Marco Confortola, obiettivo Kangchenjunga e Nanga Parbat
Marco Confortola è partito venerdì scorso per il Nepal. Obiettivo Kangchenjunga, la terza montagna più elevata della terra, con i suoi 8586 m s.l.m., e poi Nanga Parbat (8.125 m), in Pakistan, la nona vetta più alta del pianeta. Se le salite avranno successo, saranno rispettivamente il dodicesimo e tredicesimo ottomila per il valtellinese che è salito su Everest, Shisha Pangma, Annapurna, Cho yOu, Broad Peak, K2, Manaslu, Lhotse, Makalu, Dhaulagiri e Gasherbrum II. Al Kangchenjunga sarà la terza volta, dopo i tentativi del 2014 e 2018 e la spedizione durerà circa tre mesi. A supportare il valtellinese, lo sponsor tecnico Ferrino.
A Jacquemoud-Equy Millet Tour Du Rutor e Mondiale long distance
Doppietta francese al ventesimo Millet Tour Du Rutor Extrême, valido anche come Campionato del mondo long distance. All’arrivo della terza tappa, a Planaval, hanno trionfato nella classifica di tappa e in quella finale Mathéo Jacquemoud – Samuel Equy e Axelle Mollaret – Emily Harrop. Nonostante tre giorni di condizione meteo a dir poco complicato, anche oggi i tracciatori dello Sci Club Corrado Gex sono riusciti a proporre ai 348 atleti a rappresentanza di 15 differenti nazioni un tappone di 2.340 m di dislivello positivo con partenza e arrivo nel cuore della Valgrisenche, a Planaval. Due importanti salite, temperature che, in vetta allo Château Blanc (3.442 mslm), hanno sfiorato i -20°, e una picchiata in discesa su neve fresca di quasi 2.000 m.
Al termine di tre giornate tirate, i francesi Mathéo Jacquemoud e Samuel Equy si sono conquistati l’oro iridato tagliando per primi il traguardo con tempo finale di 2h18’20”. Seconda piazza che vale l’argento mondiale per gli italiani Davide Magnini – Matteo Eydallin 2h21’11” e terzo posto per gli altri francesi William Bon Mardion – Xavier Gachet 2h24’34”.
Al femminile, come da pronostico, le francesi Axelle Mollaret – Emily Harrop vittoriose per la terza volta consecutiva. Per loro finish time di 2h51’22” e medaglia d’oro. Come nelle precedenti tappe, seconde al traguardo le azzurre Giulia Murada – Alba De Silvestro (2h57’27”). Terze di giornata in classifica, ma non nel ranking iridato perché appartenenti a nazioni diverse, la slovacca Marianna Jagercikova e la polacca Iwona Januszyk (3h01’43”). Quarte assolute e terze nella classifica mondiale le azzurre Mara Martini – Ilaria Veronese.
Thomas Magnini, Vanessa Marca tra gli Under 16, Marcello Scarinzi, Clizia Vallet nella categoria Under 18 e Rémi Cantan, Noemi Junod in gara Under 20 sono i vincitori del TDR Giovani. Anche oggi, come ieri, spazio alle giovani leve che hanno avuto la possibilità di gareggiare su itinerari di alta montagna. Per le 67 promesse dello skialp, un tracciato loro dedicato, meno duro, ma non per questo meno spettacolare. Gli Under 20 (maschili e femminili) e gli under 18 si sono affrontati su un tracciato di 1.278 m di dislivello positivo (due salite, altrettante discese, due tratti a piedi e, passaggio al GPM di giornata sul Ghiacciaio dello Château Blanc a 2850 di quota ). Le under 18 e gli under 16 (maschili e femminili) hanno invece corso su percorso di 900 m (due salite, due discese, un tratto a piedi).
Prossimo appuntamento con La Grande Course alla Patrouille des Glaciers nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio.

La Sellaronda è di Boscacci-Eydallin
Non cambia il tempo di riferimento, ma l’adrenalina è sempre alta alla Sellaronda Skimarathon. Ieri sera il crono da battere era 2h56’59’’ (Filippo Barazzuol-William Boffelli) e quel crono resterà lì anche l’anno prossimo, se qualcuno vorrà provare a ritoccarlo sui quattro passi dolomitici Campolongo, Pordoi, Sella e Gardena. La premiata ditta del CS Esercito composta dal valtellinese di Albosaggia Michele Boscacci e dal piemontese di Sauze Matteo Eydallin ha vinto l’edizione 2022 chiudendo il tour di 42 chilometri e 2700 metri di dislivello positivo in notturna in 3h03’03”. A seguire Alex Oberbacher-Davide Magnini (secondi in 3h05’51”) e Jakob Herrmann-Christian Hoffmann (terzi in 3h06’02”). Completano la top five di giornata Daniel Ganahl-Paul Verbnjak quarti in 3h07’49” e Filippo Beccari–Martin Stofner quinti in3h16’14”. Fin dalle prime battute le coppie più forti hanno imposto un ritmo insostenibile che ha sgranato il gruppo di testa. Da metà gara i due alpini hanno però preso il largo mettendo in cassaforte il successo finale.

GARA DONNE
Colpo di scena al femminile. Con una gara tutta in rimonta vincono le esperte Katia Tomatis – Elena Nicolini (3h46’56”) sulle favorite Alba De Silvestro - Alessandra Schmid (3h47’31”). Davanti con margine fino a metà gara, Alba De Silvestro non è riuscita a inanellare uno storico tris di successi (quest’anno ha vinto la Monterosa Skialp in Valle d’Aosta e la Mountain Attack in Austria). Sulle ultime rampe la svizzera Alessandra Schmid ha infatti cominciato a perdere colpi: la veneta l’ha aiutata con il cordino, ma non è servito a evitare il rientro del duo piemontese - trentino. Terzo posto per Sarah Dreier e Victoria Kreuzer (3h50’14”).

GARA MIXED
Nella speciale gara delle coppie miste a dominare è stata la squadra composta da Lukas Hiemer (GER) e Johanna Hiemer (AUT) con il tempo di 3h45'53. In seconda posizione si sono classificati Mirco e Paola Pervangher (SUI). Il podio è completato da Martin Kaschmann e Stephanie Kroll (AUT) in 3h57'00''.
IL PERCORSO
La partenza da Corvara (1.535 M) e la prima salita verso Passo Campolongo e Bec de Roces (2.080 m) affrontata con le luci del tramonto. Giunti al primo scollinamento, frontali accese e giù dritti verso il secondo cambio d’assetto posto nel centro di Arabba (1.605 m). Il viaggio continuava verso Passo Pordoi (2.239 m), Canazei, Passo Sella (2.174 m) e Selva Gardena. Da qui l’ultima salita verso Passo Gardena (2.298 m).

