È rimasto fermo a casa per tutto il lock down, ma, a giudicare dal record di salita e discesa dal Monte Rosa, stabilito a meno di due mesi scarsi dalla riapertura, il riposo forzato pare avere fatto bene a Franco Collé. Strappare il record a Bruno Brunod era un sogno dell’atleta valdostano, che però confessa di non vedere l’ora di indossare di nuovo un pettorale.

Come hai mantenuto la forma durante il lockdown?

«Direi che non l’ho mantenuta affatto. All’inizio ho provato ad allenarmi a casa, a seguire qualche filmato di altri, ad andare in cyclette, ma mi sono reso conto che io sono fatto per correre sui sentieri e quindi non ho fatto quasi nulla: lo sforzo più prolungato era quello di portare l’immondizia nella casetta dei rifiuti. Il primo giorno di via libera ho fatto 17 chilometri e poi per tre giorni non riuscivo a scendere dal divano per il male alle gambe! Però nel mese successivo mi sono allenato veramente tanto, dato che dopo aver passato un mese e mezzo a guardare il ghiacciaio del Monte Rosa dalla finestra, non potendoci salire, appena ho potuto mi sono sfogato andandoci tutti i giorni».

Cosa rappresenta per te correre in montagna?

«Nascendo a Gressoney, circondato dalle Alpi, e avendo un senso della sfida molto forte già da quando ero piccolo, era abbastanza naturale che finissi per correre in montagna, eppure alle competizioni ci sono arrivato quasi per caso. Qualche anno fa, quando ancora non avevo partecipato a nessuna gara di corsa, mia sorella mi ha iscritto al Tor des Géants, dicendomi secondo me puoi farcela. Così dopo aver corso due soli trail da 50 chilometri, per capire di cosa si trattasse, mi sono buttato nella regina di tutte le corse in montagna. È stata durissima, ma mia sorella aveva ragione e sono addirittura arrivato quinto assoluto. Da allora non ho più smesso e correre in montagna è oggi una parte importantissima della mia vita».

Quali sono le differenze fra un tentativo di record come quello del Monte Rosa e una gara?

«Il record del Monte Rosa è un sogno che avevo nel cassetto e quest’anno mi è sembrato il momento migliore per provarci. È stata una sfida a distanza contro Bruno Brunod e un’esperienza che mi è piaciuta molto, però indossare un pettorale è tutta un’altra cosa. Come ho detto mi piace la competizione, quindi la cosa che preferisco è ritrovarmi con tanti altri, partire tutti insieme in linea, studiare gli avversari, trovare le strategie per batterli e giocarsela».

Come atleta, quali sogni hai ancora nel cassetto?

«Avrei voluto correre l’accoppiata UTMB – Tor des Géants provando a fare bene in entrambi, ma se ne riparlerà nel 2021, dato che quest’anno non si disputeranno. Così ho spostato i miei sogni dall’altra parte delle Alpi e correrò una gara per me nuova, lo Swiss Peaks Trail (360 km, 25.000 m D+), a inizio settembre, che sarà il mio ritorno alle competizioni dopo un digiuno che dura da ottobre dell’anno scorso. È una gara molto simile al TOR, su un tipo di terreno che mi si addice molto, dove cercherò di fare del mio meglio».

Cosa ti aspetti dalla gara in Svizzera?

«Nelle scorse settimane ho provato una parte del percorso e mi piace molto. Per certi aspetti, anche se è un po’ più corta, è una gara più dura del TOR, inoltre i paesaggi sono molto più selvaggi, perché si toccano meno centri abitati. Dato che attraversa alcune zone dove passa anche l’UTMB, mi aspettavo dei sentieri simili a quelli della gara francese, larghi e adatti a tutti. Invece, nella parte che ho provato, ho trovato sentieri molto più tecnici, e mi hanno detto che quelli della prima parte della gara sono ancora più impegnativi. Ne sono felice perché è quello che piace a me, quindi mi aspetto di divertirmi, e poi dipenderà anche dagli avversari».