DoloMyths Run Ultra Trail a Franco Collè e Giuditta Turini

L’ottava edizione della DoloMyths Run Ultra Trail si risolve in una questione di famiglia fra Franco Collè e Giuditta Turini, che hanno chiuso i 61,2 km davanti a tutti gli avversari, iscrivendo per la prima volta il proprio nome nell’albo d’oro di questa competizione, che si disputa attorno al gruppo montuoso del Sella, con partenza e arrivo a Colfosco. Nella half, sulla distanza dei 26 chilometri, a trionfare sono stati invece il trentino Luca Miori e la danese Ulrikke Evensen. Quattro sfide interessanti, che hanno coinvolto complessivamente 350 runner provenienti da 22 nazioni. Un dato, quest’ultimo, che rappresenta un record, mentre i primati cronometrici sono rimasti imbattuti, forse anche a seguito del cattivo tempo, che ha accompagnato i partecipanti nella prima parte della gara.
Un’edizione dai valori tecnici elevati, per quanto riguarda la sfida ultra maschile, grazie soprattutto alla presenza del valdostano Franco Collè e del suo compagno di squadra del Team Hoka One Marco De Gasperi. Senza dimenticare i due alfieri del Team Salomon, il bergamasco Luca Carrara, vincitore dell’edizione di dodici mesi fa, e il ceco Jiri Petr, alla sua prima partecipazione, con il valtellinese Giovanni Tacchini nel ruolo dell’outsider, mentre non ha preso il via Gil Pintarelli a seguito di un infortunio.
Un quintetto che ha affrontato compatto i primi chilometri del tracciato, 61,2 km con 3.380 metri di dislivello, facendo selezione verso Bec De Roces e proseguendo fino agli 11,3 km di Arabba. Nell’impegnativa ascesa al rifugio Padon Luca Carrara ha perso contatto anche a seguito dell’infortunio al polpaccio, che non gli ha consentito di esprimersi al meglio. Alternandosi al comando i quattro leader sono transitati assieme al Pordoi (dopo 27,5 km), a Canazei (dopo 34,3 km) e al Passo Sella (43,4 km), ma in discesa Collè ha provato ad allungare e De Gasperi è stato l’unico in grado di resistergli. Nella salita verso il rifugio Dantercepies il valdostano è riuscito a prendere il comando, con il valtellinese ad una quarantina di secondi e Tacchini ad un paio di minuti. Nell’ultima discesa verso il traguardo di Colfosco non è cambiato nulla nelle posizioni di vertice. Così Franco Collè ha chiuso a braccia alzate con il tempo di 6h17’01”, una prestazione di 1 minuto e 3 secondi più elevata rispetto al record su questa distanza ottenuto dal gardenese Georg Piazza nel 2016. Marco De Gasperi ha accusato un ritardo di 3 minuti e 1 secondo, mentre il grintoso Giovanni Tacchini è giunto sul traguardo di Colfosco dopo 9 minuti e 21 secondi. Seguono a 12 minuti il ceco Jiri Petr e a 26’13” un stanchissimo Luca Carrara, sesto il russo Kirill Rusin.
Senza storia e senza emozioni forti la sfida al femminile, dominata dall’inizio alla fine dalla valdostana Giuditta Turini, che ha gestito senza patemi la leadership e le proprie energie. Sul traguardo di Colfosco ha concluso con il tempo di 7 ore, 47 minuti e 35 secondi, distanziata di 28 minuti è poi transitata sul traguardo la brasiliana Lara Martins e altri 9 minuti dopo Francesca Perrone.
Da ricordare che Marco De Gasperi e Giuditta Turini si sono aggiudicati anche il premio riservato a chi transita per primo a Selva di Val Gardena, il traguardo 'Sprint Felix', posto al 50esimo km della competizione.
Partecipata anche l’esordiente sfida half sulla distanza dei 26 chilometri e con 1.600 metri di dislivello, che ha visto lo start a Canazei alle 9, ovvero poco dopo il passaggio dei big della competizione lunga. Ad aggiudicarsi la prima edizione è stato il trentino della Valle dei Laghi Luca Miori (Gs Fraveggio), che ha impiegato il tempo di 2h23’31” per domare le due ascese al Sella e alla Dantercepies con relative discese. Al comando dopo la prima salita c’era però l’orientista primierotto Riccardo Scalet, che nella discesa nei pressi del rifugio Comici ha sbagliato tracciato, perdendo tempo preziosissimo e giungendo solo quarto. In seconda piazza è così giunto Vili Crv, quindi terzo Roberto De Gasperi.
Fra le ragazze è giunta l’unica vittoria straniera, per merito della danese Ulrikke Evensen, autrice addirittura del sesto tempo assoluto, avendo chiuso la prova dopo 2 ore 44’ 38”. Piazza d’onore per la brasiliana Silvia Durigon, a 8 minuti dalla vincitrice.
Ora tutta l’attenzione si sposta sul prossimo fine settimana, quello in cui si disputeranno il DoloMyths Run Vertical Kilometer in programma venerdì, la Mini Sky DoloMyths Run in programma sabato e la DoloMyths Run Skyrace di domenica, che porteranno a Canazei tanti campioni provenienti da tutto il mondo.


Ortles + Tre Cime + Grossglockner uguale North3

«Seguire le orme di uomini che più di vent'anni fa immaginavano il futuro dell'alpinismo è una sfida in sé: ciò che queste persone hanno fatto è semplicemente difficile da credere. Ma il nostro obiettivo non è solo un tributo, una sorta di seconda edizione: vogliamo spingere oltre i nostri limiti. Vogliamo costruire un dialogo alla pari con i nostri precursori e stabilire un nuovo punto di riferimento per l'alpinismo ibrido del futuro». 

Simon Gietl e Vittorio Messini

Arriviamo nel tardo pomeriggio a Solda, sotto all’Ortles. Il tempo è buono. Iniziamo a preparare il materiale mentre Simon e Vittorio stanno ancora riposando, preparandosi all’impresa che li aspetta. Quando si alzano, alle 17, iniziamo con calma misurata a ripassare la logistica della loro impresa. È una sensazione strana: tutto è tranquillo, ma non rilassato, anzi. A guardare i ragazzi sembra di vedere due gatti acquattati in un prato che stanno per saltare come molle. Il tempo inizia a incupirsi poco dopo le 18, ma ancora non piove. Saliamo verso la partenza del sentiero che li porterà alla base della parete, a Solda di Fuori. La cima si vede e non si vede, mangiata da nuvole veloci e scure. Alle 19 Simon e Vittorio hanno gli zaini in spalla, il materiale pronto, lo sguardo concentrato e le gambe che vanno da sole. Un paio di foto e partono. È difficile stargli dietro: non corrono, non possono sprecare energie, ma sono davvero leggeri e veloci. Spariscono nel bosco, ricompaiono, spariscono di nuovo. Tornante dopo tornante macinano metri di dislivello. Il tempo si fa più cupo. In quota si alza un vento teso: la parete, carica di seracchi imponenti e maestosi continua, ad apparire e sparire. Sono arrivati alle pietraie che conducono al canale nevoso. Si sente un rimbombo sordo: una nuvola di neve e di ghiaccio scende veloce, appena a sinistra della linea da cui saliranno i due. La massa non è enorme, ma sembra non finire mai. Scende, scende, come un torrente bianco impetuoso e delicato. Fa impressione.

