Camaleonte Markus Eder

Freestyler o freerider?Faccia a faccia con il più talentuoso skier italiano

Non c'è un granché dietro a quello che facciamo e con queste parole inglesi proviamo un po' a venderlo". Ha risposto così, come un consumato frequentatore di talk show, a una raffica di "slidare un half-pipe, jibbare, tricks, kickers, twin tip" sparatagli addosso da Gigi Marzullo su invito di Fabio Fazio alla trasmissione Che Fuori Tempo Che fa, su Rai Tre, a dicembre. E pensare che Markus Eder, il futuro del freeride e del freestyle, l'unico italiano nel gotha dei park e delle run nella powder, a dire il vero uno dei pochissimi in assoluto al top in entrambe le discipline (e nei powder movie), davanti a una telecamera e ai giornalisti non si trova tanto a suo agio. "Non ero molto tranquillo, avevo paura di fare qualche errore di italiano" ha confessato a freddo. È sempre lui, il ragazzino terribile che faceva gare di sci alpino e che voleva essere capo di se stesso, senza ricevere ordini da un allenatore, che ha scelto il freestyle a 14 anni perché gli piaceva saltare e aveva iniziato a non vincere più tra i pali. E lo stesso che, quando il manager Franz Perini gli ha proposto i primi contratti con gli sponsor, ha voluto parlare in inglese per capire meglio "cose per me molto importanti". Markus Eder, nato a Brunico, ma residente in Valle Aurina, classe 1990, è uno sciatore completo. Nel 2010 si presenta al Nine Knights, con i più forti freestyler del mondo, e vince Big Air & Best Jibber. L'anno dopo Franz Perini lo iscrive al Red Bull Line Catcher, con il gotha del freeride. Non ci crede, non capisce come possa andare a confrontarsi con i big del freeride, lui che arriva dai park e dalla neve dura. Alla fine arriva secondo. "Se ci penso, dico che rimane ancora la mia gara più grande di sempre". Intanto nel 2013 vince la tappa italiana del Freeride World Tour, a Courmayeur. Markus Eder ha fatto il viaggio di Candide Thovex, dal freestyle al freeride, ma anche quello di Kilian Jornet, dalla natura addomesticata delle gare al grande outdoor, quello per esempio dei film nei quali è protagonista sci ai piedi, come Ruin & Rose di MPS Films. Ha sdoganato parole come big mountain e backflip da Fazio come Kilian ha portato il trail e le imprese di Summits of my Life al grande pubblico. Markus è lo skier globale italiano, adulato da Red Bull, con l'inglese come lingua ufficiale sui suoi canali social e quasi il doppio dei follower di Jérémie Heitz su Instagram. Ed è sempre più interessato allo skialp…

Markus, cominciamo con il capire chi sei: un freestyler o un freerider?
"Un freeskier, il termine giusto per definire chi come me fa tutto: freestyle, freeride, scialpinismo".

Giusto, scialpinismo. Qualche tempo fa dicevi che l'andare piano non faceva per te e che dovere camminare tanto per raggiungere le discese non ti piaceva
"Quando ero piccolo la fatica non mi piaceva, ora inizio ad apprezzarla sempre di più. Quest'anno ho fatto 5-6 gite con i miei genitori e naturalmente sono più lento di loro, perché ho sci larghi e scarponi da freeride, ma l'apprezzo sempre di più".

Il park e la neve fresca sono due cose diverse, se dovessi scegliere?
"Credo che, con le giuste condizioni, oggi non avrei dubbio: neve fresca".

Hai scelto di competere ad alto livello nel freestyle e nel freeride, non è sicuramente facile, perché?
"È vero, oggi c'è sempre più specializzazione: chi punta alle Olimpiadi lavora solo nei park, altri sulla neve fresca, io faccio tutto perché sono così, mi piace saltare nei park e farmi una bella run in neve fresca, magari anche una gita scialpinistica. E poi, a differenza di chi fa solo powder, sono molto flessibile e posso sempre allenarmi".

Che cosa ha portato il freestyle nel freeride? Si può dire che il livello fuoripista è salito grazie ai trick fatti nei park come è avvenuto nell'arrampicata sportiva con le palestre?
"Sì, mi sembra un paragone giusto, se provi centinaia di volte i salti nei park, quando magari fuori non ci sono le condizioni, metti le basi per salire di livello nel freeride, impari i trick che ti servono nella neve fresca e poi atterrare sul duro aiuta ad avere la giusta sensibilità per atterrare anche sul soffice della neve fresca".

