SCARPA cavalca l'onda outdoor: Crescita del 22% nel 2021
SCARPA: FATTURATO A 134 MILIONI DI EURO
L’azienda di Asolo chiude il 2021 con una crescita del 22% Il Presidente: “Il boom dell’outdoor una spinta decisiva, prosegue la nostra strategia di espansione in nuove aree”

Asolo (TV), giugno 2022 – SCARPA, azienda italiana leader nella produzione di calzature da montagna e per le attività outdoor, ha chiuso il bilancio consolidato 2021 con un fatturato pari a 134 milioni di euro, in progresso del 22% rispetto ai 110 milioni del 2020.
“La riscoperta delle attività outdoor negli ultimi due anni ha rappresentato una spinta molto importante per i ricavi di SCARPA – sottolinea il Presidente Sandro Parisotto. Dopo un 2020 caratterizzato da un incremento più contenuto, abbiamo archiviato un 2021 molto positivo: siamo tornati a crescere in doppia cifra, in misura superiore rispetto alle attese, e ci attendiamo di farlo ancora in questo 2022. Consideriamo il boom dell’outdoor un trend strutturale che interessa non solo l’Italia ma l’intero scenario internazionale, e in questo contesto intendiamo proseguire con la nostra strategia fondata su alcuni pilastri fondamentali come la qualità, la performance, la durabilità dei prodotti, l’innovazione e l’attenzione alle tematiche ambientali. Questi valori rappresentano un trait d’union tra la storia e le origini dell’azienda e il prossimo futuro: su queste basi puntiamo ad ampliare ulteriormente il nostro business, consolidando la leadership nei mercati in cui siamo già forti e guardando alle aree in cui ci sono più margini di crescita”.
I risultati 2021 confermano inoltre la vocazione internazionale di SCARPA, con una quota export sul fatturato pari all’82%. Il primo mercato estero è rappresentato dagli USA, con una quota del 20%, seguito da Germania/Benelux, Gran Bretagna, Francia e Austria.
Per quanto riguarda le categorie di prodotto, lo scorso esercizio ha registrato una significativa crescita del segmento dello scialpinismo, che da solo ha prodotto un volume di affari pari a quasi un quinto del
fatturato totale, in linea con il boom di questa disciplina negli ultimi anni. Ottime performance sono state registrate anche nei settori climbing, trail running e trekking.
Nonostante le incertezze legate alla pandemia e alle tensioni dello scenario internazionale, SCARPA ha continuato a portare avanti la sua politica di investimenti sulla Ricerca e Sviluppo, da sempre uno dei tratti distintivi dell’azienda, per la quale sono stati stanziati 5 milioni di euro nello scorso esercizio. Alla fine del 2021 l’azienda ha inoltre varato un piano di investimenti da 12 milioni di euro destinati allo sviluppo del business, con un particolare focus sulla sostenibilità, uno dei punti cardine attorno al quale ruota da sempre l’attività di SCARPA.
Nel corso del 2021 SCARPA ha ulteriormente consolidato il proprio impegno sul fronte ambientale. Con il Green Manifesto l’azienda ha voluto mettere “nero su bianco” i principi sostenibili dell’azienda per concretizzarli in nuove iniziative, finalizzate ad allineare l’attività ai migliori standard internazionali: un impegno programmatico molto importante, che rappresenta il punto di riferimento per le scelte che SCARPA opererà nei prossimi anni.
Running Up For Air e la consapevolezza sull'aria che respiriamo
Torna in Italia Running Up For Air, il progetto internazionale supportato da Patagonia che ha come obiettivo quello di aumentare la consapevolezza sulla qualità dell'aria che respiramo. La tematica, trasversale a tutti gli sport praticati outdoor, è quella della lotta per il diritto a respirare aria pulita, tematica che nell'ultimo periodo è sempre più al centro del dibattito tra ONG associazioni per la tutela e la salvaguardia dell'ambiente e istituzioni. Con RUFA l'intento è quello di sensibilizzare i cittadini mettendoli in contatto con realtà locali che, quotidianamente, si battono attraverso eventi, incontri e corsi di formazione che, partendo dalle scuole fino ad arrivare al singolo individuo (praticante e non), portando avanti azioni e proposte indirizzate limitare il nostro impatto sull'inquinamento dell'aria.

"Running Up For Air è una sfida di resistenza che consiste nel correre su e giù per una montagna o una collina per un periodo compreso tra una e 24 ore, il tutto per aumentare la consapevolezza sull'inquinamento dell’aria.
Questa è una tematica che mi sta a cuore, in quanto padre e cittadino di Londra, dove abbiamo un livello di tossicità dell’aria tra i peggiori in Europa"
Martin Johnson, Patagonia Trail Ambassador,
“Fin dal debutto dell'evento ho voluto che la gente non solo si iscrivesse, ma che partecipasse alla missione di Running Up For Air. Questo implica sensibilizzazione, comunicazione e senso di comunità. Incoraggio le persone a informarsi sui problemi della qualità dell'aria e a pensare alle decisioni che prendono ogni giorno, relative al consumo di energia e all'inquinamento ad esse associato".
Jared Campbell, fondatore di Running Up For Air,



