Xavier De La Rue in missione antartica

Su Skialper di febbraio/marzo un’ampia intervista allo snowboarder

«Mi sono ritrovato in balia di questa valanga. Sono stato trascinato per più di due chilometri. Nel freeride questo tipo di cose non succedono due volte… Un vero miracolo. E sono felice di aver avuto la possibilità di riflettere su quello che faccio. Non c’è lezione migliore che arrivare così vicino alla morte. L’incidente è avvenuto a fine stagione e avevo molti mesi davanti a me per pensare, analizzare. Mi sono detto che quello che facevo non aveva molto senso, mi sono chiesto se continuare a scegliere linee così pericolose o optare per altre, più semplici. Ma in ospedale, una volta alzato dal letto, osservando le montagne, mi sono messo subito a cercare delle linee da scendere. Ho pensato subito di voler tornare e in quell’istante mi sono reso conto di quanto ami quello che faccio. Non è solo un hobby, è la mia vita. E devi vivere fino in fondo la tua vita». A ‘confessarsi’ con Lucia Prosino è lo snowboarder Xavier De La Rue, in un ampio articolo di 6 pagine sul numero di febbraio-marzo di Skialper.

XAVIER A 360 GRADI - De La Rue ha affrontato diversi argomenti, dal suo passato alle competizioni di boardercross, ai materiali che utilizza, fino ai progetti attuali che lo vedono impegnato nella produzione di spettacolari video. 

ANTARTIDE - L’ultima avventura si chiama ‘Mission Antartic’, il film di Lucas Debari prodotto da Timeline Missions. «È stata una tra le esperienze più belle di tutta la mia vita. Un viaggio completo ai confini del mondo. Il percorso in barca mi ha dato non pochi problemi, ma poi una volta laggiù, tutto mi è sembrato speciale!… All’inizio solo neve dura e un fondo ghiacciato, una volta a Recess Cove, siamo stati proiettati in un paesaggio fiabesco. Le montagne sembrano le stesse che troveresti in un posto come Chamonix sopra i 3.000 metri, ma qui sei al livello del mare e con la barca ti puoi spostare dove vuoi. Ti trovi in un terreno con molta storia, ma allo stesso tempo sembra ancora tutto intatto».

BEC DE ROSSES - Xavier ha anche parlato della parete preferita, il Bec de Rosses (3223 m, Vallese, Svizzera) dove ha vinto il Verbier Extreme per tre volte. È una parete estremamente  difficile e pericolosa e tutte le linee di discesa sono complesse, tra i 40º e i 60º, con molti cambi di pendenza.

GIÀ IN EDICOLA - Skialper di febbraio è disponibile nelle migliori edicole. Per ogni info si può scrivere una mail o chiamare il numero 0124 428051. (Per la pagina abbonamenti cliccare qui). Per acquistarlo su smartphone o tablet è sufficiente scaricare la app per iOS o Android e procedere all’acquisto direttamente in-app!       

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Best ager, ecco i segreti per fare skialp a 60 anni

Su Skialper di febbraio/marzo un interessante articolo di Massimo Massarini

«Definire cronologicamente a che età si diventa soci del 'Best Ager Club' non è facile, ma si potrebbe dire che va dai 55 ai 60 anni, malgrado qualcuno a quell'età se la senta senta ancora di definirsi 'giovane’». Così il dottor Massimo Massarini, medico dello sport e consulente di Skialper introduce quella categoria di persone spesso ultrasessantenni capaci di performance incredibilmente positive negli sport di resistenza. Argomento che tratta diffusamente sul numero di febbraio/marzo di Skialper.

GENETICA - Purtroppo l’elemento che pesa maggiormente è la genetica. Avere dei genitori longevi e sani è senz’altro fondamentale per poter aspirare ad una lunga carriera sportiva. Ciò vale anche per i campioni, e infatti spesso, durante i convegni di medicina dello sport, si sente dire che per vincere le olimpiadi bisogna innanzitutto scegliere i genitori giusti.

ALIMENTAZIONE DI QUALITÀ - L’alimentazione gioca poi un altro ruolo importante nel mantenimento della forma anche in età avanzata. Ecco perché Massarini, nell’articolo di Skialper, segnala quali sono gli alimenti più ricchi di antiossidanti.

ALLENAMENTO - L’allenamento deve essere adeguato ai cambiamenti indotti dall’età e cercare di rallentarli il più possibile. Tenendo presente che c’è un decadimento fisiologico di potenza aerobica, forza massima ed elasticità. Dopo i 50 anni, per esempio, va quindi bene fare allenamenti a fondo lungo e medio e inserire una seduta settimanale di ripetute alla soglia, evitando però i lavori ad intensità lattacida e massimale, che aumentano il rischio di infortuni senza produrre benefici concreti.

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Canale dei bocia, freeride puro!

Su Skialper di febbraio/marzo una discesa nella polvere a Montgenevre

Un couloir a pochi passi dagli impianti di Montgenèvre ma quasi sconosciuto a freerider e skialper, con pendenze fino a 50 gradi. Due ragazzi che marinano la scuola, una sciata indimenticabile e un sogno realizzato. Questo, in estrema sintesi, il contenuto di un interessante articolo pubblicato su Skialper di febbraio/marzo a proposito di una discesa freeride sulla parete ovest di Rochers Charniers.

EMOZIONI FREESKI - «Stiamo salendo lungo la normale della Challance Ronde, di cui poi scenderemo il versante nord con una polvere da antologia… valicato il Col des Trois Frères Mineurs, Guglielmo mi indica col bastoncino un canale in ombra che si staglia sopra di noi lungo la parete sud-ovest di Rochers Charniers, confessandomi che l’aveva già adocchiato l’anno precedente. Siamo in un vallone che, nonostante la vicinanza degli impianti, rimane poco frequentato anche d’inverno, una piccola oasi ancora selvaggia in mezzo a un’area decisamente antropizzata. Due giorni dopo siamo di nuovo lì…». Il racconto di Federico Ravassard invoglia, le foto ancora di più…

NUMERI - 1.350 metri di dislivello, accorciabili prendendo una seggiovia, esposizione sud-ovest, difficoltà II 4.3 E3… una canale di 500 metri interamente sciabile. Da provare! «Non so se si possa dare una vera definizione di ‘freeride'. Nel mio piccolo, però, penso che quello più vero sia quello che abbiamo fatto oggi. Vedere una linea, salirla e poi sciarla. Liberi di scegliere dove andare, alla ricerca di un ideale estetico che esiste solo nella nostra mente e sotto i nostri sci». Vero freeride. Il nome del canale? Essendo stato sciato da due ventenni… Canale dei Bocia!