Blogger Contest: ecco i vincitori
La decima edizione del Blogger Contest chiedeva a scrittori, blogger, podcaster e illustratori di raccontare una storia unica e inclassificabile come Il Monte Analogo dello scrittore e poeta francese René Daumal. La giuria di selezione, composta da Simonetta Radice, Lara Cesati, Giulia Ficicchia, Livia Olivelli, Nicola Carpene e Piero Carniel, ha ritenuto di ammettere tutte le 74 unità multimediali alla fase finale. Dal mese di febbraio a marzo 2022 la giuria di premiazione, composta dalla presidente Luisa Mandrino (autrice e sceneggiatrice), Leonardo Bizzaro (giornalista e giurato del Premio Itas del Libro di Montagna), Marzia Coronati (giornalista radiofonica e audio documentarista), Nadia Bordonali (editrice e curatrice di mostre ed eventi culturali dedicati al fumetto), Simona Righetti (direttrice della nostra casa editrice), Luciano Caminati (vincitore del Blogger Contest 2020), ha esaminato le 74 opere finaliste, applicando i criteri di giudizio indicati nel regolamento, e ha decretato vincitori della 10a edizione del Blogger Contest:
Alessandra Cella, Giacomo Revelli e Irene Borgna sono i vincitori della sezione racconti brevi; Silvia Benetollo, Raffaele Negri e Sara Filippi Plotegher vincono nella sezione web comics; Vincenzo Picone, Aronne Pel e Francesca Camilla D’Amico sono i vincitori della sezione audio storie.
Oltre ai vincitori il regolamento stabilisce che la giuria può segnalare anche le opere di alcuni autori meritevoli di menzione, ai quali viene attribuito un premio speciale offerto da un’azienda partner del Blogger Contest. In questa edizione vengono assegnati sette premi speciali. Gli autori premiati con una esperienza o viaggio outdoor, avranno la qualifica di inviato speciale di altitudini con il compito di raccontare la loro esperienza.
A Marco Rossignoli il premio PalaRonda, ad Alessandro Carletti il premio Alta Via Dolomiti Bellunesi, ad Angelo Ramaglia il premio il Giro del Confinale, a Giulio Carcani il premio Unione Valdostana Guide Alta Montagna, a Sara Invernizzi il premio Carnet de Voyage di Rene Daumal, a Francesco Cestari il premio Mulatero Editore, a Marina Consolaro il premio MonteRosa Edizioni.
La premiazione avverrà in occasione della Réunion di altitudini, incontro aperto a chi ama le belle storie e i luoghi fuori traccia. Si svolgerà ad inizio giugno nelle Dolomiti Bellunesi, tra le montagne dove dieci anni fa è nato altitudini e il Blogger Contest. A breve verrà pubblicata la data e il programma.
Qui tutti i vincitori e i premiati: www.altitudini.it/vincitori-premiatidel-bc2021

Kilian con Camper per creare il marchio di scarpe NNormal
I rumour tra i ben informati giravano già da qualche mese, ora è ufficiale: Kilian Jornet ha dato vita a un nuovo marchio di scarpe, abbigliamento e accessori per il trail running e l’hiking. Si chiama NNormal - The Normal Company ed è stato creato in collaborazione con il noto marchio di scarpe Camper. Kilian ha annunciato la nascita di NNormal con un post sui suoi canali social nel quale chiedeva ai follower se volessero sapere che cosa ci fosse dietro ai pixel degli ultimi mesi, abbinato a una foto pixelata di lui che corre e dando appuntamento sul suo blog per oggi.
NNormal sta per NORvegia e MALlorca, perché scarpe, abbigliamento e accessori sono stati studiato a Maiorca e testati in Norvegia. La mission del marchio è soprattutto ecologica.«Condividere gli stessi valori è stata una forte motivazione per iniziare questo progetto. Abbiamo concordato che abbiamo bisogno di un nuovo modo di pensare e di agire in relazione al nostro ambiente e alle attività all’aperto - ha detto Kilian Jornet - Vogliamo essere molto onesti su come produciamo le attrezzature e sul ruolo che l'azienda vuole svolgere per la società e l'ambiente. Questo significa trasparenza e lavorare per evitare il consumo eccessivo, costruendo prodotti che siano durevoli. Per avere un impatto minore sull'ambiente, dobbiamo lavorare con vari materiali ed esplorare diversi design. È un percorso lungo e difficile, ma è ciò che motiva me e il team a iniziare questo progetto». La prima collezione NNormal verrà lanciata in autunno, per i mercati europeo e nordamericano e sullo shop online di nnormal.com
I prodotti sono ancora top secret, ma, a giudicare dalla foto che pubblichiamo qui sotto, i battistrada saranno Vibram.

Mastrotto e Boifava vincono la prima 100K dell'Ultrabericus
Sole e vento fresco nel fine settimana dell’Ultrabericus che sabato a Vicenza ha aperto la stagione del trail running con la nuova lunga di 100 km e 4.400 mD+, oltre alle ormai rodate Integrale (65 km e 2.500 mD+), Twin Lui&Lei (34+31 km 2.500 mD+) e Urban Trail (22 km 750 mD+).
La 100k ha incoronato un irraggiungibile Roberto Mastrotto, davanti a Alberto Canessa e Marco Bonfante e Alessandra Boifava, che ha infilato nell’ordine la sorella Federica e Marialuisa Tagliapietra. Nella 65k vincono il recordman Christian Modena, davanti a Christian Pizzatti e Nicola Mora, mentre nella prova al femminile il trionfo bis è firmato da Veronica Maran (già vincitrice lo scorso anno), davanti a Cornelia Oswald e Giulia Spanevello. La staffetta è stata invece dominata dalla coppia composta da Stefania Merlo e Alessio Zambon, abili a staccare nell’ordine Erika Cecchel e Alberto Garbujo Alberto, Elisabetta Stocco e Giovanni Corà. La corta sempre più gettonata, la Urban 22k, ha assegnato il podio al reggiano Riccardo Gabrini su Andrea Bellon e Tiziano Scatolin. La gara rosa è finita in tasca alla gendarme Melina Clerc, davanti a Giulia Pol e Sofia Toniolo.
