Benedikt Boehm, salita e discesa record sul Manaslu
In meno di 24 ore 'Beni' sale e scende con gli sci dal Manaslu
La tragedia accaduta il 23 settembre al campo 3 del Manaslu con la morte, travolti da un'enorme valanga, di 12 alpinisti, tra cui l'italiano Alberto Magliano, è di quelle che purtroppo segnano la storia dell'alpinismo. Una tragica fatalità che si è sommata al grande affollamento dei campi del Manaslu, dovuto ai divieti imposti dal governo cinese alle spedizioni dirette ad altre cime di 8000 m considerate tra le meno difficili. Degna di nota è stata la grande solidarietà tra le spedizioni presenti nei soccorsi ai feriti e nel recupero dei corpi. Qualche polemica ha invece suscitato il fatto che molti alpinisti siano rimasti sulla montagna dopo la tragedia per cercare di raggiungere la cima. Polemiche assurde e pretestuose, perché l'alpinismo è uno sport pericoloso e chi lo pratica è conscio dei rischi che corre, specialmente in Himalaya. La possibilità di morire va purtroppo messa in conto, la tua e quella degli altri. E' così da quando si è cominciato a scalare le montagne. La scelta di continuare o meno dopo una tragedia di questo genere è, e deve essere, assolutamente personale, scevra da condizionamenti esterni che non siano quelli della necessità di soccorrere i colleghi, cosa che sul Manaslu è stata fatta generosamente. Detto ciò, la cronaca delle salite successive alla valanga racconta della cima di Marco Confortola e di Luca Macchetto, per quello che riguarda gli italiani. Racconta anche della salita record di Benedikt Böhm il 30 settembre, 15 ore per raggiungere la cima e una discesa sci ai piedi difficile e pericolosa. Tutto in meno di 24 ore. "La discesa più difficile della mia vita", ha detto Beni. E sì che di cose difficili con gli sci ne ha fatte, dal Gasherbrum II al Broad Peak, il primo salito e sceso due volte dalla cima. Una passione per la montagna e le grandi salite in velocità che Beni ritaglia nel tempo libero dal suo lavoro di Brand Manager di Dynafit. Venendo ai dettagli della salita, Benedikt Böhm e il suo compagno Sebastian Haag sono partiti alle 18 dal campo base a circa 5000 m e sono saliti con brevi soste ai campi alti per quasi 3300 m di dislivello. Lungo la salita si è aggiunto ai due Constantin Pade. Beni si è avvantaggiato rispetto ai compagni aspettandoli una prima volta a campo 2. A 7400 m il tempo è peggiorato, Beni ha proseguito da solo e ha raggiunto la cima alle 9 del mattino. Sebastian e Constantin si sono fermati 150 m sotto. La discesa su neve ventata ha messo a dura prova i tre, che sono passati anche dalla zona del distacco del seracco che aveva provocato la valanga rimanendo impressionati dalle dimensioni del crollo. La discesa in sci si è svolta integralmente fino al campo base, tranne un brevissimo tratto di un centinaio di metri in cui è stato indispensabile procedere arrampicando.
Il Monte Bianco di Dakota e Kilian
Un interessante video della salita lungo l'Innominata
Partenza nella notte, alle 4 di mattina. Una 'passeggiata' sul Monte Bianco. A salire velocemente due dei più forti trail runner: Kilian Jornet e Dakota Jones. Ecco l'interessante video (in inglese) che documenta l'impresa di qualche settimana fa e le sensazioni di Dakota Jones.