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Karl Egloff batte il record di Kilian sull'Aconcagua

Salita e discesa in 11 ore e 52 minuti

Si chiama Karl Egloff, è un atleta  e guida alpina svizzero-ecuadoregno di 33 anni. E il 19 febbraio ha battuto il recente record di salita e discesa sull'Aconcagua ottenuto a dicembre da Kilian Burgada. Kilian era salito e sceso in 12 ore e 49 minuti, Egloff lo ha migliorato di circa un'ora: 11 ore e 52 minuti. Lo ha realizzato sullo stesso percorso del catalano partendo dal settore Horcones a quota 2900 metri sino ai 6.962 della vetta.


In edicola Skialper 98 di febbraio/marzo

In tutte le migliori edicole, anche su smartphone e tablet

È arrivato il nuovo Skialper... anche se ve l’abbiamo fatto aspettare un po’ più del solito! L’uscita della rivista, infatti, ha cadenza bimestrale ed è sempre prevista per la prima settimana del mese. Questa volta abbiamo perso qualche giorno, e ci meritiamo una tiratina d’orecchie, però l’abbiamo fatto in buona fede... Infatti volevamo farvi trovare sulle pagine di Skialper 98 (febbraio 2015, 160 pagine, 6 euro, con allegato tabloid Up&Down) le principali novità che le aziende hanno presentato ad ISPO 2015 (4-6 febbraio). E abbiamo fatto qualcosa di più: nella maggior parte dei casi le abbiamo già provate sulla neve per svelarvi come vanno. Perdonati? Ci auguriamo di sì, ovviamente!

COVER BY NIGHT - La montagna di notte è affascinante, sia per salire che per scendere. Così abbiamo deciso di provare - ma provare per davvero - le migliori lampade frontali sul mercato. Dagli scatti di Alo Belluscio per illustrare il servizio è venuta fuori la foto della copertina, con Raffaele Cusini lanciato a chiaro di lampada in powder nei boschi di Livigno. Naturalmente a tarda notte… E per chi vuole approfondire l’argomento all’interno è disponibile il super test curato da Giò Romano con dieci modelli da Led Lenser, Lupine, Petzl, Silva e Ski Trab. Ma la foto di copertina già da sé vale il prezzo del biglietto, come si usava dire una volta!

SI PARTE! - E come al solito lo facciamo con le opinioni, da quella del direttore Davide Marta che analizza il boom dello scialpinismo a tutti i livelli e le problematiche che questo può portare se non gestito con attenzione. Leonardo Bizzaro ci parla invece di ‘overconfidence’ e valanghe. Chiudiamo con il sorriso: da questo numero la controcopertina è affidata alle vignette di Caio.

ARTISTA E SOGNATORE - Apertura molto free e molto steep. Abbiamo infatti intervistato il grande Xavier De la Rue, snowboarder francese che ha disegnato in carriera alcune delle linee più estreme sulle Alpi e non solo. Con lui abbiamo approfondito il concetto del superamento dei limiti, di interpretazione e rispetto della montagna. Da leggere tutto d’un fiato, gustandosi le foto altamente spettacolari di Tero Repo.

DIECI COMANDAMENTI - Non prendeteci per blasfemi, ma se andate ad incontrare Bruno Compagnet, Camille Jaccoux e Julien Regnier nello chalet di Black Crows a Chamonix, anche la sciata in powder assume i connotati del soprannaturale. E così abbiamo fotografato i personaggi in questione (anzi, l’ha fatto Alo Belliscio, che non è proprio la stessa cosa…) e abbiamo provato a trascrivere i dieci comandamenti emersi dalla nostra chiacchierata.

PROPOSTE PER ANDARE GIU’ -
Non c’è solo Chamonix che si affaccia al Monte Bianco. Anche sul nostro versante c’è da divertirsi, eccome. E così ecco 5 proposte per diversi livelli tecnici per sciare nella powder sopra Courmayeur. Le dritte le abbiamo chieste a Rudy Buccella, uno che se ne intende della zona, tanto da aver pubblicato una guida proprio sull’argomento.

CURIOSITA’ INNANZITUTTO - Se fosse un senso, la curiosità sarebbe tra i più sviluppati tra gli sciatori di montagna. Così ecco che Federico Ravassard e il ‘compare’ Guglielmo hanno scovato un canale nascosto alla vista, con pendenze fino a 50°, ma poco distante dagli impianti del Monginevro. Prontamente salito e sceso con gli sci, l’hanno ribattezzato il Canale dei Bocia. Perché non andare a darci un’occhiata?

OROBIE IN TUTTE LE SALSE - Andando verso le Alpi Centrali, questo mese c’è ampio spazio per le Orobie. Innanzitutto un bel concatenamento intorno al Monte Valletto, passando da Triomen, Ponteranica, Mut de Sura e Monte Avaro, senza toccare due volte la stessa traccia. La proposta è di Andrea Carminati, new-entry tra i contributors di Skialper. Ad Andrea Bormida, invece, piace ripido, ormai l’avrete capito. Ecco così tre belle linee steep&deep sempre in zona Orobie: il canale Centrale del Pizzo Scais, la normale estiva dalla Grotta dei Pagani sulla Presolana Centrale e la parete ovest del Pizzo di Coca. Con il contributo di Gerry Terraneo, un altro dei nostri ripidisti doc. Infine queste Orobie le abbiamo anche ‘spicozzate’. Sfruttando un inizio di stagione povero di neve, Valentino Cividini ci presenta la ‘Goulotte Beppe’ sul Pizzo Becco e la Diretta Ovest del Monte Aga. Può bastare per questo numero?