Sembra difficile da dire, perché il livello è altissimo, ma qual è la prossima frontiera del freeride?
"Jérémie Heitz ha sicuramente ridefinito gli standard della velocità e del big mountain, però si pensa sempre che non ci sia più nulla di nuovo da inventare e invece ogni anno si vede qualcosa di importante. Sicuramente il mio stile è diverso da quello di Heitz, io vado più piano e vedo la montagna come un parco giochi".

Non credi che avere sciato tra i pali ti abbia dato la tecnica di base per salire di livello?
"È probabile, ma quando sei al top ogni gradino in più è sempre difficile, come perdere qualche centesimo tra i pali. Come nello sci alpino o nello scialpinismo, all'inizio della stagione ti senti in forma, ma non sai come andrai realmente, o come andranno gli altri".

Nell'ultimo film, Ruin & Rose, hai sciato anche sulle dune del deserto, vero?
"Sì, in Namibia, ma non è stato affatto facile come pensavo. Abbiamo anche contattato un tedesco che vive là e detiene il record di velocità con gli sci sulla sabbia per avere dei consigli però, quando abbiamo trovato un salto che sulla neve sarebbe stato perfetto, mi sono impiantato proprio sul dente e per riuscire a saltare abbiamo dovuto provare e riprovare".

Sciare in un film e fare una gara è decisamente diverso…
"Sì, io poi sono competitivo e mi piace vincere, ma nei film trovi quel senso di libertà, puoi sciare tutta una montagna e non solo una linea, hai l'elicottero a tua disposizione…".

I film stanno diventando un terzo lavoro…
"Sì, quest'anno infatti farò una sola gara, la Red Bull Cold Rush, dove ci sono salti in neve fresca, freeride e alpinismo. Però mi piacerebbe provare a fare il circuito Freeride World Tour seriamente, non solo un paio di tappe come in passato, è il mio obiettivo per la prossima stagione".

Facebook o Instagram?
"Instagram, mi piace essere up to date e so subito cosa succede dall'altra parte del mondo, per esempio se ha nevicato in Canada".

Il freeride è un'attività con una componente di rischio che non può essere sottovalutata, come ti rapporti con il rischio di valanga?
"Non mi piace rischiare a caso, se faccio un trick o un salto particolare e so che posso cadere, voglio essere sicuro che non ci siano sassi. Quando filmiamo in Alaska cerchiamo di non fermarci nei piani ma di avere sempre vie di fuga per non essere inghiottiti dalle valanghe. Rischio sì, ma con un piano b, senza usare la testa non ha senso. Queste situazioni ti insegnano ad apprezzare la vita e capire cosa ti piace di più".

Come cambia il concetto di sicurezza quando sei da solo e quando giri un film?
"Molto, quando vado con un amico ci muoviamo rischiando il meno possibile, anche perché dobbiamo considerare che se succede qualcosa non è facile venire a recuperarci velocemente, con un  team come quello di MPS Films cambia perché ci sono 10-12 persone, Guide alpine, elicottero".

Sei mai rimasto coinvolto in una valanga o hai vissuto un incidente da vicino?
"Fortunatamente no e spero che non mi succeda. Qualche volta, specialmente in Alaska, dove sai che non c'è nessuno sotto, quando le condizioni sono rischiose proviamo a fare partire le cornici, provocando delle piccole valanghe".

Il tuo programma prevede anche un allenamento nelle tecniche di autosoccorso?
"Ne faccio un paio all'anno, di solito uno al Freeride World Tour e quando giriamo i film, ma non sono sicuro che mi verrebbe tanto facile agire in una situazione di pericolo: tra la teoria e la realtà c'è tanto spazio ed emozione e adrenalina giocano brutti scherzi. Per questo dico sempre ai miei amici che si sentono sicuri quando hanno artva, pala e sonda di allenarsi a usarli, tanto. La gente, quando vede i miei film, pensa che sia matto, ma spesso quando si va a fare skialp da noi ci si muove più in pericolo".

Usi sistematicamente un airbag da valanga?
"Sempre quando giro i film, faccio backountry vicino agli impianti o nel Freeride World Tour, per lo scialpinismo ancora no perché è troppo pesante. Per fortuna non ho mai dovuto aprirlo".