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Questa iniziativa europea si è svolta in modalità ibrida, digitale e fisica, con i trail runner invitati a partecipare direttamente dal loro parco, il loro sentiero o la loro montagna dietro casa, come per esempio al Monte Stella, a Milano, dove i runner presenti hanno avuto la possibilità di correre da una a 24h a sostegno delle associazioni che si battono per una migliore qualità dell'aria, come ClientEarth, Cittadini per l’Aria o Genitori antismog. Grazie alla collaborazione con Strava è avvenuta la tracciatura dei percorsi utilizzati ed è stato assegnato uno speciale badge a tutti i partecipanti. È inoltre possibile continuare a donare sul sito RUNNING UP FOR AIR selezionando le ONG a cui destinare il proprio sostegno.
Running Up For Air è stata fondata nel 2012, nelle Wasatch Mountains tra Utah e Idaho. La manifestazione si è tenuta in Europa già due volte; nel 2021 ha permesso di raccogliere oltre 20.000 euro per le ONG che si impegnano costantemente attraverso campagne, formazione e attivismo per la salute dell'aria che respiriamo.
Skialp Gran San Bernardo, nuovi orizzonti per il turismo
Promuovere lo scialpinismo, facendo scoprire il territorio a cavallo tra l’Italia e la Svizzera e incrementando ancor di più il legame tra le due vallate di confine. Questo il progetto Skialp@GSB, finanziato dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale e rientrante all’interno del programma Interreg ormai giunto alla conclusione. Ieri, venerdì 24 giugno, all’ospizio del Gran San Bernardo, è stato organizzato il convegno ‘Skialp Gran San Bernardo: nuovi orizzonti per il turismo’, occasione utile per guardare al domani e per riepilogare tutte le azioni messe in campo in questi anni. «Con questo progetto il Comune di Saint-Rhémy-en-Bosses ha inteso promuovere lo scialpinismo e il conseguente sviluppo territoriale – ha spiegato il Sindaco Alberto Ciabattoni – candidandosi a diventare un polo di riferimento per gli scialpinisti, che qui possono trovare fantastici itinerari accompagnati da servizi e strutture adatte alle loro esigenze. Diversificare l’offerta valorizzando attività alternative e sostenibili significa guardare al futuro verso un turismo basato su scale territoriali piccole con un approccio di scoperta dei territori basato sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica: il progetto Skialp@GSB ha offerto ai nostri territori una grande occasione per ripartire in questo senso con una nuova rinascita».
Sono stati mappati 31 itinerari sul territorio italiano, dieci su quello elvetico, è stata creata una app con tutte le informazioni utili, attivati diversi canali di comunicazione e installato il bivacco di Crevacol, definito dal Sindaco «una chicca, un vero atout turistico». Ed è per questo motivo che tra pochissimo ne verrà posizionato un altro, questa volta al Col Fourchon, intitolato alla memoria di due grandi appassionati di scialpinismo e di freeride, Alfredo Canavari e Alessandro Letey, che hanno perso la vita in un incidente in montagna nella primavera 2021.
L’evento è servito anche per mettere a confronto alcune realtà nazionali e internazionali. Curioso l’esempio della Valle Maira, una località che non presenta impianti di risalita e che ha rischiato di vivere il fenomeno dello spopolamento. Oggi si contano invece tra gli 80 e i 100 mila passaggi turistici annui, in una valle che conta all’incirca 12.000 abitanti. «L’esperienza della Valle Maira - ha raccontato il Presidente di Uncem Piemonte Roberto Colombero, già presidente dell’Unione Montana Valle Maira - è nata 25 anni fa dall’intuizione di due turisti austriaci: in prima battuta si è trattato di un turismo estivo, legato ai percorsi occitani a piedi, che hanno attirato nella nostra valle soprattutto turisti stranieri. In seguito, a completare l’offerta, è arrivato lo scialpinismo che ha consentito di sviluppare ulteriormente questo tipo di turismo, che oggi, anche grazie agli investimenti degli abitanti, fa registrare numeri davvero importanti». Corrado Jordan, oggi consigliere regionale e ideatore di questo progetto, ha spiegato come «Skialp Gran San Bernardo sia diventato a tutti gli effetti un prodotto turistico che si è integrato con il territorio e ha trovato pronta risposta dalle imprese ricettive e commerciali, che hanno saputo cogliere l’opportunità adattando i loro servizi a questo tipo di attività». Ora si guarda al futuro, le Valli del Gran San Bernardo auspicano il bis, con un nuovo progetto già presentato.
La Sportiva Lavaredo Ultra Trail by UTMB, è iniziato il conto alla rovescia
Finisci che vorresti già ripartire. Dopo il non la farò mai più, tagli il traguardo che sei già sul sito, pronto a effettuare la preiscrizione per il prossimo anno. Le emozioni ti travolgono, per 365 giorni rivivi quei passaggi, quelle salite, quelle montagne. Le Dolomiti ti entrano nell’anima. Ti prepari al meglio per quei 120 chilometri che ti porteranno nuovamente a tagliare il traguardo in Corso Italia a Cortina D’Ampezzo. Questa è la Lavaredo Ultra Trail, unica gara italiana a rientrare nel neonato circuito UTMB World Series e che ogni anno richiama atleti da tutto il mondo, pronti a darsi battaglia fino all’ultimo metro corribile. È tutto pronto per la tradizionale partenza in Corso Italia, in programma venerdì 24 giugno alle 23.
Il tedesco Hannes Namberger, Team Dynafit, è pronto a difendere il titolo e il record del percorso 2021. Dopo un sesto posto all’UTMB e un inizio brillante con il primo posto a Penyagolosa, darà tutto per mantenere quanto ottenuto l’anno prima.
Andreas Reiterer, Team Asics, arriva da un inizio di stagione molto positivo, dopo la conquista del suo terzo titolo italiano consecutivo. Per lui, la LUT, un conto in sospeso. L’anno scorso, dominando per 85 km, si è dovuto ritirare a causa di forti dolori allo stomaco. Ora ha voglia di rifarsi. Lo spagnolo Pau Capell ha grandi aspettative e ha messo la gara tra i suoi obiettivi di stagione. Anche per lui, inizio brillante con la vittoria di Patagonia Run. L’atleta del Team The North Face dovrà tenere d’occhio il connazionale Pere Aurell Bove, incognita che potrebbe rivelarsi un uomo da battere. Riflettori puntati anche sugli atleti cinesi, assenti da due anni, che hanno visto esplodere il trail nel loro paese e stanno scalando il ranking mondiale della specialità. Tra gli italiani, occhi puntati su Roberto Mastrotto, Georg Piazza, Francesco Cucco e Riccardo Borgialli, alla prima volta su questa distanza.
In campo femminile grande attesa per la sfida Mimmi Kotka e Ragna Debats. La spagnola del team Merrell ha iniziato il 2022 centrando quattro vittorie su quattro, dominando la Transgrancanaria e Istria 100 miglia. Per l’atleta del Team La Sportiva, un avvio di stagione tranquillo con un secondo posto alla MaxiRace Marathon di Annecy. Non ha esagerato e sembra avere un’ottima condizione fisica e mentale. Dopo il terzo posto nel 2021, punta sicuramente al gradino più alto. Attenzione anche ad Alessandra Boifava. Silenziosa e riservata, ha dominato Ultrabericus 100 mettendo in luce la sua grande forma fisica attuale. Sarà lei la terza incomoda?
120 Km, 5.800 m D+, 2.450 metri di quota alla Forcella Lavaredo, la lunga salita in Val Travenanzes… È tutto pronto.
Skialper Archive / Desert love affair
Due pro skiers e un fotografo alla ricerca di discese nella polvere. Ma è una polvere diversa, appiccicosa e abrasiva, le pelli sono sostituite dai cammelli e le tracce svaniscono dopo pochi secondi, cancellate dal vento del sud.
Testo Donny O'Neill Foto Daniel Rönnbäck
Quando chiudo gli occhi e lascio divagare la mente, mi ritrovo sulla vetta di una montagna innevata e illuminata dai raggi del sole, con il riverbero e una leggera brezza che penetra nel casco e fa vibrare ogni capello. Essere su una vetta mi trasmette una sensazione di familiarità, ma anche di passione e avventura. Ma ora, con gli occhi chiusi e il vento che fa svolazzare i capelli, sento come un prurito sulla pelle. Attraversa la faccia e arriva ai denti. Sabbia. Sabbia negli scarponi, sotto gli sci e nella pelle. Questa volta, sulla vetta di una grande duna del Sahara, con una linea vergine da sciare sotto di me, mi ritrovo immerso in un corteggiamento con il deserto.