Il mondo dello sci estremo piange per Remy Lecluse
La guida alpina francese dispersa nella valanga al Manaslu
Nella valanga che ha colpito domenica mattina il campo 3 sul Manaslu, in Nepal, risulta disperso lo sciatore estremo e guida alpina di Chamonix Rémy Lécluse. Lecluse, insieme a Greg Costa e Glen Plake, voleva scendere sci ai piedi dagli 8.156 metri della vetta. La valanga che ha colpito domenica il campo 3, quando sulla montagna c'erano 231 scalatori e sherpa, ha ucciso nove persone e sei risultano ancora disperse con speranze di sopravvivenza pari a zero. Rémy Lécluse, 48 anni, era uno dei più forti sciatori estremi. Al suo attivo più di 500 discese e 64 prime nelle Alpi, Ande, sull'Atlante, In Nepal e in India. «Certi pensano che sia pazzo, io scio dove gli alpinisti sognano di arrampicare» amava dire la guida alpina di Chamonix che spesso divideva con i suoi clienti la gioia delle discese estreme. Risulta disperso anche Greg Costa, mentre è sopravvissuto con qualche livido e un dente perso il freerider statunitense Glen Plake. Plake ha raccontato che Greg era in tenda con lui e si sono ritrovati nel giro di pochi minuti a oltre 200 metri di distanza. Lo statunitense ha subito visto tutto quello che era all'interno della tenda tranne Greg. La valanga ha ucciso anche l'alpinista italiano Alberto Magliano.
Valanga sul Manaslu, tra i superstiti anche Glen Plake
Purtroppo tra le vittime un italiano, Alberto Magliano
Una enorme valanga ha investito le spedizioni che stanno affrontando il Manaslu, in Himalaya. I dispersi sono almeno 14. Tra le varie cordate nella zona anche alcuni nomi noti dell'alpinismo e dello sci estremo, tra i quali il freerider statunitense Glen Plake e gli alpinisti italiani Silvio 'Gnaro' Mondinelli e Marco Confortola, per fortuna sopravvissuti e illesi. Risulta tra i dispersi invece la guida alpina e sciatore stremo di Chamonix Rémy Lècluse.
LA MORTE DI ALBERTO MAGLIANO - Chi non ce l'ha fatta, purtroppo, è l'alpinista italiano Alberto Magliano, triestino classe 1945. La notizia è stata confermata dal consolato italiano a Calcutta. La ricostruzione, riportata da tutti i principali quotidiani, parla di un seracco di ghiaccio che si sarebbe staccato prima dell'alba dal fianco della montagna e cadendo avrebbe provocato una valanga che si è abbattuta sul campo base n.3 del Manaslu, che si trova a 7.000 metri di quota, travolgendo i membri della spedizione che stavano dormendo nelle loro tende. In un'intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport Mondinelli ha provato a spiegare la morte di Magliano ipotizzando che «probabilmente la tenda di Alberto era più pesante della nostra dato che conteneva anche delle bombole di ossigeno e quindi il peso le ha impedito di saltar fuori dalla slavina». Intanto proseguono i lavori di ricerca degli scomparsi e i soccorsi ai feriti.
PROSEGUONO I LAVORI DEI SOCCORRITORI - Gli elicotteri sono al lavoro nel luogo dell'incidente per recuperare i cadaveri affiorati, organizzando il recupero di quelli ancora sotto la neve, e trasferendo i feriti, fra cui almeno cinque tedeschi, in ospedali di Khatmandu.
A questo link un report completo, in inglese: daily.epictv.com
Kilian: Courmayeur-Chamonix in meno di 9 ore
La traversata fa parte di Summits of my life
Partenza alle 3.53 dalla piazza della Chiesa di Courmayeur con un ruolo di marcia impressionante: rifugio Monzino (2.590 m) ore 5.25, salita al Monte Bianco per la via dell'Innominata e successiva discesa a Chamonix, dove è arrivato dopo 8h 42' 57'' dalla partenza. Una 'gitarella' con passaggi fino al V+. Questa l'avventura che si è regalato ieri Kilian Jornet Burgada nell'ambito della seconda uscita legata al progetto Summits of my life.
Kilian, un record durato 10 giorni
Andy Anderson piu' veloce sul Grand teton
Il 12 agosto scorso Kilian Jornet ha battuto il record di salita e discesa sul Grand Teton (4199 metri), la montagna simbolo del Whyoming, negli Stati Uniti. Un record durato… solo 10 giorni. Il 22 agosto, infatti, il ranger Andy Anderson ha fatto meglio di 59 secondi: 2h 53' 02'' contro 2h 54' 01''. Il record di Anderson è avvenuto senza scorciatoie, percorrendo il sentiero, fatto ancora più significativo.