Che messaggio lanceresti a chi come te passa dal park alla neve fresca?
"Oltre a quello di portare sempre con sé l'artva e tutta l'attrezzatura tradizionale da autosoccorso in valanga, di tornare indietro se non ci si sente al cento per cento sicuri, non è mai una decisione sbagliata".
 


Arnold Lunn, non solo sci agonistico ma anche skialp

Quella di Arnold Lunn è stata una vita decisamente affascinante, da romanzo. Forse pochi però sanno che quello che è considerato il padre dello sci agonistico è stato anche un ottimo scialpinista. A raccontare la sua vita e le sue imprese è Giorgio Daidola sul numero di ottobre-novembre di Skialper.

UNA VITA PER LO SCI - Arnold Lunn nasce a Madras in India nel 1888, il padre Henry è medico e pastore metodista. Rientrato in Inghilterra nel 1892 con la famiglia, Arnold inizia a sciare a dieci anni, a Chamonix. Nasce spontanea in lui una grande passione per la montagna e per lo sci che non lo abbandonerà più per tutta la vita. Studente a Oxford, a venti anni fonda l'Alpine Ski Club, del quale il celebre alpinista e critico d’arte Martin William Conway fu il primo presidente. Neppure un grave infortunio a ventun anni durante un'arrampicata in Galles, in cui rischia di perdere una gamba, che rimarrà per sempre più corta dell'altra, mette fine alla sua passione per lo sci. Appena cade la neve in autunno Arnold si trasferisce a Mürren per rimanerci fino a tarda primavera.

LO SKIALP - Nel febbraio 1908 compie senza guide, assieme a Cecil Hilton Wybergh, anche lui membro del Public Schools Alpine Sports Club, un raid in sci di quattro giorni da Montana a Villars, attraverso i massicci del Wildstrubel e dei Diablerets. Sono anni in cui si tracciano con grande entusiasmo nuove grandi traversate con gli sci, come la Chamonix-Zermatt ad opera della guida Joseph Ravanel, nel gennaio 1909, con altre tre guide e due clienti. Lunn non è certo da meno e dal 2 al 7 gennaio 1912 effettua una grande traversata delle Alpi Bernesi da Kandersteg a Meiringen. Il 18 giugno 1917, assieme alla guida Josef Knubel, Lunn compie la sua scialpinistica capolavoro arrivando, sci ai piedi, sul Dom de Mischabel 4.545 m, la cima più alta che si trova integralmente in Svizzera. Ancora oggi il Dom rappresenta uno dei traguardi più ambiti per gli scialpinisti di alto livello.


Translagorai, trekking dell'anima

«La Translagorai è un'esperienza, una di quelle cose da fare una volta nella vita. La chiamano il Tibet in miniatura. Questo è uno di quei viaggi che consuetudine vuole si faccia in solitaria alla scoperta del nostro io interiore, più ardua la cosa se si è in ventisei, ma non impossibile». Sono le parole di Gaia Cappellini, una giovane ragazza della Val di Fiemme che ha preso parte al progetto di cittadinanza attiva Translagorai: il Docufilm a restituire il senso più profondo di cosa significa affrontare il trekking che attraversa la catena del Lagorai, in Trentino, una delle più ampie aree di natura selvaggia di tutte le Alpi. E su Skialper 114 di ottobre-novembre presentiamo il progetto e, naturalmente, questo bellissimo e selvaggio trekking.

IL DOCUFILM - Quattro agosto 2017. Ventisei persone si ritrovano a Passo Manghen. È un gruppo eterogeneo. Ci sono professori di liceo, ragazzi non ancora (per poco) maggiorenni e altri che sfiorano i 30 anni. Quasi nessuno si conosce. Eppure passeranno insieme tre giorni. Dormendo in tenda, trasportando pesanti zaini da venti chili, facendo gli attori per un giorno o i tecnici del suono. Ciak, si gira. Non ci sono effetti speciali, ma solo il grande palcoscenico naturale del Lagorai. «Translagorai: il docufilm è un progetto di cittadinanza attiva che coinvolge ragazzi e professionisti della Val di Fiemme: per coinvolgerli ho pensato di mettere insieme la montagna e il film, due elementi di interesse dei giovani» dice Federico Comini, psicologo e psicoterapeuta, anima del progetto. Un progetto ecologico, con pannelli solari per alimentare telecamere e drone e con la pesante strumentazione trasportata solo a spalla.