Il sole aveva assunto una tonalità rossastra filtrato da quelle nuvole di sabbia. Non c’erano alberi, né moto che rombavano per le strade e neppure negozi illuminati fino a notte fonda come a Marrakech.Era una città piatta che pullulava di vita e di commerci che si adagiava sulle colline. Le colline piano piano diventavano montagne e le montagne si perdevano nel cielo sporco. Dai ciliegi in fiore ai pini, dalla neve alla sabbia: avevamo viaggiato nove ore verso Sud-Ovest attraverso il Marocco e le valli dell’Atlante fino al villaggio di Merzouga, nella regione di Erg Chebbi, deserto del Sahara.Dietro di me c’erano i pro skiers Chad Sayers e TofHenry e il fotografo Daniel Rönnbäck che stavano sorseggiando una calda tazza di tè del deserto e sgranocchiando i biscotti che avevano trovato alla stazione di servizio. Un viaggio fino in Marocco per sciare dove quasi tutti non l’avrebbero fatto. Chad cercava la curva perfetta nella powder con profumo di deserto, Tof nuovi couloir in stile Chamonix e Daniel di catturare quell’allure esotica di un viaggio con gli sci in Africa attraverso l’obiettivo. E poi io, che mi sono unito all’avventura di una vacanza sciistica diversa in qualità di quarto nomade. Davanti a noi c’era Muhammad, la nostra guida del deserto. Ci siamoDue pro skier e un fotografo alla ricerca di discese nella polvere. Ma è una polvere diversa, appiccicosa e abrasiva, le pelli sono sostituite dai cammelli e le tracce svaniscono dopo pochi secondi, cancellate dal vento del Sud seduti sotto il cielo nuvoloso con la sabbia che stava ancora depositandosi al suolo dopo due giorni di tempesta. La luna piena bucava le nubi con la sua luce chiara e illuminava le sagome dei cammelli di Muhammad, Mali e Jimmy. Stavamo per lasciare il comfort della casa di Muhammad per un accampa-mento da dove il giorno successivo saremmo partiti per la nostra pellata sulle dune del deserto.Ora il pulviscolo della sabbia era sparito dall’aria, lasciando trasparire in tutta la sua potenza il contrasto tra il bronzo della sabbia e il blu intenso del cielo.Le nuvole correvano sopra di noi, creando un filtro ai potenti raggi del sole. Alle 8 il termometro segnava22 gradi e la pelle iniziava a scottare. Con i turbanti ad avvolgere i capelli, gli sci sulla schiena e i bagagli ridotti al minimo siamo partiti in groppa ai cammelli verso un infinito di sabbia. Le tracce tra i granelli raccontavano le storie di altri viaggi. Nonostante il vento che aveva soffiato da Sud a Nord erano rimaste le tracce di altri cammelli passati prima dei nostri, di pesci delle sabbie (una specie di lucertola tipica del deserto) che scappavano dai topi del deserto e le piccole orme degli scarabei. Piccoli e paffuti, tutti neri con dei puntini sul guscio, gli scarabei avevano rimescolato la sabbia facendola sembrare ancora vergine e il Sahara si era fatto bello per noi dopo giorni di tempesta.Eravamo da poco arrivati al campo che Tof stava già scrutando la sua prima discesa. Le dune di sabbia circondavano l’accampamento e creavano dei miraggi fatti di spine e couloir. Il vento del Sud aveva depositato granelli di sabbia sui versanti Nord, creando delle piccole valanghe sui pendii oltre i 40 gradi. Con gli sci sugli zaini e gli scarponi ai piedi, eravamo pronti per la nostra avventura sulle montagne più alte che vedevamo.Jimmy e Mali salivano veloci nella sabbia lasciando impronte grandi il doppio di una mano umana. Eleganti e potenti allo stesso tempo, i cammelli ci hanno fatto guadagnare quota al comando di Chad e Tof. Siamo passati dalle valli di sabbia alle creste. Stare in groppa a un cammello è simile a cavalcare un cavallo, con la differenza che sembra di essere tre volte più alti ed è un ottimo punto di osservazione alla ricerca delle migliori linee.Man mano che salivamo di quota, aumentava la pendenza e a un certo punto abbiamo dovuto scendere e proseguire con gli sci ai piedi. La sabbia era calda e abrasiva e non abbiamo avuto bisogno delle pelli per scalare questi pinnacoli di 350 metri.Ogni duna cambiava mentre la guardavi, trasformata dalle forti folate di vento che arrivavano dall’Algeria, distante solo 17 chilometri. La serie di dune era diversa da come me la sarei aspettata: solo cinque chilometri di larghezza, ma ben 50 da Nord a Sud.


Le più grandi erano al centro di quella striscia e le loro creste proiettavano ombre nere sulla sabbia più in basso. I miei sci per fortuna salivano senza nessun problema su quella sabbia così grippante e quasi non mi sono accorto di essere arrivato in cima e avere tutto il deserto ai miei piedi. Tof si è messo la sua maglietta e ha aperto le zip di ventilazione dei pantaloni mentre Chad serrava bene gli scarponi e chiudeva gli attacchi. C’era eccitazione nell’aria ed eravamo in vetta al Sahara.Ero curioso di vedere Tof disegnare la prima discesa su una spina di 200 metri rivolta a Nord.Con le braccia larghe come ali e la nuvola di sabbia dietro come se fosse neve, si è messo sulla linea di massima pendenza. Chad ha infilzato i bastoni nella sabbia per spingersi e guadagnare velocità. La sabbia creava uno strato appiccicoso che frenava gli sci, come quando l’acqua ti rallenta sulla neve marcia. Il trucco era quello di riuscire a trovare lo strato più compatto dove potere scivolare piuttosto che sprofondare nella soffice polvere e impantanarsi. Chad è riuscito a disegnare una perfetta C dietro di lui, lasciando una scia esile. Sulla neve ti giri per guardare con soddisfazione i tuoi otto, sulla sabbia hai solo un momento per dare uno sguardo, prima che il vento cancelli i segni del tuo passaggio. Ho scritto la mia storia sulle dune, ma l’unica prova che è rimasta è stata la sabbia che si è infiltrata negli scarponi.Giro dopo giro, salita dopo salita, Tof e Chad hanno preso confidenza e il sorriso sui loro volti ne era la prova più evidente. Hanno sciato spine e versanti aperti fino a quando il sole ha iniziato a tramontare.Il bagliore della luce si è trasformato in un arancione vivo quando finalmente il vento da Sud è diventato fresco. In vetta, con gli occhi chiusi e la faccia illuminata dagli ultimi raggi, con il vento che accarezzava la pelle e la sabbia soffice sotto i piedi, mi sono sentito a casa, proprio come su una vetta innevata. Tof ci ha lasciati per godersi un’ultima discesa fino all’accampamento mentre i turisti erano saliti sulla duna più alta per vedere il tramonto. La sera è stata allietata dal calore delle braci di tamerice che hanno rosolato una pizza del deserto, carne e verdure.Muhammad e i suoi portatori ci hanno trasmesso tutto il loro amore per l’Africa battendo le mani sui tamburi e cantando. Muhammad è uno di noi.Ha viaggiato 52 giorni in groppa a un cammello daTimbuktu, dove vive la sua famiglia, in cerca di legno di frassino da bruciare, nuove opportunità e vino.Il Marocco è la creazione di un nomade. La sua cultura, la religione e le abitudini sono il risultato del vagabondaggio di Berberi, Arabi e viaggiatori che hanno traversato il più grande deserto del mondo fino alle vette innevate dell’Atlante o al Mediterraneo alla ricerca di commerci, viveri e amore. Con la sabbiai ntrappolata tra gli interstizi del mio attacco Kingpine il turbante rosa legato allo zaino, anche io ho lasciato un segno nel Paese dei nomadi. Mentre le tracce sparivano nella sabbia e le dune venivano modellate dal vento, mi sono sentito a casa. Gli sciatori sono dei nomadi. Ogni montagna è una nuova avventura da scrivere. Giriamo il mondo in cerca di linee ancora da sciare, grandi pareti e nuovi tipi di neve. O sabbia. Siamo una tribù di entusiasti girovaghi. Senza uno stile di vita precostituito, solo un’avventura dietro l’altra. Dando il benvenuto a nuovi nomadi da fare entrare nelle nostre vite e nuove discese nel nostro viaggio.

