”, ottava assoluta. Seconda Laura Barale a 59’24”.
Nel Gir Curt, di 39 km per 2.400 metri Lorenzo Facelli si è posto subito al comando, insidiato inizialmente da Stefano Radaelli che è rimasto con lui fino al giro di boa per poi staccarsi irrimediabilmente. Facelli ha proseguito fino al traguardo chiudendo in 3h054’09” accumulando 2’03” su Radaelli mentre terzo ha chiuso Alessandro Pittatore a 7’11”. In campo femminile prima posizione per Marina Cugnetto in 4h50’13”, con 1’11” su Chiara Macocco e 8’09” su Valeria Marasco, autrice di una straordinaria rimonta considerando che a metà gara era solamente settima.
Grignone Vertical Extreme a Paolo Bonanomi e Martina Brambilla
Paolo Bonanomi e Martina Brambilla concedono il bis al Grignone Vertical Extreme. Proprio come lo scorso anno il portacolori dei Falchi Lecco e la stella del Team VAM hanno messo tutti dietro nella classica primaverile con partenza nel centro di Pasturo e arrivo posto dinnanzi alla porta del Rifugio Brioschi a 2410 m di quota.
In 215 si sono ritrovati nel centro valsassinese per questa sfida in verticale divenuta orami appuntamento fisso di fine maggio. La ‘tutt d’un fià’ ha messo a dura prova atleti e organizzatori. Con un occhio al cielo e uno allo smartphone per sondare in tempo reale l’evolversi del meteo, Alberto Zaccagni e il suo staff avevano pronti due varianti in sostituzione della classica ascesa da 7.5 km con 1800 metri di dislivello positivo.
Invece, niente pioggia e tutto come da copione. Una sfida da frequenze cardiache elevate quella griffata Team Pasturo, con passaggi a Cornisella e all’ex Rifugio Tedeschi prima dell’ultimo step sul muscolare itinerario estivo di salita al Grignone. Su tutti l’ha spuntata ancora una volta Paolo Bonanomi che, di prepotenza, ha staccato i diretti avversari e vinto in 1h19’45”. Sul podio con lui sono saliti anche l’altro Falco Danilo Brambilla 1h25’55” e Luigi Pomoni 1h22’39”. Completano la top five di giornata Marco Colombo e Luca Albini.
Nella gara in rosa Martina Brambilla torna a porre la propria firma nell’albo d’oro con finish time di 1h34’58”. Seconda si è piazzata Francesca Rusconi 1h37’44”, mentre terza è giunta Cecilia Pedroni 1h38’53”.
Sfida nella sfida nell’intermedio dal Pialeral al Grignone per aggiudicarsi il primo memorial Gabriele Orlandi Arrigoni. Il trofeo per i migliori intertempi negli ultimi 1000 metri di salita se lo sono aggiudicato i vincitori di giornata Bonanomi e Brambilla.
Messa in archivio questa prima gara in verticale, ora l’appuntamento sarà il K2 Valtellina, in programma domenica 30 giugno a Talamona. Al fine di legare queste due competizioni molto simili per format e tipologia, Team Pasturo & Gp Talamona hanno infatti creato il Double Vertical Challenge che prevede un riconoscimento ai vincitori e un super gadget finisher di entrambe le gare.
Per quanto riguarda invece il direttivo del Team Pasturo, energie e attenzioni sono già focalizzate sulla terza domenica di settembre per una ZacUp che sarà tappa delle Migu Run Skyrunner World Series; iscrizioni aperte da sabato 1 giugno, da quel momento sarà possibile connettersi al sito www.zacup.it e accaparrarsi uno dei 500 pettorali a disposizione.
Le code sull’Everest e la questione ossigeno
La foto di Lydia Bradey, la neozelandese prima donna ad avere scalato l’Everest senza ossigeno, ripostata da Hervé Barmasse, ha fatto il giro del mondo, come la notizia che tra il 22 e il 23 maggio, complice anche una delle poche finestre di meteo favorevole, sulla vetta della montagna più alta della terra sono arrivate, dopo lunghe code alla balconata o all’Hillary Step, da 200 a 300 persone, sommando i diversi versanti. Una situazione, quella degli ottomila himalayani, che registra già quasi 20 vittime, alcune proprio in questi giorni sull’Everest. A fare le spese della situazione anche alcuni alpinisti di livello, come David Göttler, con cinque ottomila in curriculum, che ha cercato di raggiungere la vetta senza ossigeno, ma ha dovuto tornare indietro, rimanendo imbottigliato nelle code delle persone al rientro. «La mia decisione di partire tardi e sfruttare il calore del sole ha funzionato fino ad appena sotto la Vetta Sud quando il freddo è aumentato e sono rimasto intrappolato nelle code della gente che scendeva – scrive sul suo account Instagram – Ho deciso di rientrare da quota 8.650, dopo avere aspettato invano, perché sprecare energia non è un’opzione quando non hai ossigeno supplementare».
«L'anno 2018 aveva registrato il record con più salite in una sola stagione pre monsonica – ha scritto Barmasse sul suo account Instagram -. Più di 800 persone in vetta. Mercoledì scorso invece verrà ricordato come il giorno con più affollamento sulla cima del tetto del mondo. Circa 250 persone. La foto rende più delle mie parole. Per ogni persona si calcola circa 8/10 kg di immondizia per sempre abbandonata sulla montagna. Nonostante gli sforzi per ripulirla, la realtà ci propone una sola verità. L'alpinista insegue il proprio ego ed è disposto a sacrificare la montagna per un fatuo successo».
Il fotografo Dan Patitucci, riprendendo la notizia della rinuncia di Göttler, fa alcune riflessioni sul filo del paradosso sull’account Instagram @alpsinsight. «Non ho esperienza sull’Everest e so che la mia opinione vale poco. Ma mi disturba vedere tutte le persone che arrivano alla cima dell'Everest con l'ossigeno e essere messe nella stessa categoria di quelle che non lo usano. Gran parte dei media non fa più differenzia tra chi lo usa e chi no. Nel frattempo la maggior parte di chi non scala non sa nemmeno quale sia la differenza. Secondo uno studio, chi sale l’Everest con l’ossigeno vive le sensazioni che si provano tra 3.300 metri e 6.000 metri. La vetta dell'Everest è 8.848 metri. Io ho corso senza problemi a 5.300 metri. Pensateci. È come un Tour de France dove tutti pedalano su delle e-bike, tranne il concorrente in ottava posizione. Come si sentirebbe se nessuno menzionasse questo sforzo rispetto agli altri? È lui il vero vincitore? Il vero ciclista? E se gli e-biker non avessero la forza o le capacità per affrontare il percorso senza quel motore, farebbero parte della gara?». Una riflessione che, al netto delle prestazioni ossigeno-senza ossigeno che non sono così facilmente paragonabili con dati e numeri precisi, trova l’approvazione di Kilian Jornet e del trail runner Pascal Egli, che commenta come per salire in vetta sarebbe meglio basarsi sul curriculum alpinistico piuttosto che sui soldi. «Credo che se avessi pagato 70.000 dollari per scalarlo e mi capitasse di dovere aspettare a oltre 8.000 metri come in fila per un pellegrinaggio il mio sogno si trasformerebbe nel più terribile degli incubi» commenta la Guida alpina Alberto De Giuli. Everest, sogno o realtà? O piuttosto incubo? Rimane il fatto che la situazione sta degenerando e sarà sempre peggio.