Slackline a 5.000 metri...
L'impresa di Armin Holzer e Allessandro d'Emilia sul Muztaghata
Armin Holzer e Alessandro d’Emilia sono riusciti a portare a termine la loro sfida estrema e hanno raggiunto la quota più alta che sia mai stata raggiunta con la slackline: 5000 metri. Sono partiti insieme a Massimo Braconi a metà giugno per una spedizione con gli sci sul Muztaghata il 'padre delle montagne ghiacciate', nonché seconda vetta più alta del Pamir. «Il motto di Walter ha fatto crescere in me molti sogni: è nata così l'idea di tentare una highline in alta quota. Eravamo sicuri che funzionasse, ma il fatto che per ora ancora nessuno avesse provato a farlo ci rendeva scettici. In realtà lo scetticismo, in seguito, ci ha motivato ancora di più: volevamo essere come grandi uccelli che volano liberi tra quelle alte cime» ha detto Armin Holzer. Dopo giorni di cammino, bufere, sciate stupende, tramonti mozzafiato, hanno trovato l’highline spirit, che non è il fatto di correre veloce e a ogni costo in cima ad una montagna ma andare in posti - e assaporarli in tutta la loro freschezza - dove nessuno probabilmente è mai stato. Così hanno individuato lo spot ideale, sopra una lingua di picchi di ghiaccio che scende lungo l'imponente valle del Muztaghata. Con una slack naturale di 20 metri, senza spit né chiodi, hanno camminato su questa morbida fune mentre si facevano cullare dalle forti termiche.
La tragedia del Mont Maudit analizzata da Renato Cresta
Alcune considerazioni del nostro esperto di nivologia
Ero alla scrivania, impegnato nel mio lavoro, quando un radiogiornale ha trasmesso la notizia dell’incidente del Mont Maudit: 'una valanga ha travolto numerose cordate; le squadre di soccorso hanno estratto sei morti, …'
Quelle parole mi hanno richiamato alla mente immagini di molti anni fa, quando anch’io mi sono trovato impegnato in quella salita. Verso le due di notte, ero partito dal Rifugio Torino con tre dei miei alpini paracadutisti e, percorsa tutta la Vallèe Blanche, avevamo superato il Col Maudit e, lasciato a sinistra il Mont Blanc de Tacul, avevamo attaccato la rampa che porta al Col du Mont Maudit quando il tempo è rapidamente cambiato e un’improvvisa e violenta bufera di neve e vento mi ha fatto decidere per il ritorno. Sulla base di quel ricordo ho tentato di rappresentarmi lo scenario dell’incidente, ma mi sono accorto che le immagini si riducevano a poca cosa: potevo mettere a fuoco solo i pochi metri di ghiacciaio illuminato dalle nostre lampade frontali e poi i violenti turbini di neve trasportata dal vento. Un vento a raffiche che proveniva da Ovest, a volte direttamente dal Col du Mont Maudit, a volte lateralmente, dalla spalla rocciosa che da P.te Meulet discende verso l’Aig. de Saussure e il Glacier des Bossons.
LASTRONE? - Il ricordo di quel vento mi ha fatto subito pensare alla possibilità di un lastrone sul pendio. 'Numerose cordate, molte persone vicine, un lastrone di neve depositata dal vento; la dinamica deve essere stata questa'. Le notizie successive, trasmesse dai telegiornali, hanno inizialmente solamente aggiornato il numero delle vittime, salito a nove. Solo il venerdì, dalle cronache dei giornali, ho appreso che il deposito inglobava blocchi di ghiaccio (intervista alla Guida Alessandro Penco - La Stampa) 'C’era molto ghiaccio in mezzo alla neve, segno evidente che ha ceduto un seracco'.
Questo mi ha fatto pensare che la dinamica del distacco potesse essere diversa da quella che avevo ipotizzato: il distacco è avvenuto a causa della sollecitazione dovuta alla caduta di un seracco, invece che al sovraccarico provocato dalle cordate. Poi, ripensandoci, mi sono anche detto che la valanga, inizialmente di sola neve, poteva aver strappato ghiaccio dalla parete e questo rimetteva in corsa l’ipotesi del sovraccarico sul lastrone.
