Non sono un eroe, è stato un bel gioco
Mi chiamo Zen, anche se il mio nome è Jeet Kune Do della Maschera di Ferro. Sì, ho il pedigree, sono un pastore belga Malinois nato tre anni fa a Bricherasio, in provincia di Torino. Quando avevo sessanta giorni mi sono trasferito con il mio padrone Seba a Pontechianale in alta Valle Varaita, nel Cuneese; quassù di neve ce n’è sempre tanta. E a me piace giocare nella neve. Seba mi ha insegnato un gioco nuovo, cercare le persone sotto la neve. E se le trovo, mi dà un manicotto per giocare, una cosa che mi diverte tantissimo. A qualche mio amico danno una pallina o un wurstel, io preferisco il manicotto. Certo, non è stato facile trovare le persone: c’è voluto tempo e tanta pazienza, ma alla fine ce l’ho fatta. Io sono un po’ miope, come tutti i cani, ma in compenso il mio fiuto funziona eccome. Prima mi hanno fatto le radiografie per vedere se le mie zampette erano in ordine, poi ho dovuto fare due esami insieme a Seba per vedere se ero capace, e li abbiamo superati entrambi: posso andare a cercare le persone sia d’estate che in inverno.
Tecnicamente, dicono quelli del CNSAS, sono bivalente, ovvero abilitato alla ricerca in valanga e in superficie. Quasi sempre quando arriva la chiamata partiamo con l’elicottero. Quando ero piccolo Seba mi portava vicino a quel bestione di ferro, vedevo girare le pale, sentivo il rumore del motore e così non ho avuto paura quando sono salito sopra con lui la prima volta. Sono sempre insieme a Seba. Andiamo a correre, ma sulla neve è meglio in salita. Una volta in discesa andavo troppo forte e mi sono fatto male: così mi ha portato dal veterinario che mi ha fatto una cosa che si chiama tecarterapia e mi è passato il dolore. Ma dal veterinario ci vado spesso: mi dice cosa e quanto devo mangiare per stare in forma, ogni anno mi fa una visita completa come fossi un atleta.

Diventando grande è stato più facile scavare nella neve. Seba e i suoi amici mi fanno sempre degli scherzetti per mettermi in difficoltà. Scavano delle tane dove si nascondono e spesso le creano con il gatto delle nevi per non darmi indicazioni con i loro odori. Cercano di farmi sbagliare, lasciando loro tracce un po’ ovunque,mettono altre persone intorno per confondermi, ma quando Seba mi grida cerca! io parto diretto sull’obiettivo, annuso e scavo. Abbaio per chiamare Seba. Siamo una bella squadra insieme. Lui sugli sci è forte, faceva l’allenatore, anche di una ragazza che adesso è andata alle Olimpiadi, continua a insegnare sci, va in neve fresca e scala. Ed è volontario nel Soccorso Alpino.
Martedì 6 marzo ero di turno con Seba alla base dell’elisoccorso: è scattato un allarme, c’era una persona sotto una valanga. Mi ha messo l’imbrago e la pettorina con dentro una piastrina che si chiama Recco, e siamo partiti con un medico e un infermiere. Mi ha detto cerca! E sono volato a razzo in un punto preciso, ho scavato nel posto giusto, Seba mi ha dato una mano a estrarlo dalla neve. Abbiamo avuto la fortuna di trovarlo vivo. Dicono che erano tanti anni che un cane non salvava una persona sotto una valanga. Mi sono divertito: è stato un bel gioco, non sono mica un eroe. Quella volta Seba non mi ha dato il manicotto, ma era felice, si vedeva nei suoi occhi. L’ho capito ed ero felice anche io. Quella è la sua vita, il suo stile di vita con me.

La storia di Zen che avete letto è quella di un cane che ha recuperato davvero una persona sotto una valanga. E Seba è Sebastiano Faraudo, il suo conduttore che fa parte del gruppo delle unità cinofile da valanga del Soccorso Alpino e Speleologico del Piemonte, della quattordicesima delegazione, la Monviso. Martedì 6 marzo Zen e Sebastiano erano di turno alla base elisoccorso dell’aeroporto di Levaldigi, in provincia di Cuneo, dove, durante il periodo invernale, oltre a medico, infermiere, pilota, tecnico verricellista e tecnico di soccorso alpino, c’è sempre un’unità cinofila, pronta ad intervenire in caso di valanga. Scattato l’allarme, la centrale operativa di Torino ha disposto l’invio in quota dell’elisoccorso. Seba e Zen hanno raggiungere il monte Viridio, nella zona di Castelmagno in Valle Grana. Zen con il fiuto, Seba con l’utilizzo dell’Artva, hanno ritrovato vivo uno scialpinista che era rimasto sotto la valanga per oltre tre ore. Un lavoro prezioso quello delle unità cinofile, fatto di sacrifici e costanti esercitazioni. Fatto da persone che amano il loro animale. Abbiamo colto quest'occasione per mettere in luce l'importanza del lavoro dei cani e dei loro conduttori, a volte un po' trascurato, ma fondamentale per la sicurezza di chi frequenta la montagna.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 117, uscito ad aprile 2018. Se non vuoi perderti nessuna delle storie di Skialper e riceverlo direttamente a casa tua puoi abbonarti qui.