100K – M
1. Mastrotto Roberto 09:47:26; 2. Alberto Canessa 10:12:02; 3. Marco Bonfante 10:26:13; 3. Vittorio Marchi 10:26:13; 4. Di Giacomo Fabio 10:58:57; 5. Napoleone Savino 11:54:00; 6. Calcinoni Massimiliano 12:05:37; 7. Sperotto Mirko 12:09:21; 8. Xompero Dennis 12:13:58; 9. Pietrzak Krystian 12:16:08
100K – F
1. Boifava Alessandra 10:33:39; 2. Boifava Federica 11:33:53; 3. Tagliapietra Marialuisa 13:02:19
65K – M
1. Modena Christian 05:30:08; 2. Pizzatti Christian 06:01:23; 3. Mora Nicola 06:29:56; 4. De Riz Francesco 06:42:03; 5. Eberle Giulio 06:43:51; 6. Baldo Luigi 06:46:00; 7. Camerotto Claudio 06:48:57; 8. Sigismondi Maurizio 06:50:05; 9. Gonzo Matteo 06:51:33; 10. Malusa Mattia 06:51:55
65K – F
1. Maran Veronica 06:52:54; 2. Oswald Cornelia 07:32:56; 3. Spanevello Giulia 07:52:44; 4. Scarpini Beatrice 08:08:20; 5. Carolo Maddalena 08:10:05; 6. Noacco Elena Asia 08:16:38
TWIN
1. Merlo Stefania/Zambon Alessio 05:43:53; 2. Cecchel Erika/Garbujo Alberto 05:52:32; 3. Stocco Elisabetta/Corà Giovanni 05:56:47; 4. Zaltron Giulia/Rasotto Nicola 06:04:45; 5. Pozza Elisabetta/Pianegonda Ruggero 06:07:19; 6. Lionzo Federica/Meridio Michele 06:09:31; 7. Dalla Fontana Silvia/Agugiaro Mattia 06:11:33; 8. Pretto Francesca/Orrico Francesco 06:13:33; 9. Pretto Giovanni/Saggin Irene 06:18:23; 10. Pizzolato Greta/Allegro Alberto 06:24:57.
Urban Trail – M
1. Gabrini Riccardo 01:28:50; 2. Bellon Andrea 01:36:30; 3. Scatolin Tiziano 01:38:01; 4. Pieropan Alberto 01:38:13; 5. Nani Eddj 01:39:26; 6. Berengo Silvio 01:39:51; 7. Michelato Kristian 01:40:36; 8. Faccin Matteo 01:40:41; 9. Meneghel Marco 01:41:04; 10. Jaupaj Klajdi 01:41:23.
Urban Trail – F
1. Clerc Melina 01:43:59; 2. Pol Giulia 01:49:12; 3. Toniolo Sofia 01:52:24; 4. Forte Lucia 01:55:32; 5. Sartori Debora 01:57:48; 6. Schievenin Serena 02:01:40; 7. Gargano Anna 02:08:33; 8. Colombarolli Lorena 02:09:38; 9. Armeni Samantha 02:11:07; 10. Ferretto Francesca 02:13:00.
Skialper Archive / La macchina del tempo
Un gelido sole fa capolino dietro i profili delle montagne mentre mi appresto ad andare al lavoro. Il turno del mattino in ospedale inizia prossimo all’alba e, a seconda della stagione, l’Appennino mi saluta in maniera diversa. Il grigio tetro e monotono del nosocomio è sovrastato in lontananza da un lungo profilo che conosco a memoria e che migliora questa squallida, seppur necessaria, geometria, donandole un aspetto inaspettatamente maestoso. L’occhio stropicciato punta immediatamente verso il gruppo del Cusna, un gigante sdraiato sulla pianura, che appare fiero in direzione sud-ovest quando, imbiancato dalla neve, sposta l’immaginazione a certe forme himalayane. Subito dopo è impossibile non notare il cono simil-vulcanico del Cimone che fa capolino dietro le colline. La più alta cima dell’Appennino settentrionale rimane però ben celata dalle sinuose gobbe che la attorniano, concedendosi solo in piccola parte allo sguardo attento. Verso sud-est, dalla nera boscaglia di media quota, sbucano Spigolino, Cupolino e Corno alle Scale. Quest’ultimo mi riporta in Cordillera Blanca, con le sue caratteristiche cime affilate e solcate dai canali quasi fossero campi arati verticali. Il viaggio fantastico tra le montagne di casa e quelle del mondo si conclude all’angolo opposto dell’orizzonte dove, senza preavviso, emergono altre due evidenti vette imbiancate, dalla mole incredibilmente poderosa nonostante la loro modesta dimensione effettiva.
Quasi sconosciuto tra i non addetti ai lavori, il gruppo Alpe di Succiso – Monte Casarola riconduce il fantomatico pellegrinaggio sulle Alpi. Eccezion fatta per la quota, potrebbe benissimo essere inserito in un quadretto svizzero. Parecchie altre amate cime di casa non si vedono, ma questo assaggio basta per sapere che il momento finalmente è arrivato. L’attrezzatura da sci sempre pronta in macchina mi aspetta fremendo a fine turno. Una tempesta ormonale carica di fiocchi nevosi percuote il mio soma assonnato, e già pregusto le curve pomeridiane. Oggi come non mai il freddo dell’inverno è uno stato di liberazione. Riappropriarsi finalmente delle sensazioni naturali, troppo a lungo celate sotto maschere e tute a scafandro, in un asettico annullamento della persona e dei desideri. Lo sciappenninismo, lungi dall’essere una disciplina per palati raffinati, richiede il coraggio e la pazienza di andare a verificare di persona e la dovuta predisposizione ad accettare le sorprese, positive o negative che siano. Chi è abituato alle Alpi potrebbe facilmente storcere il naso. Sullo spartiacque tosco-emiliano le cime vere e proprie caratterizzano solo l’ultima parte della salita. Per giungere alla testata delle valli bisogna traversare molti chilometri di ondulati colli solcati da strade spesso malconce nella loro tortuosità. In questa fascia di territorio la neve cade in maniera sporadica e molto spesso scompare ancor prima di accumularsi. Negli anni alcune bucoliche realtà sciistiche locali con dotazione di manovie o skilift sono progressivamente scomparse. Raggiunti i borghi più alti, la strada finisce e appare la linea di crinale sovrastante. Inutile dire che per chi risiede in queste zone l’Appennino bianco racchiude qualcosa di estatico, specie ora che il regalo della neve è tutt’altro che scontato.

Escludendo i maggiori comprensori di piste che tentano ostinatamente di resistere alla sempre più evidente fine della loro gloria, in alto Appennino si spicca un balzo fuori dal tempo. Sia in senso storico che in senso geografico. Lo stato di desolazione che si respira, in particolare durante la stagione fredda, in molti dei paesini a ridosso delle montagne, è compensato dalla cocciutaggine dei pochi che scelgono di abitarvi. Gente in salita, simile in tutto il mondo, che non ha paura della fatica e del silenzio. Soprattutto per quelli come me che frequentano i monti lontano dai weekend, è abitudine prepararsi alla gita ascoltando solo i propri movimenti, immersi nella spettrale atmosfera delle ultime case, ben sigillate in attesa di climi più caldi. I suoni si propagano nitidi e l’attacco dello scarpone sembra quasi rimbombare a ridosso dell’abetina piegata dal peso della neve.