Poi Meo Ponte, inviato de La Repubblica, riferisce che 'il sindaco di Chamonix sospetta che una cordata passata per prima, due persone che sono state trovate sane e salve sulla cima del Monte Bianco, possa aver tagliato una placca di vento formatasi negli ultimi giorni ed aver quindi originato la valanga'. Mi sembra strano che due alpinisti taglino una valanga di quelle dimensioni e non ne siano travolti o, ancor peggio, che proseguano indifferenti verso la vetta del Bianco. Sono notizie raccolte a caldo dai giornalisti, quindi forniscono dei dettagli importanti ma non un preciso quadro d’insieme, che sarà ricostruito dai periti del Tribunale che ha avviato l’inchiesta. Ci vorrà del tempo per poter ascoltare tutti i sopravissuti e i soccorritori e compiere qualche ricerca sulle condizioni del manto nevoso.
LA COMPONENTE VENTO - Nel frattempo possiamo formulare solo ipotesi che hanno lo stesso valore di quelle che molti 'esperti' avranno già espresso in tutti i bar di Chamonix e Courmayeur. In me resta, però, ben vivo il ricordo di quel vento che soffiava da Ovest e ci avvolgeva in turbini di neve, un ricordo che avvalora l’ipotesi del lastrone, la plaque a vent del Sindaco di Chamonix. Nei primi giorni di luglio nel settore occidentale delle Alpi, dal Bianco al Rosa, , il tempo è stato caratterizzato da piogge, temporali e vento e, durante le rare schiarite, si potevano osservare le cime imbiancate di neve già a partire dai 3.500 metri. Ed il maltempo proveniva da ovest, quindi il versante del Tacul era sottovento: ci sono tutti gli ingredienti necessari alla formazione di un lastrone di grandi dimensioni. Lucio Trucco conferma 'I giorni scorsi sono state giornate di vento forte sul massiccio del Bianco' (intervista di D. Genco e E. Martinet - La Stampa). Un testimone spagnolo dice 'Ho visto il seracco staccarsi da metà pendio della montagna' (Meo Ponte - La Repubblica). La Guida Penco, il primo a giungere sul luogo del disastro, racconta che il deposito è formato da tanta neve: 'Ho calcolato che in qualche punto l’ammasso era profondo anche cinque metri. C’era molto ghiaccio in mezzo alla neve, segno evidente che ha ceduto un seracco'. Il fatto che il deposito contenga frammenti di ghiaccio conferma che non si tratta di un puro crollo di seracco, come quello che, nel 2008, ha fatto otto morti sul Mont Blanc de Tacul, ma di una valanga di neve. Resta da stabilire la causa del distacco, ma il lastrone di neve c’era.
MONTAGNA ASSASSINA? - C’è stato allora qualche errore umano? I saggi e i benpensanti diranno che il solo fatto di andare in montagna è un errore; gli irriducibili, invece, sosterranno la teoria dell’imprevedibilità, la tesi della “Montagna Assassina”, avanzata dal TG5 delle 20.00, che annunciava la tragedia. E le persone di buon senso? Tutti quelli che hanno veramente un po’ di buon senso non s’includono mai nel mazzo delle cosiddette “persone di buon senso”. Restano solamente quelli che, come me e come chi mi legge, cercano di capire, ma che non erano presenti sul luogo dell’incidente, che non dispongono dei mezzi per recarsi a vedere, che non possono chiedere informazioni ai chi invece c’era. Restano quelli che non possono far altro che riflettere. C’è una cosa che a molti sembra passare inavvertita: alla quota di 4.500 m, la temperatura del mese di luglio è di almeno 20 °C inferiore a quella registrata in un fondo valle sui 1.500 m. La temperatura massima che ho osservato a Macugnaga (1.300 m) in questi giorni di luglio è stata di + 22 °C e la minima di + 9 °C. Questo vuol dire che, sulle vette del Rosa che dominano la località, la temperatura si è aggirata tra i + 2 °C ed i - 11 °C. Sul Maudit, sul Cervino, sul Rosa e sul Bianco, è inverno anche nel mese di luglio e inverno vuol dire freddo, neve, vento, … valanghe. E il caldo che muove i ghiacciai e fa crollare i seracchi? Dove vi è un cambio di pendenza, quindi un cambio di velocità, il ghiaccio si deforma e si spezza e i grandi blocchi triangolari di ghiaccio, che ricordano enormi fette di formaggio (in savoiardo seracs) prima o poi crollano. Sia d’estate, sia d’inverno, il ghiaccio non supera mai gli 0 °C, e si muove “per forza di gravità”. Questa non va mai in ferie, quindi il crollo dei seracchi è un fenomeno che si produce sia d’estate, sia d’inverno; nella stagione estiva è un poco più frequente perché le acque di fusione superficiale possono raggiungere il letto del ghiacciaio e svolgere un certo effetto lubrificante sul fondo, accelerando appena la velocità con cui si muove la massa glaciale.