IL TREKKING - Ottanta chilometri attraversati da un sentiero con pochissimi rifugi lungo tutto il percorso, nessun paese, lo sguardo che difficilmente incontra un campanile o un borgo abitato, neppure in lontananza, e attraversato da un’unica strada, al Passo Manghen, che collega la Val di Fiemme con la Valsugana. Ottanta chilometri disabitati e desolati, ma a lungo popolati. Qui infatti l’uomo ha vissuto per cinquemila anni, dopo l’ultima glaciazione e poi durante la Grande Guerra, quando tutte le creste tra il Cauriol, il Colbricon e il Cavallazza furono teatro di battaglie violentissime con oltre duemila morti italiani e austriaci. E ora i resti delle fortificazioni e delle trincee sono ancora ben visibili, per esempio alla forcella di Litegosa, alla Ziolera, al Monte Cauriol o a Cima Cece.


Alta style

La neve, da quelle parti, la chiamano cold smoke, perché è talmente leggera che sembra fumo congelato. E ne arriva tanta… Ad Alta, nello Utah (Stati Uniti), l’anno scorso l’asta graduata ha segnato circa 15 metri. Un sogno che si è trasformato in realtà per Federico Ravassard, che è stato nella località americana per Skialper proprio nel cuore della stagione e di una delle nevicate più copiose. Su Skialper 114 di ottobre-novembre pubblichiamo un ampio reportage per sognare a occhi aperti…

INCONTRI SPECIALI - Durante il soggiorno ad Alta, per vivere l’esperienza di una vacanza in questa località sciistica capitale del freeski ‘da local’, Federico ha incontrato e sciato con alcuni forti sciatori da powder americana come Julian Carr, Marcus Caston e Connery Lundin. Sono stati le migliori guide per disegnare fantastici otto nella neve fresca ed evoluzioni in stile freestyle nei kicker naturali dello Utah. «Il livello medio ad Alta è pazzesco - scrive Federico -. Sciano tutti benissimo, anche i vecchietti sotto la seggiovia vanno giù fluidi e sorridenti. E chi va forte, va forte davvero. Chi in Italia può reputarsi un discreto sciatore, qui non va oltre la media, che è una cosa bellissima perché fa capire veramente cosa vuol dire essere bravi a parole o sulla neve». Ad Alta si scia in ogni angolo. Si prende la seggiovia e qualcuno sceglie le piste, altri le mogul sotto l’impianto (che, anche quando non nevica, sono decisamente più soffici di quelle delle Alpi…). Insomma, Alta è prima di tutto una way of life!

SNOWBOARD VIETATI - Sembra incredibile ma ad Alta le tavole non sono ammesse, come a Deer Valley, sempre nello Utah, e a Mad River Glen, in Vermont. Nonostante il divieto ogni tanto qualche sparuto tavolaro lo si incontra. «Una pratica chiamata poaching: la disobbedienza civile formato invernale, insomma».


Sulle tracce di Coomba

«Questa biografia racconta la vita di uno sciatore, ma potrebbe essere applicata a
una qualsiasi altra sfera umana. Il libro non si focalizza solo sul mondo dello sci
estremo, ma vuole toccare gli eventi attorno all’esistenza di una figura così
carismatica, morta facendo quello che amava di più, aiutando un amico in pericolo. Una vera e propria esplorazione nel potere dello spirito umano: lo sci è stato una sorta di scenario per poi esplorare la vita affascinante di Doug». Dice così Robert Cocuzzo, autore del libro Sulle tracce di Coomba, pubblicato dalla nostra casa editrice e in uscita a metà novembre. Per conoscere meglio questa importante opera editoriale, che verrà presentata il 16 novembre in una serata speciale al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, Lucia Prosino ha intervistato su Skialper 114 di ottobre-novembre l’autore, Robert Cocuzzo.

DOUG COOMBS - Nato a Boston nel 1957 e cresciuto a Bedford, nel Massachussets, è stato un pioniere dello sci ripido prima negli Stati Uniti (Tetons, Chugach) e poi in Europa. Un grave incidente a 16 anni non ferma la sua passione per le discese nel 1991 vince il primo Campionato Mondiale di Sci Estremo a Valdez, Alaska, spiazzando la giuria per l’audacia delle linee scelte. Insieme alla moglie Emily fonda la Valdez Heli Skiing Guide nel 1993, compagnia che porta poi a La Grave e continua a operare da Chamonix e Valdez. La sua sciata veloce e sinuosa, unendo potenza, controllo e grazia, era ineguagliabile. Amava dire che «Il miglior sciatore è quello che si diverte di più» e viveva la sua vita con passione ed energia. È morto il 3 aprile 2006 mentre cercava di aiutare un amico caduto da un dirupo, Chad VanderHam.