Simon e Vittorio continuano a salire, mentre iniziano a cadere le prime gocce di pioggia.  Inizia a diventare più buio. A valle la pioggia si fa più intensa, in parete nevica tantissimo. Stando al tracking del GPS Simon e Vittorio dovrebbero essere appena oltre il canale, sotto al primo muro di ghiaccio verticale. Il puntino luminoso continua a salire, lento ma inesorabile. Alle 22 sono fermi sotto a un grosso strapiombo. In parete la visibilità è praticamente zero, la neve arriva da tutte le direzioni, il vento urla. Il puntino sale un po’, qualche decina di metri, poi scende. A valle col fiato sospeso ci chiediamo cosa stia succedendo. Il puntino riprende a salire come prima, lento ma inesorabile.  È passata da poco la mezzanotte quando i ragazzi mandano una foto dalla vetta. Inizia la discesa, lungo la via normale. Il tempo sta migliorando: da Trafoi, in fondo alla valle sul lato ovest della montagna, iniziano a vedersi, ogni tanto, delle piccole luci. Simon e Vitto scendono veloci sugli sci, godendosi la stessa polvere fresca che ha funestato così tanto la salita. La luna è appena tramontata e qualche stella inizia ad occhieggiare, mentre il vento si ferma del tutto. Certo, la salita non è stata una passeggiata, ma in fondovalle siamo tutti un po’ invidiosi. C’è un prezzo da pagare per una discesa così, però una sciata del genere alla fine di maggio è una cosa da gran signori.

© Storyteller-Labs

Le luci scompaiono quando i due entrano nel bosco. Dopo circa un’ora si sentono delle voci, appena dietro alla curva. I led improvvisamente vedono i vapori della notte e sbucano Simon e Vitto, allegri, che chiacchierano tra di loro. Gli scarponi rimbombano sul ponte di legno, mentre tutti i presenti applaudono i due ragazzi. C’è una colazione veloce e frugale, giusto il necessario per rimettersi un po’ in forze. Ci sono i massaggi del fisioterapista, per levare un po’ di fatica dai muscoli. Tempo quaranta minuti e i due sono in sella alle bici: pedalano nel buio fino a Prato allo Stelvio, poi a Spondigna, poi giù per la Val Passiria, nel silenzio rotto solo dal rumore degli irrigatori che annaffiano i frutteti.

L’alba arriva a Castelbello, proprio mentre le biciclette sfrecciano sotto al castello arroccato sulla strada. Il cielo è rosa e terso nel momento in cui i primi raggi di sole lo sfiorano. Poco prima delle otto Simon e Vittorio entrano a Bolzano. La città ha appena iniziato a muoversi, c’è ancora poco traffico e poca gente. Fin qui hanno avuto un sacco di discesa: un ottimo modo per riposare un po’ e recuperare un po’ di energie, in vista dei chilometri e delle pareti che ancora li attendono. Si fermano per un momento in un panificio, in centro: una brioche, un caffè, una spremuta mangiati al volo, una spazzolata al tavolo per levare le briciole e via, di nuovo in sella, prima seguendo il corso dell’Isarco e poi su verso la val Pusteria. Ora la strada è in salita ed il sole batte forte: non è decisamente una pedalata di tutto riposo. Ci vogliono parecchie ore di fatica e sudore prima di raggiungere le Tre Cime. Quando raggiungono Dobbiaco il cielo si rannuvola di nuovo, dando un po’ di respiro a Simon e Vittorio. Una goccia, un’altra, poi le cataratte si aprono. Succede spesso in Dolomiti durante l’estate: un acquazzone potente, di quelli che ti inzuppano fino alle ossa, quelli talmente forti che ti pare di essere preso a schiaffi dall’acqua. Simon e Vittorio, stoici, continuano a pedalare, anche se la fatica inizia a farsi sentire. La prossima sosta è al lago di Ledro, prima di attaccare la ripida salita che porta verso Misurina e poi verso il rifugio Auronzo, sotto alle Tre Cime. C’è poco tempo: uno spuntino veloce, un altro incontro ravvicinato con il fisioterapista e poi via, di nuovo in sella sotto l’acqua battente. Arrivare a Misurina non è una passeggiata, ma la vera e propria sfida è appena dopo, all’imboccatura della strada che sale al rifugio. Sono quasi cinque chilometri, 473 metri di dislivello, con una pendenza media del 10%: una salita breve e spietata che da sola fa una storia. Figurarsi con nelle gambe già centinaia di chilometri, più l’Ortles. La pioggia si calma. Il cielo rimane coperto, ma per lo meno Simon e Vittorio riescono a salire senza cuocersi né inzupparsi. La fatica inizia a essere davvero tanta: Simon sale lento, ma ancora dritto; Vitto invece ha già iniziato a fare curvette per ridurre l’impatto della pendenza.

Il rifugio è ancora chiuso. I ragazzi si ristorano velocemente con quello che hanno, cambiano le scarpe e partono a piedi. Sarà la breve pausa, sarà il cambio di mezzo di locomozione, ma pare che abbiano ripreso le forze, almeno un po’. Vanno veloci e decisi fino alla chiesetta alla base della Cima Piccola, poi su fino alla spalla da cui il lato nord delle Tre Cime si svela in tutta la sua maestosa potenza. Le vette non si vedono, sono avvolte in una densa nuvola. A terra la neve è bagnata e pesante, e rallenta il passo. C’è da farsi mancare il fiato. Simon e Vitto si fermano un momento per godersi il paesaggio e per guardare le condizioni della parete. Confabulano un po’ tra di loro, poi ripartono. Camminano alla base delle pareti, dove la roccia spunta dalla neve come un dente da una gengiva. Nel mentre ricomincia a gocciolare.

GIORNO DUE

Sotto alla Grande la situazione è complicata. La via Comici-Dimai è completamente fradicia; piccoli rivoli continuano a scendere, infilandosi giù per i polsi e per le maniche di Simon e Vitto, che hanno attaccato il primo tiro. Salgono ancora, ma con meno decisione. Ogni cosa è scivolosa e non è chiaro per nulla quali siano le intenzioni del tempo. Al terzo tiro si decidono: la via non è scalabile. Non in maniera sicura, perlomeno. Ci vuole coraggio a compiere quella scelta: North3, tre pareti nord, l’impresa di Kammerlander ed Eisendle, l’hype mediatico, le dirette in radio… Ma sia Simon che Vittorio hanno bene in mente cosa vuol dire l’alpinismo per loro: è un bel gioco, un gioco che include anche la sfida, un gioco che a volte ti pone di fronte condizioni difficili come la tormenta sull’Ortles. Ma è comunque un gioco, non una crociata. Le condizioni non sono adatte, quindi si torna indietro. Anche se un po’ fa male.

Il progetto non è finito, però: ci sono ancora ore ed ore di fronte, e le energie non sono ancora terminate: perché fermarsi? Simon e Vittorio si spostano sotto alla Cima Piccola, dove corre la via dello Spigolo Giallo. Su quello sperone aereo e affilato corre un’altra via di Comici, una via incredibilmente estetica e ambita. Simon e Vittorio si legano, si guardano in viso, partono. Seguirli da sotto dà soddisfazione: sono poco più che puntini, ma non è difficile immaginarli impegnati e contenti, immersi nel loro elemento. Soprattutto fa sorridere e scalda il cuore la loro resilienza, la loro capacità di tenere in mente quali siano le cose importanti per davvero: fare qualcosa di grande, certo, ma tornare comunque a casa, avere la possibilità di riabbracciare le loro famiglie e di ripartire per altre montagne.

