La Sportiva TX2 Evo e la nuova tecnologia Resole Platform
Resole Platform è la nuova tecnologia brevettata da La Sportiva che permette una risuolatura facile, veloce e senza alcun compromesso nelle performance della calzatura
Nel 2022 La Sportiva ha mosso un ulteriore passo nel suo percorso di sostenibilità con l'introduzione di Resole Platform, la prima tecnologia al mondo che permette una completa e sicura risuolatura delle calzature d'avvicinamento. Fin dal 1928, anno di fondazione di La Sportiva, la risuolatura è sempre stata parte della cultura dell’azienda trentina e tutti i suoi prodotti delle linee Mountaineering e Climbing vengono studiati e realizzati con l'ottica di poter allungare il loro ciclo di vita tramite la sostituzione del battistrada una volta che questo risulta consumato.
La cultura della risuolatura è da sempre uno dei pilastri di La Sportiva e l'introduzione di Resole Platform e TX2 Evo sono il miglior modo per celebrare l'apertura di questa pratica artigianale anche nel mondo delle calzature d'approach.
Questa innovazione favorisce un percorso di educazione e sensibilizzazione nel consumatore, il quale può continuare ad utilizzare la calzatura che ben si è adattata al proprio piede ed evitare di sostituire un prodotto usato, ma ancora in buone condizioni, e quindi ridurre la propria impronta ambientale.
TX2 Evo è il modello più leggero della gamma Approach di La Sportiva, sviluppato in Val di Fiemme per soddisfare le esigenze dei climber di tutto il mondo. Realizzata utilizzando un'elevata percentuale di componenti riciclate e grazie all'implementazione della tecnologia Resole Platform, TX2 Evo risulta essere un prodotto unico nel panorama outdoor.
L'eccezionale grip e precisione in fase di arrampicata sono garantiti dall'utilizzo della mescola Vibram® IdroGrip e dall'ampia Climbing Zone che caratterizza il battistrada. La tomaia in Knit, realizzata utilizzando filato 100% riciclato, garantisce grande comfort e una calzata tecnica e precisa grazie all'assenza di cuciture e alla linguella integrata. Il sistema di allacciatura si ispira all'iconico modello Mythos e garantisce un fit tecnico e preciso utilizzando lacci 100% riciclati.
La risuolatura di questo modello è un servizio offerto da tutti i risuolatori autorizzati della rete ufficiale di La Sportiva. Il programma di risuolatura La Sportiva prevede un'attenta scelta e selezione di laboratori altamente specializzati. Ogni artigiano viene istruito direttamente dall'azienda trentina e rifornito con tutti i pezzi di ricambio originali appositamente studiati per una perfetta rigenerazione dei prodotti.
Il prezzo di listino è di 149,00€ e a questo link trovate tutte le informazioni legate alla Resole Platform: La Sportiva Tx2 Evo
Wherever The Trail Takes You - Asics
“Wherever the trail takes you” è il nuovo corto di Asics dedicato al trail e segue il percorso di tre runner che grazie a questa avventura hanno esplorato luoghi, incontrato persone e vissuto esperienze indimenticabili
https://www.youtube.com/watch?v=c91zVxuN-jw
Asics presenta il suo nuovo corto dedicato al trail, registrato tra le Alpi austriache e il Ghiacciaio Dachstein: “Wherever the trail takes you”. Prendendo ispirazione dall’ultima campagna trail del brand, il film esplora il percorso di tre runner, uniti dallo spirito del trail running che coinvolge positivamente mente e corpo.
3 Trail Runners. 3 Percorsi. 3 Storie uniche.
I tre protagonisti del corto sono Holly Rush, Sonny Peart e Pol Puig Collderram e ci accompagnano nel loro personale viaggio nel trail running, sottolineando quanto il loro corpo e la loro mente abbiamo sperimentato una sensazione di “leggerezza” grazie alla corsa e all’immersione nella natura.
Per Sonny Peart (UK) il trail lo ha condotto sulla strada dell’attivismo, fondando la community Black Trail Runners per incoraggiare e fare crescere il movimento del trail running tra le persone di colore. «È molto importante che vedano persone con cui immedesimarsi sui media, su come lo sport viene rappresentato dai brand, come eventi e gare vengono presentate».
Mentre per Pol Puig Collderram (Spagna), il trail running lo ha portato a incontrare una community dove un sentiero e un paio di scarpe da corsa sono sufficienti per entrare in contatto: «Anche se non parliamo la stessa lingua, condividiamo la stessa passione per la corsa, che ci permette di scoprire nuovi luoghi. Penso che questo crei una connessione istantanea».
Su un tracciato leggermente differente, Holly Rush (UK) è stata atleta professionista nella corsa su strada prima di scoprire il trail. Da quando ha cominciato a correre off road ha girato tutto il mondo, dal Nepal a Chamonix, Spagna e UK. «Amo scoprire nuovi posti e immergermi nella natura, amo i boschi e le montagne mi fanno sentire viva».
Altra presenta Mont Blanc Boa e Olympus 5 a Chamonix
UTMB è l'occasione perfetta per i Brand (con la B maiuscola) legati al mondo trail e outdoor in generale per presentare i nuovi prodotti al mercato globale. La partecipazione dei team di atleti, che hanno testato e stressato tutte le novità dalla fase protoptipale al prodotto finito, l'alta recettività dei giornalisti e degli esperti del settore e la presenza di founder, product manager e marketing manager rende la settimana a Chamonix un incredibile laboratorio di informazioni e novità.
Nello specifico oggi parliamo di Altra, il brand americano che ha rivoluzionato il mercato con la filosofia del drop zero e del large footprint. La storia di Altra è ben nota, ne parlavamo approfonditamente su Skialper 135 nell'articolo Trote e tostapane, raccontando la storia di Brian Beckstead, co-founder del brand, e della sua capacità di osservare i bisogni degli utilizzatori. Il Claim parla da solo: Unleashing human potential by inspiring the world to move naturally, ispirare i runners di tutto il mondo a correre in maniera più naturale. Tutto nasce da un piccolo fornetto tostapane, con il quale Golden Harper, compagno di classe di Brian alle superiori e secondo co-founder dell'azienda, operava sui modelli di scarpe da running già esistenti per rimuovere parte dell'intersuola e livellarne il drop portandolo a zero, sostenendo che questo tipo di setting avrebbe permesso di ridurre i traumi e i dolori soprattutto sulle lunghe distanze. Le migliaia di feedback positivi rivelarono il potenziale dell'idea, Brian e Golden decisero quindi di lanciarsi nel mercato con un brand del tutto innovativo, che debuttò a livello mondiale nel 2011 con le tecnologie FootShape, ZeroDrop, Fit4Her. I numerosi premi ricevuti, le vittorie ed i record in diverse discipline e l'export nel mercato globale hanno consolidato il successo di Altra, permettendo al reparto R&D di continuare a lavorare su modelli sempre più tecnologici ed efficienti unici nel loro genere. Il sistema di Altra è molto semplice: proporre 4 tipi di cushioning e 4 shape, in modo tale da permettere a ogni runner di trovare il modello adatto al proprio piede e alla tipologia di allenamento o gara che intende affrontare.
C'è un motivo se i pezzi grossi del brand hanno attraversato l'oceano per arrivare a Chamonix. Certo, l'atmosfera incredibile di UTMB ha fatto sicuramente il suo, ma l'occasione di presentare ufficialmente i due novi modelli Mont Blanc Boa e Olympus 5 Chamonix edition ad un evento del genere era troppo allettante.
OLYMPUS 5 CHAMONIX
Ispirata nei colori ai ghiacciai che sovrastano il paese ed al sole che illumina le vette del Monte Bianco, pensata per rendere omaggio a una delle competizioni più importanti a livello mondiale. Olympus 5 vuole essere il mezzo perfetto per l'ultratrail su percorso vario come quello dell'UTMB. La suola Vibram Megagrip, l'Original Footshape di Altra (più largo rispetto allo standard per permettere alle dita di distendersi naturalmente) l'ammortizzazione esagerata (la più ammortizzata del brand), il drop zero ed il peso estremamente contenuto (350g nella versione uomo) la rendono una macchina da guerra per le lunghe distanze che non ha eguali, mantenendo un incredibile compromesso tra comfort e prestazione.