La traversata dell'amicizia
Quando una traversata con gli sci si trasforma in un viaggio nella storia e nella memoria. Un modo per ricordare quel papà mai conosciuto, la cui impresa ha saputo scavalcare le barriere del tempo e arrivare fino ad oggi. A tentare la traversata completa delle Orobie di Angelo Gherardi non è stato infatti solamente il figlio Alessandro (di Zogno), accompagnato dall’amico Simone Moro, ma anche un’altra cordata bergamasca e addirittura, qualche anno fa, uno scialpinista francese. Da Ornica fino a Carona in Valtellina, su e giù per i giganti delle Orobie, macinando una media di 2.500-3.000 metri di dislivello e su distanze che si aggirano attorno ai 30 chilometri quotidiani. E se i primi, la cordata dell’amicizia formata da Moro e da Gherardi (così hanno voluto definirsi dal momento che l’impresa è conosciuta con il nome di traversata dell’amicizia) devono ancora portare a termine l’ultima tappa, la seconda cordata ci è invece riuscita, pur con qualche difficoltà. Si tratta della coppia di bergamaschi Maurizio Panseri e Marco Cardullo, partiti il 21 aprile addirittura dalla riva del lago di Como (dall’imbarcadero di Varenna, per la precisione). Hanno così allungato il tracciato dell’originale traversata compiuta da papà Gherardi nel 1971 e poi nel 1974 arrivando fino a Carona in Valtellina e nelle loro intenzioni future c’è quella di arrivare fino a Corteno Golgi, in Valle Camonica.
Ma andiamo con ordine perché i fatti sono tanti e si intrecciano in una storia che fonde in un’unica, affascinante narrazione le gesta sportive dell’alpinista con quelle dell’uomo tenero di cuore, il desiderio di avventura con quello di ricordare e condividere, il vecchio con il nuovo e infine il passato con il presente. Il tutto parte da un post scritto da Simone Moro sulla sua pagina Facebook in data 30 marzo. «Non cercavamo record, non c’era nulla di nuovo, nessuna volontà di stabilire una salita record né di strabiliare nessuno. Volevamo solo regalarci un viaggio scialpinistico forse poco ordinario tra le montagne di casa, le Alpi Orobie. Abbiamo così deciso di ripercorrere a modo nostro la traccia e l’idea di Angelo Gherardi, papà di Alessandro detto Geko, che nel 1971 realizzò la prima traversata scialpinistica delle Orobie. E proprio Alessandro è stato il compagno di quattro giorni di silenzioso e selvaggio viaggio con sci da alpinismo e zaino in spalla da Ornica al Rifugio Mambretti».
Le montagne belle e selvagge si possono trovare anche a due passi da casa, come è solito ricordare Hervè Barmasse, senza bisogno di volare all’altro capo del mondo. Certo, viene da pensare, facile parlare di montagne belle quando di casa stai sotto al Cervino… Ma è altrettanto vero che l’amante della montagna, il vero esploratore, non si ferma alle apparenze ma va oltre, dove magari non arrivano strade e neppure impianti di risalita, dove soprattutto nella stagione invernale la natura riserva spettacoli inimmaginabili. E Angelo Gherardi, papà adottivo di Alessandro, primo istruttore di scialpinismo del CAI di Bergamo venuto a mancare quando egli era ancora piccolissimo proprio sulle montagne di casa, lo aveva capito bene. Nel 1971 aveva compiuto, insieme ad alcuni amici, tra cui Franco Maestrini, la traversata dell’arco orobico da Ornica alla Valle Belviso e, nel 1974, quella partendo dalla Val Biandino (Valsassina) e arrivando a Carona, in Valtellina. Insieme, quella seconda volta, al francese Jean Paul Zuanon, già capo spedizione in imprese alpinistiche sulle Ande oppure in Pamir e conosciuto dal bergamasco in occasione di un rally in Adamello. Una traversata - riportano fonti autorevoli della stampa locale - compiuta nella più assoluta solitudine ma che ebbe risonanza notevole nell’ambiente bergamasco. Però, oltre che un valido alpinista, Angelo (a cui è intitolato il rifugio Gherardi ai Piani dell’Alben) era anche un uomo di cuore. Tra il 1971 e il 1974 adotta un bambino e una bambina. Il maschio è, appunto, Alessandro. Papà Angelo muore in un incidente alpinistico sul Corno Stella quando Alessandro ha solamente un anno o poco più e il bambino cresce nel mito di questo padre tanto buono nel carattere quanto bravo a livello alpinistico. Dopo la morte di Angelo pare che solamente Maestriniabbia rifatto la traversata, forse proprio in ricordo dell’amico.Gli anni trascorrono e i figli di Angelo crescono. Alessandro oggi è unvalido arrampicatore, canoista e scialpinista.