PERSONAGGI DA SCOPRIRE - Ci piace dare voce a personaggi famosi e meno famosi, non consideriamo che questa sia una discriminante. L’importante è la passione per la montagna che sanno trasmettere e ciò che hanno da dire. E così Alessandro Monaci è andato ad intervistare Claudio Inselvini, nel filone dei suoi approfondimenti su tematiche alpinistiche. Andrea Bormida ci presenta invece ‘il Camicia’, ovvero Diego Margiotta. Leggete e fateci sapere i vostri commenti!

ALTA VIA, PRIMA PUNTATA - Il progetto ideato da Ski Trab inizia a prendere forma. Su ogni numero della rivista andiamo a percorrere e raccontare alcuni degli itinerari più belli nelle vallate attorno a Bormio. E lo facciamo in compagnia di guide e atleti d’eccezione. Questo numero il nostro Guido Valota è salito in Val di Rezzalo con il mitico Adriano Greco. Un servizio da non perdere, con numerose proposte di itinerari e le ottime foto dell’esordiente (sulle pagine di Skialper) Andrea Salini.

QUEL CONSIGLIO IN PIU’ - La salita al Monte Peller è una delle classiche dello scialpinismo trentino, in particolare della Val di Non. Ma quando la proposta viene da Thomas Martini, c’è da aspettarsi qualcosa di più. E allora non perdetevi una variante impegnativa per i palati più esigenti, apprezzando che Thomas, oltre ad essere un super atleta, è anche un eccellente fotografo.

NON CHIAMATELA VALZOLDANA -
Altra firma nuova sulle pagine della rivista (più siamo, più ci divertiamo!). È quella di Stafano Burra che ci presenta un interessantissimo estratto del suo libro ‘Scialpinismo in Val di Zoldo’ con sei itinerari da non perdere, di tutte le difficoltà: Spiz de Ponta, Monte Pena, Col del Vant, Forcella Bella e Forcella Piccola, Cima delle Forzelete dalla Val Pramper ed infine Tamer Grande. Con foto, schede tecniche e cartine dettagliatissime.

UN VIAGGIO NON PROPRIO DA RICORDARE - Non è detto che le esperienze di viaggio siano tutte esaltanti. A volte va male, come è successo a Giorgio Daidola nella Penisola di Kola, nel Nord Ovest della Russia. Però l’autore ha tratto i necessari insegnamenti per consigliare i nostri lettori e trasformare un viaggio fallimentare in una potenziale proposta esaltante nella powder. Basta seguire i suoi consigli su cosa non fare...

NON DIMENTICHIAMOCI LE CAMMINATE - Ormai lo ripetiamo tutti i mesi in sede di presentazione della rivista: tra i nostri numerosissimi lettori c’è anche chi non ne vuole sapere della neve e aspetta solo la bella stagione per camminare e correre. Allora abbiamo pensato anche a loro, mandando Federico e Francesca a percorrere la Val d’Orcia, sulle colline della Toscana. Come sempre foto emozionanti e consigli pratici per chi vuole godersi questo tragitto in chiave fast&light, ma senza guardare troppo l’orologio e il cardiofrequenzimetro.

IMMANCABILI LE RUBRICHE - Il nostro alimentarista Alessandro Da Ponte ci parla delle proteine nell'alimentazione dello sportivo. Servono? Meglio di origine animale o vegetale? E poi i consigli su come nutrirsi quando si è costretti ad allenarsi alla mattina presto o alla sera. Si sa, a volte bisogna anche lavorare… Chi invece, pensione permettendo, ha tutto il tempo di dedicarsi allo sport, sono i Best Agers, neologismo per definire gli over 60, o meglio, quelli che invecchiano meglio degli altri! I consigli del nostro medico dello sport Massimo Massarini per l’attività endurance nelle fasce di età dei… diversamente giovani! Immancabile, infine, il contributo del Capitano Cresta, una delle colonne della nostra rivista. Questo mese una guida essenziale al clima continentale e marittimo e alla sua influenza sulle precipitazioni nevose.

SOLO NOI VI VOGLIAMO COSI' BENE - Abbiamo passato il mese di gennaio a correre qua e là per le Alpi per testare in anteprima le novità delle aziende top per l’inverno 2015/2016 e abbiamo anche tardato l'uscita della rivista per farci stare tutto. Così abbiamo spedito Gerry Terraneo ad Alagna a sciare con i nuovi Blizzard ZeroG e poi a Davos per scoprire la super-collezione 2016 di Scott, dagli sci e scarponi, fino agli zaini airbag, all’abbigliamento e agli accessori. Guido Valota è stato ad Areches Beaufort a togliere il velo dalla nuova linea Dynafit, con focus sugli scarponi 4 ganci Khion e su sci, scarponi e attacchi. Poi, accompagnato da Federico Ravassard, è andato a Chamonix a toccare con mano (e provare in un metro di powder...) la linea da scialpinismo di Atomic, con lo scarpone Backland che promette faville e la new-entry nel settore di Salomon, dall’attacchino all’abbigliamento, passando per sci e scarponi, naturalmente. E poi l’attesissimo Marker Kingpin, messo ai piedi di Raffaele Cusini a Livigno, la versione rivisitata dello Spitfire di La Sportiva con tanto di predisposizione per attacco TR2 di Ski Trab, le pelli Colltex e Contour con incollaggio adesivo. Ed infine, a proposito di pelli, le scaglie di Fischer, ovvero la pelle in plastica Profile Crown Technology. Per il nostro staff sono qualcosa di rivoluzionario! Ah, già che c’eravamo abbiamo testato anche il Fischer Alpattack 2016 (sì, questa volta c’è…) e gkli ATK Race Raider 14, i bastoncini Leki Tour Stick Vario Carbon, l’intimo Mizuno Breath Thermo, le calze e i calf di Compressport… Non ci siamo fatti mancare niente!

MA C’È ANCHE ALTRO - Sembra quasi una battuta, dopo questo elenco, ma questo numero è talmente ricco che troverete altre rubriche davvero sfiziose ed interessanti, tante news, proposte dai migliori negozi e… non possimo mica dirvi tutto tutto!