MONT BLANC BOA
La rivoluzione nel mondo del trail running d'alta montagna, la prima Altra ad utilizzare tecnologia Boa per una simbiosi perfetta di ammortizzazione e precisione nell'allacciatura. Parte superiore della tomaia caratterizzata dal PerformFit Wrap che garantisce la possibilità di micro-aggiustamenti nella chiusura per dare maggior sicurezza e stabilità e allo stesso tempo fornire un fit perfetto sul collo del piede; intersula in EGO MAX e Footshape standard che, uniti alla suola Vibram Litebase, garantiscono massimo comfort e grip incredibile su qualsiasi tipo di terreno. Il peso è di 318g, per una scarpa ultra performante destinata a grandi prestazioni.
Skialper Archive / Il paradiso è per pochi
Tre mesi nell’inverno australe
di El Chaltén, in Patagonia,
per chiamare casa una delle
più piccole ed eclettiche
comunità sciistiche del mondo
Testo e foto Matthew Tufts
L’ennesima buca mi aveva sballottato violentemente, con il risultato di ritrovarmi con la lingua ustionata dall'infuso di matè e di farne schizzare un po’ sulle maniche della mia giacca Gore-Tex. Ero seduto sul retro di una vecchia Toyota Hilux tra una mezza dozzina di sci e un cane che sembrava molto meno ansioso di me. La nostra crew si passava un infuso di caffeina, sgranando gli occhi fuori dai finestrini annebbiati alla ricerca delle guglie di granito color ceruleo sopra la strada innevata del Lago Del Desierto, con i Blink 182 e i Twenty One Pilots come colonna sonora.Ero abbastanza nervoso da sembrare un gringo imbranato nel mio primo giorno di sci a Sud dell’Equatore: si trova a El Chaltén, nel cuore della Patagonia Meridionale, con tre Guide IFMGA argentine con un lungo palmarès di record di arrampicata, trail-running e sci alpinismo fast & light. Di solito sono un compagno di escursione veloce ed efficiente; quella volta, invece, avevo troppa attrezzatura fotografica, poca acqua e un vocabolario spagnolo molto basico, nonostante il pesante accento locale.Per fortuna i miei compagni non facevano parte di un tribunale che doveva giudicare e mi avevano già insegnato le parole per esprimere i concetti di polvere crosta. Così non ci hanno messo molto a rimproverarmi per aver spostato la cannuccia nell’infuso di matè. La curva di apprendimento da queste parti è ripida e veloce. L’efficienza conta nelle Ande.Questo non mi ha impedito di scottarmi di nuovo la lingua, imprecare e rimettere il contenitore dell’infuso al suo posto mentre la Hilux affronta una curva a gomito in due tempi, suscitando l’ilarità dei miei compagni d’avventura. L’alba si avvicinava.Erano quasi le dieci del mattino. L’inizio di luglio è uno dei periodi più tranquilli e bui dell’anno a El Chaltén. Gli affollati mesi estivi sono un lontano ricordo e gli inverni freddi e tempestosi della Patagonia meridionale, anno dopo anno, hanno fatto da humus per un'improbabile cultura dello sci tra le guglie di granito e l’arida steppa. Una cultura forgiata dal clima spietato della regione e dalla topografia, sfidando gli standard dell'industria dello sci e plasmando gli sciatori a partire da un improvvisato gruppo di semplici locali con diverse storie di montagna alle spalle. In effetti si tratta di una community così poco conosciuta. che molti dei non sciatori di El Chaltén sanno a malapena che esiste.
L’inverno, al contrario, è troppo tranquillo in questo paese a quasi 1.400chilometri a Sud di Bariloche, una delle destinazioni sciistiche più famose dell'America Meridionale. L’assenza di turisti e lavoratori stagionali, ai quali si aggiungono molti locali che approfittano delle vacanze scolastiche, può portare la popolazione di luglio a poco più di 500 persone. Tutte le attività commerciali essenziali – un negozio di alimentari, una farmacia, alcuni ristoranti, un paio di ostelli, un solo bar e una palestra di bouldering – chiudono i battenti.Quelle poche che rimangono aperte ,lo fanno con orario ridotto.La palestra di arrampicata indoor del Centro Andino può sembrare un'eccezione alla breve lista di stabilimenti essenziali fuori stagione, ma per la gente di montagna di El Chaltén, El Muro è il punto d’incontro tra il mondo dell'arrampicata e quello dello sci. Ed è il miglior posto per trovare un compagno per partire alla scoperta delle montagne con la neve.
La Escoba de Dios, il famigerato vento dell'Ovest, sferzava le giunture della porta della palestra facendo stridere talmente tanto da scambiare quel suono per il lamento dei cani randagi della città.All’interno il vento si mischiava a una sinfonia di racchette da ping pong, grida di arrampicatori e una miscela eclettica di hip-hop, reggae funky ed elettronica.Dopo aver fatto il consueto giro di saluti con alcuni degli sciatori che avevo conosciuto in città, mi sono fermato a parlare con Tomás Roy Aguiló, alto e forte scalatore, oltre che Guida locale. Trentasei Ore dopo mi sono unito a lui e ai suoi amici e soci in affari Juan PipaRelli eRobertoIndio Treu e a un vivace pastore australiano che si chiama come me, Mateo. La comunità sciistica è piccola a El Chaltén – forse 30 persone o anche meno – ma l’atmosfera è sempre accogliente quando un forestiero arriva da queste parti a farsi frustare dai ventiinvernali. Il cielo perfetto e il vento quasi inesistente del mio primo giorno vicino al Lago del Desierto hanno cancellato tutti i preconcetti sul clima variabile e inospitale della Patagonia in inverno.La polvere scivolava via leggera e fredda come nel Kootenay, in British Columbia, e i pendii erano più ampi di quelli del Rogers Pass alla High Sierra. Abbiamo Finito la giornata con diversi giri dei ghiacciai sui fianchi del Cerro Crestón, un luogo popolare per il suo approccio facile. Ho imparato che quel facile in realtà significa un’ora di portage nella foresta, su pendenze importanti, prima di raggiungere la linea della neve e mettere sci e pelli. Proprio quando avevo iniziato a immaginare discese infinite nella powder, ecco l’uscita con pathos, che mi ha riportato nel presente più duramente di qualsiasi buca lungo la strada.Al cambio d’assetto ho passato le dita sulla soletta degli sci leggermente scheggiata mentre guardavo le nostre tracce sulla montagna. La Patagonia non finisce mai di umiliarti.