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Alle ventuno, dopo oltre ventisei ore dalla partenza a Solda, raggiungono la cima. Il record del 1991 rimane, per ora. Ma la vita è lunga abbastanza per riprovarci.  Simon e Vitto scendono lentamente, prima in doppia, poi per ghiaie. Alla base li aspettano complimenti, incoraggiamenti, pacche sulle spalle e le loro biciclette. Sì, perché è ora di ripartire: una cena frugale, poi via, veloci, con il vento che quasi taglia la faccia. Giù fino a Dobbiaco, poi San Candido, Prato alla Drava, l’Austria. Attraversano la frontiera come in un sogno, da soli, accompagnati solamente dal rumore dei pedali e del respiro. È a Lienz che si ricomincia a salire. La strada si infila in una valle stretta, ripida e curva. Poco prima della grandiosa cascata di Heiligenblut si fermano per riposare una decina di minuti, pronti ad affrontare l’ultima rampa. All’alba raggiungono la piccola frazione di Winkl, quattro case abbarbicate su ripidi prati al confine tra Carinzia e Tirolo. Il rituale è lo stesso del mattino precedente: una veloce (e vorace) colazione, un incontro con il fisioterapista (specie per Vittorio, che ha qualche problema a un ginocchio) e poi si riparte. Il tempo è bello; il Grossglockner si staglia in cima alla valle maestoso e innevato, completamente visibile. La stanchezza inizia a vedersi, sono quasi trentasei ore che i due non fanno altro che fatica. Ciononostante vanno avanti. Riusciamo a seguirli fino al ghiacciaio sotto alla parete nord, sul quale si allontanano, apparendo e scomparendo tra le morene laterali. Attaccano la parete, poi scompaiono.

Ci spostiamo in auto a Kals, dall’altro lato della montagna. Seguiamo i loro progressi con il tracking gps, metro dopo metro e passo dopo passo. Certo, è solo un punto su uno schermo, ma riusciamo a intuire la fatica e la difficoltà. Come se non bastasse, inizia a piovere. Saranno di nuovo in mezzo alla neve. Alle 15 il tracking rimane fermo a lungo. Non c’è visibilità, la montagna è nascosta, non sappiamo cosa succede. A Kals è come stare in una sala controllo della Nasa, solo che non seguiamo una missione lunare: seguiamo tutti quanti i movimenti dei ragazzi sugli schermi dei nostri laptop. Raggiungono la cima, si fermano, iniziano a scendere. Stimare i tempi è difficile, per due ragioni: sono bravissimi, e sono stanchissimi. Saranno più o meno di 48 ore?

Iniziamo a salire, ad andar loro incontro. Non riusciamo a stare fermi, ad aspettare e basta. Non abbiamo più i computer e i cellulari non hanno abbastanza segnale per collegarsi al tracking. Abbiamo solo i nostri occhi per capire dove siano.  Poi appaiono. Un tornante dopo l’altro, stanno scendendo. Arriveranno in tempo, ormai è chiaro. C’è un traguardo ufficiale, sì, ma chissenefrega. Li accogliamo festosi, li accompagniamo, scendendo assieme, al termine di questi due giorni di fatica. Ci fermiamo prima del ‘traguardo’: attraversarlo da soli deve essere un momento loro e basta. Simon salta, batte i talloni tra di loro, si mette a ridere e abbraccia Vittorio. Piove di nuovo, ma non importa. C’è dello spumante, ci sono gli amici e le famiglie. Certo, non è stato North3. Ma è stato bellissimo, ed ora è questo che conta.

I NUMERI

Distanza bici + hiking + sci: 391 km

Start: 27 maggio 2018 -19 / 0h00’

Ortles 00:30 / 5h30’

Cima Piccola 21:00 / 26h30’

Grossglockner 16:30 / 45h

Arrivo: 29 maggio 2018 - 18:16  / 47h16’

Dislivello positivo: 9.628 m

Dislivello negativo: 9.535 m

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Garmont in Sudafrica per Save The Rhino

Rhino Man – The Movie è il titolo del film-documentario realizzato da Global Conservation Corps(GCC), realtà no profit sudafricana che opera per coinvolgere ed educare le comunità locali al rispetto e all’importanza di salvaguardare la fauna selvatica. Un film che apre una finestra sulla realtà eroica dei ranger, che mettono a rischio ogni giorno la propria vita per difendere la fauna selvatica ed offrire alle future generazioni l’opportunità di vedere queste specie nel loro ambiente. Sono loro l’ultimo baluardo, l’ultima linea fra la sopravvivenza e l’estinzione di rinoceronti, elefanti ed altre specie iconiche. Garmont fornirà ai ranger calzature tecniche di alta qualità per garantire loro comfort e protezione durante le lunghe giornate di lavoro. Ma l’azienda italiana contribuisce in maniera concreta anche al progetto Future Rangers Program, lanciato ufficialmente da GCC nel gennaio 2019. Grazie a questo programma, GCC coinvolge ragazzi dai 5 agli 18 anni provenienti dalle comunità rurali al fine di stimolare consapevolezza ed amore per la natura, introducendoli alla realtà della conservazione, al valore della fauna selvatica e a come diventare custodi di questo patrimonio nazionale. Gli studenti più appassionati riceveranno l’opportunità di incontrare i ranger, partecipare a escursioni e incontrare per la prima volta gli animali simbolo dell’Africa selvatica. «Sembra incredibile, ma sarà un’azienda italiana che permetterà a migliaia di ragazzi sudafricani di formarsi sulla conservazione dell’ambiente e riscoprire il contatto con la natura selvaggia: è qualcosa di cui siamo davvero onorati e orgogliosi» ha affermato Pierangelo Bressan, Presidente di Garmont International. «Da oltre 50 anni, Garmont realizza calzature di qualità per l’escursionismo, il trekking ed altre attività outdoor. Senza natura, senza ambiente, senza quella wildness che ispira il nostro motto Stay Wild, non ci sarebbe Garmont: è qualcosa che non possiamo dare per scontato. Riuscite a pensare che i bambini nati dopo il 2026 potrebbero crescere senza sapere cosa sia un rinoceronte, se non scoprendolo sui libri? È cruda realtà, non finzione scenica: credo che noi tutti dobbiamo fare la nostra parte per evitarlo. È arrivato il momento di restituire qualcosa, alla natura e alle generazioni future».


Ufficiale il calendario della Coppa del Mondo ISMF

Ufficiale il calendario della Coppa del Mondo ISMF: cinque tappe in programma, da dicembre ad aprile. Si parte in Francia, ad Aussois, il 20 e 21 dicembre, con individual e sprint, il 25 e 26 gennaio tradizionale appuntamento ad Andorra con individual e vertical. A febbraio debutto della Germania, l’8 e il 9 a Berchtesgaden con sprint e individual, quindi il 19 e 20 trasferta in Cina con individual e spint. Chiusura in Italia a Madonna di Campiglio dal 2 al 5 aprile, tre gare valide anche come campionato europeo.
Occhi puntati soprattutto sul debutto ai Giochi Olimpici giovanili di Losanna 2020: dal 10 al 14 gennaio si gareggia a Villar. E ci saranno anche i Winter World Master Games a Innsbruck dal 15 gennaio.


Nasce il Team RaidLight Italia

Il Team RaidLight Italia nasce all’insegna degli hashtag #sharethetrailrunningexperience e #notimeforcompromise. Share the trail running experience, condividi l’esperienza del trail running, è il vero dna del marchio francese che ha nel proprio dream team atleti del calibro di Nathalie Mauclair e Christophe Le Saux, che vivono la loro passione con tutti quelli che corrono con abbigliamento, zaini e scarpe Raidlight. No time for compromise perché la nuova linea di scarpe da trail, appena lanciata, non accetta compromessi. Ecco perché tra gli 11 atleti italiani ci sono nomi del calibro di Nicola Bassi, ultratrailer e amante delle grandi avventure estreme, vincitore proprio domenica scorsa del Cro Trail, spesso sul podio negli ultimi anni, soprattutto quando si tratta di gare estreme e in ambienti decisamente ostili, dai deserti fino alle terre ghiacciate ai confini del mondo. Tra le gare di maggior risonanza la Ultra Trail Gobi Race, chiusa al secondo posto, e la Black Baikal Race in Russia, della quale è stato il solo concorrente che è riuscito a portarla a termine. Recentissimo il secondo posto alla Dolomiti Extreme Trail, 103 km di vera montagna.