ROBERT COCUZZO -
Vive tra Nantucket, sulla costa atlantica degli Stati Uniti, e le White Mountains del New Hampshire. È editor a N Magazine e ha collaborato con outside.com, esquire.com, Town & Country e altre riviste statunitensi. «Nel tentativo di ricreare il personaggio di Doug, ho capito che conversazioni telefoniche o messaggi scambiati con chi l’aveva conosciuto non potevano essere
abbastanza per capire a fondo la sua personalità - scrive Cocuzzo -. Dovevo mettermi nei suoi panni, sciare le sue linee, assaporare l’atmosfera che aveva vissuto e conoscere le persone


Gargano born to run

«Conoscevo già il Gargano, ma solo per lo splendido mare e l’ottima cucina pugliese. Poi mi è bastato un weekend con la gente giusta per scoprire che nasconde anche fantastici itinerari per correre nella natura o anche semplicemente per camminare, più o meno veloci» Inizia così l’ampio reportage di Luca Parisse che è partito alla scoperta dei fantastici itinerari di corsa off-road di questo angolo di Puglia, percorribili per buona parte dell’anno grazie al clima mite. Non aspettatevi però i ‘soliti’ itinerari lungo il mare perché il Gargano non è ‘solo’ mare ma anche la natura selvaggia di un parco nazionale con foreste fittissime e montagne che sfumano nei filari di ulivi dove si può correre nella storia, tra necropoli di 2.500 anni fa e abbazie benedettine. Ne parliamo su Skialper 114 di ottobre-novembre

FORESTA UMBRA - Tranquilli, non è un refuso, non stiamo parlando di Umbria ma di ombra. Sembra essere questa L’origine del nome della vasta e fittissima foresta che ricopre l’interno del Gargano. La vegetazione è talmente fitta che... Questo bellissimo bosco si estende per un oltre 10.000 ettari fino a quota 800 metri circa ed è quello che è rimasto della foresta che ricopriva interamente il
Gargano quando era un’isola. In funzione della quota la vegetazione comprende faggi, carpini bianchi e neri, aceri, olmi, tigli, tassi e lecci. Nel sottobosco fioriscono le orchidee e alcune piante sono tra le più longeve d’Italia, come per esempio il tasso che sfiora i mille anni. E qui passa il percorso dove si corre anche l’ultra-trail di 77 chilometri, che può essere spezzato per allenamenti più brevi. In totale ci sono ben 160 km di sentieri mappati e segnalati. E dopo la corsa ci sono gli scaldatelli e le mille delizie pugliesi…

Skialper 114 di ottobre-novembre è disponibile nelle migliori edicole al costo di 6 euro ed è già scaricabile nell’apposita app Skialper per dispositivi Android e iOS, disponibile gratuitamente nell’App Store e in Play Store.


Mongolia Split Experience

Si chiamano Cinque Santi e sono le cinque vette più alte della Mongolia, nella selvaggia regione del parco nazionale di Tavan Bogd. Una zona dove le lande desolate percorse dagli uomini a cavallo che controllano le greggi libere di pascolare per centinaia di chilometri lasciano improvvisamente spazio a vette ricoperte da roccia e ghiacciai.

EMOZIONI CON LA TAVOLA - «Dal campo base le vediamo tutte queste montagne e a guardare i versanti ripidi carichi di neve primaverile e ghiaccio blu eterno siamo un po’ intimoriti e iniziamo a capire che sarà una bella sfida arrivare al punto di partenza di una delle tante linee di discesa che abbiamo sognato - scrive Mirte van Dijk, foto-giornalista olandese autrice dell’articolo che pubblichiamo su Skialper di ottobre-novembre -. Dopo un giorno sul ghiacciaio abbiamo definitivamente capito che niente qui è come sembra. Abbiamo completamente sottovalutato i tempi di avvicinamento. Per arrivare in vetta devi prima scendere la morena per due ore, poi attraversare il ghiaccio rugoso e in parte sciolto del ghiacciaio per tre ore prima di potere iniziare la salita vera e propria. Dopo questa sfacchinata capisci che le tue curve non sono mai state così senza senso: un giorno in quota significa dodici ore a camminare e arrampicare. Scendere con la split dura 20 secondi. Punto. Ma quando ti trovi negli Altai, un posto che non ha mai visto una tavola da split nella sua storia, capisci che ogni curva diventa d’oro».