COSA DEVE INSEGNARE L'INCIDENTE - 'Ogni storia, ogni racconto deve terminare con la morale', così mi raccomandava il maestro Pareo, mio insegnante alle elementari. E anch’io, memore della raccomandazione di quella bella figura d’uomo, cui ancor oggi sono grato per tutto ciò che mi ha insegnato, propongo la mia morale. Continuiamo ad andare in montagna, ma non limitiamoci a prevedere e provvedere alla sola attrezzatura d’arrampicata. Se su molte montagne vi sono ghiacciai, vuol dire che su quei monti l’inverno vi dura tutto l’anno, ed infatti vi andiamo (o vi dovremmo andare) con abbigliamento pesante, adeguato alle temperature invernali che vi incontreremo. 'La ricerca con l’ARVA, il rilevatore elettronico, non ha dato grossi risultati - spiegano alla Gendarmeria di Chamonix – i corpi li abbiamo ritrovati con le sonde, bucando la valanga palmo a palmo' (Meo Ponte – La Repubblica). Dove ci sono neve e ghiaccio, da qualche parte è nascosta una trappola. La più comune è la valanga, ma non è la sola: anche un ponte di neve può cedere sotto i nostri piedi, ricoprirci di neve e nasconderci agli occhi dei soccorritori. Non troviamo la scusa che l’ARTVA è un peso in più per lasciarlo a casa: i più pesanti non raggiungono i 250 grammi.
LA MALEDIZIONE DEL BIANCO - 'La maledizione del Bianco' era il titolo con cui, sabato mattina, un telegiornale annunciava la morte per assideramento di due alpinisti sul Monte Bianco. Non voglio commentare il titolo, troppo enfatizzante; poco dopo lo stesso telegiornale annunciava, senza alcuna enfasi, la morte per annegamento di quattro persone. Non mi riesce di entrare nella mentalità di quei giornalisti che gonfiano l’incidente in montagna e banalizzano l’annegamento, anche se, nella stagione estiva, mari, laghi e fiumi sommano più morti di quanti se ne contano in montagna. Vorrei portare invece l’attenzione sulla chiusura del mio commento all’incidente del Mont Maudit: sopra i 4.000 metri è sempre inverno. Secondo i climatologi le condizioni climatiche legate all’incremento di 100 m di quota corrispondono ad uno spostamento di 1° di latitudine verso la calotta polare. Il conto è facile: prendiamo come base la latitudine del M. Bianco 45°30’. Raggiungere il Rifugio Gonella (q. 3.071) vuol dire spostarci verso nord di 30° e trovarci a 75°30’ di latitudine, cioè nel nord della Groenlandia. Raggiunta la Capanna Vallot (4.347) equivale ad essere a 89° di latitudine. Toccare la vetta del Bianco equivale, climaticamente, a raggiungere il Polo Nord.