E poi Mirko Miotto e Stefano Trisconi, uno dei senatori del movimento trail italiano, con alle spalle successi che vanno dalla corsa su strada, alla corsa in montagna allo scialpinismo, sempre pronti a mettersi alla prova su nuovi tracciati ed esperienze. Nel palmarès di Miotto un terzo posto al Duerocche TrailI del 2019, ma anche altri podi che contano in passato, dal secondo posto alla Trans D’Havet al terzo all The Abbots Way e al successo All’Alpago Eco Trail. Stefano Trisconi può vantare podi all’UTLO e Bettelmatt Ultra Trail e vittorie alle Porte di Pietra e al Trail del Motty. Insieme a loro fanno parte del team giovani come Piero Bello (quest’anno per lui un quinto posto al Gia Lung del Trail del Monte Soglio), Daniel Degasperi (nel 2019 settimo al BVG Trail 50 km) e Roberto Fregona. Oltre ad autentici appassionati della corsa tra i monti come Mauri Basso, Roberto Scandiuzzo o come l’esperto di grandi raid multi-tappa in giro per il mondo Tommaso De Mottoni, fino ad arrivare alle giovani mamme Anais Bstieler e Laura Palluello, rappresentati della passione trail al femminile. Infine veste i colori RaidLight anche la guida alpina Luca Macchetto. Un team con molte sfaccettature, con personaggi che vanno dal professionista all’amatore. Ognuno di loro, al suo livello, è un vero e proprio depositario dell’esperienza trail running. Ognuno di loro ha da qualcosa da insegnare e da imparare agli altri atleti del team.

Per essere sempre aggiornati sul Team RaidLight Italia c’è il nuovo account Instagram www.instagram.com/raidlight_italia/ e quello di Youtube, dove è possibile guardare il video di presentazione del team https://www.youtube.com/watch?v=PQctlNb2nDo oltre all’hashtag #raidlightitalia


BUT Formazza, emozioni ad alta quota

Ci siamo: mancano ormai pochi giorni all’edizione di BUT Formazza, il trail in programma il 13 luglio in Alta Val Formazza; l’edizione 2019 dell’evento organizzato da Formazza Event, dopo il successo degli ultimi anni, doveva essere di consolidamento e invece si è arricchito di numerose novità, alcune decise da Formazza Event, altre invece… dalla natura!Partiamo dalle novità dell’ultima ora: a causa della presenza abbondante di neve in alcuni punti dei tracciati classici, gli organizzatori sono stati costretti a modificare i percorsi. Quindi Bettelmatt Trail 52 km avrà un percorso diverso nella prima parte, ma manterrà i due passaggi principali, al Rifugio 3A a 3.000 m e la risalita della Cascata del Toce, da sempre fiore all’occhiello della Valle con il suo salto da 143 metri. Bettelmatt Sky Race 35 km sarà invece rivoluzionata con il passaggio al Rifugio 3A e, grande novità, la risalita della Cascata del Toce. La gara fa parte del circuito Golden Trail National Series. Decisamente rinnovato anche il percorso della 22 km, che diventa di 17,5 km ma con un dislivello maggiore rispetto al percorso previsto. «Abbiamo atteso - spiega il presidente di Formazza Event Gianluca Barp - fino all’ultimo per cercare di rispettare i percorsi classici di BUT, ma in alcuni punti toccati dai soliti tracciati non sussistono le condizioni minime di sicurezza per il passaggio degli circa 1.000 atleti previsti; abbiamo quindi dovuto optare per un piano B; siamo però certi che lo spettacolo per gli atleti e il pubblico non sarà ridotto, anzi, ci saranno ulteriori motivi di interesse su tutti e tre i tracciati»Sono già quasi 900 gli iscritti alle diverse distanze di BUT Formazza, di ben 14 nazionalità diverse. Anche la solidarietà sarà grande protagonista: per le tre gare principali sarà destinato un euro per ogni partecipante a Dynamo Camp, la onlus che offre gratuitamente programmi di terapia ricreativa a bambini e ragazzi dai 6 ai 17 anni, mentre il ricavato della 8 km sarà devoluto come sempre alla famiglia di Marco Bacher, un ragazzo di Formazza che necessita di assistenza h24.


Dolomyths Run, intrigante sfida sabato al Sellaronda Ultra Trail

Si annuncia come la DoloMythsRun Ultra più qualificata della storia, quella che si svolgerà all’alba di sabato 13 settembre con partenza e arrivo a Colfosco, per quanto riguarda la gara lunga, con la novità della sfida half che partirà invece da Canazei per concludersi sempre nel centro della Val Badia.
Alla segreteria del comitato organizzatore del prestigioso evento, che raccoglie sotto un’unica denominazione le tre storiche competizioni fassane di corsa in quota, sono pervenute due adesioni di atleti di prima fascia, che si contenderanno la vittoria nell’ottava edizione della competizione, conosciuta anche con l’originale denominazione Sellaronda Ultra Trail.
Lungo il percorso disegnato attorno al famoso gruppo montuoso del Sella, fra Alto Adige, Veneto e Trentino, attraverso le quattro valli ladine dolomitiche di Gardena, Livinallongo, Fassa e Badia, cercherà di iscrivere il proprio nome nell'albo d'oro il pluridecorato campione di corsa in montagna Marco De Gasperi, che può vantare nel suo palmares ben 5 titoli mondiali, un mondiale junior e due vittorie ai Campionati europei. Per il runner di Bormio si tratta della prima partecipazione a questa gara, ma non alla DoloMythsRun dove nel 2013 accese una sfida sul filo dei secondi nella skyrace con Kilian Jornet dando vita ad un’edizione memorabile. E non è tutto. Occhi puntati anche sul suo compagno di squadra del team Hoka One Franco Collè, originario della valle di Gressoney ai piedi del Monte Rosa, ma residente in Valle d’Aosta, vincitore per due volte del Tor des Gèants e di numerose skyrace e competizioni su lunga distanza.
Non mancherà poi lo specialista italiano per eccellenza delle gare lunghe, il bergamasco Luca Carrara, che dodici mesi fa dopo tanti podi era finalmente riuscito a trionfare in questa gara, la quale si sviluppa sulla distanza di 61,5 km e con un dislivello positivo di 3.380 metri, impiegando il tempo di 6h34’35”.
A caccia del podio in questa competizione, che è qualificante ITRA e assegnerà 3 punti ad ogni concorrente che la porterà a termine, ci saranno poi il trentino Gil Pintarelli e il valtellinese Giovanni Tacchini.
In attesa della chiusura delle iscrizioni prevista per il pomeriggio di venerdì 12 luglio e della formazione della starting list femminile, al momento i partecipanti al doppio evento sono 340, cifra destinata ad aumentare nelle prossime ore, anche per l’inserimento nel programma della nuova sfida half, che si svilupperà sulla distanza dei 26 km con 1.600 metri di dislivello da Canazei a Colfosco.
Il sipario si alzerà ufficialmente venerdì 12 luglio alle 18,30 con il briefing tecnico presso Sala Tita Alton di Colfosco, con l’apertura ufficio gare dalle 15. La partenza della competizione lunga è fissata alle ore 5 da Colfosco e l’arrivo dei primi concorrenti verso le 11, con chiusura ufficiale alle 18 e premiazione alle 19.30 sempre presso Sala Tita Alton. La versione half scatterà invece alle ore 9 da piazza Marconi a Canazei.
La Dolomyths Run Ultratrail godrà di un’importante copertura televisiva, grazie a una sintesi di 30 minuti che verrà trasmessa da Rai Sport Hd nei giorni successivi la competizione, anticipando gli altri due eventi, ovvero la vertical race Crepa Neigra venerdì 189 luglio e la spettacolare skyrace di domenica 21 luglio, inserita come unica prova italiana nel prestigioso circuito Golden Trail World Series.