Sono dovute passare diverse settimane, molti matè e più di un paio di giri in mezzo agli squali in attesa del giusto mix di neve e meteo per fare la nostra prima escursione nel Parco NazionaleLos Glaciares, puntando alla Laguna De los Tres e al Cerro Madsen, all'ombra del massiccio del Fitz Roy. Nonostante L'accesso diretto dal paese, da dove partono i sentieri, il parco è molto poco frequentato dagli scialpinisti. La linea della neve qui è alta e richiede di entrare in profondità nell’area protetta. Lo scotto da pagare sono diverse ore in più, se non molte di più, di portage rispetto alla media delle gite di un’ora dal Lago del Desierto. Eppure il terreno è incomparabile.Nel silenzio assordante di un sentiero che in estate si trasforma in una lunga fila di escursionisti, ci siamo fermati per bere un goccio d’acqua dove la pendenza lasciava spazio a una specie di altipiano ,guardando i primi raggi del sole che salivano a illuminare la cresta dietro di noi e le torri di roccia a Ovest. Il mio sguardo è stato subito catturato da un impressionante canalone che divide le cime gemelle del Techado Negro, forse la linea più evidente della catena. Gli occhi di Raselli si sono illuminati e si è messo a sorridere, sussurrandomi che era una grande sciata con una vista spettacolare del Fitz Roy. È stato zitto per un attimo, quasi a immaginare qualcosa, e ha aggiunto che aveva fatto la prima discesa diversi anni prima. I miei occhi non devono avere celato una certa sorpresa a sentire quelle ultime parole se il suo viso si è corrucciato in un sottile ghigno e ha scrollato le spalle.«Ci sono quasi solo prime discese qui» mi ha detto con naturalezza «la maggior parte della gente, semplicemente non esce in inverno». È un controsenso per una delle capitali dell’alpinismo moderno che siano solo una manciata di sciatori ad avere messo la loro firma sulle prime discese.Le ultime stagioni hanno partorito un certo numero di linee audaci a opera di gente come Raselli, Aguiló e Julian Casanova, un freeskier e Guida di Bariloche, ma senza nessuna frenesia.Prima della fine degli anni Novanta gli sci venivano utilizzati solo per i lunghi avvicinamenti ai ghiacciai che permettono di raggiungere le pareti di roccia.Il vento ha iniziato a cambiare quando una Guida argentina con radici a Bariloche e Crested Butte, in Colorado, si è stabilita in paese nell’inverno del 1997.Max Odell è, a tutti gli effetti, il padre dello sci a El Chaltén. Local da più di 20 anni, le sue prime stagioni in Patagonia Meridionale sono sempre state al buio e in solitaria. Non esiste nulla: nessun bollettino delle valanghe, men che meno compagni di avventura. Le sue bizzarrie invernali ne hanno fatto un outsider nella comunità montana al ritmo di tante prime discese solitarie su vette che sarebbero considerate classiche in una località sciistica più rinomata.Far crescere la popolarità dello scialpinismo in un villaggio sonnolento e con avvicinamenti che non perdonano è stato un compito non facile e veloce da portare a termine, ma che Odell ha accettato con entusiasmo
Nei primi anni Duemila aveva già qualche seguace e nel corso della successiva dozzina di anni è nata una piccola ed eclettica comunità di sciatori che ha disegnato con regolarità, stagione dopo stagione, i propri otto sulle radure più dolci intorno al Lago del Desierto. Però se chiedi a uno scialpinista di El Chaltén chi ha portato lo sci da queste parti, non ce ne sarà uno che non ti farà il nome di Odell.Ancora oggi Odell probabilmente accumula il maggior numero di giorni di sci all’anno a El Chaltén: una manciata di escursioni guidate e un numero significativamente maggiore di uscite per il puro piacere, spesso accompagnato dai figli:Pedro, 16 anni, e Tomás, 14 anni. I ragazzi hanno imparato a sciare a El Chaltén, scivolando giù per la collina in paese dove ora hanno costruito un hotel, oppure nei boschi sotto la Valle del Mosquito risalendo con la manovia che Odell ha costruito più di dieci anni fa.Rimane il fatto che lo sci a El Chaltén non è un’attività così immediata e naturale, nel migliore dei casi. Se le statistiche sulle precipitazioni nevose annuali nel villaggio non sono affidabili, è comunque sempre più raro che una nevicata significativa sopra i tetti delle case e soprattutto che la neve rimanga al suolo per un po’ di tempo. I pendii più bassi e boscosi non sono quasi mai innevati, limitando di fatto lo sci alla quota, e il cambiamento climatico è evidente nella ritirata dei ghiacciai Torre e Piedras Blancas.«Eravamo abituati ad avere sempre questa quantità in città almeno una volta all'anno e durava due o tre settimane»mi ha detto Odell, tenendo le mani a un piede e mezzo di distanza. «Ho notato che ogni anno devi camminare più lontano e salire più in alto per raggiungere la neve».Un fenomeno pericoloso per l'equilibrio già precario della piccola comunità sciistica locale. Di solito le grandi discese in quota e i circhi glaciali corrugati da crepacci e ricchi di accumuli da vento e cornici sono il terreno degli scialpinisti esperti, mentre i principianti rimangono in basso, ma la mancanza di neve al sotto della linea del bosco spinge tutti gli sciatori sempre più in alto, rendendo il gioco pericoloso. Eppure quello che sembra un punto di non ritorno è già un atout. Al di là delle linee sorprendenti e del potenziale infinito in chiave scialpinistica, è la comunità che rende unico lo scià El Chaltén. «Non c’è nessun posto come qui» mi ha detto Odell mentre caricavamo gli sci e preparava lo zaino sul suo van sulle rive del Río Eléctrico. «La maggior parte di queste persone ha imparato a sciare qui, nel backcountry. L’altro giorno sono uscito con Chiaro, il mio ultimo discepolo. Se posso insegnare a ognuno di loro a sciare, allora avrò sempre più compagni per le mie escursioni».L’iniziazione di Chiro allo scialpinismo è stata simile a quella di molti altri sciatori di El Chaltén: alpinisti senza esperienza di sci, desiderosi di trovare uno sbocco invernale, che hanno seguito le orme di Odell. La formula ha fatto nascere una comunità di sciatori locali da un assortimento di scalatori, alpinisti ed escursionisti. Per molti di noi l’idea di addentrarsi nella natura selvaggia per sciare una parete ripida senza una più che buona tecnica sciistica sembra una pazzia.Ma ciò che rende possibile l'evoluzione sciistica di El Chaltén è una tecnica plasmata da quella stessa montagna spietata. «Gli scialpinisti locali hanno una conoscenza diversa della montagna perché sono stati sulle pareti» mi ha detto Santi Guzman un pomeriggio. Guzman è il proprietario di Fresco, l’unico bar in città che è aperto durante i mesi invernali.È anche un ambassador di DPS e Outdoor Research, oltre che allenatore della squadra nazionale argentina di freeski. E probabilmente quello che più si avvicina al concetto di celebrità dello sci a El Chaltén. «Sanno come usare una corda, un’imbracatura – continua – sanno come tirarsi fuori dai pericoli, sono in forma, tutte queste abilità ne fanno dei validi scialpinisti nella montagna aperta, più di quanto mi sia trovato a mio agio io, sciatore da località sciistica, alle mie prime esperienze nella wilderness».
Guzman è cresciuto affinando la sua tecnica sulle piste addomesticate di Bariloche, dove era sempre nella zona di comfort. Gli sciatori di El Chaltén, invece, sanno come uscire da quella zona di comfort. La stragrande maggioranza di loro non sta andando a mettersi nei guai in canali dove non è possibile sbagliare,anche se si tratta di un terreno su cui si troverebbero meglio senza sci. La maggior parte di loro è solo alla ricerca di un altro modo per affrontare le montagne.A differenza dei mesi estivi, quando gli anfiteatri del Fitz Roy e della Torre Possono sembrare colossei riservati ai gladiatori più talentuosi dell’alpinismo, la comunità sciistica qui rimane umile.«In Argentina lo sci è uno sport d’élite, è costoso» mi ha detto Laura Iriarte, un’insegnante di inglese alla scuola superiore locale. Portare la famiglia a sciare per soli due giorni nelle località vicino a Bariloche costerebbe più di un mese di stipendio. «Qui a El Chaltén Non è così, chiunque può sciare e trovare sci usati da farsi prestare per provare.È l’unico posto così in Argentina.Lo scialpinismo è gratis». Laura è cresciuta vicino a Buenos Aires, figlia di un falegname e di un’insegnante.È venuta a El Chaltén, ha sposato una Guida escursionistica, Pedro Fina, e ha imparato a sciare negli ultimi dodici anni.Ci tiene a chiarire che, a parte alcune grandi discese aperte da stranieri, come la linea di Andreas Fransson sulla Whillans al Aguja Poincenot nel 2012, ciò che differenzia la cultura invernale di El Chaltén è il pot-pourri di sciatori di tutte le classi sociali e disponibilità economiche. Non a caso più della metà di loro ha imparato senza mai mettere piede su una funivia o una seggiovia.«È una comunità super piccola, c'è davvero una bella empatia tra tutti»mi ha detto Guzman. «È più difficile imparare, ma sta succedendo. E se ora si inizia a sciare a 30 anni, ci sarà una prossima generazione quando i figli metteranno le pelli e il livello non potrà che salire».Nonostante sia riuscito a fare una gita con quasi tutti gli sciatori della zona, il meteo in Patagonia è incredibilmente variabile e ho trascorso gran parte dei miei tre mesi in paese in compagnia di molti locali che non hanno mai sciato. Alcuni proprietari di attività commerciali chiudono a malincuore il negozio in inverno. Altri Usano felicemente il flusso e riflusso del turismo per chiudere le loro porte e distinguere il lavoro dal tempo libero.Merlin Lipschitz fa la Guida a El Chaltén da più di 20 anni, inizialmente andando avanti e indietro da Bariloche prima di mettere su casa qui nel 2003. Ha iniziato a sciare a El Chaltén seriamente intorno al 2005 e ha portato i primi clienti sulla neve un lustro dopo. A distanza di altri dieci anni ha registrato un leggero aumento del turismo invernale, ma nulla a che vedere con la crescita del lavoro estivo nello stesso arco di tempo. La società di Guide Di Lipschitz può arrivare fino a 50 clienti al giorno in alta stagione, impiegando anche cinque Guide aggiuntive. In inverno Lipshitz opera da solo e lavora con al massimo 15 sciatori a stagione. «L'unica Cosa negativa della Patagonia è che l'inverno è così breve» mi ha detto una volta mentre toglieva le pelli sopra il ghiacciaio del Cerro Crestón. Nonostante la stagione corta, potrebbe probabilmente avere qualche cliente in più, però a lui va bene così.