IN ALLEGATO UP&DOWN - Come sempre dedichiamo la massima attenzione al mondo delle competizioni di ski-alp e di trail running, al punto da produrre uno speciale magazine dedicato. In allegato (gratuito) ad ogni copia c’è il tabloid Up&Down, la vera Gazzetta degli appassionati di sport di endurance. Tantissime interviste, approfondimenti, personaggi, curiosità. Un prodotto editoriale assolutamente unico nel suo genere. Ecco i principali contenuti!

GIA’ DISPONIBILE SU APP -
 Skialper di febbraio sarà disponibile nelle migliori edicole a partire da metà settimana. Per ogni info si può scrivere una mail o chiamare il numero 0124 428051. (Per la pagina abbonamenti cliccare qui). Ma chi lo volesse acquistare immeditamente su smartphone o tablet, è già disponibile. È sufficiente scaricare la app per iOS o Android e procedere all’acquisto direttamente in-app!       


The Big Up & Down di Combloux

Kilianometre, la Belle Montée, Le Big Nak d'Enak e Village Test

Tra Chamonix e Megève in Alta Savoia, nel bellissimo ambiente naturale di Combloux, siamo a metà di un gran bel week end di ski de randonnèe. Tutte le forme dello sci alpinismo in un solo evento: the Big Up & Down.   

PROVALE TUTTE -
Vuoi misurarti con Kilian Jornet il sabato? Salire sotto le stelle con Cédric Pugin la stessa sera? Picchiare freeski duro domenica con Enak Gavaggio? E per tutto il week end provare le novità Dynafit, Salomon, Fischer, Black Crows, G3, Zag, Bergans, Mammut, Millet, Scarpa, Hagan, ATK Race e altri ancora?  

KILIANOMETRE A KILIAN -
Siamo stati invitati a partecipare a questa formula che si sta rivelando un grande successo, perdipiù baciato dal meteo che ha concesso una giornata di sole dopo tre giorni di nevicata continua. A terra c'è un metro e mezzo di powder leggerissima, e sulle piste, sui sentieri, sulle strade forestali, nei boschi e nei prati di Combloux si aggirano centinaia di randonneurs - escursionisti - tutti con le pelli sotto gli sci. Sabato mattina hanno avuto la sorpresa di assistere a una gara vertical (poco vertical e molto flat), e addirittura di poter gareggiare con Kilian (indovinate chi ha vinto?). Presenti al vertical sci tra i 64 e i 130 mm al centro, nonchè tutine&carbonio vs camicie a quadri e telemark.
Verso sera la guida locale Cedric Pugin ha tracciato una bellissima salita tra i suoi boschi stracarichi di neve.
Domenica mattina competizione enduro col noto freeskier Enak Gavaggio ( e di nuovo ci sarà anche Kilian, in amicizia con i brillanti organizzatori) e non saranno solo linee nei boschi in due metri di neve (sta nevicando di nuovo).
Al Village ci siamo tolti qualche curiosità, portandoci avanti col lavoro sugli sci nei boschi appena sopra.  

COMUNQUE VADA, SARA' UN SUCCESSO -
È già un successo per impostazione e metodo. Atmosfera easy, tutti partecipano a tutto, un incontro a tema per i media, musica dal vivo, après-ski con vino caldo, il giusto mix di organizzazione e libertà. Era ora di incrociare sulla neve tanti sci diversi.
Su Skialper ne parleremo ancora.  


Nico Valsesia: e' record sull'Aconcagua

22 ore e 41’ dal livello del mare alla cima

Solo 22 ore e 41’ per percorrere - in bicicletta e a piedi - il maggior dislivello positivo del mondo: dal livello del mare alla cima dell’Aconcagua a 6963 metri.
Con una partenza anticipata rispetto al programma per approfittare di una' finestra' di meteo eccezionalmente favorevole sabato 24 gennaio, alle 15.41, Nico Valsesia ha raggiunto la vetta dell’Aconcagua, a 6963 metri, dopo essere partito 22 ore e 41’ prima dalla spiaggia di Las Ventanas, nei pressi di Vina del Mar, in Cile, stabilendo così il record mondiale per il massimo dislivello positivo.
Seppure non nuovo a imprese estreme di ogni tipo (tra cui cinque partecipazione alla corsa ciclistica Race Across America e il record sul percorso Genova-Monte Bianco in 16h 32’) si è trattato probabilmente dell’impresa più impegnativa e fuori dall’ordinario tra quelle compiute dall’atleta di Borgomanero, tenuto anche conto dei rischi connessi al percorso, allo sforzo, all’altitudine elevatissima e alla grandissima variabilità del meteo in queste zone.
La decisione quasi di partire è stata presa in modo quasi improvviso: alle 17 del 23 gennaio, Nico è salito sulla sella della sua bicicletta sul lungomare di Vina del Mar, in Cile, e ha incominciato la sua salita di oltre 200 km fino a Los Horcones in Argentina, a 2900 metri di quota. Un’ascesa serale e notturna lungo strade piene di traffico prima e attraverso ripidi e spettacolari tornanti poi, fino ad arrivare al punto di accesso al Parco Provinciale dell’Aconcagua, all’una di notte. Qui un rapido cambio di abbigliamento, zaino, frontale, e dopo 20 minuti partenza di corsa perso la vetta; primo step, la stazione di Plaza de Mulas, a 4300 metri di quota, raggiunta alle 6.30 del mattino del 24 gennaio.
Altro cambio di abbigliamento, questa volta per l’alta montagna, nuova ascesa verso Nido de Los Condores, a quota 5500.
A questo punto, la fatica ha incominciato a farsi sentire davvero duramente: Nico ha rallentato il suo ritmo e ha incominciato a mostrare forti segnali di disidratazione che lo hanno costretto a uno stop a quota 6000; con l’assistenza degli uomini del suo team, è stato alimentato e reidratato, riprendendo - sia pure con grande sforzo - la salita.
La determinazione di Valsesia è riuscita così ad avere la meglio: alla fine, dopo un’ulteriore pausa di 10 minuti a La Cuevas, a quota 6700, alle 15.41 la vetta è finalmente raggiunta. 7000 metri di dislivello in meno di 23 ore: difficile dare un’unità di misura alla cosa... basti pensare che, senza considerare i 200 km e 2900 metri di dislivello percorsi in bici, la sola parte a piedi viene di norma percorsa con trekking di durata variabile dai 10 ai 15 giorni e che fino ad ora questa impresa non è mai stata compiuta con successo.