Rancho, les moustaches sur la neige

«Prendi la strada da Bourg St. Maurice verso Les Arcs, mi trovi». Sarà. Ma se conosci Rancho non ti puoi sbagliare quando vedi la Matra Simca beige posteggiata davanti a casa. Sei arrivato. In realtà Rancho è Enak Gavaggio, uno che sugli sci ci sa andare. Medagliato agli X-Games, quinto a Vancouver nella finale olimpica di ski-cross, vincitore anche nel World Tour di freeride. 

© Federico Ravassard

Inevitabile la prima domanda, come è nato Rancho?

«Da piccolo mio padre mi ha insegnato a sciare. Ero molto inquadrato, ma a me piaceva anche fare snowboard. Solo che quando andavo a sciare ero malvisto perché vestivo da snowborder, mentre quando surfavo mi consideravano un ‘alpino’. A me tutte queste classificazioni, questi scomparti chiusi, non sono mai piaciuti: la neve è la stessa per tutti. Così quando mi hanno chiesto di realizzare un webshow sono partito da lì: provare tutte le discipline sulla neve. Volevamo fare qualcosa di nuovo rispetto alle altre produzioni, l’idea è piaciuta e siamo partiti. Dovevamo allora creare un personaggio che fosse alla moda e vintage; abbiamo cercato su Google qual è stato il primo suv ed è uscita la Matra Simca Rancho (in Italia si chiamava Ranch, ndr). Voilà, il nome l’abbiamo trovato. I baffi alla Corto Maltese sono il massimo della classe e l’abbigliamento doveva essere all’altezza. Anche se il cappello che tutti mi chiedono dove si possa trovare in realtà è quello che avevo da ragazzo».

Così sei arrivato anche alla Pierra Menta?

«Sì, in ogni episodio mi cimento con uno sport sulla neve ad alto livello, partecipando alle più famose gare. Di sicuro lo ski-alp è stato il più duro fisicamente di tutti. Lo ammetto, ho fatto solo una tappa, insieme a Caroline Freslon, tutte e quattro era impossibile, ma mi è bastata: la cosa più impegnativa che abbia mai fatto».

© Rossignol/Dom Daher

Come realizzi la trama?

«Butto sul tavolo le mie idee, poi Dino Raffault, un amico da trent’anni, cerca di metterle in ordine e insieme realizziamo la trama. Ma lavoriamo solo nel pomeriggio… E con Thibault Gachet realizziamo le riprese sul campo. Però non è così facile come sembra, soprattutto per i diritti televisivi o per convincere gli organizzatori. In Francia è un po’ più semplice perché ormai mi conoscono, ma quando, per esempio, sono andato a fare la tappa di biathlon a Ostersund, in Svezia, solo qualche ora prima del via mi hanno dato l’ok. Alla fine il presidente della federazione internazionale era entusiasta, ma prima mi hanno fatto penare». 

Hai qualche modello?

«No, nessuno in particolare. Guardo molti film: ho visto tante volte Big Fish, quello sì».

Quanto Rancho è entrato nella tua vita?

«Tutte le volte che mi invitano chiedo sempre: volete Enak o Rancho? Rancho è un personaggio, io tutti i giorni sono Enak».

E allora parliamo di Enak. Lo sci, o meglio la neve, quanto fa parte della tuo quotidianità?

«Se devo fare una classifica, direi al secondo posto la montagna, prima c’è mia figlia. Ma non c’è solo lo sci: pratico surf, base jump, parapendio. E poi colleziono gnomi, quando sono in giro compro quadri naif, ascolto musica, ma non prima di una discesa, vado in moto, però piano, non sono un grande pilota».

Dovrai comunque allenarti, no?

«La verità? Poco o nulla. Lavoro molto con la testa. O meglio mi alleno facendo sport, direi giocando: a tennis o a squash, spesso a golf. Di corsa o in bici, qualche volta esco ancora, ma non con gli stessi ritmi che avevo quando ero atleta. E poi mi piace la birra…».

Ricordi olimpici?

«I Giochi di Rio li ho visti, ma ormai trovo che non ci sia più lo spirito olimpico. Quando leggo che hanno trovato positivi anche atleti paralimpici, allora c’è qualcosa che non va». 

La neve più bella?

«In Alaska e in Canada è fantastica e sicura, però dove mi sono divertito di più è stato in Giappone. In Italia ho visto fantastici couloir nelle Dolomiti, nella zona del Cristallo. I posti ideali però sono quelli con le montagne e le onde, come i Pirenei baschi: sulla neve al mattino e a surfare nel pomeriggio. Oggi, comunque, sono cambiato: da giovane sono caduto in un crepaccio, mi sono fracassato tutto agli X-Games, adesso, forse perché c’è mia figlia, non esagero più, non voglio prendere nuovi rischi. I rischi si prendono quando si vuole vincere. E non esco più da solo sulla neve: deve essere un vero piacere e con gli amici è meglio. La montagna è una ‘cosa’ seria: ammiro gli alpinisti, come così come i velisti transoceanici, quello è sport estremo».

Il tuo futuro sarà sempre Rancho?

«Proseguirò ancora, poi vedrò cosa fare. Magari verrà fuori un film: è sempre una questione di budget». 

Potresti essere un buon allenatore?

«Dopo la finale olimpica di ski-cross ho detto stop. E subito la federazione francese mi ha chiesto di entrare nello staff tecnico, ma ho detto no. Credo che se passi subito dall’altra parte, da atleta a allenatore, non hai il giusto approccio. Sono convinto che bisogna guardarsi attorno per un paio d’anni prima di allenare, per avere un metodo nuovo e portare qualcosa da altri settori. Adesso non saprei: fare l’allenatore significa ritornare alla stessa vita dell’atleta, sempre in giro. Forse con i giovani sarebbe meglio».

 

Enak Gavaggio nato il 4 maggio 1976 ad Ambilly, con nonno di origine valdostana. Nazionale francese di sci alpino, ha fatto parte della squadra di Coppa Europa di discesa («Andavo bene nel ripido, ma ero troppo lento sui piani e ho lasciato perdere») si è dedicato al freeride e allo ski-cross. Ha vinto sette medaglie agli X-Games, una medaglia d’argento alla prima edizione dei Mondiali del 2001 a Squaw Valley e una di bronzo a quelli del 2007 a Madonna di Campiglio. Nella finale olimpica di Vancouver nel 2010 ha chiuso al quinto posto, dopo un lungo periodo di stop per un brutto infortunio («è stata una gara solo di testa, avevo male dappertutto e fino a pochi giorni prima quasi non riuscivo a camminare»). Nel freeride è arrivato quarto ai Mondiali di Tignes. 

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Definite le squadre azzurre di ski-alp. Con un occhio di riguardo per i Giochi Olimpici giovanili

Definite le squadre azzurre di ski-alp. Robert Antonioli, Michele Boscacci, Matteo Eydallin, Damiano Lenzi, Nadir Maguet, lo zoccolo duro dell’Esercito si potrebbe dire, oltre ai tre ‘civili’ William Boffelli (Under Up Ski Bergamo), Federico Nicolini (Brenta Team) e Alex Oberbacher (Bogn da Nia Val da Fasha) saranno il team senior, mentre al femminile c’è la sola Alba De Silvestro. Nel gruppo Espoir Nicolò Canclini, Davide Magnini, Sebastien Guichardaz, Giovanni Rossi, Giorgia Felicetti, Mara Martini e Giulia Murada; a livello Junior solo tre atleti Matteo Sostizzo, Alessandro Rossi e Samantha Bertolina. «Un gruppo che può sembrare ristretto - spiega il confermato direttore tecnico Stefano Bendetti - ma ci sono stati tanti cambi di categorie e dunque abbiamo ridotto un po’ il numero, soprattutto a livello Junior. Ma resta come sempre una nazionale ‘aperta’: per le convocazioni in Coppa del Mondo molto dipenderà anche dalle gare nazionali a inizio stagione». Il 2020 è anche l’anno del debutto dello ski-alp ai Giochi Olimpici giovanili: in gara ci saranno i Cadetti, non ci sono convocazioni in Nazionale per questa categoria, ma l’attenzione sembra essere massima, visto che a fianco di Davide Canclini ci sarà a tempo pieno anche Manfred Reichegger. «Verissimo - conclude Bendetti - lavoreremo con grande impegno in questo settore. Abbiamo individuato un gruppo di dodici ragazzi e ragazze e con loro abbiamo in programma una serie di raduni mirati, partendo con un primo stage già ad agosto».