La quota modesta permette allo sciatore affamato di approcciare le salite anche a pomeriggio inoltrato. Il momento in cui il sole tramonta per lasciare spazio al buio ovattato dell’inverno è forse il frammento più significativo nel bianco d’Appennino. Pare davvero di essere agli albori dello sci, attraversando le borgate immersi nella neve fresca. Presto mi immedesimo nel personaggio e nelle atmosfere di quel film che mio padre guardava e riguardava, catturando la mia curiosità di bambino. C’era questo sciatore formidabile nella Courmayeur di inizio Novecento, interpretato dal norvegese Morten Aass, che con una divina tecnica telemark nuotava nella neve, infilando qualsiasi pertugio nei boschi o tra le case per giungere ai vicoli del paese antico con gli sci. Questo prima di essere catapultato negli anni Ottanta con una bizzarra macchina del tempo a pedali, e disegnare altre prodigiose linee sulle Alpi come se i decenni non gli appartenessero, come se lo scivolare sulla neve trascendesse lo spazio temporale. The time machine si chiamava il film e io ho sempre sognato di emulare le gesta del mitico telemarker col cappellaccio nero. Sul nostro crinale l’ambiente perlopiù boschivo e dolce nelle sue forme consente, con le dovute accortezze, di muoversi anche se il meteo è incerto. Qui non spaventano le bufere di neve o i cieli neri ma il Libeccio. Nei valichi tra Toscana ed Emilia lo strato nevoso si consuma rapidamente, livellato da correnti spaventose che impongono frequenti e rapidi cambi di direzione anche ai più determinati.
L’essere forzatamente confinati all’interno della regione ci ha portato a ripercorrere ancora i pendii di casa, riscoprendo lo spettacolo e l’emozione quando pensavamo di aver ormai vissuto tutto. Questa volta però non rappresentano banali metri di dislivello da accumulare in vista di più ardite salite alpine, ma sono lo scopo finale. Il trucco sta nello sciare con nuovi occhi. Per esempio riconsiderando quelle tracce naturali da troppi anni accantonate, quei canali che magari prima o poi e quei versanti sempre sfavorevoli alle buone condizioni. I giorni sciappenninistici passano in fretta da queste parti. La posizione geografica di barriera alla pianura e la relativa vicinanza al mare fanno sì che la neve si trasformi in un battito di ciglia. Per certi versi ci sono anche lati positivi, ma in buona sostanza la powder in Appennino settentrionale è merce rarissima. Ecco perché non bisogna tentennare. Guai a perdere minuti preziosi, e giù per itinerari che parevano non dover essere mai solcati.
Chissà quando ricapiterà, forse l’anno prossimo, probabilmente tra cinque o dieci anni. Il vento modella le sue sculture sul crinale e nel cielo terso il panorama ha dell’incredibile nella sua unicità. Si vede il luccichio del mare, specchio tra le ombre frastagliate dell’arcipelago toscano e la Corsica. Poi ancora le Apuane, i Colli Euganei, le città emiliane e il Monte Baldo. Solo alla fine ecco il Monte Rosa, lontanissimo. Ora però cala la sera e la discesa la faremo alla luce delle frontali, discretamente, per non disturbare il bosco. Faggi, abeti rossi e bianchi, immobili nella stagione lenta. Di notte la percezione è amplificata e il profumo della neve ci avvolge nell’euforia di una polvere stupenda. Lascio che il cuore si calmi, una curva e respiro, vorrei non finisse mai. Di tanto in tanto sono solo, come avevo desiderato. Poi un tunnel di alberi sommersi ci catapulta verso inclinazioni dove cala la tensione delle gambe, e improvvisamente le oscure presenze di mucche Highlander fuori dal recinto mi costringono a un cambio di passo. Perdo l’equilibrio, un tuffo e sono ricoperto di uno strato candido, tra gli sguardi insospettiti delle amiche dal lungo pelo. Non ho più la torcia frontale, smarrita in questi freschissimi metri, ma poco importa. Preferisco non raccontare agli altri di quest’entusiasmo che solo l’inverno può dare, di quanto è straordinariamente primordiale sguazzare nella neve. Tanto non mi crederebbero mai.
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 138 DI DICEMBRE 2021

Al via con l'Ultra Trail Mugello il calendario firmato Scott
Dopo due anni difficili, tra sospensioni, piccole ripartenze e annullamenti, la stagione agonistica del trail running si avvicina al via e sono diverse le gare sponsorizzate da Scott Sports. Si parte il 24 aprile con l’Ultra Trail Mugello. 100% Trail è il claim che accompagna questa corsa che si svolge nel patrimonio forestale della Regione Toscana, esattamente nel complesso Giogo-Casaglia. Due le distanze, 60 e 23.5 km, rispettivamente UTM con 3200m e MT con 1280m di dislivello positivo.Iscrizioni aperte.
Fly-Up Sport, capitanata da Mario Poletti, Product Manager SCOTT Running Italia, punta su International Orobie Skyraid, scelta dalla FISky come gara unica valida per l’assegnazione del titolo italiano, maschile e femminile, di UltraSkyMarathon. Sono in tutto otto le gare trail che, da aprile fino a fine ottobre, animeranno la prossima stagione agonistica. Oltre a quelle già note e consolidate, si correrà la goliardica Magut Race, che da anni attrae un numero impressionante di atleti pronti a sfidare pendenze e carichi di cemento. Scopri gli altri appuntamenti.
Continua la partnership con il prestigioso Gran Trail Courmayeur in programma dall’8 al 10 luglio. La gara fa parte del circuito TORX Experience e si svolge in una location unica, al cospetto del Monte Bianco. Tre le distanze proposte: GTC 100 km I 7.200 metri di dislivello positivo; GTC 55 km I 3.800 metri di dislivello positivo; GTC 30 km I 2.000 metri di dislivello positivo.
Il GTC 100 km è gara qualificante per il Tor des Geants 2023. Saranno messi a disposizione 100 pettorali per i finisher GTC 2022 che potranno iscriversi al Tor des Geants 2023 senza passare dal sorteggio. Iscrizioni aperte.
Una gara che non può assolutamente mancare nel palmarès di un vero e proprio trailrunner è la Valmalenco Ultra Trail in programma il prossimo 29-30 luglio a Chiesa Valmalenco. Maggiori info sul sito ultravalmalenco.com
Chiudono il calendario due appuntamenti di prestigio. Il 10 settembre andrà in scena la Frasassi Skyrace che si svolgerà nel cuore delle Marche, nel Parco Gola della Rossa e di Frasassi mentre a fine settembre sarà il turno della Zacup Skyrace, gara di puro skyrunning che si snoda sui sentieri delle Grigne in provincia di Lecco.
Ultrabericus, ecco i top al via
A meno di due giorni dal via, si riempiono le caselline dei top runner che prenderanno parte all’edizione numero undici dell’Ultrabericus, tradizionale inizio di stagione del trail running. Nella new entry di 100 chilometri, sono 150 gli iscritti. Numeri in crescita anche nella Urban Trail, a quota 570 iscritti.
100 chilometri
Tra i Roberto Mastrotto. Vicentino, classe 1987, già vincitore della Ultrabericus Winter. Dietro di lui nel ranking ITRA Alberto Canessa, vincitore del Gran Trail Courmayeur e poi Fabio Di Giacomo, in allenamento per la Leadville 100. Tra le donne Alessandra e Federica Boifava, Marialuisa Tagliapietra, che nel 2021 è arrivata quinta nell’integrale e che quest’anno ha deciso di tentare su una distanza ancora più impegnativa. Occhi aperti anche su Federica Menti, altra atleta vicentina che conosce perfettamente il percorso e non manca in esperienza su queste distanze, quarta nella 65k Ultrabericus 2019.