UN RICORDO PERSONALE - Pochi giorni dopo essere tornato indietro dal Maudit, con tutto il mio plotone di alpini paracadutisti (48 uomini) ho raggiunto la vetta del Bianco per l’itinerario della Cresta di Bionassay. Alle 7.30 del mattino eravamo tutti in vetta, senza giacca a vento: un tempo straordinariamente bello, senza un filo di vento. L’anomalia meteorologica era questa, non quella della settimana precedente. Un commento, il mio, che vuole essere un invito a pensare a quanto può diventare terribile quell’ambiente. Freddo intenso, bufere di vento, neve fuori stagione (per chi guarda il calendario), ma normale in un ambiente che è climaticamente simile a quello polare e che, come quello, è difficile, a volte impossibile da raggiungere dalle squadre di soccorso.
Simone Silvestri bis al Terminillo
Nella skyrace laziale al femminile s'impone Valentina Verini
Nel primo pomeriggio di domenica, con l'arrivo degli ultimi concorrenti, si chiudeva il sipario sulla nona edizione della Terminillo Skyrace, 20 chilometri di corsa in montagna per veri appassionati alla scoperta delle bellezze della montagna di Rieti. 146 atleti al via, 138 al traguardo. Tutti si sono dati battaglia lungo il percorso superando i 1650 metri di dislivello in una giornata molto calda che ha messo a dura prova le capacità di tutti gli atleti, dai professionisti all'ultimo degli amatori. Passa l'anno ma la musica non cambia: transitato con un ampio margine poco prima del cancello orario della Fossa, torna a vincere di un soffio (17 secondi), dopo il successo della passata edizione, Simone Silvestri. Subito dietro una delle più vecchie conoscenze della corsa, plurivincitore e piazzato di tante altre gare, Alessandro Novaria della SDS-Specialisti dello Sport-L'Aquila. Al terzo posto Raffaele Adiutori, dello Sci Club Gransasso. Alle spalle del podio Simone Piferi e Davide De Paulis. Tra i locali buoni piazzamenti di Mauro Pasuch e Giuseppe Bigioni. Tra le donne successo di Valentina Verini, della ASD Parks Trail, in 2h 54' 30'', lontana dal record della scorsa edizione di Elena Bonanno, mamma pochi giorni prima di un secondo bimbo, seguita da una vecchia conoscenza, Emanuela Perilli, anche lei in ripresa da una gravidanza. Al terzo posto Elzbieta Makowiec del Runners Club Anagni; a chiudere il quintetto di testa Silvia Crocetti del gruppo Altaviva e Mara Cecchini della Atletica Amatori Velletri. Alla fine pasta party per tutti e relax sotto il sole al Campo di Altura del Monte Terminillo insieme ai nazionali di atletica della velocità, amici e parenti. Ora è partito il conto alla rovescia per l'edizione del decennale…
Presena, i teli salvano la neve
100.000 metri quadri vengono coperti per evitare lo scioglimento
Ḕ arrivata l’estate e il ghiacciaio del Presena, in uno dei 'santuari' dello scialpinismo, si difende proteggendosi sotto la 'coperta' di teli geotessili sapientemente stesa dagli operai della società Carosello, che impedirà ai raggi solari di penetrare e di sciogliere la preziosa neve. Le operazioni di copertura del ghiacciaio sono iniziate la settimana scorsa e hanno dovuto fare i conti con un meteo assai bizzarro che tra lunedì e martedì ha portato circa 30 cm di neve fresca in quota. In questi giorni, complice il bel tempo, i lavori sono ripresi a pieno ritmo e proseguiranno per tutta la settimana. La copertura del ghiacciaio fa parte di un progetto che coinvolge anche la Provincia Autonoma di Trento, che finanzia per un terzo l’acquisto dei teli e l’innevamento programmato (gli altri 2/3 sono a carico della società Carosello), e l’Università di Trento che monitora e studia gli effetti dei teli.
COME FUNZIONA - La tecnica dei teli geotessili, importata dall’Austria, è stata adottata sul Presena nel 2001. «Allora però erano teli saldati con una tecnica diversa e coprivano solo la parte di ghiacciaio che corre sotto le due sciovie - spiega Giacinto Delpero, presidente della società Carosello. Ḕ dal 2008 che abbiamo iniziato ad usare i teli geotessili: strisce di teli larghi 5 metri e lunghi 70 metri, che vengono stesi con l’ausilio dei gatti delle nevi e termosaldati». Questa estate verrà ricoperta una superficie di ghiacciaio molto vasta, pari a 100.000 metri quadri, che interesserà la parte sciabile e la parte che sostiene gli impianti, particolarmente sensibile in quanto i sostegni in ferro si possono surriscaldare portando ad un rapido scioglimento della neve. I teli verranno rimossi, come sempre, a settembre, prima dell’inizio della nuova stagione invernale.