Questo articolo è stato pubblicato su Skialper 126
Salomon presenta la nuova Speedcross 6
Un'icona nel settore calzaturiero, la Speedcross è apprezzata dagli atleti della corsa in montagna fino alle passerelle di moda. Tuttavia, rimane fedele alla sua intenzione originaria: correre veloce tra le alture

Salomon è orgogliosa di presentare la nuova Speedcross 6, l'ultima edizione dell'iconica scarpa da trail running che è stata un punto fermo nella linea di calzature dell'azienda dal 2006. Disponibile da quest'estate in quantità limitata, ma ampiamente fruibile dalla stagione Autunno/Inverno 2022, la Speedcross 6 rimane fedele alle leggendarie radici della famiglia Speedcross, ma con un design più leggero (298 g) e un grip più potente e aderente al terreno in condizioni di bagnato. L’aderenza migliorata è dovuta a una suola rivisitata con alette a forma di Y progettate per espellere il fango più velocemente. "La Speedcross 6 si concentra sul grip, che è sempre stata la caratteristica chiave di questa linea", spiega James Boyes, Product Line Manager for Trail Running di Salomon. “Quando il fango rimane intrappolato sotto la scarpa, è facile scivolare e la scarpa diventa molto pesante. Dopo numerosi test, le nuove alette a forma di Y sulla suola della Speedcross 6 hanno fornito una migliore aderenza su superfici scivolose e una migliore dispersione del fango, così puoi essere più veloce e più sicuro”. La scarpa offre anche il classico comfort Speedcross grazie a una tomaia rinnovata, avvolgente e funzionale. La costruzione Sensifit offre poi un appoggio preciso e la mescola dell'intersuola EnergyCell+ conferisce ammortizzazione sotto il piede. Ci sarà anche il modello Speedcross 6 GORE-TEX (disponibile per la stagione Autunno/Inverno 2022), con una membrana GORE-TEX impermeabile e traspirante, ideale per condizioni di terreni bagnati e fangosi. Il design della Speedcross 6 richiama l'aspetto simile allo pneumatico che ha ispirato la prima Speedcross, nata nel 2006. Il Footwear Designer delle calzature Salomon Guillaume Salmon ha avuto il compito di proseguire nelle origini leggendarie della linea Speedcross, prendendo le redini della Speedcross 6. Il suo obiettivo era quello di mantenere l’avanguardia della Speedcross 5, in modo che il design della scarpa fosse perfetto sia in total black sia in colorazioni più accattivanti.

"Volevamo tornare a quel design originario, con PowerBand, SensiFit e un tacco importante, pur mantenendo il concept contemporaneo dello Speedcross 5", spiega Guillaume Salmon, Footwear Designer di Salomon. "Abbiamo anche deciso di aggiungere dettagli simili a pneumatici sul lato per rendere omaggio alla primissima Speedcross, in modo che fosse ancora più aderente e aggressiva, così non hai paura di sporcarla!”.
Sedici anni dopo il lancio di questa iconica scarpa, la nuova Speedcross 6 rimane fedele al codice del modello originario come calzatura da trail aderente, leggera e protettiva. Si rifà anche al design originale e audace della Speedcross 1.
Anno dopo anno, designer dopo designer, la Speedcross è rimasta fedele alla sua mission: correre veloce in montagna. Sebbene l'uso della scarpa sia cambiato con il passare del tempo, dai trail fino ai sentieri escursionistici e alla strada, la Speedcross rimane un'icona. Ora, la nuova Speedcross 6 rimane fedele al DNA dei modelli precedenti.

Andrea Lanfri, toccare il cielo con 3 dita
«Il limite non esiste, è un qualcosa che non si può ancora raggiungere ma con l'allenamento si può superare. Non esiste un obiettivo impossibile, ci sono soltanto obiettivi per i quali non siamo pronti».
Una serata carica di emozione e ammirazione quella di ieri, 15 giugno, al Sermig Arsenale della Pace di Torino, organizzata in collaborazione con Ferrino. Andrea Lanfri, il primo atleta italiano pluri-amputato ad aver raggiunto la vetta dell'Everest, il 13 maggio 2022, si è raccontato ed ha condiviso la sua esperienza di fronte ad un pubblico estasiato dalla forza e dalla determinazione di un uomo che, nonostante le difficoltà affrontate, ha deciso di non arrendersi e ha individuato nella montagna (e nello sport più in generale) un solido motivo per continuare a credere nel valore della vita.