Da anni era stimolatodall’idea di ripetere la traversata del padre. Detto, fatto. E con un partnerd’eccezione.«Avevo solo quattro giorni consecutivi di tempo libero da poter dedicarea questo viaggio sulle nevi e tra le vette di casa, perché la recente spedizione che ho compiuto in Siberia ha generato tante attività e appuntamenti che mi hanno riempito le settimane e i prossimi mesi di incontri, ma non volevo mancare alla personale volontà di partire e alla promessa che avevo fatto all’amico Alessandro di essergli a fianco. Così invece di perdere tempo e anni a dire prima o poi lo facciamo oppure piacerebbe anche a me però, che sono le frasi che per anni hanno ripetuto a Geko, ho invece preso la decisone, preparato il materiale e mi sono presentato puntuale a casa di Alessandro, a Zogno, alle 7 in punto del 25 marzo per dirigerci a Ornica» riporta Moro. Nella prima occasione, con zaini e materiale pesante e senza alcun supporto logistico (le fonti storiche parlano di 20/25 chili di materiale a testa) Angelo Gherardi aveva impiegato nove giorni, mentre nel 1974, insieme al francese, i giorni si erano già ridotti. Simone e Alessandro, che però si sono fermati al Mambretti, sono stati sulla neve per quattro giornate.«Abbiamo voluto fare tappe doppie rispetto a quelle di papà Angelo solo perché materiali, preparazione e il mio tempo limitato lo permettevanoe imponevano. Dai 2.500 ai 3.000 metri di dislivello al giorno, almeno quattro o cinque salite e cambi pelle per ogni tappa e tanta serenità nel cuore. Siamo rimasti stupiti dalla bellezza e della gioia che abbiamo respirato lungo tutto il percorso. Non sono mancati gli incontri con altri scialpinisti in alcuni punti della traversata, abbiamo pernottato al Rifugio San Marco, all’hotel K2 a Foppolo, alla baita di Cigola e bevuto il caffè al Mambretti come chiusura della nostra personale traccia. Ci riproponiamo di terminare il viaggio con l’ultima tappa che ci porterà a Carona di Valtellina il prossimo anno, visto che il meteo non è più stato favorevole. Per narrare questa nostra esperienza ho chiesto a turno ad alcuni amici fotografi di venire lungo il percorso a scattare qualche immagine per meglio esaltare la bellezza delle opportunità verticali ed escursionistiche del nostro territorio».
Una bella storia con lieto fine, ma non è tutto qui. Il 21 aprile e nei giorni seguenti l’itinerario è stato ripercorso da Maurizio Panseri e Marco Cardullo, con il sostegno dell’amico Alberto Valtellina per quanto riguarda la logistica e non senza qualche, piccolo, inconveniente. Panseri, alpinista conosciuto e affermato in bergamasca, conosceva anche quel famoso Maestrini che era stato, nel 1971, insieme a Gherardi durante la traversata e che l’aveva ripetuta anche dopo la morte dello stesso. «Era da tempo che pensavo di ripetere la traversata, partendo però dal lago, sopra Lecco, e arrivando a Corteno Golgi in Valcamonica. Nella parte di traversata fatta dal Gherardi ci siamo mantenuti il più possibile fedeli al percorso originale». Immaginiamoceli a Varenna, zona imbarcadero, con tanto di scarponi e sci in spalla. E poi immaginiamoceli sul Grignone, lo stesso giorno, per scendere e dormire in Valsassina, nei pressi di Pasturo. «Il secondo giorno siamo andati da Pasturo a Introbio, per risalire la Val Biandino e il Pizzo Tre Signori. Scesi fino al lago di Trona, siamo poi risaliti al Benigni, dove abbiamo trascorso la notte nel locale invernale. Il terzo è successo quello che a uno scialpinista non dovrebbe mai accadere: rompere gli sci! Mi è venuto in soccorso l’amico Alberto, che ha provveduto al cambio sci ai Piani dell’Avaro, dove abbiamo dormito. Il giorno dopo siamo ripartiti alla volta di Foppolo. La quinta tappa ci ha visti in Val Cervia, per arrivare a dormire a fine giornata con i nostri sacchi a pelo presso le baite di Scais. Siamo saliti al Mambretti durante la sesta tappa, affacciandoci verso la vedretta di Porola nella speranza di aver ben compreso le indicazioni del buon Maestrini (morto nel luglio del 2017, ndr). Dal Colletto Nord di Porola, che si trova a 80 metri dalla vetta del Porola, ci siamo ritrovati a guardare giù, verso il canale che scende alla vedretta del Lupo, a Nord del Passo di Coca. Un’emozione grande, soprattutto perché eravamo i primi a continuare la traversata e perché ci trovavamo, in quel momento, nel punto più alto della stessa». È la sera del 26 aprile e, dato il meteo non favorevole (le temperature sono troppo alte), i due decidono di arrivare al rifugio Coca e di scendere a Valbondione. Ripartiranno solamente la sera del 31 aprile, complice un improvviso abbassamento delle temperature. Si riportano all’altezza del rifugio Coca (dove si erano fermati) per poi ripartire, dopo qualche ora di sonno, prima dell’alba del primo maggio e, passando per la Bocchetta dei Camosci, scendere la Valmorta fino al rifugio Curò, risalire al Passo Caronella e, finalmente, perdere quota per arrivare a Carona, in Valtellina. La soddisfazione per l’impresa la si evince chiaramente dalle parole di Panseri.
«Lo sci di traversata è l'essenza dello scialpinismo perché abbina alla parte tecnica una componente esplorativa e avventurosa che rende l'esperienza completa e decisamente interessante. La logistica, come in una micro-spedizione, ha poi il suo peso in tutti i sensi. Più il luogo è selvaggio, più si deve essere autonomi e sempre più aumenta il peso dello zaino: sacco a pelo, fornello, cibo… e tutto si riduce all'essenziale. Se vi ingaggerete nella
traversata delle Orobie con gli sci non troverete altro che l'essenziale per vivere una grande avventura immersi nella bellezza». Nota di colore, o colpo di scena, rivelato dallo stesso Panseri: vi ricordate il francese, Jean Paul Zuanon, protagonista della traversata integrale del ’74 insieme a Gherardi? Tornò a casa e scrisse il suo personale racconto sull’annuario del CAF (Club Alpino Francese). Nel 2011 François Renard, ingegnere con la passione per lo scialpinismo, decide di realizzare la traversata in senso contrario e descrivere in un libro quella che (secondo il suo personale parere) figura tra le 15 più belle traversate con gli sci a livello mondiale. Nel suo volume Skitinerrances 1, pubblicato nel 2013, racconta di Cile, Nuova Zelanda, Norvegia e Alpi. Nella pubblicazione la parte del leone la fanno, naturalmente, le Alpi e poi troviamo, oltre agli Appennini, pure le Prealpes Bergamasques, con la traversata realizzata sulle tracce di quella effettuata da Gherardi e da Zuanon nel 1974.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 118, uscito a giugno 2018. Se non vuoi perderti nessuna delle storie di Skialper e riceverlo direttamente a casa tua puoi abbonarti qui.