Integrale 65 chilometri
Il re Dell’Ultrabericus, Christian Modena, sarà al via sulla distanza in cui sa di poter dare il massimo e di cui detiene il record. A sfidarlo Ivan Favretto, Christian Pizzatti (secondo nell'edizione 2018), Stefano Maran. Al femminile, in base al ranking ITRA, la favorita sembra essere l'austriaca Cornelia Oswald, che quest’anno si ha già portato a casa gli 80 chilometri della prova S1 Trail de La Corsa della Bora davanti a Francesca Canepa. L’austriaca dovrà vedersela con Veronica Maran, che tenterà di bissare il successo ottenuto, sempre sulla distanza 65k, lo scorso anno. Altra candidata a salire sul podio è Elena Asia Noacco, che ha corso tutte le edizioni della gara.
Urban Trail
A contendersi il podio maschile potrebbero essere il bellunese Eddj Nani (vincitore insieme a Giulia Pol, anche lei in gara, della Transpelmo 2021), Alessio Gatti (primo uomo lo scorso 30 gennaio a La Ronda Assassina) e il re del Brenta Enzo Romeri. Al femminile, oltre a Giulia Pol, correranno anche la veronese Sofia Toniolo e la padovana Lucia Forte. Tutte e tre dovranno guardarsi dalla francese Melina Clerc, già vincitrice nelle passate edizioni. Sulla distanza Urban, tra gli uomini, scenderà in campo anche il forte triatleta Alessandro Degasperi.
La twin
Una gara da fare in due, metà a testa, con formula staffetta. La Twin rappresenta di solito la parte più amatoriale e goliardica di Ultrabericus, apprezzata da amatori e coloro che, in coppia, desiderano mettersi alla prova. Goliardica fino a un certo punto perché quest'anno vede un livello agonistico importante: i favoritissimi Elisabetta Stocco e Giovanni Corà daranno del filo da torcere alla coppia Stefania Merlo e Alessio Zambon. Da tenere a vista anche Elisabetta Pozza con Ruggero Pianegonda e gli ultraberici Marta Cunico e Jacopo Zuffellato. La Twin segna anche il ritorno di Francesca Pretto in coppia con Francesco Orrico. Ma non finisce qui, perché il parterre è piuttosto ricco e non saranno da meno nel contendersi la vittoria finale sul traguardo di Piazza dei Signori neppure Alberto Ferretto, che correrà con la compagna Gaia Signorini, e Michele Meridio, portacolori del Team Brooks, in gara con la mamma Federica Lionzo.
Boscacci ed Eydallin sbancano la Pierra Menta
Alla Pierra Menta ci vuole pazienza. «Come ho imparato nel 2018, si vince o si perde alla fine della quarta tappa, ma adesso posso dirlo… ragazzi io e Matteo Eydallin ce l’abbiamo fatta» ha dichiarato Michele Boscacci ieri al termine dell’edizione 2022 della regina delle gare. I due azzurri hanno chiuso con il tempo totale di 9h48’24’’ e puntando sulla regolarità, con una vittoria di tappa, due secondi e un terzo punto. Appunto… si vince alla fine della quarta tappa. Così Eyda mette in bacheca la quinta vittoria e Boscacci la terza, beffando i local Gachet-Bon Madion, secondi in 9h51’57’’. Terzo un eterno Kilian Jornet in coppia con Jakob Hermann (9h54’38’’). Da segnalare al quarto posto la coppia francese Jacquemoud/Equy e al sesto François D’Haene, direttamente dall’UTMB all’UTMB dello skialp insieme a Yoann Sert. Poi un intramontabile Filippo Beccari, settimo con Inge Hans Klette. Niente sorprese tra le donne con la ormai local Axelle Mollaret Gachet che porta a casa il primo posto insieme alla svedese Tove Alexandersson in 11h46’01’’, davanti alle azzurre Martina Valmassoi e Katia Tomatis (13h00’17’’) e alla coppia formata dalla francese Lorna Bonnel e dalla slovacca Marianna Jagercikova (13h06’18’’). Sesta Giorgia Felicetti insieme alla polacca Anna Tybor.
Titlis Rundtour XL
Simone si ferma, si gira e aspetta di vedere la mia reazione. Il sole se n’è appena andato e l’ombra della notte si sta lentamente insinuando intorno a noi. A ovest le montagne formano sagome scure contro l’orizzonte arancione. Il cielo assume una tonalità blu metallico. Il freddo ci entra nelle ossa e morde le guance. Le ombre delle bizzarre sculture di neve create dal vento sono lunghe, ma si dissolvono velocemente. Il giorno sta finendo. Siamo nel cuore dell’Europa, le luci delle strade brillano in lontananza. La civiltà è dietro l’angolo, sotto la montagna, ma la sensazione di essere in balìa degli elementi, del vento, delle montagne e delle nostre decisioni apre un buco nello stomaco. La parete sud-est del Titlis (3.238 m) si erge davanti a noi molto più maestosa di quanto abbia mai immaginato nei giorni scorsi, quando sciavamo nel comprensorio che si sviluppa sul versante opposto. È la prima volta che affronto il lato B del Titlis, quello meno turistico della montagna simbolo di Engelberg, in Svizzera. Simone riceve un messaggio affermativo dalla radio e risponde urlando di gioia, come solo lei sa fare; e come segno distintivo della sua anima eternamente giovane. È una ragazza che nell’adolescenza ha trovato uno snowboard, poi uno split, ovvero un’anima che ha trovato il suo avatar. Una cotta che, a dirla tutta, durerà finché morte non le separi. Via radio faccio sapere a Simone che probabilmente sono riuscito a immortalare alcune delle ultime curve della giornata, proprio come volevamo. Insieme percorriamo al buio l’ultimo tratto di discesa dalla cima di Grassen (2.946 m) verso il Biwak di Grassen (2.647 m), appagati per aver vissuto la magia di un altro tramonto in montagna. All’interno del bivacco incontriamo la Guida alpina Sämi Speck e il suo cliente che hanno appena cenato. Sämi maneggia un sacchetto di tabacco e finisce una tazza di caffè. Il bivacco è affollato anche se siamo solo in quattro. Mentre mi tolgo con fatica gli scarponi da sci duri come le pietre per il freddo, facendo attenzione a non urtare e a non far cadere nulla, Simone cucina uno stufato di lenticchie che sarà la nostra cena. Il pernottamento nel bivacco deve essere prenotato con una telefonata al signor Hurschler e pagato con una transazione su un conto svizzero.