Tutto poteva finire, la mattina di quel 21 gennaio del 2015. Andrea si svegliò tremante nel suo letto, sentiva freddo, un freddo incontrollabile. Il suo cane Kyra, un husky siberiano, grattava alla porta aspettando che qualcuno gli aprisse. Era solo in casa, a fatica raggiunse la porta per aprirgli, ma quando Kyra gli saltò addosso per fargli le feste si rese subito conto che qualcosa non andava. Le zampe dell'animale, poggiate sulle sue gambe, sembravano coltelli infilati nella muscolatura. I ricordi che seguirono questo momento sono confusi.
Andrea entra in coma a causa di una rara forma di meningite meningococcica e si risveglia nel letto di un ospedale, due mesi dopo quell'ultimo ricordo, in seguito all'amputazione di entrambe le gambe e di sette dita delle mani. L'Andrea di prima, quello che correva, scalava, esplorava, non c'era più. Prima del ricovero non era un alpinista di professione, conduceva una vita normale, appassionato di montagna giusto per il weekend. La madre, quando uscì dall'ospedale, gli disse: «Magari un giorno tornerai a camminare ma scordati di andare in montagna...». Lui le rispose: «e chi l'ha detto?». Ci torna in montagna, ci torna eccome, forse proprio per dispetto alla madre o forse perché sentiva forte dentro di se e la voglia di dimostrare al mondo che i limiti non esistono, sono soltanto nella nostra mente. Invece di seguire la classica procedura ospedaliera Andrea sceglie di adottare il sentiero dietro casa come terreno per la riabilitazione, l'idea di passare altro tempo rinchiuso in una struttura era per lui incontemplabile. Non passa neanche un anno che, dai primi passi abbozzati sulle nuove protesi, Andrea si ritrova a gareggiare sulle piste di atletica leggera, passando in poco tempo dalle competizioni locali ai campionati mondiali. Nella sua testa iniziano a delinearsi dei progetti ambiziosi persino per un alpinista normodotato: Cima grande alle tre Cime di Lavaredo, il Kilimangiaro, Il monte Kenia, obiettivi per cui serve un allenamento intenso e specifico, che lo porta ad adottare uno stile di scalata tutto suo. Anche gli strumenti utilizzati vengono perfezionati col tempo, protesi specifiche per ogni disciplina con diversi meccanismi in base al terreno di utilizzo.
Durante la pandemia sviluppa uno dei format più interessanti delle sue avventure: From Zero to Zero, ovvero dal mare alla montagna per tornare di nuovo al mare con un anello circolare composto da tre diverse discipline: bici, corsa e arrampicata, l'unione dei tre sport che gli hanno permesso di ricominciare a vivere. L'edizione zero, quella di rodaggio, ha luogo nelle Apuane, per poi spostarsi nelle edizioni successive a Etna, Gran Sasso e Monte Rosa. Per allenarsi durante il lock-down sfrutta un'appezzamento di terra fuori casa, lungo 58 metri. Qui percorre quotidianamente distanze incredibili, arrivando persino ai 21 km di una mezza maratona in 3 ore. Non aveva mai corso off-road dopo il coma, questo allenamento forzato su sterrato con le protesi da pista gli accende una lampadina. È possibile correre anche sui sentieri e sui prati. I suoi obiettivi, una volta snocciolati i problemi logistici, diventano sempre più tecnici e coraggiosi. Così nasce nella sua mente l'idea di toccare il cielo con tre dita, di diventare il primo atleta italiano pluri-amputato a raggiungere la vetta dell'Everest. Nel giro di qualche mese Andrea è pronto ad affrontare la sfida. Con l'amico guida alpina Luca Montanari parte alla volta del campo base dove, per non farsi mancare nulla, decide di stabilire il record del miglio di corsa più alto al mondo. Concluso il gioco di acclimatamento (si, perché in prospettiva del raggiungimento del tetto del mondo di gioco si può parlare), tutto è pronto per la grande avventura. La parte più difficile, racconta Andrea, è affrontare la paura di non riuscire a portare a termine l'impresa: tanti sono i fattori in gioco, dai possibili problemi di salute al malfunzionamento delle protesi meccaniche, alle condizioni meteorologiche. Fallire vorrebbe dire deludere tutti coloro che gli sono stati accanto e che hanno creduto in lui. Fortunatamente fila tutto liscio ed il 13 maggio 2022, alle ore 5.40 locali, Andrea raggiunge quota 8840, in un turbinio di emozioni, gioia e soddisfazione che è quasi difficile da raccontare. La discesa è complessa, le protesi reagiscono in maniera diversa rispetto alle articolazioni e l'atleta è costretto a scendere in laterale o addirittura camminando all'indietro. Al campo base finalmente Andrea realizza l'impresa compiuta, non si tratta solo di soddisfazione personale, ma è un messaggio rivolto a tutti coloro che in un modo o nell'altro si sono ritrovati in una situazione in cui sarebbe stato più facile arrendersi che lottare: «Il limite non esiste, è qualcosa che non si può ancora raggiungere ma che con l'allenamento, la costanza e la dedizione si può affrontare. Non esiste un obiettivo impossibile ma soltanto obiettivi per i quali non siamo ancora pronti».
ISMF presenta il calendario 2022/2023
La Federazione Internazionale di Ski Mountaineering ha pubblicato la programmazione ufficiale delle competizioni per la stagione 2022/2023. Il calendario include eventi di grande importanza che vedranno coinvolti i migliori atleti a partire da novembre 2022. La ISMF World Cup sarà composta da 7 gare distribuite tra Italia, Francia, Spagna, Austria, Andorra, Svizzera e Norvegia, e per la prima volta nella storia lo sci alpinismo sarà presente all' European Youth Olympic Festival a Gennaio 2023.
"A nome di tutta la Federazione Internazionale, posso certamente affermare che siamo profondamente orgogliosi del calendario delle gare delineato per la stagione agonistica 2022/23. Oltre a tutti i nostri vari collaboratori e stakeholder, desidero in particolare ringraziare i comitati organizzatori locali per l'instancabile impegno e il supporto che forniscono sempre all'ISMF. Sono convinto che, grazie alla in stretta collaborazione con gli organismi locali, la stagione agonistica avrà un grande successo", queste le parole del presidente Regula Meier.

Cober e la collezione S2022
«Your passion. Our tradition»
Quello di Cober è uno slogan che parla di storia, di passione, di montagna e sostenibilità, della convivenza tra uomo e natura e, soprattutto, di innovazione. La tecnologia può essere un grande alleato dell'ambiente e la nuova collezione del Brand 100% made in Italy rispecchia appieno questi valori, con prodotti ideati e concepiti lavorando a braccetto con gli utilizzatori, nel pieno rispetto della filosofia green aziendale.