Kilian polverizza il record di dislivello con gli sci in 24 ore
Ben tre record di dislivello in 24 ore con gli sci ai piedi e le pelli si sono succeduti nel corso del 2018. Dopo quello di Mike Foote (18.654 m( e Lars Erik Skjervheim (20.939), in questi giorni è arrivato quello di Kilian Jornet. E, come tutte le imprese del catalano, i numeri sono impressionanti: 23.486 metri, fatti registrare nella località norvegese di Tusten. In pratica è come salire cinque volte sul Monte Bianco partendo dal livello del mare… La media di salita è stata di 979 m/ora e, secondo quanto riportato da carreraspormontana.com, uno sciatore presente al record ha registrato la velocità di 115,6 km in discesa. «Non è la mia idea di giorno di divertimento» ha dichiarato Kilian che però ha ammesso di avere trovato anche qualche bella discesa nella polvere.
In arrivo Skialper 122, un numero dedicato all’old school
«Old school non è vintage. Non è revival. Old school è old school, è vecchia scuola, alla moda vecchia, come si faceva una volta. Quando abbiamo buttato sul tavolo il tema di questo numero, la sfida era di focalizzarci su cosa è rimasto e che cosa no del modo di andare in montagna con gli sci di venti, trent’anni fa. Così i nostri reporter e fotografi hanno viaggiato tra corsi CAI e serpentine, tra discese a raspa e scialpinisti che erano già così prima e sono rimasti tali, tra sci lunghi e dritti e altri rockerati e sbananati». Sono le parole del direttore editoriale Davide Marta a introdurre l’argomento del numero 122 di febbraio-marzo di Skialper, disponibile dal 12 febbraio in edicola. Un numero molto particolare, anche nello stile grafico, volutamente con un flow retrò, a partire dalla copertina di Enrico Zenerino che illustra uno sciatore che si tuffa a tutta velocità su un pendio vergine con la raspa. E. si badi bene, non è una foto d’epoca…
SUCAI 1951- È la più antica scuola di scialpinismo europea, quella del SUCAI di Torino. Il nostro Federico Ravassard ha partecipato alla prima uscita, con 140 iscritti. Un reportage da dentro il corso CAI tra levatacce, incubo inversioni e vin brulè.

I PROTAGONISTI - Arno, Domenico, Fabrizio, Fedora, Stefano. Ma anche Ezio e Pier Luigi. Sette scialpinisti, sei uomini e una donna da una gita ogni fine settimana. Con attrezzi da 85 al centro, salame al posto dei gel, un curriculum di tutto rispetto anche quando i gradi salgono e tanta voglia di divertirsi. Perché questo è lo spirito dello scialpinismo delle origini.

OSCAR BELETTI - Prima viaggiatore, poi alpinista, infine scialpinista. Bresciano ma innamorato delle Orobie, ai monti bergamaschi ha dedicato un libro di 400 pagine che è al tempo stesso guida con 100 itinerari sulla neve e manuale esistenziale. Lo abbiamo intervistato all’antica: sulla neve delle… Orobie.

SERPENTINA FOREVER - Alberto Casaro, testatore della nostra Buyer’s Guide, non è nuovo a sfide impossibili. E allora ha rispolverato dei vecchi grissini da 207 centimetri per provare a fare serpentine davvero old school nella neve fresca. Non sono poche le sorprese a confrontare la sequenza fatta con i vecchi sci e quelli attuali!

YAK SUL MONTE ROSA - Classe 1967, Fabio Iacchini era sciatore estremo, freerider, skyrunner e alpinista fast&light quando ancora queste definizioni erano in incubazione. Lo ha intervistato Andrea Bormida, con le stupende foto realizzate nei dintorni del Monte Rosa da Paolo Sartori.

TÄSCHHORN - Diario della prima discesa conosciuta della diretta Nord-Ovest di uno dei 4.000 più isolati del Vallese.

LUNGA VITA ALLA RASPA - Enrico Marta, fondatore di Skialper, rievoca la storia della raspa nello scialpinismo, tra fatti, aneddoti e curiosità. Gabriele Ghisafi, già interprete dello skialp con la raspa, e Nadir Maguet si sono prestati come modelli per le foto di questo divertente servizio.

IL MEZZALAMA ATTRAVERSO L’ATTREZZATURA - Amedeo Macagno, i fratelli Stella, Chicco Pedrini e Matteo Eydallin sono i nostri modelli per un portfolio fotografico nel quale mostrano l’attrezzatura usata alla regina delle gare di skialp dagli anni Trenta a oggi.

ADAMELLO SKI RAID - Altri due modelli d’eccezione per scoprire tutti i segreti del prossimo Ski Raid, in programma il 7 aprile, e di quelli del passato: Davide e il padre Lodo Magnini.

VIVE LA FRANCE - La nazionale d’otralpe, tra conferme e giovani leve.
MATERIALI - Una sezione tutta nuova che raggruppa le prove attrezzatura e le notizie sulle anteprime dell’inverno 2019/20. La prova del nuovo Blizzard Zero G 95, della giacca Mythic di Vertical e dei ramponi Skimo Race e Skimo Nanotech di Camp, i nuovi Magico.2 e Mistico.2 di Ski Trab, lo scarpone Dalbello Lupo Air 130 e gli sci Völkl Mantra, il bastoncino Speed Twist by Amplatz, le novità Salomon, Atomic, Dynastar, La Sportiva, Scarpa, Movement, Salewa, Black Crows, Plum, Fritschi, K2, Atk Bindings, Hagan, Mammut, Vaude e tanto altro.
IL FUTURO DEL TELEMARK - Lo sci a talloni liberi è veramente morto come hanno scritto i nostri colleghi americani di Powder qualche tempo fa? L’opinione di Emilio Previtali.