L’edificio, che ricorda nella forma un modulo lunare, può ospitare fino a 18 persone, almeno secondo quanto riportato sul sito web. Un’affermazione che, dopo averci passato una notte, metto seriamente in dubbio. È possibile che 18 persone entrino nei tre piani di letti che occupano metà dell’interno, ma quattro sono sufficienti per riempire lo spazio vitale. Senza che me ne accorga, c’è uno stufato di lenticchie fumante davanti a me. Simone apre una delle bottiglie della cantina, una minuscola botola che nasconde una piccola scorta di etichette. Il pagamento viene effettuato sullo stesso conto del pernottamento e tutto si basa sulla libertà, che viene dopo la responsabilità. Un concetto che vale sia per la possibilità di bere alcolici che per il pagamento. La fiducia nell’individuo e nelle sue capacità è maggiore qui che altrove. La libertà non crea problemi, al contrario, rende l’esistenza piacevole. Mentre Simone stappa la bottiglia, scambia qualche battuta con Sämi, che ora si è infilato nel letto. Il tedesco parlato da uno svizzero è diverso dalla lingua che ho studiato a scuola. Capisco un po’ di quello che viene detto, ma non certo grazie ai miei studi, piuttosto grazie alle ore passate in montagna con gli amici svizzeri che mi hanno permesso, giorno dopo giorno, di capire il senso dei discorsi di questo dialetto che cambia di villaggio in villaggio. Parlano della giornata di Sämi. Lui racconta di aver portato il suo cliente in cima al Fünffingerstöck (2.994 m), una deviazione di circa tre ore dal percorso normale verso il bivacco Grassen. Domani si alzeranno presto, molto presto, e si dirigeranno verso il Gross Spannort (3.198 m), una delle cime più caratteristiche, ben visibile da Engelberg. Prima di spegnere la lampada frontale, Sämi ci racconta della sua scorta segreta di caffè nel bivacco. Fuori dalla porta, la neve soffice, riscaldata dal sole, ora è ghiacciata. Il cielo limpido è rischiarato dalla luna piena. Il Titlis al tramonto non è niente in confronto alle sensazioni che trasmette la ripida parete di roccia al chiaro di luna. L’esistenza nasconde molte sorprese e le più belle sono spesso quelle più inaspettate.

Sämi e il suo cliente sono lontani quando Simone e io ci svegliamo. Il caffè è proprio dove la Guida ce l’aveva promesso, e accanto c’è una moka. La mattinata è lenta ed è già tardi prima che chiudiamo la porta a chiave e iniziamo a scendere dal passo in direzione di Engelberg. Il terreno è collinoso e perde quota quel tanto che basta per disegnare grandi curve sui piccoli dossi. Il paesaggio ondulato aggiunge varietà alle virate. Le possibilità sono quasi infinite: quarter pipe naturali, rollover e piccole spine. Più giù, nel bosco, a Simone viene un’idea. Nella sua mente balena una scintilla di creatività, quella creatività che è alla base del lavoro di grafico. Le piacerebbe andare al Fünffingerstöck durante il prossimo Titlis Rundtour. Così, finita la discesa, inizio a chiedere informazioni, anche sulla salita al Gross Spannort, e su quanto sia difficile fare quello che Sämi ha fatto in giornata. In risposta, mi viene detto che lì il terreno è impegnativo, glaciale e rischioso. Che una scelta sbagliata della linea può portare a problemi dai quali solo un elicottero può tirarti fuori. Ci vuole tanta esperienza e Simone non se la sente di andare noi due da soli. È così che nasce l’ipotesi di un Titlis Rundtour XL: il nostro gruppo di due persone dovrà allargarsi per raggiungere in sicurezza la vetta del Fünffingerstöck e poi continuare verso Spannort. Inizio a pensare alle soluzioni e intanto l’inverno diventa primavera e marzo, aprile.
Il tempo sta per scadere quando me lo trovo davanti in abiti dalle tonalità fosfò. Sto parlando di Ryan Colley, che conosce l’itinerario e vorrebbe tornare a sciarlo. Nel gelo che arriva veloce, mentre il sole tramonta sul party dell’annuale giornata in stile anni ’80, abbozziamo il nostro piano. Intanto 150 persone vestite come se venissero direttamente dal set di un film di sci dei favolosi eighties ci circondano ammiccanti. Ryan indossa una tuta del decennio giusto, ma gli stivali sono troppo moderni. Originario della Nuova Zelanda, da qualche anno vive in Svizzera per dare sfogo alla sua passione per la montagna, con il sogno di diventare Guida alpina. Alla torrefazione locale, quando la sbornia inizia a scemare, ragioniamo più seriamente sull’idea. Vengono proposti diversi percorsi. Simone vuole ancora andare al Fünffingerstöck, io scendere sul retro, in un’altra valle, e passare una notte alla Sustlihütte. Ryan boccia l’idea di salire al Gross Spannort, ma vuole portarci alla Secret Line, una discesa che inizia da qualche parte tra Grassen Biwak e Gross Spannort. Oscar, che gestisce la torrefazione con sua sorella, si illumina quando menzioniamo la Secret Line. Però ci corregge: non è un segreto, ma va tenuto segreto. Poi sorride ancora e ci lascia. La sua smorfia mi convince: se a Oscar, un local con ottima reputazione, piace l’idea, è un buon piano.
L’appuntamento con Simone e Ryan è alla funivia, per prendere la prima corsa fino in vetta al Titlis. Percorriamo un paio di centinaia di metri fino a Steinberg prima di girare a sinistra e traversare al sole per Never, dove ci togliamo gli sci e la split e proseguiamo lungo la cresta che porta all’ancoraggio per la prima calata, quella che dà inizio al Titlis Rundtour. Il Rundtour è un classico locale, il percorso normale è una gita di un giorno: due calate in doppia e una lunga salita con le pelli fino al passo dove si trova il bivacco, poi inizia la discesa per Engelberg. Alla prima calata ci ritroviamo in coda, e qui non è inusuale in alta stagione. Mentre si chiacchiera con gli altri sciatori, qualcuno dice che qualche giorno prima una donna anziana ha dovuto essere recuperata in elicottero a causa di un ancoraggio che ha ceduto mentre scendeva. Un altro promemoria di quanto velocemente e inaspettatamente le cose possano andare male in montagna. In un attimo il miglior momento della tua vita può trasformarsi nel peggior momento. Mentre lascio scivolare i miei sci all’indietro facendo affidamento sull’imbrago e la corda fissa, sento il vuoto nello stomaco. Alla seconda calata, qualche centinaio di metri più in basso, la primavera si è manifestata, mostrando rocce che di solito sono coperte di neve. Qui, come nella prima calata, di solito si tengono gli sci ai piedi, ma questa volta, per salvare le lamine e le solette, li leghiamo ai nostri zaini. Quando raggiungiamo la cima del Fünffingerstöck dopo una lunga pellata, le nuvole si avvicinano. Simone scatta un’ultima foto, Ryan è eccitato come lo è stato dalla prima volta che ci siamo incontrati al party anni ’80. Ora è ancora più su di giri: la montagna occupa una parte importante nella sua anima e nel suo cuore. Le prime curve nella Meiental, la valle dove si trova la Sustlihütte, sono belle. La neve è così indulgente e calda in primavera: sorbetto sopra e ghiaccio duro sotto che trasmette stabilità e sicurezza. La pendenza è giusta per disegnare grandi otto, il pendio ampio e non difficile, lievemente ondulato. Le nuvole scure che nascondono le cime aggiungono mistero al momento. Più in basso, più ci avviciniamo alla Sustlihütte, più la neve diventa pappa.