ESTATE
L’estate in montagna è una palestra naturale grazie a centinaia di chilometri fra sentieri per il trekking, vie ferrate e pareti di roccia per l’arrampicata sportiva. Il tutto in un teatro naturale che regala panorami da favola. Per questa stagione, Cober realizza bastoncini sia per adulti sia per bambini. Sono realizzati in alluminio di alta qualità, particolarmente resistente ai colpi e duraturi nel tempo o in carbonio che li rendono estremamente leggeri. Hanno chiusure con leva o espansori per riporli facilmente nei momenti di non utilizzo. Come novità 2022 Cober introduce la nuova manopola “Cosmonaut”, la cui costruzione è stata studiata per garantire la massima compattezza verticale ed estrema leggerezza. La sua forma è stata studiata pensando alle diverse fasi di salita, discesa e traverso in montagna, per adattarsi ad ogni terreno. Innovativa anche la nuova leva CamLock, dalla costruzione bi-materica in plastica e gomma, per permettere maggior aderenza al tubo e ottimale distribuzione della pressione. Due caratteristiche che si ritrovano nei nuovi bastoni Buxus, Tamus, Moss e Acer, tutti quanti estensibili e adatti ad ogni superficie.Oltre ai bastoncini per il trekking ci sono quelli adatti per il Trail: decorati, con manopola in schiuma espansa, in top alluminio e molto leggeri.Da non dimenticare poi i prodotti per il Nordic Walking, con manopole in gomma o in sughero naturale, che risulta essere un materiale più traspirante, e quelli per lo Strolling, con manopole in sughero misto leggere e con una presa migliore.

INVERNO
La neve fresca, il sole che si riflette sul bianco, il silenzio ovattato: la montagna d’inverno trasmette sicuramente sensazioni molto forti. E affrontarla praticando diverse attività come lo sci da discesa, da fondo, il freeski, lo sci alpinismo è uno dei modi più coinvolgenti ed entusiasmanti. Cober, per l’inverno, ha studiato e realizzato diversi bastoncini adatti a ogni esigenza. Realizzati con i migliori materiali e con manopole disegnate per garantire il massimo del comfort nonché adattarsi a ogni tipo di guanto. Tutto questo per permettere agli sportivi e agli amanti della natura di vivere emozioni ogni volta uniche e indimenticabili.
ABBIGLIAMENTO
La volontà di Cober di creare una linea di accessori e abbigliamento nasce per far sentire i suoi ambassador e i suoi clienti parte di un gruppo e di una community. Per questo motivo, la linea di vestiario è realizzata con gli stessi processi sostenibili utilizzati per i bastoni. I partner lavorano a stretto contatto con i fornitori per acquistare solo le migliori materie prime, coltivate o prodotte con metodi che non arrecano danno alle persone, agli animali e all’ambiente. Viene utilizzato solo cotone indiano certificato100% bio dal GOTS, mentre la filiera di approvvigionamento è certificata da diversi organismi e standard indipendenti.

SOSTENIBILITÀ
Da sempre il rispetto ambientale è parte integrante dei valori di Cober. Il percorso di sostenibilità portato avanti negli ultimi decenni riguarda svariati processi produttivi, tra cui verniciatura a polvere, serigrafia a UV senza solventi e stampaggio di componenti in plastica seconda vita. Inoltre, tutte le materie prime vengono sottoposte a severi test per la loro tossicità. Le scelte finora fatte in ambito di materie prime riducono quasi a zero l’esposizione quotidiana dello staff ai rischi. Queste premesse hanno portato Cober a ricercare la circolarità all’interno della propria produzione, e a trasformare i propri scarti di produzione in un prodotto finito: le manopole nate grazie all’utilizzo di plastica di recupero, il primo step del Leaves Project.
Leaves Project
Cober ha presentato a gennaio 2020 la prima manopola da sci in plastica seconda vita nell’ambito del Leaves Project, che ha come obiettivo quello di sostituire i componenti plastici, stampati ora con plastica vergine, con una formula di plastica seconda vita sviluppata internamente. Il dipartimento di stampaggio plastiche ha studiato un modo per reinserire nel ciclo produttivo parte degli scarti di produzione, dando vita a un’economia circolare interna. Il materiale di scarto che non può essere reinserito nel ciclo produttivo di Cober viene reimmesso nel ciclo produttivo di altre aziende.
CLIMA è la prima manopola in plastica seconda vita realizzata da Cober; è stata utilizzata su un bastone da sci alpino ed è poi stata introdotta anche su alcuni modelli della linea estiva della stagione 2021. Morbida al tatto, la manopola ha una forma ergonomica, che agevola la presa con guanti di ogni spessore e dimensione. Il processo di realizzazione riguarda l’intera filiera interna: il recupero del materiale plastico dagli scarti della propria produzione, la selezione e il lavaggio del materiale per la trasformazione in granulo, la progettazione e ingegnerizzazione del prodotto, e infine lo stampaggio. Da una serie accurata di test, questo materiale risulta avere le stesse caratteristiche meccaniche del materiale vergine precedentemente utilizzato.
Verniciatura a polvere
20 anni fa Cober ha scelto di installare il proprio impianto di verniciatura a polvere. Questo metodo ha un impatto positivo sull’ambiente, a differenza della verniciatura a liquido che è estremamente inquinante, e risulta migliore anche per la salute degli operatori, poiché li espone a rischi decisamente inferiori, eliminando il contatto con materiali tossici e inquinanti. Inoltre, la verniciatura a polvere risulta essere più resistente ai graffi rispetto a quella a liquido, rendendo i bastoni più resistenti al tempo e all’usura.
Serigrafia a UV
Da 15 anni, Cober ha deciso di utilizzare un metodo innovativo e rispettoso dell’ambiente per la stampa grafica dei tubi. Le grafiche sono serigrafate tramite inchiostri privi di solventi, eliminando ogni pericolo sia per l’ambiente sia per gli addetti ai lavori. Gli inchiostri, inoltre, vengono catalizzati attraverso la luce UV, con un vantaggio energetico e quindi ambientale, dal momento che l’energia consumata dalle lampade UV è drasticamente inferiore rispetto a quella necessaria ai forni standard.
Test delle materie prime
Le materie prime vengono testate per verificarne la tossicità e fornire a clienti e dipendenti la garanzia di un prodotto sicuro e sostenibile, che non danneggi la salute umana e quella dell’ambiente circostante.

La nuova collezione, la filosofia dell'azienda e le iniziative portate avanti in collaborazione con la community Cober sono disponibili online sul sito https://www.cober-active.com/en/ .
Altitudini Blogger Contest, le premiazioni della decima edizione
“Esistono da noi valli che non ho mai visto da nessun’altra parte. Identiche ai paesaggi di certe vecchie stampe del romanticismo che a vederle si pensava: ma è tutto falso, posti come questo non ne esistono.
Invece esistono: con la stessa solitudine, gli stessi inverosimili dirupi mezzo nascosti da alberi e cespugli pencolanti sull’abisso e le cascate di acqua, e sul sentiero un viandante piuttosto misterioso.
Meno splendide certo delle trionfali alte valli dolomitiche recinte di candide rocce. Però più enigmatiche, intime, segrete.
La valle del Mis, per esempio, con le sue vallette laterali che si addentrano in un intrico di monti selvaggi e senza gloria, dove sì e no passa un pazzo ogni trecento anni, non allegre, se volete, alquanto arcigne forse, e cupe. Eppure commoventi per le storie che raccontano, per l’aria d’altri secoli, per la solitudine paragonabile a quella dei deserti.”
(Dino Buzzati)