PORTFOLIO - C’è chi scia ancora con il monoski, chi organizza raduni con sci e pelli da più di 30 anni che sono diventati dei veri e propri happening e chi come Bruno Compagnet sa divertirsi ancora come un bambino quando in Austria arriva una delle più grandi nevicate del secolo. Sono i click del nostro portfolio fotografico.
Origami bianco
Si chiama Tengu, monte Tengu. Dall’ultimo degli impianti abbiamo messo le pelli e ci siamo diretti verso questa vetta, prima su facili pendii e poi su un’affilata cresta fino alla cima. Neanche il tempo di guardare il panorama che una tempesta ci ha avvolti, rendendo nulla la visibilità. Dopo un leggero saliscendi siamo arrivati all’imbocco di un canale nel white-out più completo: avremo fatto sì e no 500 metri di dislivello e ci siamo preparati alla discesa. Non nascondo i timori e le perplessità che avevo riguardo alla pendenza, la quantità di neve e l’assenza di visibilità, ma dopo poche curve tutto è scomparso. Pura poesia, neve profonda e terreno divertente, neanche la minima traccia di sluff: una lunga discesa in ambiente selvaggio fino al fondovalle. In un luogo totalmente isolato, nel gretto di un fiume, abbiamo ricalzato le pelli e risalito il pendio di fronte, per altri 600 metri, fino a una cresta che ci ha spalancato le porte su una discesa memorabile, in un labirinto boscoso molto vario. Vera meraviglia, orientamento confuso, ma la sensazione di conoscere la strada, fino all’ovvia conclusione sull’orlo di una grande diga che segnava il fondovalle. Quello che è seguito è stato a dir poco epico: l’arrivo in un cimitero deserto all’ombra di un maestoso tempio. Dopotutto l’essenza di Hakuba è tutta qui: linee di livello in ambiente selvaggio, con conclusioni totalmente al di fuori di ogni mappa o resort, in paesi e frazioni non raggiungibili dagli sciatori ordinari.

INSIDE HAKUBA
Come sciatori e viaggiatori ci sono delle mete che rimangono punti fermi nella cosiddetta lista dei desideri; ne hai sentito parlare, le hai viste nei video, sono leggendarie per le condizioni della neve. Il Giappone entra di diritto in questa lista. L’Hokkaido è un must, le condizioni della neve sono incredibili e quando ci siamo andati nel 2011 ne abbiamo avuto la conferma. Però, dopo anni di esperienze di viaggi e linee, era venuto il momento di tornare in Giappone a fare qualcosa di meglio che grattare la superficie di un immenso potenziale, che va ben oltre il macinare giri in seggiovia in Hokkaido. L’idea di Hakuba è stata in incubazione per anni ed è una storia fatta di connessioni tra skier sviluppate in molteplici viaggi low cost e d.i.y. A prescindere dalla meta, la nostra filosofia è sempre stata la stessa: cercare condizioni e linee diverse da quelle a cui siamo stati abituati: lo sci deve essere di qualità e per raggiungere l’obiettivo sono giustificati la fatica e il tempo impiegato per raggiungere zone remote. In ogni viaggio abbiamo sempre cercato di muoverci al di fuori della soglia di comfort, studiando quello che poteva offrire la zona e direi con buoni risultati, portandoci a casa delle belle sciate in spot per nulla ovvi.

Ad Hakuba avevamo un’arma in più, un amico local che, oltre a essere un grande conoscitore ed esploratore della zona, lavora anche in un lodge della zona. Combo perfetta! Ho conosciuto Matthias a Las Lenas anni fa. Snowboarder infaticabile, vero skibum, parte di una cricca composta da personaggi di spessore. Quando è venuto a Cortina a trovarmi, fu lui a parlarmi di Hakuba; era da un paio di anni che ci andava da dicembre a marzo e, dopo avermi mostrato un video di Jeremy Jones, mi disse che con le pelli era possibile fare le stesse linee, lunghe e ripide, con spines e pillow e soprattutto con pochissima gente. Long story short: dopo una stagione lavorativa soddisfacente, ma penosa per via di neve e progetti personali, Filippo e io ad agosto dell’anno scorso abbiamo prenotato il volo e trovato altri due compagni di viaggio per la nostra crew: Giulia Monego e Michele Valle Da Rin. Obiettivo? Spendere poco, sciare linee pesanti, fare foto e filmare; il tutto in una decina di giorni, appena finite le vacanze di Natale, per sfruttare la bassa stagione e minimizzare i mancati guadagni. Questa è una storia da working class heroes, niente lussi e pochi sprechi, salvo per gli alcoolici, ahimè… Organizzare il viaggio è stato facile, la parte difficile riuscire a far combaciare ogni dettaglio in cosi poco tempo. Il primo è la neve. Sebbene l’innevamento in Giappone sia sempre molto buono, Hakuba non è l’Hokkaido, non nevica così spesso e le condizioni sono assai variabili. Il sole scalda di più e a volte piove molto, creando grossi distacchi e crepe nella base nevosa fino al terreno. Passare da condizioni da favola a condizioni da incubo può essere questione di una mattinata. Quindi non ci restava che lavorare a testa bassa durante le vacanze e sperare che tutto filasse liscio. Qualche giorno prima di partire comunque un messaggio di Matthias avrebbe cambiato il nostro umore: è bellissimo, un sacco di neve, molto stabile. Perfetto!

PACKING, PARTENZA E VIA
Finalmente è arrivato il giorno prima della partenza. Non potendoci portare dietro la casa, abbiamo optato per un set up da freeride touring pesante, sapendo che avremmo pellato parecchio e sperando di avere bisogno di un gran galleggiamento. Giunti a destinazione abbiamo potuto constatare che la scelta dei local era la stessa: sci da 120 millimetri con attacchino e scarpe da freeride con walk. Purtroppo però il viaggio non è partito nel migliore dei modi con me e Filippo bloccati un giorno a Helsinki e Michele e Giulia senza sacche degli sci; ancora una volta però un messaggio di Matthias avrebbe calmato le acque: ragazzi, ha piovuto fino a 2.000 oggi, adesso sta iniziando a nevicare, domani non vi perdete nulla. Vabbè, chi vivrà vedrà. Arrivare in un posto sconosciuto di sera, dopo un viaggio di 56 ore, è sempre strano; non ti senti a tuo agio, le gambe sono dure e le aspettative altissime, hai bisogno di entrare nel mood giusto. Un lodge confortevole e 50 centimetri di neve in paese hanno reso tutto molto più semplice.