IMPIANTI APERTI PER IL TREKKING - La cabinovia Paradiso e la seggiovia Paradiso Presena riapriranno sabato 23 giugno e rimarranno aperte tutta estate per chi desidera visitare la galleria multimediale della prima Guerra mondiale, oppure percorrere le passerelle aeree del Sentiero dei fiori, o semplicemente raggiungere i rifugi in quota e prendere il sole. Gli appassionati di trekking troveranno anche altri impianti aperti durante l’estate: la cabinovia Pontedilegno-Tonale (30 giugno-2 settembre), le seggiovie Valbione (16 giugno-9 settembre), Corno d’Aola (23/24 giugno e dal 30 giugno al 2 settembre) e Roccolo Ventura (30 giugno-1 luglio e 7 luglio-26 agosto e 1 /2 settembre).
Il saluto a Steph di Kilian
Sul blog del catalano l'ultimo ricordo di Brosse
Ciao Steph. Inizia così il blog in lingua di francese di Kilian Jornet nel quale saluta l'amico scomparso domenica sul Monte Bianco. «Mi ricordo del quaderno dove c'era la tua foto, quando andavo al liceo. Mi ricordo quando timidamente ti cercavo per chiederti una foto prima dei grandi campionati… Mi ricordo la tua facilità nelle discese, era sempre facile, in tutte le nevi. Mi ricordo la tua sicurezza, il tuo passo facile quando era difficile. Mi ricordo il tuo sorriso quando eri in montagna». Kilian ricorda anche che Brosse gli ha insegnato più dei tecnici ad andare in montagna, ma che è stato anche e soprattutto maestro di vita, che gli ha insegnato a «inseguire i sogni». Toccante il finale: «Sei partito come vivevi, con un sorriso, senza fare rumore, senza dolore, cadendo come un albero che cade dolcemente. Addio Stef. resterai per sempre nei nostri cuori».
A questo link il testo integrale http://www.kilianjornet.cat/ca/blog/adieu-steph
Karl Unterkircher Award
La seconda edizione del prestigioso premio alpinistico
Si svolgerà il prossimo 6 luglio in Val Gardena l'assegnazione del premio per le migliori imprese alpinistiche compiute nel 2010 e 2011 intitolato al famoso alpinista Karl Unterkircher, scomparso nel 2008 sul Nanga Parbat. I nominati dal gruppo dei Catores e dall'Associazione Guide Alpine Val Gardena sono:
Prima invernale Gasherbrum II 8035 m (Pakistan)
Simone Moro, Denis Urubko (KZ) e Cory Richards (USA) hanno compiuto il 2 febbraio 2011 la prima ascensione invernale del Gasherbrum II con temperature fino a -50°C
Big Walls (Groenlandia)
Apertura di 9 nuove vie nelle Big Walls di Cap Farewell sulla costa sud e ovest della Groenlandia, delle quali la più rilevante e' stata Devil's Brew, una salita di 10 giorni, da parte di Sean Villanueva, Nicolas e Olivier Favresse (Belgio) e Ben Ditto (Usa); La maggior parte di queste vie partivano dal ponte della propria barca. Per questa straordinaria impresa, fatta a luglio e agosto del 2010, gli alpinisti hanno vinto nel 2011 il Piolet d’Or.
Great Trango Tower 6286m (Pakistan)
Via nuova sulla parete Nordovest del Great Tango Tower, "Parallel World" (VI+ 7b, 2580m) da parte di Marina Kopteva, Galina Chibitok e Anna Yasinskaya dal 22.7. – 9.8.2011 (38 gg. in parete). Per quest’impresa hanno vinto nel 2011 il Piolet d’Or Russo. Sono le prime donne a ricevere questo premio.
www.karlunterkircher.com/it/silke_awards.htm