Sabato 11 e domenica 12 giugno Altitudini fa tappa nelle Dolomiti Bellunesi in occasione della premiazione del Blogger Contest. La location che ospiterà la réunion è il Pian Falcina, in riva al lago del Mis. Qui si potrà dormire in camera o in tenda, ascoltare le narrazioni di blogger, podcaster, scrittori, illustratori, fotografi, musicisti e cantanti, incontrare autori e festeggiare i 10 anni di Altitudini, nata proprio tra queste montagne.
Un programma fitto di eventi, incontri, riflessioni e presentazioni, che si concluderà nella giornata di domenica con un'escursione in Valle del Mis accompagnata da racconti e storie della valle e da un micro-laboratorio di scrittura naturalistica in cammino.
Trovate tutte le informazioni qui:
https://www.altitudini.it/iscrizione-reunion-arcipelago-altitudini/
“La Réunion di Altitudini è un incontro aperto a chiunque ama le belle storie e i luoghi fuori traccia”
Skialper Archive / Sangre y corazón
Quattro giorni di lunghi e complicati avvicinamenti, prime ripetizioni e nuove vie nel cuore più selvaggio e vertiginoso delle Dolomiti bellunesi
Foto Santi Pedròs, Diego Toigo e Ruggero Arena
La cima più alta è il Monte San Lucano, con i suoi 2.409 metri, ma è semplicemente il culmine geografico di un gruppo montuoso conosciuto solo da scalatori e alpinisti alternativi. Le Pale di San Lucano, nascoste a Nord-Est dalle più alte Pale di San Martino, per molti sono dei semplici nomi sulla mappa, però ospitano nelle loro viscere un labirinto di pareti e guglie che ne fanno un terreno per pochi.
Emilio Comici, Attilio Tissi, Giovanni Andrich, Eugenio Bien, Renato Casarotto, Piero Radin, Alessandro Gogna, Franco Miotto, Lorenzo Massarotto, Ilio ed Ettore De Biasio, Ivo Ferrari, Fausto Conedera, Stefano Santomaso, Gianni Del Din, Renato Panciera. Ci sono alcuni dei grandi dell’alpinismo insieme a cognomi poco conosciuti al di fuori di queste montagne tra i protagonisti della storia alpinistica dello Yosemite delle Dolomiti, come lo ha definito Alessandro Gogna nell’omonimo libro.
Le Pale di San Lucano superano i 1.600 metri di altezza dal fondovalle, le pareti hanno uno sviluppo tra i 400 e 1.000 metri. Gli avvicinamenti possono durare dalle tre alle quattro ore e spesso si risolvono in umili ritirate dopo essersi persi su pendii ripidi e scoscesi, cosparsi di erba scivolosa. Molte vie non vanno oltre il V+ o VI UIAA, ma la natura selvaggia dei luoghi, le difficoltà di orientamento e i pochi chiodi nella roccia alzano l’asticella. Una delle vie più famose è la Casarotto-Radin, un gigantesco diedro di oltre 300 metri incastonato nello Spiz di Lagunaz (2.331 m) con una discesa lunga e complessa. Altre vie più moderne come la Collaborazione o la Via dei Ritorni, più difficili e senza nemmeno uno spit lungo il percorso, sono la prova che esistono ancora angoli nascosti, lati B dove disegnare belle vie di qualità alpinistica.

È stato il mio amico Diego Toigo, presidente del Gruppo Rocciatori del CAI Feltre, a lanciare l’idea di un concatenamento delle quattro Pale, una traversata cercando di raggiungere le vette solo con prime ripetizioni. Il progetto sembrava un po’ folle, soprattutto per la complicata logistica di accesso e di discesa e per la mancanza di punti di appoggio come rifugi o bivacchi. La prima scelta è stata quella della stagione: abbiamo subito concordato che il periodo migliore per questo viaggio alpinistico sarebbe stato in primavera inoltrata grazie alle giornate con tante ore di luce e perché in autunno la mancanza di acqua avrebbe reso complicato idratarsi. Impensabile andarci in estate: fa troppo caldo e il mio lavoro di Guida non mi avrebbe lasciato tempo. Avevamo diverse opzioni, sempre con l’obiettivo di concatenare solo prime ripetizioni, l’unica decisione presa da subito è stata quella di partire dalla Quarta Pala e finire sulla Prima. Prima della traversata abbiamo portato una tenda con viveri sotto la vetta del Monte San Lucano, proprio accanto al Passo del Ciodo, unico passaggio utilizzato in passato dai pastori e dai cacciatori di camosci e nostro campo base.
Il D-day è arrivato domenica 13 giugno, quando abbiamo intravisto una finestra meteo favorevole in una primavera molto variabile. Alle sei del mattino abbiamo parcheggiato il furgone al Col di Pra, a 843 metri di quota, per affrontare uno degli avvicinamenti più abominevoli che ricordi, che ci è costato quattro ore, incontri ravvicinati con zecche e vipere e un volo a pendolo su un tiro di terzo grado. Alle 9.30 intuiamo di essere all’attacco della via Mario Tomè - Bariza che sale per 800 metri tra lo Spigolo Gogna e la Casarotto. Alle nostre spalle una vista incredibile sullo Spiz di Lagunaz e il diedro Casarotto ci accompagna per tutto il giorno. Siamo rimasti sorpresi dalla qualità della roccia man mano che si liberava dai ciuffi d’erba, aumentando in verticalità e difficoltà. Dopo un paio di tiri di VI, annusiamo la vegetazione in vetta. Sono quasi le sei del pomeriggio e accarezziamo il primo dei nostri sogni, la Quarta Pala di San Lucano. Una passeggiata lungo l'aerea cresta, calpestando un po' di neve soffice a causa delle alte temperature, ci porta al caratteristico Arco del Bersanèl, al Monte San Lucano e al Passo del Ciodo. È stata una giornata con più di 1.700 metri di dislivello cumulato e 13 ore e mezza di attività. Siamo felici e ci godiamo un tramonto unico, ma non ho nemmeno il tempo di dare la buonanotte a Diego che mi ritrovo a sognare l’ignoto.