Riviviamo le emozioni della vittoria di Davide Magnini alla Mont Blanc Marathon

Vincere a Chamonix vuol dire entrare nell'olimpo del trail, e non solo quello sulle distanze ultra dell'UTMB. E la vittoria di Davide Magnini lo scorso 30 giugno nella Mont Blanc Marathon ha definitivamente consacrato il talento di quello che in tanti definiscono il nuovo Kilian per la sua poliedricità, dalle pelli alle scarpe da trail. Non a caso Davide Magnini è ora al secondo posto della categoria S del ranking ITRA, dietro proprio a Kilian Jornet. 916 i punti del trentino (a pari merito con Stian Angermud-Vik) contro i 926 del catalano. E al quarto posto c'è il valdostano Nadir Maguet. Proprio Davide e Nadir sono arrivati primo e secondo posto alla Mont Blanc Marathon. Per rivivere le emozioni, ecco il video report ufficiale della gara del circuito Golden Trail Series, nella quale bisogna registrare anche il secondo posto di Silvia Rampazzo dietro alla neozelandese Ruth Croft.


Quelli del Laila Peak

«Dare un senso alla vita può condurre alla follia, ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio. È una barca che anela al mare eppure lo teme».

Quanti di noi sono quella barca dipinta dai versi del poeta e avvocato americano Edgar Lee Masters. Quante volte vorremmo seguire una nostra passione fino in fondo e invece siamo trattenuti dal farlo da quel senso di sicurezza che in realtà ci imprigiona e lega alla routine che ci siamo costruiti. A volte invece capita d’incontrare persone che amano talmente quello che fanno da mollare gli ormeggi dal porto delle loro abitudini per seguire semplicemente questa passione. Qualcuno le giudicherà egoiste, fuori dagli schemi, certamente fortunate: io so solo che quando le incontro il mio livello di energia interiore cresce in maniera naturale. Persone così sono una sorta di power bank del buon umore. Ecco Carole Chambert, Tiphaine Duperier e Boris Langenstein! In loro brucia una passione fortissima per lo sci, per lo stare in montagna il più tempo possibile. Forse lo davo per scontato, anzi non ci avevo neanche pensato: sarebbe stato ovvio iniziare questa intervista parlando del Laila. Sono questi tre ragazzi francesi quelli che hanno spaccato il Laila per primi!

Le montagne con i nomi di donna sono affascinanti. Le sciatrici poi! Quando a queste cose aggiungi una neve perfetta, il fatto di essere in Himalaya su uno dei pendii più iconici e in voga degli ultimi anni, il gioco parrebbe fatto. Eppure… Eppure dopo cinque minuti che eravamo con loro in un tavolo all’aperto della Val Ferret davanti a una bella birra, era chiaro quello che già nel nostro inconscio sospettavamo. Va bene il Laila, ma la cosa bella era che ci trovavamo di fronte a tre veri appassionati di montagna. Due donne e un uomo col coraggio di vivere al 100 per cento la loro passione per lo sci, per i viaggi in quota e per la neve. Energia genuina, pura e semplice! L’anno trascorso a girare il mondo con gli sci, seguendo l’eterna primavera per avere la neve più bella dalle Alpi all’Himalaya, passando per il Perù e l’Alaska, è solo una piccola parte della loro attività. Il Laila è la ciliegina sulla torta e sinceramente pienamente meritata. Sinceramente questo incontro è stato una scoperta, nel pieno della filosofia che guida la scelta dei personaggi delle nostre interviste. Non ci importa che abbiano un sito, che postino 5.000 foto da quando si lavano i denti a quando sono in cima. Ci piace parlare di sci con persone che si sentono vere senza doverlo dimostrare. Carole, Tiph e Boris sono stati davvero il prototipo dello skier che ci piace. Energia, pochi fronzoli. Come dice Fabri Fibra (mi sto violentando a fare questa citazione, ndr) nelle canzoni per i giovani «…se non usi i social nessuno si fida». Quando invece capisci che ci sono ancora quelli che preferiscono investire ogni minuto libero per stare all’aria aperta su qualche pendio invece di trascorrere tempo a postare, un senso inconscio di speranza ti pervade. Forse non è ancora tutto perduto. Non vivono fuori dal mondo e dai suoi canali di comunicazione, sia chiaro. Ma abbiamo dovuto indagare un po’ per capire chi sono questi tre ragazzi francesi. La pagina Facebook correlata al loro progetto 12 mois d’hiverrecita Ski de pente raide autour du monde. Il sito omonimo non funziona e allora partiamo da qui per conoscerli.

© Federico Ravassard

La prima domanda è sempre importante, ed è un po’ che ci frulla in testa: due ragazze e un uomo in giro per il mondo a sciare, chi è che dormiva in mezzo?

Ridono tutti un po’ imbarazzati. Carole alza la mano e prende la parola: Ero io!

Carole Chambaret, 32 anni, bionda savoiarda di Albertville, si avvicina allo sci col padre, quindi agonismo e un po’ di gobbe, maestra di sci in Val d’Isère; conosce il suo coetaneo e poi compagno di vita Boris Langenstein a 18 anni, anche lui trasferitosi lì per fare l’istruttore di sci e preparare gli esami per diventare Guida alpina. Boris e Tiphaine invece andavano nella stessa scuola per discipline alpine di Annecy e da allora vanno in montagna insieme. Dei veri compagni di cordata. Boris non esita a definire Tiph la sua best partner per sci e salite. Tiphaine è originaria della zona montuosa dei Bauges, poi migrata in Tarentaise. Essendo un moniteur de ski lo sci occupa molto suo tempo. D’estate ha anche lavorato come operaio forestale. Dopo essere stata membro del gruppo Excellence National Mountaineering, ha inseguito i sogni d'infanzia diventando Guida Alpina. Viaggiare in montagna è definitivamente una delle loro attività preferite. Prima d’intraprendere il progetto 12 mois d’hiver avevano già alle spalle numerosi viaggi per sciare in Turchia, Perù e Nuova Zelanda, solo per citare alcuni dei posti visitati. Poi arriva il 2016, inverno particolarmente capriccioso qui sulle Alpi, almeno all’inizio: Carole e Boris tagliano il cordone ombelicale che li lega alle loro abitudini e decidono di seguire il sogno. Un anno, 365 giorni di sci intorno al mondo, senza pressioni, solo seguire la propria voglia di sci. Il sogno di generazioni di sciatori. Come tutti anche per loro nella vita c’erano un sacco di progetti, ma era sempre difficile realizzarli tutti. Magari organizzavi un viaggio, andavi in un posto per sciare una determinata montagna. Poi uno si doveva scontrare con le condizioni, con il meteo, con il conto alla rovescia del tempo che era sempre poco.