LINES, SKINS & SPINES
Da subito è stato evidente che grazie al gancio con Matthias e i local avremmo goduto di una linea preferenziale rispetto al novanta per cento degli sciatori e rider del lodge e di Hakuba in generale. Il posto è gremito di turisti che però si riversano tutti nelle solite zone, dove si arriva con i mezzi pubblici e dove è più comodo individuare divertenti fuoripista serviti dagli impianti. Per iniziare, vista la grossa nevicata del giorno prima, abbiamo approfittato anche noi degli impianti, facendo qualche metro a piedi per riuscire a mettere in cantiere più giri possibile. Siamo andati in un piccolo resort dove non c’era troppa affluenza, per certi aspetti molto simile a Niseko, sull’isola di Hokkaido, con la differenza che il boschetto era di 900 metri di dislivello, con un rientro non facilissimo da individuare. Morale? Siamo partiti con una cannonata di giornata e come riscaldamento non potevamo chiedere di meglio: qualità della neve elevatissima, leggera e profonda, discese lunghe e ripide con un terreno movimentato e divertente.
La vicinanza del mare non garantisce un meteo molto stabile però le previsioni sembravano buone e quindi nei giorni seguenti avremmo avuto l’opportunità di muoverci verso il cuore delle Alpi Giapponesi con le pelli, per disegnare linee su terreni più aperti, esposti e lontani dai resort. Il giorno dopo, appena le nebbie si sono diradate, lo spettacolo delle Alpi Giapponesi si è presentato in tutto il suo splendore: in lontananza montagne alte quasi 3.000 metri, gonfie di neve e ricche di canali, sciabili (e neanche così spesso) solamente in primavera a causa dell’isolamento e del lungo avvicinamento. Montagne con linee da sogno per ogni sciatore e alpinista che si rispetti. Più vicino a noi, con pellate ragionevoli, intorno ai 600 metri, c’erano delle creste infinite che davano accesso a linee ripide e a incredibili spines, dove dall’alto è impossibile vedere lo sviluppo della discesa per via dei pillows e della pendenza. Le spines però sono state l’unico neo del viaggio, perché non le abbiamo mai più potute filmare col drone, né sciare a causa del meteo… Senz’altro ci hanno dato un ottimo motivo per ritornare a chiudere i conti! Quello che più ci ha stupito è come la neve (e quanta) rimanesse appiccicata senza che si formassero valanghe. In Europa non è pensabile affrontare certe pendenze su versanti aperti e a dorso di mulo, con così tanta neve nuova e senza brandire un rosario. Ad Hakuba questa è la regola e ci vuole un po’ di tempo per adattarsi e non continuare a fermarsi o a voltarsi per capire se sta per partire una lastra o meno.

SKI BUM JAPAN STYLE
Tutti i giorni abbiamo pellato e non abbiamo praticamente mai ripetuto le stesse linee, salendo da una cresta, scendendone un versante e risalendo sul pendio successivo, muovendoci da una valle all’altra. Un saliscendi parecchio faticoso per la profondità della neve, ma estremamente gratificante, soprattutto per l’assenza quasi totale di sciatori. Molte discese rimarranno segrete come lo rimarranno nomi e riferimenti, ma questo non vale per Happo. Qui si sono disputate le Olimpiadi di Nagano e il Freeride World Tour, proprio quest’anno. Happo è un grande comprensorio con pochissime piante e lunghe discese su creste e ampi pendii, molto divertente e vario, alla portata di tutti, con linee di facile intuizione dove basta alzarsi a piedi dal livello degli impianti per 200 o 300 metri di dislivello per accedere a un terreno più complicato. La montagna è esposta comunque a forti venti ed è necessaria una buona valutazione del manto nevoso per scegliere su quale versante muoversi e se rimanere a quote inferiori tra gli alberi.
Alla fine abbiamo sciato sette giorni, sei dei quali in condizioni da favola, lontano dalle tracce e servendoci degli impianti e delle pelli, esplorando luoghi che senza l’aiuto di Matthias avrebbero sicuramente richiesto una programmazione più laboriosa. Abbiamo conosciuto persone di ogni genere e avuto la fortuna di sciare con chi ha fatto di questo sport uno stile di vita, con passione, ossessione e dedizione totale; moderni ski bum fedeli al vero significato di questo termine, ovvero senza budget e senza piani di riserva. Abbiamo avuto la fortuna di mangiare in posti deliziosi e tradizionali, lontano dai centri turistici, e di ristorare anima e corpo nelle Onsen. Quella della cittadina di Omachi, immersa nelle montagne, merita una menzione speciale per la solitudine e la pace del luogo. Michele, hockeista doc, ha avuto addirittura la possibilità di giocare una partita di allenamento nello stadio olimpico di Nagano! Ma questa è un’altra storia…
In conclusione Hakuba è un’esperienza sciistica di livello superiore, per varietà e bellezza delle montagne, come dice Filippo, è l’altro Giappone. Grazie a Filippo, per avere condiviso ogni avventura, per la sua competenza in montagna e per la qualità delle sue fotografie. Grazie a Giulia, per la sua esperienza come pro skier di livello e per la sua attitudine. Grazie a Michele per la sua positività e per avere steso un povero hockeista giapponese di 60 anni. Grazie a Matthias e Lee per tutto il resto. Grazie a Suichi per averci fatto provare le Onsen qui solo giapponesi.

Hakuba. Istruzioni per l’uso
Prenotando in anticipo si possono trovare voli dall’Europa intorno ai 600 euro, andata e ritorno: l’importante è controllare i chili per ogni collo poi, sia che si arrivi o parta da Haneda o Narita, con treni e bus si raggiunge facilmente il centro di Hakuba.
Skipass: se si vuole pellare è possibile risparmiare molto prendendo una tessera a punti, utilizzabile in più giornate. Costa poco meno di 50 euro. Cibo: al di fuori dei centri abitati più commerciali è possibile mangiare pollo fritto e riso con circa 8/10 euro, pare che il sushi sia overrated…
Onsen: le terme giapponesi sono molte, più o meno commerciali, il costo non è elevato e comunque si può beneficiare dei buoni che i lodge dispongono. Assolutamente da provare.
Pernottamento: la soluzione migliore sono sicuramente i lodge, presenti in quantità, dove oltre alla convivialità e alla condivisione degli spazi comuni con altri ospiti, si può avere una stanza confortevole e una cucina a disposizione. È consigliabile fare la spesa nei supermercati e risparmiare cucinandosi i propri pasti. Noi abbiamo speso 30 euro a notte, a testa, per una camera con quattro letti e il bagno all’esterno.
Airbag: nessun problema per i modelli a ventola, ma per gli airbag a gas se, come da contratto con le linee aeree, si svuota la bombola, poi è difficile ricaricarla in loco. Mediamente la vita non costa molto, a patto di muoversi al di fuori dei centri turistici affollati di australiani.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 121, uscito a dicembre 2018. Se non vuoi perderti nessuna delle storie di Skialper e riceverlo direttamente a casa tua puoi abbonarti qui. Oppure comprare il numero arretrato qui.