Lunedì è stata la volta della via del Pilastro Bianco. La discesa per arrivare all'attacco avviene attraverso il Boral di San Lucano. I borai sono i canali rocciosi ed erbosi che separano le Pale di questo particolare gruppo montuoso. Nel 2017 ero già stato qui quando abbiamo aperto Llops de Mar con Luca Valatta, ma era autunno e il canale già senza neve. Questa volta dobbiamo scendere per circa 500 metri con le doppie su neve dura rotta da crepe sospette che in fondo si trasformava in cascate d’acqua. Alla fine, a due lunghezze dall'inizio della via e dopo tre ore di avventura, siamo riusciti a entrare in parete con un lungo traverso. Il percorso sale senza particolari difficoltà per belle fessure e placche sulla sinistra del Pilastro e ci porta sulla vetta tra Terza Pala e Spiz di Lagunaz, dove inizia una sessione di salite e discese che comprende un totale di oltre 300 metri, tiri fino a IV+ e sei doppie. Per fortuna che pensavamo che la seconda sarebbe stata una giornata rilassante: sono state più di 12 ore molto intense che ci hanno condotti alla tenda sfiniti e lì abbiamo trovato ad accoglierci il nostro amico e fotografo ufficiale della traversata, Ruggero Arena. Dopo avere valutato bene la logistica del terzo giorno, abbiamo deciso di spostarci per la notte al bivacco Margherita Bedin, in vetta alla Prima Pala, per risposarci meglio. Il posto è da sogno…
Martedì siamo scesi lungo il sentiero 765, cancellato da un incendio e dalla tempesta Vaia del 2018 e ormai quasi impraticabile, dirigendoci verso il Boral de la Besausega per raggiungere la base della via Flora, obiettivo iniziale della giornata. Però, una volta arrivati all'attacco, nei primi tre tiri ci alziamo troppo e ci rendiamo conto che la via è 40 metri sotto di noi e a destra e invece, sopra le nostre teste, una roccia di ottima qualità cattura l’attenzione. Così, con naturalezza, iniziamo a salire dove vogliamo. Prima troviamo delle stupende placche giallo-nere a buchi, poi i tiri si susseguono in maniera logica con delle lunghezze davvero belle e dopo sette tiri raggiungiamo la grande cengia terminale di Flora, pensando di percorrerla e di finire così su un terreno familiare, ma il diedro di uscita è diventato una cascata d’acqua. Mancano una cinquantina di metri, sulla sinistra vedo un sistema di fessure che ci regalano due tiri eccezionali e non facili fino alla vetta della Seconda Pala su una nuova via che chiamiamo Sangre y Corazòn.

Abbraccio Diego, sentiamo che il viaggio è quasi terminato, manca solo l’ultima via, sulla Prima Pala, ma siamo molto stanchi e il meteo promette temporali pomeridiani per il giorno successivo, quindi dobbiamo giocare bene le nostre carte. Nell'ora e mezza di rientro al Bivacco Bedin abbiamo analizzato bene la situazione, poi un'altra notte intrisa di natura, roccia, emozioni e amicizia. Vita pura. Mercoledì avevamo in mente due vie alla Cima Est di Ambrusogn (vetta principale della Prima Pala), la più dura Raffaella e la Massarotto - De Biasio come soluzione veloce in caso di maltempo. Alla fine siamo riusciti a ripetere i primi tre tiri della via del Diedro e poi ci siamo spostati sulla Raffaella, che ci ha regalato una salita tecnica e di impegno. La placca compatta che porta alla splendida fessura più in alto ci ha dato del filo da torcere e anche i tiri successivi sono davvero belli. Alla fine siamo arrivati alla cengia che con un lungo traverso tra i mughi ci ha portato fuori dalla parete, appena sotto la Cima d’Ambrusogn.
Mentre ci sleghiamo, ci rendiamo finalmente conto di avere dato forma al nostro sogno. Siamo già fuori dalla parete, sulla via per il bivacco, per recuperare tutto e tornare alla civiltà. Ancora non ci crediamo di essere riusciti a concatenare le quattro pale in quattro giorni consecutivi. Ora però stiamo cominciando a rilassarci, sono state giornate molto intense, soprattutto per l'esposizione del terreno, ma siamo soddisfatti delle nostre scelte. E quasi non ci accorgiamo che, mentre arriviamo al furgone, inizia a piovere. Grazie Diego, perché sogni progetti incredibili nel cuore dell'Europa, dove sembra che se non ti confronti con l'orologio non ci sia più niente da inventare. E da sognare.
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One with nature - twenty years of Vibram FiveFingers
In occasione della Milano Design Week che si terrà dal 6 al 12 giugno, Vibram presenta il progetto multidisciplinare “one with nature – twenty years of Vibram FiveFingers”, aprendo il suo archivio prodotto per celebrare, a distanza di vent’anni dal primo prototipo, le calzature Vibram FiveFingers come icone di design. Un esempio di coraggio e visione imprenditoriale, che unisce sperimentazione tecnologica e innovazione, testing sul campo e outdoor community.


Negli spazi del Vibram Connection Lab, centro nevralgico di innovazione e creatività di via Voghera 11 a Milano, prenderà vita una mostra che ospiterà una selezione di più di cento prototipi di Vibram FiveFingers selezionati da Robert Fliri, scelti tra l’archivio Vibram e il suo archivio personale. Obiettivo del progetto è raccontare la storia e l’evoluzione di Vibram FiveFingers, il “guanto da piede”, che, con il suo concept innovativo e l’estetica inconsueta, rivoluziona l’idea della camminata, rimandando alla sensazione del piede nudo, ma con protezione funzionale. Grazie a Vibram FiveFingers la suola diventa sempre più sottile e dalle forme organiche, quasi un tutt’uno con il piede stesso, che recupera così la sua massima sensorialità e libertà di movimento.
Per l’occasione Mandalaki Studio presenterà l’installazione Feel the nature come allestimento per lo spazio espositivo. La natura è il filo conduttore che lega due prodotti, una luce e una calzatura, attraverso il concetto comune di esperienza minimale, basata su sensazioni, libertà e performance. Grazie alle luci Halo Edition, Mandalaki reinterpreta lo spazio Vibram, trasformandolo in un landscape naturale caratterizzato da sfumature di colore che aprono finestre spazio-temporali.
Mercoledì 8 giugno a partire dalle ore 18.00 si terrà l’opening party di “one with nature – twenty years of Vibram FiveFingers” con la curatela musicale di Ultimo Tango, etichetta e collettivo musicale. Durante la serata avrà luogo la performance All Terrain Training, ideata dall’artista inglese Will Pegna ed eseguita per la prima volta a Londra nel 2020 utilizzando proprio Vibram FiveFingers. Ispirata ai tremori tettonici della Terra, l’esibizione, della durata di due ore, vedrà coinvolti nove performer, accompagnati da un paesaggio sonoro mixato dal vivo dalla sound artist Shirley Pegna, realizzato con le registrazioni di movimenti glaciali artici e i suoni dei movimenti della Terra. ATT (All Terrain Training) è una serie unica di performance artistiche che collega ecologia, sport, suono, movimento e moda.
La mostra one with nature sarà aperta al pubblico fino al 18 giugno presso il Vibram Connection Lab di via Voghera 11 a Milano dalle 11.00 alle 19.00.