Lo strato di sorbetto assume consistenza e quello di ghiaccio che sta sotto cala. Lo sci primaverile nella sua forma più infida, subdola e imprevedibile. Una curva troppo forte nel posto sbagliato può innescare un fiume di neve pesante e bagnata che scivola giù per la montagna. E potrebbe anche trascinarti insieme alla colata. Arriviamo alla Sustlihütte poco prima di cena. Ryan è già stato qui all’inizio della stagione quando, come in buona parte dei rifugi dello Schweizer Alpen-Club, era aperto solo il locale invernale. Ora, a stagione inoltrata, alla Sustlihütte c’è il gestore e servizio di albergo. Il prezzo per un pernottamento include la mezza pensione, con prima colazione e cena. Pasti semplici per riempire lo stomaco. Dopo la zuppa, Ryan descrive il piano per il giorno dopo. La giornata inizierà con una lunga salita con gli sci in direzione di Stössensattel, poi una breve discesa sopra la zona conosciuta come Herrengrassen e una ripellata per raggiungere l’inizio della Secret Line, sul lato occidentale del ghiacciaio di Spannort. Da lì sono 1.500 metri di dislivello fino a Engelberg.
Il terreno intorno all’Herrengrassen è molto vasto, a volte ripido e impegnativo, tra rocce e morene glaciali. Quella che all’inizio sembra una linea interessante, può finire bruscamente in un precipizio. La conoscenza del luogo e l’esperienza di Ryan sono fondamentali. «L’ultima parte dovrebbe essere la più spettacolare» promette. È un couloir con alte pareti coperte di ghiaccio blu, un progetto personale di Ryan, una linea che ha individuato la scorsa estate. Un problema da risolvere, un’idea fissa che deve essere chiusa per mettersi l’anima in pace. O un vuoto da colmare nel suo cuore, sulla strada verso la felicità. Il dessert lascia presto spazio all’alcol. L’arredamento della sala da pranzo non sembra avere molti anni alle spalle. Anche se le strutture sono semplici, la Sustlihütte è come un piccolo castello di montagna, con muri di pietra
e servizi più che adeguati per uno sciatore. Un gruppo di ospiti finlandesi si siede al tavolo accanto al nostro: la loro compagnia scala velocemente la classifica del tavolo più piacevole del rifugio. La mattina dopo, i miei occhi assonnati li vedono mettere le pelli agli sci. Nel frattempo, il sole sta colorando di rosso le cime intorno alla Sustlihütte, fuori dalla finestra della camera dove abbiamo dormito. Sono lontani quando Ryan, Simone e io cominciamo a salire verso Stössensattel. Il couloir Alpenrösli, il canalone che Ryan ha in mente da quasi un anno, è stata l’ultima cosa che ho sciato in questa stagione. Un finale dal sapore agrodolce. C’è la gioia dei giorni trascorsi in compagnia di un’amica di lunga data e di un amico ritrovato, ma alla fine di quel fantastico couloir una sensazione di euforia si è mischiata a un crescente senso di ansia. Le prossime sciate saranno insignificanti in confronto a quello che ho appena vissuto? La stessa ansia che provi quando la persona per la quale batte il tuo cuore ti striscia tra le braccia. In quel momento tutto è magico, ma sapere che il resto dell’esistenza potrebbe non essere mai più così sorprendente è una farfalla che cresce nel mio stomaco.
DA SAPERE
Per farsi accompagnare lungo il Titlis Rundtour ci sono
le Guide alpine di Engelberg engelbergmountainguide.ch
Rifugio e bivacco di riferimento per gli itinerari proposti
sono il Grassen Biwak sac-engelberg.ch/grassenbiwak
e la Sustlihütte sustlihuette.ch
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 138 DI OTTOBRE 2021
Skialper Archive / Sesso, droga e la curva perfetta
«Sciare nella neve fresca è la massima essenza dello sci. Significa libertà, con un’enfasi non su come lo si fa, ma sul farlo di più... è al di là dell’attrezzatura, della forma, della tecnica. Forse la cosa più importante è che lo sci nella polvere significa allontanarsi dalla folla in un posto dove non ci sono tracce, impianti, recinti, altri corpi. Solo neve. È un altro mondo».
Dall’editoriale del primo numero della rivista Powder, 1972
C’è tutta una filosofia e un’economia dietro al concetto di essenza – o di anima – degli sport all’aria aperta: chi ce l’ha veramente, dove la si trova e perché. Naturalmente ci sono sport che da sempre rivendicano un’anima che è diventata argomento di promozione e di commercializzazione, nei video e nelle pubblicità: il surf, l’arrampicata e lo sci sono ai primi posti di questa lista.
Ma l’anima può essere sia effimera che onnipresente, più evidente in certe sotto-discipline all’interno della sfera più ampia di qualsiasi attività. Negli sport invernali, è un soffio che avvolge tutto il mondo della neve fresca: powder, poudre, pulverschnee, nieve polvo. Proprio come getting barreled (surfare nel tubo all’interno dell’onda) è l’esperienza più mistica nel surf, così un face shot, uno spruzzo di polvere, è il Santo Graal dello sci.
Naturalmente l’anima dello sci è un mix perfetto che mette insieme anche i luoghi speciali dove andiamo a caccia di polvere e le persone con cui condividiamo l’esperienza: la formula è semplice: persone + luogo + polvere. Ed è quello che ha attirato e attira sempre di più nella montagna aperta molti di noi, annoiati dall’ambiente artificiale delle località sciistiche. O forse è lo spettro del cambiamento climatico e la preoccupazione che non ci resti molto tempo per godere del fenomeno della neve fresca. Oppure, come recita un cliché un po’ démodé, la polvere è come una droga potente – una volta che l’hai provata, puoi solo desiderarne di più. Qualunque sia la ragione, We want powder è il nuovo We want fast lifts nell’industria degli sport invernali.
«Il vero sciatore non segue gli altri. Non si limita a una pista. È un artista che ricama un bel disegno nella neve vergine e incorrotta. La cresta coperta di neve polverosa per il vero sciatore è come il marmo per lo scultore. La neve la cui bellezza è stata distrutta da migliaia di sciatori sulla pista non registra il passaggio di un altro sciatore. Solo la neve soffice registra i movimenti dei singoli sciatori, ed è unicamente nella neve soffice che il vero artista può esprimersi».