TEAM MONGOLIA - La spedizione ai Cinque Santi è stata l’occasione per un’avventura condivisa da alcuni boarder europei e i pochi interpreti delle discese con la tavola da splitboard mongoli, a partire da Battulga Gantulga, fondatore della Mongolian Professional Snowboard Federation. Nel Paese asiatico gli sport invernali sono praticati quasi esclusivamente in una piccola località sciistica alle porte della capitale Ulaanbataar e il reportage sui Monti Altai mette la lente d’ingrandimento sugli straordinari paesaggi delle regioni più selvagge, le genti e la cultura del grande Paese asiatico. Si parla anche di tsuivan. Cosa significa? Basta leggere l’articolo su Skialper di ottobre-novembre…

Skialper 114 di ottobre-novembre è disponibile nelle migliori edicole al costo di 6 euro ed è già scaricabile nell’apposita app Skialper per dispositivi Android e iOS, disponibile gratuitamente nell’App Store e in Play Store.

 


Panta rei, un documentario dai sentieri del Tor

Lunedi' la presentazione a Milano

Un documentario ‘metafisico’ lo chiamano gli autori. Lunedì 23 ottobre alle ore 16.25 al Milano Montagna Festival, Luca Albrisi e Alfredo Croce di Pillow Lab, casa di produzione trentina ormai da anni attiva nel settore outdoor, presentano Panta Rei, girato sui sentieri del Tor des Géants. Le emozioni della gara, le persone, le storie, dopo innumerevoli ore trascorse sui sentieri del endurance trail valdostano e dai tanti incontri derivanti da queste esperienze.


Trail e ambiente nel nuovo film di Mimmo Calopresti

La proiezione di 'Immondezza' sabato a Milano

Ci sono tanti modi per raccontare il Sud Italia, le sue bellezze, le sue risorse ma anche le difficoltà e le tante sfide quotidiane. Il regista Mimmo Calopresti ha deciso di farlo partendo da una prospettiva decisamente insolita: quella dello sport (in particolare il trail running) abbinato all’ambiente e alla lotta all’abbandono dei rifiuti. Così è nato Immondezza, il nuovo documentario dell’autore calabrese (Preferisco il rumore del mare, La fabbrica dei tedeschi), che sabato 7 ottobre sarà presentato in prima assoluta a Milano, in concorso al terzo Festival internazionale del documentario ‘Visioni dal Mondo – Immagini dalla Realtà’. La proiezione è in programma alle 15:20 nella sala Tiglio dell’Unicredit Pavilion, in piazza Gae Aulenti. Maggiori dettagli sul sito www.visionidalmondo.it.
Il film prende origine dal desiderio di raccontare ‘Keep Clean and Run’, un eco-trail unico al mondo, giunto nel 2017 alla sua terza edizione per un totale di oltre 1000 chilometri di territorio attraversato. La particolarità di questo evento-ideato dal ‘rifiutologo’ Roberto Cavallo, protagonista della pellicola - è di aver visto impegnati, da nord a sud Italia, sportivi e testimonial in una corsa contro l’abbandono dei rifiuti. Cavallo, nei panni di eco-runner, ha partecipato a numerosi trail negli ultimi anni, risultando finisher al 4K Alpine Endurance Trail in Valle d'Aosta nel 2016 e partecipando come testimonial ambientale al Tor des Géants 2017 poche settimane fa.
Un obiettivo della narrazione cinematografica di Calopresti coincide pertanto con quello dell’eco-maratona 2017, sviluppatasi dal Vesuvio all’Etna, facendo della sostenibilità ambientale il suo punto di forza. Ma il binomio sport-ambiente non è la sola chiave di lettura del documentario: la corsa è anche l’occasione per conoscere le molteplici storie di personaggi, dalla Campania alla Sicilia, e di raccontare l’impegno contro le mafie, a partire dalle eco-mafie, nonché di testimoniare esperienze virtuose di accoglienza. È un viaggio alla scoperta del Sud Italia, con i suoi paesaggi mozzafiato e tesori artistici e architettonici rimasti al di fuori delle grandi rotte turistiche, nella convinzione intima e profonda che ‘la bellezza salverà il mondo’.