«L’inverno è il mio periodo: i ritmi rallentano, sciamo con gli amici, facciamo asados, stiamo a casa con la famiglia.Lavoriamo duramente in estate per prenderci un po’ di tempo per noi in inverno». Dietro alle sue parole si cela quello stato di agitazione e di stress tangibile a El Chaltén quando arriva la primavera australe e i residenti si preparano per l’alta stagione. Ma è anche un momento di ottimismo perché la maggior parte della gente del posto preferisce l’intensità dell’estate, quando il business è al massimo. È la quintessenza del turismo mordi e fuggi stagionale:il modello funziona per una parte della popolazione, ma alcuni preferirebbero un po’ più di stabilità.Per decenni il Parco Nazionale Los Glaciares E le cime intorno a El Chaltén hanno attratto gli alpinisti, però prima del nuovo millennio il turismo non era ancora classificabile come di massa in un paese isolato e con pochi o nessun servizio. Tutto è cambiato nel 2000 quando a El Calafate, la grande città di 7.000 abitanti a Sud di El Chaltén, hanno inaugurato un aeroporto con voli regolari su Buenos Aires. L’anno seguente la svalutazione del Peso argentino ha fatto da detonatore per il turismo internazionale verso la Patagonia meridionale.La strada per El Chaltén è asfaltata dal 2006 e i turisti non si sono fatti attendere,t rasformandolo nella capitale mondiale del trekking nel giro di un decennio.È difficile prevedere quando e se arriverà la prossima trasformazione di El Chaltén.È la città più giovane dell’Argentina, nata ufficialmente nel 1985. Per molti aspetti è ancora nella sua adolescenza.C’è poca preoccupazione (o eccitazione)che lo sci possa esplodere in inverno nello stesso modo in cui è avvenuto per l'escursionismo nei mesi estivi. Le Guide Locali si sono impegnate per sviluppare il turismo scialpinistico, dalla promozione sui social media alla costruzione di un rifugio a basso impatto ambientale sotto il Cerro Crestón (il primo per uso specifico invernale nella Patagonia meridionale).Però è ancora un mercato di nicchia.Il boom estivo si gonfia anno dopo anno ma, in inverno, El Chaltén rimane com'è sempre stato, o quasi.
Il tempo gioca a uno strano gioco in Patagonia. Passano giorni e poi settimane all'insegna della tempesta. Questo, tuttavia, dà alla cultura montana argentina la possibilità di fiorire, celebrando la vita all’ombra di un anfiteatro alpino, banchettando con asados sognando obiettivi futuri. Entrambi sono cotti a fuoco lento e marinati con la pazienza che solo la Patagonia può infondere. L’esperienza è innaffiata da un buon Malbec e dal fischio del vento, guarnita con un’alzata di spalle verso le opportunità mancate, deluse da tempeste furiose. L’attesa fa fermentare le finestre meteorologiche in qualcosa di ancora più dolce. Le previsioni a lungo termine sono una chimera nei Roaring Forties(i venti ruggenti oltre il 40° parallelo), ma arriva un margine di circa tre giorni in cui la fiducia nel meteo aumenta. Senza una superficie terrestre per cambiare il corsodi una tempesta o di un sistema di alta pressione che si stacca dal mare, l'arrivo della finestra giusta diventa imminente. Dopo settimane di attesa, Merlin e io eravamo finalmente accampati al De Agostini, alla base della Valle del Torre. Il nostro primo giorno in quota si era rivelato tutt’altro che perfetto, perché l'ultima inversione aveva svelato un canalone a prova di proiettile da tanto la neve era dura sotto le nostre solette. Una discesa da fare rizzare ogni singolo capello, senza margine d’errore e di caduta fino al lago ghiacciato. Forse è questo il motivo per cui così pochi sciano sulle cime più alte. Dopo una lunga e pesante camminata nel buio fino alle tende, la neve cadeva leggera mentre ci infiliamo nei sacchi a pelo umidi.Per un attimo ho colpevolmente sperato che la tempesta continuasse, che il cielo non si aprisse e che potessero spingere la cima nell’etere ambiguo di un proposito futuro.Ci siamo svegliati alle cinque: una spolverata di neve e nuvole in tutte le direzioni ci hanno spedito nei nostri sacchi a pelo un po’ più a lungo. La sveglia delle sei è arrivata veloce a svelare un cielo sereno.«È perfetto, dobbiamo andare ora» ha mormorato Merlin, sorpreso quanto me. Ci siamo dati da fare per far bollire l’acqua e spingere a forza le ghette negli scarponi congelati.Appesi alla fune tirolese nell’immobilità del mattino pre-alba, il mormorio del fiume sotto di noi sembrava zittito dal silenzio di un mare infinito di stelle nel cielo.Il Cerro Torre appariva come un miraggio nella tenue luce lunare e il nostro obiettivo, il Cerro Solo, sedeva imponente sopra le ombre della media montagna, con la colossale parete orientale dipinta di crepacci.A distanza di dieci ore, dopo aver sciato una delle linee più spettacolari della zona in perfette condizioni primaverili, Merlin e io ci siamo presi di nuovo alla fune tirolese per tornare alle tende, abbiamo mangiato tutto il cibo rimasto e iniziato la delirante marcia di rientro in paese.«In Patagonia devi essere paziente» mi aveva detto Lipschitz diverse settimane prima. «È difficile aspettare, non è per tutti. Ma una volta che provi a sciare qui, quando trovi le condizioni giuste, non c’è niente di paragonabile». È l’incertezza che ti fa desistere, ma se hai il fegato di scommettere e di stare al gioco...A El Chaltén la questione non è «com’è» o «come sarà probabilmente», ma «come può essere bello» dicono i local. Ed è un ottimo motivo per mettere il proprio destino in balia dei venti del Sud.
Questo articolo è stato pubblicato su Skialper 136
TOPO ATHLETIC lancia Pursuit, il nuovo modello drop zero
Per non rinunciare a un approccio naturale e comodo anche sulle lunghe distanze e sui terreni tecnici scende in campo Pursuit, la novità di Topo Athletic fortemente richiesta dai trail runner desiderosi di una scarpa ammortizzata e reattiva con drop zero. Sempre presente la caratteristica calzata del marchio con ampio spazio nell’avampiede e sistema di bloccaggio nella sezione centrale e posteriore del piede per la massima sicurezza in ogni situazione.
La tomaia utilizza un mesh dalla trama fitta e rinforzata, già applicato nella Mountain Racer 2, grazie alla stampa in PU posizionata strategicamente nelle aree ad alta abrasione per una maggiore durata. Questo rivestimento risulta molto contenitivo e traspirante, evitando l’entrata di piccoli detriti fastidiosi durante la corsa. Allo stesso modo il collare è stato imbottito per attribuire ulteriore comodità senza dimostrarsi invasivo.
La piattaforma da 28 mm a drop zero dona un allineamento neutro dal tallone alle dita, favorendo un appoggio nella parte centrale del piede e una falcata naturale con un’ampia ammortizzazione. Il modello assicura, infatti, notevole ritorno di energia per mezzo dell’intersuola a doppia densità in ZipFoam™, la speciale mescola in TPU ed EVA di cui Topo Athletic è proprietario. Attraverso una densità più morbida nello strato a contatto e più solida attorno al perimetro e al fondo, emergono durabilità e minor rischio di compressione. Il plantare antimicrobico Ortholite® e la suola Vibram® Megagrip, garanzia di trazione e resistenza allo scivolamento senza precedenti su tutti i terreni, offrono una corsa confortevole e resiliente a lungo termine. Le alette distanziate nella struttura da 6 mm consentono un veloce rilascio di neve e fango. È dotata di due attacchi sul tallone e di un terzo anello alla base della linguetta compatibili con la ghetta performance del brand per tenere fuori lo sporco.
Il prodotto pesa solamente 306 grammi ed è consigliato per distanze in allenamento o gara a ritmo medio da 10km alle lunghe distanze, con un peso dell'utilizzatore inferiore agli 80kg e con appoggio neutro.