Basta! Dopo averci pensato quasi tre anni, Carole e Boris hanno deciso di vivere a fondo quello che volevano fare: prendersi una finestra temporale sufficientemente lunga per potersi muovere in libertà, seguendo letteralmente la neve e le stagioni, fermandosi nei posti quanto bastava per fare quello che volevano. Un vero e proprio flow sciatorio intrapreso a gennaio 2016, inizialmente in due in furgone sulle Alpi francesi, partendo senza un vero e proprio piano per le prime settimane, se non per seguire il proprio istinto e adattarsi alle condizioni per scoprire le montagne. E poi gli amici che via via li raggiungevano e si univano a loro per piccoli periodi.Quindi Italia, in Valle d’Aosta, intorno a Rhêmes-Notre-Dame a respirare la prima polvere. Poi via accompagnati dal sottofondo del diesel del loro van verso Est, l’Austria, di nuovo l’Italia, i periodi di maltempo. Quindi Slovenia, Bosnia, Montenegro nel massiccio del Durmitor, nelle Alpi Dinariche dove a detta loro ci sono spettacolari montagne dai caratteri alpini. A seguire Albania, poi su verso la Polonia e i Tatra, quindi nel Sud-Ovest della Bulgaria, nei gruppi del Pirin e del Rila. E siamo solo nei primi due mesi. Arriva marzo: ovvio che ci si sposta in Turchia, nella zona dell’Ala Daglar, dove ad attenderli c’era una moltitudine di canali perfetti per sciare, come sul Demirkazik. Spesso capitava che i due sciavano al mattino e magari arrampicavano al pomeriggio. Senza un piano preciso, in fondo in montagna se la cavano abbastanza bene e la cosa compensava abbastanza la mancanza di un’organizzazione minuziosa. E poi in Turchia il kebab era troppo buono!Aprile in Georgia, il Mount Kazbek fino ad arrivare nella regione Svaneti a Mestia: questo periodo Carole e Boris lo hanno condiviso con i rispettivi padri che li hanno raggiunti e sono rientrati Francia con il furgone dei figli, visto che la coppia si stava per spostare in Alaska: rock’n roll insomma!E in Nord America i fortunelli, raggiunti da altri amici, trovano condizioni epiche nel Denali Range: 17 giorni su 18 nei quali hanno sciato in continuità una linea dietro l’altra, molte delle quali aspettavano qualcuno che le sciasse per la prima volta. Chiedere i nomi di tutte? Non se le ricordano. Insomma, occhi illuminati a palla e sciare. Punto. Poi arriva il turno del Perù, dove trovano condizioni meno buone e più secche. Ciò comunque non impedisce loro di sciare il mitico Artesonraju (6.025 m) con una doppia di 40 metri, il Tocllaraju e di provare per due volte ma senza successo l’Huascaran. Una chicca: il secondo tentativo su questo gigante, visto il buon acclimatamento (dopo quello che avevano già sciato ci mancherebbe…) e la partenza per un’altra destinazione imminente, lo hanno effettuato one push, direttamente da Huaraz, fallendo per il cattivo tempo nella parte alta che ha aiutato a sbagliare percorso. Dopo l’avventura peruviana arriva il tempo del Tagikistan, un po’ in anticipo rispetto all’apertura dei campi del Peak Communism, quindi perché non spostarsi in Kirghizistan dove sono stati solo due giorni ma hanno provato lo stesso il Peak Lenin arrestandosi a 6.400 metri? Tornati in Tagikistan, hanno poi sceso una linea splendida sul Korzhenevskaya Peak (7.105 m).Con l’arrivo di settembre e ottobre vengono raggiunti da Tiphaine Duperier in Tibet per tentare lo Shisha Pangma, la quattordicesima montagna più alta della Terra con i suoi 8.027 metri. Tiph è alla sua prima grande spedizione. Purtroppo però le condizioni sulla montagna sono pericolose, nevica continuamente e una valanga uccide uno degli sherpa. Carole non si è ben acclimatata, Boris e Tiphaine stanno bene, ma c’è troppa neve fresca, o semplicemente troppo per noi, come ci dicono. L’incidente, poi, ha contribuito a creare una strana atmosfera.A novembre si torna a casa, in Francia: due mesi ancora nel 2016 per sciare!

Nell'avventura 3 mois d'hiver i tre francesi hanno toccato anche il Perù

Poche chiacchiere e tanto sci. Di solito chi realizza progetti come questo cerca più supporto mediatico e da aziende di settore. Che scelta è stata la vostra?
«Guarda, siamo un po’ pigri. Pigri nel cercare sponsor e quel genere di supporto. Ci sono state delle ditte come Outdoor Research o Völk che ci hanno aiutato con materiale e piccoli contributi, ma tutti e tre abbiamo un lavoro e i nostri soldi li spendiamo per fare le cose in montagna!» O per Carole - aggiunge Boris - anche se lei non pare convintissima e arrossisce.

Il vostro progetto 12 mois d’hiver lo avete portato a termine nel 2016. Poi subito Laila?
«No, no anzi! Ci piace troppo viaggiare con gli sci! Nel maggio 2017, io (Boris, ndr) e Tiph siamo stati in Kashmir e Ladak. Una spedizione bellissima, forse la più bella che abbiamo fatto. Non c’era nessuno, solo la gente dei villaggi di alta montagna. Abbiamo sciato montagne tra 5.000 e 7.000 metri tra cui il Nun. Sempre nel 2017, abbiamo tentato il Pumori (7.161 m) sul confine tra Nepal e Tibet, la stessa linea che aveva tentato Paul Bonhomme. È stata una bella spedizione, ma anche per noi niente cima: troppo ghiaccio, abbiamo tentato anche senza sci, come salita alpinistica, ma ci siamo dovuti fermare a 100 metri dal punto più alto. Pazienza, magari torneremo».

 Poi basta e via per il Laila? Siamo qui per farcelo raccontare. Una montagna che è diventata un’icona per lo ski de pente.
«Sì, la spedizione dopo è stata quella del maggio 2018 del Laila. Tutti e tre insieme. Forse la spedizione più facile che abbiamo portato a termine, per condizioni e logistica. Quando siamo arrivati, il nostro contatto dell’agenzia locale ci ha detto che a breve sarebbe arrivato anche un team italo-svizzero per provare il Laila (quello di Cala Cimenti, Matthias Koenig e compagni). Quasi non ci credevamo e nemmeno eravamo sicuri di aver ben capito. Di Laila in Pakistan ce ne sono ben tre dopotutto».

Sentivate un po’ di pressione?
«No, però confessiamo che alla prima finestra di bel tempo, anche se non eravamo perfettamente acclimatati essendo appena arrivati, abbiamo provato! Bam! (ridono, ndr).
Siamo stati molto fortunati, eravamo saliti un paio di volte oltre i 5.000 metri, ma poi abbiamo deciso di provare direttamente dal campo base. Partenza poco dopo mezzanotte, 2.000 metri di dislivello, un percorso vario e con diverse esposizioni sulla montagna, con sezioni più o meno tecniche. Il traverso per entrare in parete ci sembrava carico, forse abbiamo osato, c’era una neve stupenda, ma era tanta. Dopo quasi dodici ore eravamo in cima. In salita per la neve e per la quota è stato faticoso, ma una volta fatti scattare gli attacchi è stato incredibile, neanche difficile se vogliamo. Ovvio, la prima parte era davvero dritta, ma con quella neve sciare è stata la cosa più facile! Volevamo venire a sciare questa montagna già durante il nostro anno passato a sciare, ma non siamo riusciti a organizzare bene il periodo per avere buone condizioni. Quest’anno è stato davvero perfetto. Forse la migliore neve che abbiamo mai sciato in quota!».

Siete stati molto fortunati, Cala ci ha riferito di condizioni diverse durante la sua discesa.
«Sì, sì, è vero, ce lo ha detto, le condizioni sono cambiate, la neve si è compattata. Non sappiamo se sarebbe stata così facile».

Una discesa che ha avuto un bel ritorno mediatico.
«Guarda, la cosa incredibile è che quando abbiamo chiamato i nostri amici in Francia, già la cosa si sapeva, e noi non avevamo ancora detto niente, quasi dubitavamo che i nostri genitori avessero cantato. Potere del web».