In vacanza per sport

Sette gare per unire la propria passione e la vacanza, magari con la famiglia. Dalla Bassa California a Città del Capo, dalla Malesia al Ciad, dal Perù al Quebec e ai Pirenei. È questo l’argomento principale di Up & Down, l’inserto dedicato al mondo delle gare e agli atleti di Skialper 113 di agosto-settembre.

GARE E ATLETI - Parliamo di Carrera de Baja, Le Treg, Inca Trail Marathon, Ultra Trail Cape Town, Penang Eco, Harricana e Ultra Pireneu. Le gare raccontate da chi le ha fatte, con tutte le indicazioni pratiche, anche turistiche. Sette italiani giramondo, da Silvia Bonelli a Tommaso de Mottoni, da Ernesto Ciravegna a Andrea Biffi, originario della Valchiusella ma residente a Città del Capo, a Carlo Comino, pasticciere di Mondovì, Simona Morbelli e Adeodato Ceci. Gare in posti da sogno, proprio perfette per correre e andare alla scoperta di luoghi e monumenti unici al mondo, dalla foresta malese alle panoramiche alture sopra Città del Capo, dal mare corallino del Messico alle foreste del Quebec. «Non ho mai faticato tanto per fare una maratona e per dare un’idea di costa sto parlando posso dire che con 2h48’ di personale sulla maratona classica, pur arrivando terzo, ho percorso l’Inca Trail Marathon in 8 ore! Quando si arriva alla sommità dell’ultimo passo, il Sun Gate, la vista su Machu Picchu è da togliere il fiato» scrive Ernesto Ciravegna. Un inserto tutto da leggere…


Monte Bianco, oltre la provocazione di Kilian

I materiali obbligatori voluti dal sindaco di S. Gervais sono la soluzione?

La notizia è di dominio pubblico dallo scorso 17 agosto, per la verità - inizialmente - oscurata dalla terribili news giunte da Barcellona. Però la viralità della foto postata da Kilian Jornet sul suo account Twitter ha portato all’attenzione dei mass media, quasi nessuno escluso, il nuovo regolamento voluto dal sindaco di Saint Gervais che prevede una lista di materiale obbligatorio per la salita sul Monte Bianco. Elenco voluto da Jean-Marc Pelliex dopo uno studio del team giuridico del comune e inserito in una ordinanza municipale dello scorso 17 agosto, dopo che il 15 sul Monte Bianco ha perso la vita un quarantaseienne trail runner cadendo in un crepaccio. La provocazione di Kilian è forte: una foto in vetta al Monte Bianco nudo, con la mano sulle parti intime. L’immagine è del 2012 e accompagnata dalla frase: «Riassumendo, se si sale dal versante italiano è legale?».

OLTRE LA PROVOCAZIONE, IL KILIAN-PENSIERO - La questione è ben più seria di una foto di Kilian nudo in vetta, anche se, come spesso accade, la bagarre dei mass media si è fermata in superficie. Lo stesso Kilian ha pubblicato il 20 agosto un post su Facebook molto dettagliato sull’argomento sicurezza, nell’intento di creare un dibattito sull’argomento. Si tratta di un lungo elenco di consigli, frutto anche dell’esperienza personale di Kilian, che confessa che, quando prova qualcosa di nuovo, il 50% delle volte torna indietro. Si tratta di un insieme di regole di buon senso che molti sicuramente già applicano, ma che nel sensazionalismo moderno spesso si sperdono. Il primo punto è ‘capire’. Capire che l’alpinismo è un’attività con dei rischi e che si svolge in un ambiente in perenne trasformazione, per questo bisogna conoscere il più possibile l’ambiente della nostra escursione. Il secondo punto ‘approccio con umiltà’. Conoscere le nostre capacità, allenarci prima in ambienti protetto, in palestra o su passaggi più facili. Kilian non esclude la possibilità di errori, che fanno parte del processo di crescita. Il terzo punto è ‘imparare’. Mai smettere di apprendere e di osservare. E soprattutto di avere dei mentori. Jornet suggerisce di andare in montagna con Guide alpine e di dedicare una settimana prima della stagione invernale e una prima di quella estiva alle tecniche di autosoccorso in montagna e alla conoscenza della neve e delle valanghe. Punto 4: ‘programmazione e adattamento’. Preparare bene l’escursione, le vie di fuga e le alternative, tornare indietro se non ci sono le condizioni, cambiare percorso se fa troppo caldo e c’è rischio di caduta pietre o se c’è troppa neve, avvisare sempre dove si va se si è soli. Last but not least: ‘accettare’. Accettare la difficoltà delle montagne e i propri limiti. Bisogna farlo prima di iniziare ogni attività. «E certo, l’alpinismo è anche accettazione del rischio, andare verso lo sconosciuto e per alcune salite, magari una o due nella vita dei migliori alpinisti, porta alla decisione di prendere una strada che potrebbe portare alla morte. Vuoi accettare questa possibilità? Prova solo a pensare sei sei pronto e accetta il rischio delle attività che fai» conclude Kilian.