Livigno Freeride Project: obiettivo sicurezza

Un interessante progetto pilota. Ne abbiamo parlato con Fabiano Monti

Gli sport legati allo sci backcountry si sono sviluppati come risorsa strategica per il turismo ma è necessario far fronte a un problema: incoraggiare la conoscenza dei rischi annessi alle valanghe, in modo tale da prevenire possibili incidenti nelle regioni alpine. Fabiano Monti, Walter Steinkogler, Christoph Mitterer, Michael Lehning e Andrea Pozzi, ricercatori al WSL di Davos (Istituto di Ricerca sulla neve e le valanghe), all’Università degli Studi dell’Insubria (sedi a Como e Varese), nonché fondatori di ALPsolut, una start-up che offre attrezzature scientifiche all’avanguardia per professionisti e il pubblico, hanno creato il Livigno Freeride Project per far fronte a questo problema. Lo scopo del progetto è di aprire il backcountry a tutte le attività da una parte, dall’altra di migliorare la gestione del rischio per tutti i problemi associati al verificarsi di valanghe. 

Abbiamo incontrato Fabiano Monti per parlare di com’è nato il progetto, quali sono i suoi prossimi progetti, e per avere qualche consiglio quando ci si avventura nel backcountry. 

Sei uno tra i pochi scienziati che si occupano di neve e sicurezza. Quando hai iniziato ad appassionarti a questo tema?  Che cosa ti ha spinto a diventare un esperto in sicurezza sulla neve e cosa ti motiva a esplorare questo campo con idee sempre nuove? 
«Mi capita spesso di pensare a come sono approdato in questo mondo, e rispondere non è per niente facile. Dopo il liceo volevo solo sciare e andare con lo snowboard, così mi sono trasferito a Sondrio, più vicino alle montagne rispetto al mio luogo di origine. Ho iniziato a lavorare in un negozio di articoli sportivi, riuscendo a sciare praticamente sempre e a studiare economia nei ritagli di tempo. Dopo due anni e ben pochi esami superati, ho iniziato a pensare al mio futuro. Diventare uno snowboarder professionista era molto improbabile, quindi ho cambiato università e ho iniziato a cercare qualche altra scusa per essere sempre in montagna. Mia madre mi ha incoraggiato molto, ripetendomi che sono sempre stato affascinato dalla neve. La scelta di dedicarci la mia vita è quindi avvenuta in modo naturale. 
Una volta inserito nel mondo delle valanghe, mi sono reso conto che lo scambio di informazioni tra la scienza e la pratica non era abbastanza esaustivo. Pensai ai modi in cui potevo migliorare la situazione. Spesso accade che le ricerche scientifiche, per quanto importanti e accurate, trovino pochi riscontri tra i professionisti, ma è anche vero che queste stesse ricerche possono salvare vite umane. Credo che sia una motivazione sufficiente per continuare su questa strada»

Hai creato il 'Livigno Freeride Project', il cui scopo è di aprire il backcountry a tutte le attività e migliorare la gestione del rischio quando si verificano i problemi annessi alle valanghe in regioni alpine. Su che metodi si basa questo progetto?
«Ci sono molti problemi legati all’affidabilità delle persone che rendono la gestione del backcountry così complessa, specialmente per quanto riguarda l’Italia. Per questo motivo, le attività fuori pista sono spesso limitate.  Il progetto si basa su un’idea piuttosto semplice: fornire le informazioni più accurate sulle condizioni della neve, spiegando come interpretarle e farne uso. Ognuno è poi libero di decidere e scegliere se avventurarsi oppure no. Se si hanno dubbi, è consigliabile servirsi di un professionista. 
Dopo aver iniziato il progetto, ci siamo resi conto che ci sono molte attività che potrebbero essere ottimizzate quando si prendono in considerazione i rischi annessi alle valanghe, come la gestione del rischio sulle strade, l’heliski, la protezione dell’ambiente, l’educazione e la comunicazione. Cerchiamo quindi di integrare anche queste nel progetto».

Quali sono stati i traguardi più importanti raggiunti finora? 

«Il primo obiettivo era quello di autorizzare lo sci fuoripista a tutti gli appassionati nella zona di Livigno, non permesso fino alla scorsa stagione, quindi stiamo parlando di un vero cambiamento.  Abbiamo avuto un riscontro positivo sia dai clienti che dai professionisti; molti più freerider hanno iniziato a visitare la zona e ci ha fatto piacere. Le nostre linee erano peraltro tracciate molto più degli anni precedenti, ma c’era spazio per tutti».

Cos a avete in programma per il futuro? 

«Abbiamo intenzione di migliorare il nostro modo di comunicare il progetto, installando maxi schermi sia nelle stazioni sciistiche che nei paesi, dove poter mettere tutte le informazioni che riteniamo importanti. Stiamo lavorando a un’applicazione per le attività backcountry e a una cartina freeride con la classificazione del terreno rispetto all’esposizione e al rischio valanghe.
Stiamo anche organizzando il Livigno Freeride Festival che avrà luogo dal 30 gennaio al 4 febbraio».

Che reazioni avete riscontrato a Livigno, inerenti il progetto?

«Abbiamo ottenuto riscontri molto positivi. I miei amici freerider sono contenti di non doversi più preoccupare della polizia e ci aiutano nel reperire informazioni sulla condizione della neve. Credo che tutti a Livigno siano contenti del progetto, il che ci motiva e ci spinge a migliorare sempre più». 

Come mai hai scelto proprio Livigno per questo progetto?   

«Avevo terminato il mio lavoro allo Swiss Avalanche Research Center SLF a Davos, ma volevo rimanere in contatto con questa istituzione, migliorando il modo con cui le loro ricerche vengono messe in pratica.  Livigno è solo a un’ora da Davos, possiede un’area sciistica eccezionale e occupa una posizione centrale nelle Alpi. Ha anche un ottimo tenore di vita, con molti giovani, ottimo cibo e sentieri per mountain bike ed escursioni in estate. Ci sembrava il luogo perfetto. Non appena ho contattato la gente del posto per proporre questo progetto, si sono mostrati interessati e ci hanno aiutato molto per mettere in piedi il tutto. 