Pursuit è disponibile su topoathletic.it/ e nei punti vendita specializzati.
https://www.youtube.com/watch?v=xJaZGlnD2UI
ASICS CCC Experience @ UTMB
UTMB non è solo una gara. Nemmeno un evento di trail running, nel senso stretto della definizione. È un'occasione unica e imperdibile di conoscere un mondo fatto di emozioni, di fatica, di sudore, di lacrime, di tifo sfrenato, di urla, di applausi. È quel momento dell’anno in cui, da tutto il mondo, migliaia di atleti, appassionati e fan confluiscono in un unico posto magico: Chamonix, alle pendici del Monte Bianco. L’aria che si respira tra le vie del villaggio, appositamente allestito per l’evento, è particolare. Non si tratta solo di competizione, ma di condivisione, energia allo stato puro. Gli atleti non sono uno contro l’altro, sono compagni di viaggio, lo staff non è composto da allenatori ma da persone, amici e parenti, che hanno il compito di supportare e dare energia ai corridori. UTMB è una settimana di festa, un’esperienza che si può comprendere a fondo solo vivendola.
Ad attenderci a Chamonix c’è il Team Asics al completo. Gli atleti del brand giapponese sono impegnati nelle diverse competizioni che da lunedì 22 agosto si disputano sui tracciati appositamente predisposti dallo staff UTMB. Tra i presenti spiccano i nomi di Andreas Reiterer, Claudia Tremps, Sissi Cussot, Nuria Gil, Benoit Girondel e molti altri runner di livello della squadra, che si contraddistinguono per le numerose vittorie nei circuiti ultra euroepei. All’interno dell’Asics House, situata appena fuori dal centro del paese, conosciamo i volti dietro allo sviluppo della nuova collezione Fujitrail che, come anticipa il nome, è appositamente concepita per il trail running su media e lunga distanza.
«Lavorare a stretto contatto con gli atleti permette di creare prodotti funzionali e orientati alle reali necessità di un runner - afferma Andreas Moll, Product Marketing Director - eliminando il superfluo ed ascoltando i feedback di chi utilizza il nostro marchio quotidianamente abbiamo la possibilità di ottenere prodotti estremamente performanti che si adattano ad un utilizzo prolungato in condizioni che in molti potrebbero definire estreme».
Effettivamente, pensando all'intensità del gesto atletico necessario durante una competizione come UTMB, in cui si corre per centinaia di chilometri di giorno e di notte, col sole e con la pioggia, affrontando dislivelli che arrivano fino a 9000 metri d+, l’utilizzo di prodotti di alto livello diventa un elemento fondamentale per portare a termine il percorso.
Il Trail running rappresenta circa il 20% del mercato globale dei prodotti da running, percentuale in continua crescita negli ultimi anni. Gli investimenti dei brand in ricerca e sviluppo, le nuove tecnologie e la possibilità di lavorare a braccetto con gli utilizzatori permettono una continua innovazione orientata alla performance ad al comfort, caratteristiche che nell’ultra trail devo andare necessariamente di pari passo.
FUJI TRAIL COLLECTION
«La scelta dell’UTMB come momento per presentare la nuova collezione Fujitrail non è stata casuale» racconta Magdalena Gassebner, Product Marketing Specialist «Un evento del genere è l’occasione perfetta per raccontare dei prodotti estremamente tecnici che possano soddisfare i bisogni di chi partecipa a questa tipologia di competizione».
Protagonista indiscussa della collezione, che si compone di tutti gli elementi necessari per affrontare un ultra-trail, è la nuova scarpa Fuji Lite 3, che abbiamo avuto il piacere di testare durante l'evento. Una scarpa estremamente ammortizzata, stabile e leggera (210g), che vanta tra le tante caratteristiche una costruzione realizzata con alta percentuale di materiali riciclati. La tomaia in Openmesh traspirante ed elasiticizzata garantisce un’ottima fasciatura del piede, l’ammortizzazione Flytefoam, realizzata con nano-fibre di cellulosa, fornisce protezione e proietta la falcata in avanti con estrema reattività. La suola AsicsGrip infine dona al prodotto un’ottima trazione su superfici asciutte e bagnate, dal fango alla roccia. Appena calzata la scarpa sembra leggermente instabile lateralmente, ma una volta che si prende confidenza con l’appoggio la sensazione scompare per lasciare spazio all’incredibile piacevolezza di un rimbalzo morbidissimo.
CCC: COURMAYEUR-CHAMPEX-CHAMONIX
La CCC è la sorella minore dell'UTMB, una 100km con 6100m d+ che attraversa Italia, Svizzera e Francia costeggiando a nord il massiccio del Monte Bianco. Una gara per nulla semplice, in cui dosare le energie è fondamentale per arrivare al traguardo sulle proprie gambe. Abbiamo seguito la competizione a bordo dell'Asics Van, incontrando gli atleti nei punti di ristoro principali. In una competizione del genere la strategia è tutto: capire come e dove ci si può concedere di spingere di più, dove invece è meglio rilassarsi. Saper ascoltare il proprio corpo e soprattutto riuscire a gestire la stanchezza mentalmente, in una corsa che per i più veloci dura poco meno di 10h con il cancelletto di chiusura a 26 ore.
La pioggia ha accompagnato gli atleti per la maggior parte del percorso, aumentando la difficoltà tecnica della gara e minando la resistenza psicologica dei partecipanti. Nonostante il meteo avverso nulla ha potuto fermare un indomabile Petter Engdahl, che non solo si è classificato primo ma ha anche stabilito un nuovo tempo record per la gara, 9 ore, 53 minuti e 2 secondi. Alle sue spalle Jonathan Albon ha lottato per mantenere il secondo posto, minacciato dal fortissimo italiano del team Asics, Andreas Reiterer, che lo ha superato poco dopo Vallorcine rimanendo al secondo posto fino alla vetta della Tête aux Vents. Qui Albon ha trovato il giusto ritmo per superare l'italiano nella discesa de La Flégère, mantenendo la sua posizione fino al traguardo, che ha tagliato in 10 ore, 16 minuti e 7 secondi, 7 minuti prima di Andreas Reiterer, 3° in 10 ore, 23 minuti e 16 secondi.
Il Kima è di Finlay e Gerardi
Dopo quattro anni di attesa non sono mancate le emozioni al Trofeo Kima. Ieri sul sentiero Roma lo scozzese Finlay Wild e la statunitense Hillary Gerardi hanno scritto il loro nome su un albo d’oro prestigioso, portando a casa anche il primo ISF Technical Award, il premio messo in palio dalla federazione internazionale sul tratto più tecnico.
Fino a metà gara Nadir Maguet ha provato a sgranare il gruppo di testa cercando si sfiancare il francese Alexis Sevennec, il norvegese Stian Angermund, e lo scozzese Finlay Wild. Il suo forcing ha però presentato il conto al campione del CS Esercito che nella seconda parte di gara ha dovuto fare i conti con i crampi. Sul tecnico Wild, già vincitore dello scorso fine settimana della Matterhorn, è salito in cattedra, avvicinandosi non poco ai parziali fatti registrare nel 2018 dal recordman della gara Kilian Jornet. Vittoria in 6h10’14”. Secondo posto ex aequo per Stian Angermund e Alexis Sevennec in 6h22’33” (nelle ultime tre edizioni del Kima, Sevennec ha centrato un quarto e due secondi posti). Ai piedi del podio Nadir Maguet in 6h26’00”, quinto il marocchino naturalizzato spagnolo Zaid Ait Malek. Chiudono la top ten di giornata Mattia Gianola, Johann Baujard, Rob Sinclair, Daniel Antonioli e Dany Jung.
La vincitrice 2018 e già detentrice della migliore performance cronometrica sul Sentiero Roma, Hillary Gerardi, ora è a tutti gli effetti la vera regina di queste montagne. Suo infatti il nuovo record della gara in 7h30’38”. Secondo posto per la polacca Marcela Vasinova in 7h58’35”, mentre terza è giunta la messicana Karina Carsolio (8h02’03”). Strappano un posto nella top five 2022 anche Giuditta Turini e Giulia Saggin.