Lo ski-alp azzurro si ritrova in Valtellina: domenica ad Albosaggia la sfida tricolore nell'individuale
Doppio appuntamento in Valtellina per lo ski-alp azzurro: si parte sabato a Santa Caterina Valfurva, con Li Skariza da Foc(a), una individual Race che vale come Coppa Italia Giovani, mentre domenica spazio alle Valtellina Orobie che assegna i titoli italiani sempre nell’individuale. La neve è arrivata, tanta e polverosa: saranno dunque gara di alto livello.
LI SKARIZA DA FOC(A) - Percorsi tecnici disegnati nella zona del Sunny Valley con un minimo di 527 metri di dislivello per le Cadette, sino ai 1053 per gli junior maschile. In gara anche le categorie Promozionali. Attesi tutti gli atleti del Comitati italiani, la prima partenza è prevista alle ore 9.30.
VALTELLINA OROBIE - Per i ‘grandi’ è la prima vera gara in ambiente in Italia e assegnerà gli scudetti nell’individuale. Alla gara organizzata dalla Polisportiva Albosaggia, tutti i big azzurri presenti, protagonisti in questo avvio d stagione in Coppa del Mondo; le iscrizioni sono comunque ancora aperte sino a sabato. Percorso confermato in condizioni che non si vedevano da anni: sarà grande sfida sul Meriggio, in salita e in discesa.
Svizzera protagonista nella sprint di Coppa del Mondo
Dettano legge gli svizzeri nella sprint di Coppa del Mondo a Le Dévoluy: quattro successi su sei per la compagine rossocrociata. A livello assoluto doppietta con Iwan Arnold e Marianne Fatton: nella finale maschile arriva anche il secondo posto di Arno Lietha, primo Espoir, con primo podio per il sorprendente norvegese Hans-Inge Klette (secondo Espoir), con quinto Robert Antonioli; in quella rosa piazza d’onore per Claudia Galicia Cotrina e terza Lorna Bonnel. A Livello Espoir podio con Adèle Milloz, Lena Bonnel e Giulia Murada.
Nella finale Junior ancora Svizzera con Patrick Perreten, secondo posto per Giovanni Rossi con terzo il francese Rémy Garcin.
Al femminile a segno la russa Ekaterina Osichkina davanti a Samantha Bertolina e la svizzera Emilie Farquet.

Azzurri sempre a segno in Coppa del Mondo
Individuale di Coppa del Mondo sabato a Le Dévoluy. Percorso modificato viste le condizioni meteo in Francia, con un percorso ad anello da 440 metri di dislivello da ripetere quattro volte per i senior. Ed è ancora un successo targato Italia. Nell’ultima frazione stoccata vincente di Matteo Eydallin e Michele Boscacci: insieme sul traguardo anche se il cronometro dice primo Eyda per 21 millesimi su Miky. Terzo, per pochi metri, William Bon Mardion, quarto Robert Antonioli che mette in tasca altri punti pesanti per la generale. Nella top ten Anton Palzer, Werner Marti, Davide Magnini, leader Espoir, Xavier Gachet, Jakob Herrmann e Alexis Sévennec. Tredicesimo Damiano Lenzi.
Nella gara rosa (tre giri) torna al successo Axelle Gachet Mollaret con quasi due secondi di margine su Claudia Galicia Cotrina, con Alba De Silvestro a completare il podio. Sesta assoluta e ancora una volta prima Espoir Giulia Murada, decima e seconda Espoir Mara Martini, dodicesima Ilaria Veronese, terza Espoir.

JUNIOR - Sigillo di Giovanni Rossi che chiude davanti a Sebastien Guichardaz con terzo lo svizzero Patrick Perreten; sesta piazza per Matteo Sostizzo. ottavo Daniele Corazza, al femminile affermazione della russa Ekaterina Osichkina, sulla svizzera Emilie Farquet, con Samantha Bertolina sul terzo gradino del podio, sesta Valeria Pasquazzo.
Annullata la Feuerstein Skiraid: troppa neve in Val di Fleres
Salta la Feuerstein Skiraid di domenica, tappa di Coppa Italia. ‘A malincuore dobbiamo comunicarvi che a causa delle precipitazioni - si legge sul social della gara - più forti del previsto, che stanno causando soprattutto grandi problemi logistici e di viabilità sia ai partecipanti che agli organizzatori - la gara deve essere annullata. Ci dispiace molto, eravate tantissimi iscritti, e stiamo già cercando di trovare una nuova data per non farvi perdere lo spettacolo in Val di Fleres’.
La Coppa del Mondo fa tappa in Francia
La Coppa del Mondo ISMF non si ferma: nuovo appuntamento in Francia, a Le Dévoluy, sede della Grande Trace. Nevica anche nelle Alpi del Sud della Francia, e anche in questa occasione percorso B per l’individual di sabato, ancora per questioni di sicurezza, con un tracciato di circa 1700 metri di dislivello. Domenica mattina secondo atto con la sprint.