Pensi che il progetto possa essere adottato da altri paesi alpini? 

«Credo che il progetto possa essere applicato in qualsiasi stazione sciistica, anche se ogni luogo comporta casistiche particolari che devono essere ben analizzate. Ad esempio, terreni diversi richiedono un approccio gestionale differente: non si può gestire la sicurezza a Chamonix come nello Jura, ad esempio. Ma come idea di fondo sì, può essere presa in considerazione da ogni paese di montagna. 

Stai anche lavorando al miglioramento delle previsioni di valanghe. In che modo? 

«Collaboriamo con l’SLF e centri nazionali di monitoraggio valanghe per poter mettere in pratica le ricerche scientifiche. In particolare, stiamo lavorando per fornire informazioni sulla stratigrafia della superficie della neve e la stabilità, basate su stazioni fisse di rilevamento dati atmosferici, a chi si occupa di monitorare le valanghe. Il modeling fornisce informazioni sulle caratteristiche della superficie della neve e, nel tempo,  può migliorare la risoluzione spazio-temporale dell’informazione sulla stabilità della neve, specialmente quando il rischio valanghe è troppo alto per poter fare le rilevazioni dati in loco». 

Quali sono le misure più importanti da adottare prima di avventurarsi nel backcountry? 

«Il classico approccio, molto semplice, è quello che considero ancora il più utile: osservare le condizioni della neve e il meteo del luogo dove si vuole andare – così come il terreno stesso – e pensare con chi stiamo facendo un’uscita. Tre fattori da prendere sempre in considerazione. La tua sicurezza cambia in base a come si modificano questi fattori. Ad esempio, affrontare un terreno complesso in buone condizioni fisiche è diverso rispetto a quando siamo ubriachi o abbiamo fatto le ore piccole…  Non ho quindi consigli da grande scienziato, mi spiace!». 

Per chi si avvicina al backcountry per la prima volta, che siti consiglieresti per controllare come ci si prepara a una gita e per controllare il rischio valanghe? 

«Internet offre di tutto e si trovano facilmente risposte. Io eviterei i forum e i siti amatoriali. Se ne dovessi scegliere uno, raccomanderei whiterisk.ch: qui trovi informazioni sulla neve, la sicurezza, operazioni di recupero e anche come programmare un’escursione. Consiglierei quindi di dare un’occhiata per reperire il maggior numero di informazioni: si tratta di un sito molto professionale». 

Come si può ridurre il rischio quando si è via con gli sci? 

«Adotterei un approccio classico, come detto prima: occorre tenere sempre a mente le tre variabili (condizioni, terreno e il fattore umano) prima di avventurarsi. Se le condizioni cambiano, occorre modificare anche le valutazioni inerenti la sicurezza. Un consiglio pratico potrebbe essere quello di tenersi pronti e reattivi a qualsiasi cambiamento. Non sto parlando solo di tornare indietro, ma anche di spingersi oltre se le condizioni sono più buone del previsto. È importante tenere la mente aperta e avere pronte alcune opzioni, valutando poi la giusta soluzione una volta sul posto». 

Qual è il comportamento migliore da adottare in caso di valanga?   

«Direi lo stesso di sempre, cioè cercare di stare sulla parte superiore della valanga. Certo, chi ci ha provato, può confermare che non è una cosa facile, quindi la cosa migliore è cercare di evitare di essere colti da una valanga. O almeno cercare di valutare costantemente  le possibili conseguenze in caso di valanga. Ci sono molte differenze se ti avvicini a un pendio difficile che termina con un cliff o con terreno piatto. Decidere se proseguire o no potrebbe essere diverso in questi due casi. Quindi, non solo valutare le possibilità di finire sotto una valanga, ma anche le possibili conseguenze». 

Che critiche muoveresti nello sviluppo attuale del backcountry – ad esempio affidarsi troppo all’attrezzatura, il fatto che troppe persone vanno nel backcountry, o che l’educazione in fatto di valanghe e sicurezza non è sempre accurata? 

«Le statistiche mostrano che le attività nel backcountry si sono intensificate da vent’anni a questa parte. Lo stesso si può dire degli incidenti, ma non del numero di vittime. Questo anche grazie all’attrezzatura che si è evoluta sempre più, nonostante qualche intoppo euristico per quanto riguarda alcuni nuovi prodotti. Dobbiamo di certo puntare più sull’educazione. Il nostro strumento più affidabile è gratis, è il nostro cervello, e dovremmo imparare a usarlo meglio. Con educazione non intendo solo conoscenze relative alla neve o il soccorso, ma anche migliorare le conoscenze relative alle attività che vogliamo fare nel backcountry. Possono essere sempre più o meno rischiose, e dobbiamo avere piena coscienza delle nostre azioni. Solo in questo modo possiamo accettarle o rifiutarle». 

Qual è il tuo prodotto preferito quando vai in tour backcountry? Cosa ti porti sempre nello zaino? 

«Non ho una lista fissa delle cose che mi porto dietro. Artva, pala e sonda sono sempre nello zaino, questo è ovvio!  In generale, non mi piacciono le regole troppo ferree in montagna. Dovremmo pensare di più alle nostre azioni e assumercene le responsabilità».

Da anni stiamo assistendo a una vera e propria rivoluzione nell’attrezzatura relativa alla sicurezza in montagna. Quali sono stati i prodotti più rivoluzionari?

«Difficile dirlo. Credo che la differenza si noti nei piccoli cambiamenti. Gli artva a tre antenne rendono la ricerca più semplice, specialmente se ti trovi sotto stress o non hai molta esperienza. Le pale e le sonde sono anche migliorate molto. Anche gli zaini con l’airbag sono una buona invenzione, ma bisognerebbe educare meglio le persone al loro uso. Non offrono comunque la soluzione definitiva ai problemi». 

Black Diamond inizierà a vendere i suoi zaini con Jet Force Technology. Che importanza attribuisci a questo prodotto? 