Kilian riscrive la storia dell’UTMB
Quella di oggi è una giornata storica per il mondo dell’ultra-running. Dove in tanti hanno provato invano, Kilian riesce con un’apparente leggerezza che lo consegna definitivamente come leggenda del trail: 19h49’30’’. Finalmente quella barriera delle 20 ore per la quale sono stati organizzati anche eventi ‘Breaking 20’ cade. Non è solo il record di gara, neppure la quarta vittoria nella cento miglia attorno al Monte Bianco (eguaglia D’Haene come il più vincente di sempre a Chamonix) a essere incredibile, quello che stupisce è che Kilian ha messo in dubbio la partecipazione perché risultato positivo al Covid poco dopo la Sierre-Zinal. Kilian Jornet è stato sempre nel pacchetto di testa, nella lunga notte con Jim Walmsley, in forma fino alle prime luci dell’alba, in Svizzera, poi Kilian è scappato e ha fatto da elastico a Mathieu Blanchard, fino a mettere il turbo nel tratto finale, quello che comprende la Tête aux Vents e la discesa su La Flegère e Chamonix. Ma non è stata una fuga, perché Blanchard è comunque sceso sotto le due ore e ha accusato un ritardo di poco più di cinque minuti. Jim Walmsley, insieme a Kilian il grande favorito, ha dovuto accontentarsi del quarto posto, superato dall’inglese Thomas Evans (20h34’35’’). Nella top ten, in ordine: Zack Miller, Benat Marimissole, Arthur Joyeux-Bouillon, Jonas Russi, Robert Hajnal, Thibaut Garrivier. Tra le donne vittoria della statunitense Katie Schide (23h15’12’’), davanti alla canadese Marianne Hogan (24h31'22'') e alla connazionale Kaytlyn Gerbin (25h07'44). Nono posto per la testatrice della nostra Outdoor Guide Francesca Pretto in 27h31'45''..
Chi sopravviverà all’UTMB?
Inutile girarci intorno, ogni anno la cento miglia del Monte Bianco è LA gara, un campionato del mondo dell’ultra trail non dichiarato. Perché qui si sfidano tutti i migliori, infortuni e Covid permettendo. E il pronostico è sempre difficilissimo. Le sorprese non sono mai mancate. Solo nell’ultimo decennio, come dimenticare l’edizione 2013, con la vittoria di Thévenard e il settimo posto assoluto della vincitrice femminile, Rory Bosio, oppure la vittoria di Francesca Canepa nel 2018, quando la davano tutti per finita ad alto livello e quella di Ludovic Pommeret del 2016? Non è proprio una sorpresa, ma anche la vittoria di D’Haene del 2017 su Kilian non era così facilmente pronosticatile. E poi tutti gli statunitensi che hanno fatto flop nonostante i favori del pronostico, mentre le donne stars & stripes hanno scritto la storia, a partire dalla Dauwalter, vincitrice delle ultime due edizioni?
Chamonix è Chamonix, il Monte Bianco il Monte Bianco e il pathos che si respira questa settimana altissimo. Non solo in quell’incredibile mass start nella quale l’adrenalina sale a mille, anche per i runner più esperti o in quei primi chilometri molto corribili, velocissimi, spesso sotto il sole cocente, che hanno ammazzato più di un favorito. È tutto il contorno, l’atmosfera, l’attesa che sono capaci di uccidere chi non ha il pelo sullo stomaco. E poi c’è la lunga notte, ci sono la strategia e la tattica. Così, anche nel 2022, un pronostico è un indovinello su chi non salterà o non scoppierà come in un remake di Dieci Piccoli Indiani con le scarpe da trail. Di sicuro sarà meglio aspettare la seconda parte di gara, da Courmayeur, per iniziare a tifare seriamente, perché molto spesso giochi per la vittoria ha iniziato a prendere forma qui, tra il palasport della località valdostana e Champex.
Uomini
I favoriti assoluti, e non potrebbe essere diversamente, sarebbero loro: Kilian Jornet e Jim Walmsley. Il condizionale riguarda Kilian, che ritorna all’UTMB dopo le tre vittorie da enfant prodige tra il 2008 e il 2011, ma nel 2017 è stato battuto da D’Haene (che non sarà presente, ma all'ultima Hard Rock 100 la sfida l'ha vinta Kilian) e nel 2018 non è arrivato al traguardo. E l'UTMB ultimamente non sembra portargli fortuna visto che ieri sera sul suo account Instagram ha rivelato di essere risultato positivo al Covid, seppur asintomatico. «Tre giorni prima della Sierre-Zinal - ha scritto - ho visto che i valori della variabilità della frequenza cardiaca scendevano e che le pulsazioni a riposo salivano di circa 10 al minuto. Visto che ero un contatto stretto con un positivo (la compagna Emelie Forsberg, n.d.r.), ho iniziato a fare test, ma ero negativo e in grado di gareggiare, non al 100 per cento, ma quasi. Successivamente il test è risultato positivo, sempre asintomatico. Mi sento pronto e ben preparato per la gara e non ho sintomi, ma parlerò con il mio medico per prendere la migliore decisione per la mia salute e per gli altri runner». Il talento non manca, le motivazioni, da quando si è inventato un nuovo marchio di scarpe (Nnormal, proprio in questi giorni viene presentata la prima scarpa, la Kjerag, un modello leggerissimo, da 200 grammi) anche, ma, la vicenda Covid mette più di nuvola nera sulla sua (eventuale) gara. Lo sfidante numero uno è lo statunitense Jim Walmsley, fortissimo, eppure a Chamonix sempre nei guai (solo un quinto posto nel 2017, non arrivato nel 2018 e 2021). Corre veloce Jim (lo dimostrano le vittorie alla Western States, cento miglia fast), ma nel 2022 ha già vinto la MIUT, più simile per caratteristiche all’UTMB, anche se più corta e dalla primavera si è trasferito nel Beaufortain, dove i ben informati dicono che abbia corso anche con D’Haene. Sfida bellissima, indecifrabile. Diremmo più Kilian che Jim senza la variante Covid, ma ci vorrebbe la cabala e, se Kilian sarà al via, il pronostico a questo punto si inverte. Dietro ci sono lo spagnolo Pau Capell, vincitore nel 2019, poi tormentato da una noia al ginocchio. Alla LUT è saltato, molto dipenderà dallo stato di forma. Occhi puntati soprattutto sul francese Aurélien Dunand-Pallaz, secondo l’anno scorso, che potrebbe essere il terzo incomodo e anche sul tedesco Hannes Namberger, sesto l’anno scorso e vincitore della LUT. L’UTMB 2021 è stata la sua prima cento miglia e Hannes ha ora l’esperienza, la forma e il controllo della situazione dei grandi, attenzione… E poi, altri nomi da monitorare, almeno per un risultato top, Mathieu Blanchard, Pablo Villa, Thibaut Garrivier, Scotty Hawker, Tom Evans, Germain Grangier, Benoit Girondel, Hajnal. Ma le sorprese non mancheranno.
Donne
Nella gara femminile, vista l’assenza della regina delle ultime due edizioni, Courtney Dauwalter, i giochi sono più aperti. La svedese Mimmi Kotka è quella con il miglior piazzamento dell’anno scorso (terza). Il 2022 per lei è partito bene, con la vittoria della LUT ed è stata avvistata stabilmente sui sentieri di Chamonix. Il podio dovrebbe giocarselo con la spagnola Ragna Debats, le francesi Audrey Tanguy e Manon Bohard, la spagnola Azara Garcia. Occhio anche a Katie Schide, Emily Hangwood, Hillary Allen, Fu-Zhao Xiang.
Sulla carta i pronostici sono questi, ma la carta spesso è diventata straccia, non solo perché macerata dalla pioggia, che potrebbe arrivare sotto forma di temporali nella notte di venerdì e sabato, secondo le prime tendenze meteo, ma anche perché scolorita dal sole cocente. Però nei prossimi giorni le temperature potrebbero essere meno torride che in alcune edizioni passate, più in linea con le medie stagionali, in ogni caso non fredde. E poi, senza suspence, che UTMB sarebbe?
Super Martina Valmassoi, la TDS è tutta sua
Non poteva esserci annata migliore per Martina Valmassoi. Dopo la vittoria a sorpresa a Canazei, per la runner del team Salomon arriva uno straordinario successo alla TDS (145 km, 9.100 m D+) corsa sempre in testa. L’arrivo ieri sera in 22h42’47’’ davanti alla spagnola del team Asics Claudia Termps (22h59’38’’) e alla tedesca Katharina Hartmuth (23h22’18’’). Martina è anche il primo atleta italiano assoluto nella gara. Tra gli uomini ha vinto il francese Ludovic Pommeret (18h37’04’’) sul runner dell Ecuador Joaquin (19h32’09’’)Lopez e sul francese del team Salomon Elias Kadi, autore di una grande rimonta (19h49’51’’).
La giornata di ieri è stata funestata da un incidente mortale lungo il percorso della PTL, nella zona di Saint-Gervais. Un runner di origini brasiliane è caduto per alcune decine di metri in un traverso. I concorrenti sono stati avvisati e lasciati liberi di continuare o ritirarsi. L'anno scorso si era verificato un incidente mortale lungo il percorso della TDS.