Visto che siete veramente degli esperti del connubio sci-viaggio, che posti sentite di consigliare per un’esperienza di questo tipo?
«La Turchia, la zona dell’Ala Daglar, senza dubbio. È un buon compromesso tra uno sci selvaggio e accessibile senza troppa fatica. È un viaggio per divertirsi e godere dello sci su un terreno adatto e ricco di possibilità anche ripide. Il periodo migliore di solito è marzo, ma non è troppo difficile raccogliere informazioni. Più in primavera anche l’Alaska, se si vuole qualcosa di più lontano. Come dicevamo prima, noi siamo stati nella zona del Ruth Glacier, nel Denali Range. Siamo stati fortunati ma è un posto fantastico per linee e neve».

Qui attorno a questo tavolo siamo stati tutti in Perù ultimamente, per vacanze, per sci e soprattutto voi per un periodo più lungo, ci tornereste per sciare?
«Non so (Carole, ndr). Magari mi piacerebbe DI più vedere il Cile e la Patagonia. M’ispira molto un viaggio con gli sci nello Hielo. In Sud America comunque ci sono anche montagne più alte e discese ambiziose che ancora aspettano di essere percorse (Boris, ndr)».

Lo sci nella vostra vita di tutti i giorni che posto occupa? È quasi scontato che sia rilevante ci pare.
«Se dobbiamo essere sinceri, più che lo sci in sé, ci piace da matti stare in montagna. Meglio se a scoprire posti nuovi. (Tiphaine, ndr) Mi piace il senso di avventura che sa regalare stare in un posto che non conosco. Addirittura certe volte, quando devo affrontare una salita o una montagna che è stata già percorsa, preferisco informarmi dopo. Non raccolgo particolari informazioni o impressioni, magari in rete. Così non sono influenzata e vivo meglio quel sentimento di scoperta. Non mi importa molto essere i primis u una montagna».

Sci e viaggio: un po’ come i pionieri dell’alpinismo qualche decennio fa. Quali sono secondo voi le prossime frontiere della disciplina?
«Non so, in questa disciplina è scontato dirlo, dipende sempre tutto o quasi dalle condizioni. Sul Laila eravamo a 6.000 metri e abbiamo avuto le condizioni per il migliore sci della nostra vita, ad esempio. Spesso Boris ripete che, in realtà, se uno vuole fare qualcosa di più difficile di un altro, allora deve fare certe discese con cattive condizioni, con neve dura o crostosa. La difficoltà non sta esclusivamente nella pendenza».

Boris, quindi, non cerchi solo la bella neve?
«Beh, diciamo che a volte, non troppe ovviamente, mi piace anche fare qualcosa quando non ci sono le condizioni. M’impegna ed è più coinvolgente. Ma non esagero. Per me lo ski de pente è un’opportunità per scoprire nuovi terreni di gioco!».

Domanda classica sui materiali che utilizzate.
«Materiale Völk, della serie BMT tra i 90 e i 95 mm. Per quanto ci riguarda spesso per il grip su nevi dure è importante anche il tipo di scarpone che si utilizza, ma comunque niente di estremo o particolarmente pesante, tipo Maestrale o Tlt, ognuno usa quello che preferisce».

Ora, come da tradizione delle interviste con più persone, la stessa domanda con diverse risposte: chi è il più fanatico di sci tra voi?

Carole: «Boris!».

Tiphaine. «Boris».

Boris. «Io, senza dubbio!».

Chi è quello che osa di più in momenti difficili?

Carole: «Sempre Boris!».

Tiphaine: «Difficile dirlo, è raro che siamo in conflitto su una decisione».

Boris: «Mi conosco e capisco con Tiphaine, e Carole si fida di noi».

Il più attento?

Carole: «Strano a dirlo, di nuovo Boris».

Tiphaine: «Carole».

Boris: «Carole!».

Domanda che vi metterà in difficoltà: il migliore a sciare?

Carole: «Boris».

Tiphaine: «Carole è perfetta».

Boris: «Carole».

Il più buffo e divertente del gruppo?

«Impossibile dirlo…presi tutti insieme siamo davvero divertenti!».

Il sogno nel cassetto?

Carole: «Mmmm… troppi».

Tiphaine: «Come Carole, ho troppe cose che ritengo importanti e vorrei fare».

Boris: «Non ho ancora mai visto la mia linea perfetta».

Un aggettivo per i tuoi compagni e poi la chiudiamo.

Carole: «Boris è perfezionista all’estremo, Tiphaine umana!».

Tiphaine: «Boris è creativo! Ha un feeling con la montagna incredibile, Carole è solida!».

Boris: «Tiph è letteralmente la più forte alpinista che io conosca, Carole generosa, motivata, perseverante!».

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© Federico Ravassard

 

 

 

 

 

 


Maratona del Cielo a Daniel Antonioli e Denisa Dragomir

A Santicolo, in Alta Valle Camonica, è andata in scena la 24ª edizione della Maratona del Cielo. 330 iscritti, di cui 223 sulla prova regina da 42 km (2700 m D+) valevole come prova unica di campionato italiano skymarathon 2019. Pronti via e si è subito capito che la sfida per il successo sarebbe stato un discorso a due tra il lecchese campione di winter triathlon Daniel Antonioli e lo scialpinista bergamasco William Boffelli. In lizza per un posto sul podio anche il ruandese Jean Baptiste Simukeka e il trentino Daniele Cappelletti. Dietro tutti gli altri.
Sempre al comando, Antonioli ha dimostrato sul campo che il secondo posto conquistato poche settimane fa alla tappa di world series di Livigno non era casuale. A lunghi tratti sotto lo storico record della gara di Mario Poletti, nel fiale il soldatino del Team La Sportiva ha un poco pagato dazio stoppando però il cronometro su uno stratosferico 4h11’38” che è il secondo migliore crono di sempre alla maratona del cielo. Per lui un successo che gli è valso anche il titolo italiano Fisky di Skymarathon. Seconda piazza per un sorprendente Boffelli (4h17’07”), mentre terzo si è piazzato un sempre convincente Daniele Cappelletti (4h26’27”). Completano la top ten di giornata Jean Baptiste Simukeka, Andrea De Biasi, Jesus Gaviria, Fausto Lizzoli, Francesco Lorenzi, Clemente Berlingheri e Giuseppe Pedretti.
Ancora Denisa Dragomir nella gara in rosa. La rumena del team Serim ha seminato le avversarie e fatto gara su gli uomini. Il gran caldo le ha impedito di attaccare il primato della mitica Emanuela Brizio, ma non di firmare il suo 4° successo alla super classica camuna. Per lei finish time di 5h25’15”. Seconda assoluta e campionessa italiana 2019 di skymarathon la bergamasca Daniela Rota (5h38’44”) che con questo tricolore impreziosisce ulteriormente quella che sino ad ora è la sua magic season. Completa il podio della 24ª edizione la colombiana Catalina Beltràn (6h07’13”) che dopo avere sofferto la cresta aerea del Sellero è riuscita a rientrare sulla veneta Cristiana Follador 4ª assoluta. Nella top five di giornata anche l’orobica Beatrice Meloni.
Performance da record sulla mezza maratona valevole come tappa di Lombardia Running. Qui il nuovo tempo da battere sarà quello di Robert Panin Surum che in 1h56’06” ha messo dietro il lecchese Mattia Gianola (2h01’04”) e Francis Maina Njoroge (2h02’22”). Bene pure Francesco leoni 4° e Mattia Bertoncini 5°.
Nuovo primato anche al femminile con la colombiana Emily Schmitz che dopo il successo alla Doppia W Ultra 60 ha primeggiato in 2h33’39”. Secondo posto per Elisa Compagnoni in 2h37’47”, mentre terza si è piazzata Lorenza Combi in 2h43’16”.