«All’aeroporto di Calgary sono stato fermato una volta a causa della cartuccia di gas nel mio bagaglio a mano e ho quasi perso la coincidenza. Con la tecnologia Jet Force, questi problemi si possono potenzialmente risolvere. Un altro vantaggio è dato dal fatto che puoi utilizzare lo zaino più volte, anche se spero che non troppe persone approfittino di questo. Far scoppiare l’airbag una volta durante una discesa dovrebbe bastare, ma poterlo fare più volte dà la possibilità di familiarizzarsi con lo strumento. In caso di valanga, quindi, apri l’airbag quasi intuitivamente. Ci sono anche altri vantaggi, e non vedo l’ora di provare questo zaino!».

Perché hai scelto di affiancarti a Black Diamond?

«Non mi interessava solo avere accesso al materiale Black Diamond anche se, certo, è un benefit non da poco! Volevo poter fare affidamento su una società che sviluppa attrezzatura resistente e affidabile anche nelle dure condizioni del nostro ufficio all’aperto: le montagne di Livigno. Black Diamond ci ha offerto la soluzione migliore: materiale tecnico, l’interesse a migliorare costantemente i prodotti e, non ultimo, bei prodotti che ti fanno fare un figurone – in Italia questo conta molto!
Devo anche ammettere che le riunioni di lavoro in BD sono piacevoli, come lo sono le birre che le seguono. Non avrei potuto chiedere di meglio».

Quali sviluppi vedi nei prossimi anni per quanto riguarda lo sci backcountry e i prodotti sulla sicurezza nella neve?  

«Credo che dovremmo sviluppare strumenti per prevenire le valanghe e non solo quelli che ne minimizzano le conseguenze. Un compito molto duro, ma ottenibile in due modi: sviluppare nuovi strumenti o nuovi apparecchi che aiutano a scegliere e decidere. Ad esempio, recentemente è stata presentata una nuova sonda che dà automaticamente un profilo di durezza. È un passo avanti, ma non credo che possa ridurre le probabilità di incidenti». 

Di certo sarai stato coinvolto in una valanga. Come avresti potuto evitarlo? 

«Sì, l’ho scampata per un pelo, per due volte. In entrambi i casi la soluzione sarebbe potuta essere la stessa: pensare di più a quello che stavo facendo. Giudicare col senno di poi è ovviamente più facile che cercare di prevenire. Valutare se un pendio è davvero sicuro non è semplice e richiede molta esperienza. Potrebbe sembrare una questione semplice, ma non lo è affatto». 
 
 


Carboidrati e sport endurance

Come aumentare le riserve? La risposta su Skialper di dicembre

Per primi gli scandinavi, negli anni Settanta, hanno studiato strategie nutrizionali per migliorare le prestazioni negli sport di resistenza e i loro successi nelle gare di corsa e sci di fondo hanno dimostrato che la strada era giusta. La loro attenzione si incentrò soprattutto sul come aumentare le riserve corporee di carboidrati. Ma servono veramente per chi fa sport endurance? È quello che spiega il dottor Alessandro Da Ponte nel numero di dicembre si Skialper.

SCORTE DI ENERGIA - «Sappiamo che, durante l'esercizio, soprattutto se ad alta intensità, l'organismo utilizza preferibilmente i carboidrati perché, rispetto a grassi e proteine, sono più semplici e rapidi da utilizzare e perché, a parità di energia fornita, richiedono minor consumo di ossigeno - scrive Da Ponte -. Non disponiamo però di grandi riserve di carboidrati (accumulati nel nostro corpo come glicogeno muscolare ed epatico) perché conviene immagazzinare energia sotto forma di grassi che forniscono più del doppio dell'energia dei carboidrati a parità di peso». In pratica nel nostro corpo ci sono circa 500 grammi di carboidrati di riserva, 100 grammi circa nel fegato e 400 grammi circa nei muscoli. Un grammo di glucosio fornisce 4 kca. «Anche utilizzando tutte le riserve corporee di carboidrati a disposizione avremmo a disposizione 2000 kcal». Con un costo energetico della corsa di circa 1kcal/kg-peso-corporeo/km un atleta di media corporatura finirebbe le riserve di carboidrati ben prima della fine della maratona.

LA STRATEGIA - Come migliorare questo limite nel nostro organismo? Prevenendo la carenza di glicogeno muscolare, abbondando con carboidrati nei due giorni precedenti la gara e introducendoli durante l’esercizio. 

IN EDICOLA E SU APP -
 Per saperne di più basta comprare Skialper di dicembre, disponibile nelle migliori edicole fino a fine gennaio (la rivista esce con cadenza bimestrale). Per ogni info si può scrivere una mail o chiamare il numero 0124 428051. (Per la pagina abbonamenti cliccare qui). Ma chi lo volesse acquistare immediatamente su smartphone o tablet, è già disponibile. È sufficiente scaricare la app per iOS o Android e procedere all’acquisto direttamente in-app!      


Aconcagua e Denali, due facce dello stesso Kilian

La diversa comunicazione social delle imprese di Summits of my Life

È lo stesso Kilian, sì proprio lui, quello che ha 454.815 likes sulla sua pagina Facebook è 178.889 follower su Twitter, l'uomo che ha sdoganato il trail running, lo skyrunning e i record di salita e discesa dalle più alte vette del mondo, l'unico atleta ad essere chiamato per nome. E decisamente il più social, quello che ci sveglia la mattina presto con il foto-tweet della sua gita sulle vette all'alba e ci saluta la sera con i migliori tramonti dall'Aiguille di Midi o dal Monte Bianco. Eppure il 2015 di questo 'social runner' ha due facce. Le due imprese del progetto Summits of my Life, che prevede di salire e scendere nel minore tempo possibile e con attrezzatura leggera le vette più alte della terra, sono state trattate in maniera decisamente diversa sui social network. In modalità 'off connexion' la vetta più alta del Nord America, cinguettando e non solo, il punto più alto del Sud America, l'Aconcagua.