Skialper Archive / Ice & Palms
Milleottocento chilometri e 35000 metri di dislivello in bici e sci, dalla Germania meridionale a Nizza, per sciare le montagne più belle e concedersi una vacanza al mare
Testo Federico Ravassard Foto Max Kroneck, Jochen Mesle,Julian Rohn
Baden-Württemberg è uno dei principali land della Germania. La sua capitale è Stoccarda, conosciuta nel resto del mondo come la patria dell’automobile(Mercedes-Benz, Porsche, Bosch hanno sede qui, ad esempio), e l’economia dell’intera regione si basa largamente nell'industria. Confina con la Francia a Este con la Svizzera a Sud, mentre i principali rilievi sono rappresentati dalla Foresta Nera, la catena del Giura E le Prealpi del Lago di Costanza.Il Baden-Württemberg sembra un buon posto dove vivere, se non fosse per un piccolo dettaglio:il mare, specialmente quello caldo, è lontano, parecchio lontano. E di conseguenza, se un paio di amici si dovessero inventare di voler andare al mare in bicicletta, le cose si complicherebbero parecchio, specialmente se lungo l’itinerario ci si volesse portare dietro anche degli sci e decidere di utilizzarli nel miglior modo possibile.I due amici sono Jochen Mesle e Max Kroneck Che, oltre alla passione per lo sci, scoprono di condividere anche quella per le pedalate, specialmente quelle lunghe e faticose, e per la fotografia, in particolar modo quella che ti impone di utilizzare apparecchi pesanti e scomodi. L’idea che partoriscono insieme ha le caratteristiche comuni di ogni sufferfest si rispetti: dev’essere lunga, fisicamente estenuante, particolarmente ricca di incognite e problematiche di varia natura, originare vesciche in vari punti del corpo e apparire insensata agli occhi delle persone normali.Et voilà, ecco il progetto Ice & Palms: Jochen e Max Vogliono partire da casa loro a Dürbheim, nel Baden-Württemberg, raggiungere l'Austria e da lì attraverso i principali valichi alpini arrivare fino al lungomare di Nizza, senza mai utilizzare mezzi a motore e sciando il più possibile, filmando allo stesso tempo la loro avventura.Di tanto in tanto, poi, verranno raggiunti da amici che daranno una mano nella ripresa delle immagini.I loro destrieri saranno due bici gravel, equipaggiate con portapacchi anteriori e posteriori sui quali sistemare l’attrezzatura. Sci e scarponi dietro, insieme a uno zaino con il materiale per la notte. Sacca Anteriore sinistra per il pentolame e macchine foto.Tasca anteriore destra: accessori e abbigliamento da pioggia, pronti per essere tirati fuori in poco tempo.Peso totale, cinquanta chili, grossomodo: vista l’agilità, più che destrieri li si potrebbe definire dei ronzini un po' sovrappeso.
Quello della partenza, nella primavera del 2018, è un momento strano, Jochen e Max sembrano fuori posto: un po’ come quei modelli da catalogo, ritratti in ambiente ma con abbigliamento e attrezzatura perfettamente in ordine e puliti. Ci vorranno un paio di giorni per cominciare a stropicciarsi il giusto e toccare la neve dopo più di 100 chilometri di distanza pedalata. Non è poi così male, tutto sommato, poter alimentarsi in modo soft prima di arrivare sulle montagne vere.Viaggiare con bicicletta e sci al seguito significa perdere continuamente tempo a fare e disfare i bagagli, che richiedono un ordine maniacale, in perfetta antitesi con la natura degli sciatori. Ogni pezzo deve essere nel posto giusto per essere trovato nel momento giusto:Mark Twight diceva che in montagna ci vuole un accendino in ogni tasca, per non impazzire quando si tratta di accendere il fornello in bivacco, e in bike packing non cambia più di tanto.Al quarto giorno sono nell’Arlberg, da lì si dirigono verso la Svizzera. Di neve qui non sembra essercene molta, ma bisognava pur trovare un compromesso per poter beneficiare dell’apertura di quasi (tutti) i valichi. Sono le classiche condizioni in cui, una volta- come dicono i vecchi - cominciava la stagione dello scialpinismo. A St. Anton un avventore in un bar chiede loro cosa faranno quando, una volta arrivati a Nizza, non troveranno più neve da sciare. «Ci Siamo portati dietro anche il costume da bagno» la risposta perentoria.Dopo nove giorni e 500 chilometri si comincia a fare sul serio.La coppia di ciclo-sciatori si avvicina al massiccio del Bernina E dalle sacche sulle ruote spuntano fuori piccozze e corde, ingredienti necessari per il menù dei giorni a seguire: Piz Bernina e Cima di Rosso, itinerari grandiosi che strizzano l’occhiolino alle pendenze sopra i 45°. Si muovono bene, dopo le prime tappe in cui hanno patito entrambi le conseguenze di infortuni occorsi durante la stagione invernale. Strano ma vero, le centinaia di chilometri in bicicletta hanno fatto da terapia e ora si avvicinano alla metà della distanza che separa la Germania dal Mediterraneo.Dopo due settimane di viaggio arrivano al Furkapass, che collega le Alpi Lepontine a quelle Bernesi. Su questi tornanti, negli anni ’60, Sean Connery sfreccia sulla sua Aston Martin durante le riprese Agente 007 - Missione Goldfinger, ma quando Jochen e Max Arrivano alla sbarra del fondovalle capiscono in poco tempo che per loro il valico sarà tutt’altro che velocità e adrenalina: la parte alta non è ancora stata ripulita dalla neve ed è, in poche parole, chiusa al traffico. Non rimane altra scelta che accettare la sfida e caricare le biciclette letteralmente sugli zaini, tirare fuori le pelli e proseguire carichi come sherpa lungo i pendii innevati, sotto una leggera nevicata che non fa altro che rincarare la dose di sofferenza.I due viandanti procedono barcollanti sotto i loro carichi monumentali e, un passo alla volta, cominciano a salire verso i 2.436 metri del passo. La discesa è una scena surreale, fatta di curve molto controllate e allo stesso tempo storte come un quadro cubista, fino a quando, esausti, possono finalmente mettere le ruote sull’asfalto, mentre il nevischio ora tramutato in pioggia fa apprezzare ancora di più la mutevolezza del meteo primaverile.Sono passati ventun giorni dalla partenza e con 960 chilometri nelle gambe il Vallese si apre davanti a loro. Mentre a pochi chilometri i turisti gozzovigliano nei ristoranti di Zermatt, i nostri due eroi puntano gli sci verso mete sicuramente più di nicchia. «È bello ritrovarsi completamente soli in montagna e sapere di avercela fatta con le proprie forze» commentano, salendo verso il rifugio da cui partiranno il giorno successivo. Il Bishorn lo sciano nella nebbia, non senza qualche spavento. Le valanghe si fanno sentire ma non si fanno vedere, mentre a quattromila metri, immersi nel white-out, aspettano una finestra di cielo pulito per scendere il più velocemente possibile.Sul Brunegghorn, due giorni più tardi, vengono premiati dagli dei della montagna con una discesa memorabile, in una di quelle giornate in cui lo scialpinismo primaverile si manifesta in tutta la sua bellezza.Cielo azzurro, polvere fredda e, duemila metri più sotto, il verde dei pascoli a fare da quinta. La parete Nord è una pratica che viene liquidata in una decina di curve che giustificano pienamente lo sforzo supplementare di utilizzare assi da freeride al posto perline scialpinismo light: entrambi, infatti, hanno deciso di portarsi dietro sci oltre i 100 millimetri al centro e scarponi a quattro ganci da free touring. L’attenzione della coppia, ormai innamorata del Vallese, si sposta a questo punto su un altro monumento del ripido, che risponde al nome di Grand Combin de Valsorey. Lo scivolo Nord-Ovest, che culmina a 4.184 metri, viene descritto da Marx come una scala di Giacobbe, facendo riferimento all’affresco di Raffaello In cui il profeta biblico sogna una scalinata da cui gli angeli possano muoversi fra la Terra e il Cielo. Lo stesso scivolo in cui, nel film La Liste, Jérémie Heitz perdeva uno sci, riuscendo incredibilmente a salvarsi la pelle dopo una caduta a 50° di pendenza. Per i due la giornata si rivela fortunatamente meno adrenalinica, anche se la stanchezza inizia a farsi sentire. Proprio quel giorno avrebbero dovuto riposare, ma passare sotto a quella rampa senza scala non sarebbe stata un’azione da fedeli devoti alla causa dello sci.Al trentesimo giorno, nei pressi del Gran San Bernardo, iniziano a manifestarsi i primi indizi che indicano che ormai è solo questione di pochi giorni prima di potersi spaparanzati in spiaggia.Nizza 323 km, recita un cartello nei pressi del tunnel. Pochi chilometri più in là, a Donnas, delle palme appaiono a bordo statale come oasi nel deserto.