Arnold Lunn, Le montagne della gioventù, 1925

Ci sono molte attrazioni nella neve fresca. È naturale, per prima cosa. Fresca. Pulita. Brillante. E non fa male quando si cade. Ma i veri aficionados sanno che è molto di più. C’è una certa trascendenza nel galleggiare sulla powder che va al cuore dell’intera esperienza sciistica, qualcosa che non può essere adeguatamente descritto, ma che deve essere sperimentato per essere compreso appieno. C’è chi ha detto che spiegare lo sci nella polvere a un neofita è come spiegare il sesso a una vergine. Banale ma vero, però cercherò di dirlo diversamente. Lo sci nella polvere è una questione di parole e di incapacità di parlare. Di raccontare, ma non riuscire a descrivere. Riguarda il silenzio che ti circonda, ma anche come quella quiete in qualche modo amplifichi il battito del tuo cuore, l’ansimare del tuo respiro, il vento tra gli alberi. Si tratta di grugniti involontari di sforzo e strilli inconsci di gioia. Si tratta di ispirazione. Disperazione. Matrimoni falliti. Cattiva poesia. Sorrisi. Sciocchezze. Dita dei piedi congelate e mal di testa
da gelato. Prime tracce e sci persi. La magica sensazione di affondare seguita da una momentanea assenza di peso. Di arrancare, navigare e surfare, attraverso e sopra a crosta, sastrugi, pappa, cemento e ogni sorta di brutta neve, solo per arrivare alla roba buona. È un modo di sentire. Un modo di pensare. Un modo di vivere. Un modo di condividere.
L’ultima parte è importante perché la relazione della polvere con gli amici con cui la vivi è difficile da descrivere. Ma farò un tentativo anche per questo. Dolores LaChapelle ha scritto che, se la gioia è la risposta di un amante che riceve ciò che ama, è anche la sensazione che proviamo quando sciamo nella neve polverosa con gli amici. Una gratitudine traboccante che produce i sorrisi assolutamente assurdi che illuminano i nostri volti alla fine di una discesa. Non vedi mai questo tipo di mimiche facciali; non sulle facce di chi lascia un campo da tennis, un campo da golf o una pista di hockey; non su quelle di chi scende da un podio dopo un grande discorso o lascia un club dopo una favolosa serata di ballo. Nient’altro si avvicina al significato dei sorrisi condivisi nella polvere: sono un riflesso della vita pienamente vissuta, insieme, in un tripudio di realtà.
«Non ci si può mai annoiare a sciare nella neve polverosa perché è un dono speciale della relazione tra terra e cielo. Arriva in quantità sufficiente solo in determinati luoghi e in alcuni momenti su questa terra; dura solo un tempo limitato prima che il sole o il vento la trasformino. Le persone le dedicano la loro vita per il piacere di essere così semplicemente in balìa della gravità e della neve».
Dolores LaChapelle, Earth Wisdom, 1978

Molti di noi sono così estasiati dai sentimenti generati dalla neve polverosa che girano il mondo per inseguirli nel maggior numero possibile di posti diversi. Quando si parte per un pellegrinaggio in un Paese lontano, su montagne sconosciute, alla ricerca della neve, in realtà si sta cercando qualcosa di più di una semplice scivolata esotica. Ciò che si desidera veramente è cogliere l’attimo e gli amici del giorno, poi mescolarli insieme. Un nuovo esperimento nel laboratorio dell’inverno. Che si tratti di Europa, Alaska, Canada, Scandinavia, Nuova Zelanda o Giappone, gli ingredienti di base sono gli stessi: roccia, ghiaccio, cime, discese, neve. Eppure tutti sono anche deliziosamente diversi: una nuova latitudine, una luce unica, strane foreste, curiose formazioni di neve.
Scoprire l’anima dello sci vuol dire seguirne le linee sui fazzoletti di neve di tutto il mondo e i comprensori sciistici hanno giocato con questo desiderio per creare un mercato internazionale. Però i veri top player nella corsa alla polvere profonda si sono tenuti a lungo in disparte, sussurrando i migliori segreti tra di loro nelle code degli impianti di risalita e passandosi la versione beta tra fratelli. Ma, con l’aumento della domanda, questa situazione non poteva durare. Mentre gli operatori turistici soddisfano il crescente appetito del pubblico per le destinazioni uniche, la natura selvaggia e la polvere non tracciata, angoli del mondo tradizionalmente sonnolenti come il Giappone settentrionale, la Turchia e la Bulgaria ospitano un numero sempre maggiore di sciatori in arrivo da tutto il mondo. Diversi comprensori americani ed europei hanno aperto interi settori per il freeride e l’esplosione dello scialpinismo è senza precedenti. Che sia human powered o no, il business della polvere è in piena salute.
Basti pensare che nella sola British Columbia, in Canada, la capacità dell’industria dello sci backcountry (con una grossa fetta rappresentata da eliski e cat skiing, vale a dire la risalita con mezzi cingolati, ma anche una crescente popolarità dello skialp, che può contare ogni anno su nuovi lodge e itinerari segnalati) è più che raddoppiata nell’ultimo decennio e la domanda supera ancora l’offerta. Confrontate questa ricerca della powder con l’attuale sovrabbondanza globale di spa e terme. Non sono un venditore, ma direi che potrebbe essere una buona pubblicità: i benefici di uno schiaffo in faccia con la neve fredda potrebbero effettivamente superare quelli dell’aromaterapia o della stone therapy lungo la schiena.
«C’è un’esperienza del niente quando si scia nella neve fresca. Ma l’idea del nulla nella nostra cultura è spaventosa e non abbiamo parole per descriverla. Invece nel pensiero taoista è chiamata la pienezza del vuoto da cui provengono tutte le cose. Le mie esperienze con la neve polverosa mi hanno dato i primi barlumi delle infinite potenzialità della mente».
Dolores LaChapelle, Polvere Profonda Neve, 1993
Quest’ultima citazione potrebbe essere un po’ troppo zen per alcuni, ma LaChapelle ha ragione. Quando si arriva al dunque, surfare la neve fresca non riguarda l’esperienza esteriore, ma quella interiore. Riguarda quell’intersezione cruciale di mente e corpo, dove pensiero e sentimento non possono essere separati. Fermarsi in fondo a un pendio e guardare indietro verso una linea che sei convinto sia stata la migliore discesa della tua vita, appoggiandoti alla fettuccia dei bastoncini e sorseggiando l’aria attraverso un sorriso, non appartiene solo a te, ma a tutti quelli che sono stati per qualche minuto in piedi con le gambe che tremano così tanto e hanno vissuto quella stessa esperienza. E non importa quanto sia stata lunga la discesa o quanto ti senta pieno di dolori, importa che sei consapevole che, se anche non dovessi sciare più, andrebbe bene così. Però una discesa nella powder scatena quel tipo di reazione chimica che fa sì che il tuo cervello ne voglia sempre di più, che ti fa pensare di non averne mai abbastanza, e che la prossima volta sarà sempre meglio.
Forse tutte quelle analogie sul sesso e... non erano poi così banali.
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 138 DI OTTOBRE 2021