ACONCAGUA TWEET - Una quindicina di post su Facebook, oltre trenta tweet, tre video e una dichiarazione audio su Cloud Cast: questo il 'bottino' dall'Aconcagua. Kilian ha affidato le notizie dal Sud America agli account ufficiali di Summits of my Life (73.914 likes Facebook è 25.650 follower su Twitter). Singolare la scelta di lingue e il ruolo dei diversi social. Su Twitter lingua principale l'inglese ma messaggi anche in castigliano, catalano e francese, su Facebook prevalentemente in inglese, sul suo account personale, dove ha condiviso alcuni contenuti, ogni post è stato scritto in tre-quattro lingue: in inglese, francese, catalano o castigliano. 'Coniato' anche un hashtag ufficiale: #‎SoMLAconcagua. E Instagram? Sull'account personale Kilian... ha postato solo una foto di una vecchia auto ai piedi delle Ande a impresa conclusa.

DENALI OFF - L'impresa del 12 giugno al Denali è tutta un'altra storia: un tweet a fine maggio per dire che per qualche giorno sarebbe stato in modalità off, un altro tweet a inizio giugno e la notizia riportata il 13 giugno dal suo staff sugli account Facebook è Twitter di Summits of my Life del successo. Addirittura la notizia del successo è stata data prima dal sito statunitense irunfar e anche successivamente ci sono voluti alcuni giorni per conoscere la data esatta dell'impresa e i dettagli...
 

 


Trois Cols, discese senza fine sul Bianco

Su Skialper di dicembre un itinerario skialp memorabile

Trois Cols, ovvero, tre colli. Non solo: tre bacini glaciali e due Paesi attraversati. È l’emozionante gita scialpinistica nel gruppo del Monte Bianco che proponiamo sul numero di dicembre di Skialper, a firma di Marco Romelli che sul grande massiccio ha anche scritto un libro.

DA GENNAIO AD APRILE - «Dal Col du Chardonnet ci affacciamo a nord sulla Svizzera e quello che vediamo ci attrae intensamente: il Glacier de Seleina, una distesa di neve polverosa circondata da guglie fiammeggianti». Inizia così la gita proposta, in una soleggiata mattina di febbraio. Si parte in quota, dai 3.233 metri del Col des Grands Montets, raggiungibile in funivia dall’Argentière, nella valle di Chamonix. E poi… powder e le tre vette del Col du Chardonnet (3.323 m), della Fenêtre de Seleina (3.267 m) e Col Sûperieur du Tour (3.289 m) da raggiungere. 1.000 m D + e 2.700 m, difficoltà BSA e tante emozioni in una gita lunga, che si conclude nel villaggio di Le Tour. Il periodo più indicato per i tre colli è quello che va da gennaio ad aprile. 

VARIANTI - Per chi volesse qualche diversivo, c’è anche la possibilità di raggiungere il Col du Passon (3.028 m) e la Tête Blanche (4.490 m) e Petite Fourche (3.520 m), per la quale sono necessari piccozza e ramponi (difficoltà BSA, alpinistica F).

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60 km e 4000 m di dislivello a quota 7000 in 12 ore

I numeri del record di Kilian all’Aconcagua

Con il passare delle ore si delineano con chiarezza numeri e dietro le quinte dell’ultima impresa di Kilian Jornet, la salita e discesa dell’Aconcagua, ennesimo record del catalano. Kilian ha completato la sfida dopo un tentativo fallito venerdì scorso, quando è stato costretto a tornare indietro a quota 6.500 metri a causa del maltempo, con raffiche di vento di oltre 90 chilometri all'ora. «Avere rinunciato non è stata una sconfitta, tutto il contrario - ha detto -. È stato un buon allenamento».

LA SFIDA DELLA QUOTA - Martedì scorso il tempo era favorevole e Kilian è riuscito a completare la salita e la discesa dell’Aconcagua, la vetta più alta d'America (6.962 m). Un giro di 59,85 km con un dislivello positivo di 3.962 m. La sfida più grande è stata quella dell’acclimatamento: «Siamo rimasti quasi due settimane nella zona, ma probabilmente avremmo avuto bisogno di più tempo per essere nelle migliori condizioni. L'Aconcagua non è una vetta tecnica come altre che abbiamo raggiunto, ma è la più alta». Seguendo la filosofia del progetto Summits of my life, Jornet ha deciso di iniziare la salita dall'ultimo punto abitato, la casa delle guardie del parco a Horcones (2.900 m). È partito alle 6 del mattino, dopo una colazione con tre toast e dulce de leche, un dolce tipico argentino.

PRIMO TRATTO - 23 km e 1.400 m di dislivello in 3h15, prima di arrivare a Plaza de Mulas (4.300 m), campo base dell’Aconcagua. Da qui la maggior parte delle spedizioni iniziano la salita alla vetta che richiede fino a quattro giorni. Una volta giunto Plaza de Mulas, Kilian Jornet si è fermato per 15 minuti a mangiare e bere. «La mia idea era di fare una salita leggera, cercando di conservare le energie per la discesa, per questo mi sono fermato». Dopo 5 ore Kilian era a Condors Nest (5.550 m): «Da quel punto, ho cominciato ad avere problemi di equilibrio e a scivolare sulla neve ghiacciata. Così ho deciso di muovermi lentamente». L’arrivo a 6.600 metri, Guananco Cave, con un tempo di 7h40 e la vetta (6.962 m) dopo 8h45. Si è fermato circa 15 minuti. «La quota mi ha dato fastidio fino a Plaza de Mulas. I muscoli sembravano non volere seguire la testa e mi hanno fatto cadere. Dopo aver raggiunto il campo base mi sono fermato per venti minuti. Ho mangiato e mi sono idratato». A Plaza de Mulas il cronometro segnava 10h10 per poi terminare a 12h49. Determinante la discesa perché in vetta Kilian aveva circa un’ora di ritardo dal precedente record…

I PARZIALI

Horcones-Plaza de Mulas: 23 km / 1.400mD + - 3h20 ' 
Plaza de Mulas-Condors Nest: 3,6 km / 1.100mD + - 4.30 
Condors Nest-Aconcagua: 3,5 km / 1.462mD + - 7h 
Aconcagua-quadrato Mulas: 8h 
Plaza de Mulas-Horcones: 13h