OLTRE LA PROVOCAZIONE, IL MATERIALE OBBLIGATORIO -
A margine della vicenda, polemiche e discussioni, nelle quali è entrato anche l’episodio del 2013, che vide Kilian ed Emelie Forsberg chiamare i soccorsi durante una salita sullo Sperone Frendo all’Aiguille du Midi perché poco equipaggiati per affrontare un repentino cambio delle condizioni meteo, si è perso di vista il provvedimento del sindaco di Saint Gervais, che è il punto di partenza di tutta la querelle. Che cosa prevede? L’utilizzo di berretto, occhiali da sole, maschera da sci, crema solare, casco, frontale, due paia di guanti, abbigliamento per l’alta montagna (giacca isolante e giacca impermeabile, pantaloni da montagna e sovrapantaloni), scarpe da alpinismo ramponabili e ramponi adeguati, imbrago e kit per l’uscita da crepacci, corda, piccozza, GPS (o bussola +  altimetro). Kilian con la sua provocazione voleva portare proprio la discussione su questo argomento. Sono giuste queste regole? O no? E soprattutto, nel grande santuario del Monte Bianco, è giusto vietare? A Chamonix c’è una lunga tradizione di ‘libertè’ e la decisione del sindaco di Saint Gervais la interrompe. Il pensiero di Kilian è chiaro: «La mia esperienza mi dice che regole e divieti sono una soluzione di breve termine ma mai validi sul lungo termine. Ci vuole educazione (per i giovani e gli adulti) e formazione». Di sicuro Kilian non potrà più salire in versione trail sul Monte Bianco, almeno dal versante francese. E nessuno sprovveduto potrà cercare di emularlo. Se lo faranno, saranno ‘fuorilegge’. Ma rimarrà sempre il dubbio se sia giusto limitare la libertà di alcuni per prevenire l’impreparazione di altri e, naturalmente, rimarranno sempre le due fazioni, quella dei proibizionisti e quella dei fautori della libertà, sempre e comunque. E in mezzo scorre la vita, o la morte.


Sci ripido: cronache di una stagione ordinaria

Su Skialper di agosto-settembre le principali discese del 2017

Agosto è il mese in cui puntualmente si tirano le somme della stagione del ripido. Infatti si sa che generalmente per lo sci di esplorazione e quello su grandi pareti si attendono proprio le condizioni del pieno della primavera, che spesso sanno regalare un buon manto da sciare anche dove abitualmente si trova del ghiaccio. Se l’anno scorso è stato anomalo con gran disappunto degli appassionati degli itinerari più invernali, ma poi si è riscattato alla grandissima da aprile in poi, regalando momenti epici in molte zone alpine, la stagione 2016-2017 è stata decisamente più anonima dal punto di vista delle condizioni. Però, anche in anni non eccezionali come questo, anzi del tutto ordinari, si scia eccome. Nel Bianco quasi tutte le linee tra Miage, Midi e Argentière sono state ripetute. Insomma, discese che fino a meno di dieci anni fa erano percorse poche volte l’anno ormai per materiali e livello tecnico possono essere reputate dei classiconi. E poi nel 2016-2017 si sono iniziati ad apprezzare i primi frutti dell’opera cult della passata stagione dove nel film La Liste Jérémie Heitz ha mostrato a tutti cosa può fare la gente col livello, quello vero, se si mette a sciare certi pendii in certe condizioni tendenti al polveroso. E quindi si sono potute registrare tutta una serie di discese, fino ad ora affrontate ‘con una certa cautela’, la Mallory all’Aiguille du Midi per citarne una simbolo, che sono state percorse in stile Heitz: fluidità massima, 120 mm sotto al piede, rocker e giù. E poi una quarantina di itinerari inediti negli Écrins e non solo… su Skialper di agosto-settembre il consueto bollettino della stagione dello sci ripido a cura di Andrea Bormida. Da non perdere!