GLI AZZURRI - Non cambia in pratica la squadra rispetto ad Andorra: ci sono ovviamente i primi due della generale, Robert Antonioli (leader con 340 punti) e Michele Boscacci (che insegue a 190), oltre a Matteo Eydallin, Damiano Lenzi, Nadir Maguet, Federico Nicolini e Alex Oberbacher con gli Under 23 Davide Magnini Enrico Loss e il rientrante Nicolò Canclini. Nella squadra rosa Alba De Silvestro, con le Espoir Giulia Murada, Ilaria Veronese e Mara Martini (assente ad Andorra). Sempre sei gli Junior Valeria Pasquazzo e Samantha Bertolina, Daniele Corazza, Sebastien Guichardaz, Giovanni Rossi e Matteo Sostizzo.
Il 1 febbraio al via le pre iscrizioni per il Tor des Géants
Manca poco al via delle pre iscrizioni a due delle quattro gare firmate TOR, organizzate da VDA Trailers. Il 1 febbraio a partire dalle ore 12 si apriranno le pre iscrizioni per il Tor des Géants, alla sua decima edizione, e per il Tor des Glaciers, la nuovissima gara creata esclusivamente per il TOR 2019.
Gli aspiranti concorrenti avranno tempo fino al 14 febbraio alle ore 18 per cercare di far parte del lotto dei partenti di entrambe queste competizioni.
Al Tor des Géants (330 km e 24mila metri di dislivello positivo, partenza l’8 settembre, tempo massimo di 150 ore) saranno ammessi 800 concorrenti, oltre alle wild card e ai pettorali solidali e ambientali. Se il numero dei pre iscritti sarà superiore al numero dei partenti previsti, verrà effettuato, come in passato, un sorteggio che decreterà i nomi di coloro che potranno schierarsi sulla linea di partenza.
Eviteranno il sorteggio, dunque saranno ammessi d’ufficio alla gara, i senatori e gli atleti che nell’edizione 2017 o 2018 abbiano portato a termine il TOR 130 - Tot Dret.
Apriranno sempre il 1° febbraio le pre iscrizioni al Tor des Glaciers, la nuova gara di 450 km e 32mila metri di dislivello positivo lanciata per la prima volta per festeggiare il decennale del Tor des Géants, che partirà da Courmayeur venerdì 6 settembre alle ore 20. Questa gara fonde l’agonismo con l’avventura più pura ed è riservata a solo 100 concorrenti che abbiano completato almeno una edizione del Tor des Géants entro le 130 ore, ad eccezione delle edizioni 2012 e 2015.
I corridori dovranno procedere per buona parte del percorso in autonomia, senza una tracciatura specifica (ci saranno solo le segnaletiche ufficiali regionali), seguendo le mappe e le indicazioni del loro navigatore satellitare e avendo come punti di riferimento i rifugi d’alta quota, dove avranno diritto a pasto, doccia, posto letto e ricariche elettriche.
Completano il calendario della settimana il TOR 130 - Tot Dret, gara di 130 km e 12mila metri di dislivello, con partenza da Gressoney St. Jean la sera del 10 settembre alle ore 21 e il TOR 30 – Passage au Malatrà, l’altra novità del decennale di ‘solo’ 30 km con partenza da Saint-Rhemy-en-Bosses il 14 settembre alle ore 10.
Dopo la prima fase di pre iscrizioni di febbraio, dal 1° di marzo apriranno sul portale www.100x100trail.com le iscrizioni ufficiali a tutte le quattro gare.
NUOVI REGOLAMENTI - La più importante riguarda il materiale che ogni concorrente deve avere al seguito, diviso in ‘materiale obbligatorio’ e in ‘materiale necessario per la propria sicurezza’. Il primo, che comprende, per esempio il telefono cellulare, due coperte termiche, le lampade frontali, la riserva idrica e alimentare, deve essere sempre portato nello zaino. Il ‘materiale necessario’ comprende, sempre per fare un esempio, i ramponcini e l’abbigliamento pesante. Questo materiale può essere lasciato nella sacca TOR, che viene spostata da una base vita all’altra dall’organizzazione, e utilizzato secondo le personali valutazioni, o se reso obbligatorio dalla direzione di gara, in base alle condizioni metereologiche e del tratto da affrontare. Ogni corridore in partenza dalla base vita deve valutare che tipo di attrezzatura gli sarà necessaria per arrivare in sicurezza alla base vita successiva, dove troverà nuovamente la sacca TOR, e preparare il proprio zaino per proseguire. Sarà responsabilità dell’atleta gestire adeguatamente l’abbigliamento e le attrezzature personali da utilizzare.
Tour Trail della Valle d’Aosta, manca poco al via della stagione
Tutto pronto per il Tour Trail della Valle d’Aosta e del Défi Vertical. Otto trail, sei vertical, appuntamenti più e meno difficili che vanno incontro alle esigenze di tutti. Gare ormai storiche del panorama valdostano e organizzatori che per la prima volta si affacciano a un mondo in piena espansione. Il circuito di trail verrà inaugurato il 16 marzo con il Castle’s di Verrès e si chiuderà ad Aymavilles con la seconda edizione del Grivola Trail. Più corta la stagione dei vertical: apertura a Fénis - dove sono già state superate le 200 adesioni - il 1° maggio e chiusura a Saint-Christophe il 13 ottobre.
Dopo Vertical Fénis e Vertical Becca di Viou, tocca ad altri eventi lanciare la propria campagna iscrizioni. Aperte dal 15 gennaio le adesioni al Castles’ Trail, prova di 23 chilometri (1530 n D+) che piace e che ha sempre fatto il pieno di iscritti. Fino all’8 marzo partecipare costa 20 euro, mentre dall’8 al 15 marzo la quota verrà portata a 25 euro.
Il 1 febbraio occhi puntati su Ultramarathon du Fallère (20 luglio) e Uyn Courmayeur Mont Blanc Vertical (3 agosto) che hanno anche rinnovato i propri portali web (ultramarathonfallere.it - uynverticalcourmayeurmontblanc.com), così come sul QuarTrail des Alpages (www.quartrail.it) che ha scelto il giorno degli innamorati per inaugurare la campagna.