Come i barbari alla fine dell’Impero Romano, i due germanici continuano a calare verso Sud a bordo dei loro ronzini meccanici, nutrendosi unicamente di pizza, pasta e carboidrati vari per onorare la cultura del turismo tedesco in Italia. Valle di Susa, poi il Monginevro: il prossimo obiettivo sarà la Barre des Écrins, il quattromila più meridionale dell’arco alpino, e sarà anche l’ultima vetta in programma prima di dirigersi verso il Col du Vars e le spiagge francesi.Quella sulla Barre è un’altra giornata memorabile. Si filmano a vicenda all'alba, mentre si dirigono, sci ai piedi, verso la terminale della parete Nord, che per l’occasione si è presentata con il vestito dei giorni di festa.Solitamente è un muro ghiacciato e non sempre la neve la ricopre in modo sufficiente per poter essere sciata. Solitamente non vuol dire sempre, e per i due l’ultima discesa del loro viaggio può cominciare direttamente dalla croce sommitale, dalla quale si può vedere tanto il Monte Bianco quanto il Golfo di Nizza. Chi ha già sciato nelle Alpi del Sud sa bene l’emozione che si prova a vedere il Mediterraneo scintillare in lontananza, la stessa che provano Jochen e Max mentre gli attacchi fanno clack. Il Col du Vars è una formalità che viene sbrigata in fretta, aspettando l'ultimo ostacolo: il Col de la Bonette, che con i suoi 2.715 metri è, insieme allo Stelvio, all’Iseran e all’Agnello, tra i più alti valichi asfaltati delle Alpi. Nel 2016 il Giro d’Italia era passato di qua in una tappa memorabile, la penultima: in soli 134 chilometri erano stati concentrati 4.100 metri di dislivello, con le salite al Vars, alla Bonette e alla Lombarda per poi terminare sui tornanti che conducono al Santuario Di Sant’Anna di Vinadio. Proprio qui, sul finale, Vincenzo Nibali aveva attaccato sul diretto concorrente Esteban Chaves, che si era visto sfilare la maglia rosa a meno di 24 ore dalla fine del Giro. Quel giorno, all’arrivo, i genitori di Esteban si erano resi protagonisti di una scena di sport indimenticabile, andando ad abbracciare il siciliano sul traguardo e complimentandosi con lui per la vittoria. Uno sgambetto è stato riservato anche a Max, che riesce a forare a meno di 30 chilometri da Nizza, dopo 42 giorni e 1.800 chilometri di strade di montagna.L’arrivo sul lungomare è uno shock: dopo sei settimane in cui le uniche priorità erano state sciare, pedalare e più generalmente sopravvivere, il senso di smarrimento è totale. «Cosa faremo ora?», si chiedono i due, confusi al punto che pure scegliere dove andare a cenare rappresenta una sfida al pari della traversata del Furkapass innevato. Succede così che il capitolo finale del loro viaggio viene scritto in un ristorante messicano nel sud della Francia, un’idea assurda e apparentemente incomprensibile quanto voler partire dalla Germania per arrivare al Mediterraneo sciando pedalando. Cosa ci insegnano Max e Jochen? Beh, di sicuro potrebbero illuminarci sulla loro gestione del tempo libero, ma è limitante dire che per intraprendere un progetto come Ice & Palms sia sufficiente trovare 40 giorni di ferie, anche perché, in un certo senso, loro in quel momento stavano lavorando, in quanto freeskier professionisti. No, Jochen e Max Ci insegnano che le avventure più belle possono essere vissute anche dietro casa, che non è necessario viaggiare dall’altra parte del mondo per ritrovarsi in balia dell’incognito. E che l’incognito - o inesplorato, che fa più figo - può avere moltissime forme diverse: dalle condizioni della neve sul Grand Combin a quelle della strada sul Furkapass, fino a quelle fisiche di Max quando, nel trasferimento dalla Val d’Aosta alla Francia, si ritrova a macinare duemila metri di dislivello con 39 gradi di febbre.E ci insegnano anche in cosa consiste la creatività, ovvero su come prendendo due o più concetti e fondendoli insieme si possano creare infinite nuove idee. Tipo andare in bici e sciare, o sciare e andare al mare.Oppure, andare al mare pedalando e sciando. Insomma, ci siamo capiti.Un’ultima lezione potrebbero darcela sulla gestione della biancheria in sei settimane di ambienti umidi e freddi, ma quella è tutta un’altra storia
Questo articolo è stato pubblicato su Skialper 124
Ice & Palms è un cortometraggio di 32 minuti prodotto da El Flamingo Films e diretto da Jocken Mesle, Max Kroneck, Philipp Becker e Johannes Müller. Premiato in alcuni dei principali festival del film di montagna e avventura è disponibile gratuitamente su Vimeo o sul sito https://eisundpalmen.de/
Step by Step: la traversata della Nordkette di Remco Grass
Black Diamond presenta l'avventura di Remithius Joseph Grass, Remco per gli amici e i colleghi. Una traversata dietro casa, da godersi passo dopo passo immersi nella natura.
Remco Graas è nato e cresciuto nei Paesi Bassi, distante dalle montagne. Durante gli anni della sua infanzia e adolescenza, Remco ha trascorso con la sua famiglia numerose vacanze in montagna, un tipo di svago – quello fatto di escursioni – che non gli è mai davvero piaciuto: camminare su sentieri
polverosi e caldi senza alcun tipo di intrattenimento. La parte più bella delle vacanze rimaneva sempre il momento di tornare a casa per nuotare in piscina o per giocare con il suo Game-Boy.
Tutto è cambiato durante l'ultimo viaggio di Remco con la famiglia, sulle Alpi. Nella sua testa è scattato qualcosa, improvvisamente scopre di amare la montagna. In quegli anni Remco prende parte ai campi estivi sulle Alpi, inizialmente con un approccio classico, zaino grande e scarponi pesanti. Nel corso degli anni, e ispirato da grandi alpinisti come Ueli Steck, Remco cambia approccio: riducendo al minimo l’attrezzatura ha la possibilità di muoversi più facilmente e velocemente, può trascorrere più tempo in montagna e si allena di più.
Passo dopo passo, “Step by step”, la montagna è diventata il pilastro centrale della sua vita, portandolo a definirsi un obiettivo: scalare tutti i 4000 delle Alpi. Ad oggi Remco è a buon punto, ma non ha fretta, vuole godersi appieno ogni cima di quelle che rimangono nella sua lista. Nel 2017 Remco decide di trasferirsi a Innsbruck, per potersi immergere nella sua passione per la montagna e, nello stesso anno, inizia a lavorare per Black Diamond Equipment. Durante le sue corse quotidiane in bicicletta verso l'ufficio di Black Diamond, Remco guarda ammirato la linea di cresta della Nordkette, la catena montuosa situata a nord di Innsbruck, simbolo della città. Attraversare l’intera cresta della Nordkette, una domenica? Sembrerebbe essere un piano divertente, pensa Remco.
Sabato notte, ore 2, Remco esce di casa. La città non dorme mai: i bar sono aperti, la gente fa festa, si sente la musica. La sua festa, però, è programmata con la natura. Remco si dirige verso la foresta, lascia la bicicletta nascosta dietro un albero e inizia la sua ascesa. Sarebbe bello vedere l'alba in cima al Brandjochkreuz, pensa. Mentre sale sempre più in alto, i rumori della città si affievoliscono e il sole inizia a sorgere mentre si avvicina alla prima vetta della giornata. Durante il giorno percorre sentieri panoramici, tratti impervi, vie ferrate, incontra turisti e animali, sempre seguendo la linea di cresta. «Da qui riesco quasi a vedere la mia ragazza che prende un caffè, sul nostro balcone» pensa mentre osserva il panorama. «È così bello avere posti come questo proprio nel giardino di casa».
Dopo 33 chilometri, 19 vette e 3.800 metri di dislivello, Remco raggiunge il fondovalle. Mentre sale sull'autobus, guarda la cresta e sorride. Passo dopo passo Remco ha percorso le sue montagne. Passo dopo passo, come il suo approccio alla vita
https://www.youtube.com/watch?v=NktVxZ-69Vw&t=508s