Aconcagua, un'altra vetta per Andrea Lanfri

L'alpinista toscano raggiunge la vetta della montagna più alta del Sud America, aggiungendo un'altro tassello al sui grande sogno

Di Andrea Lanfri e delle sue imprese abbiamo sentito parlare sempre più spesso nell'ultimo anno, in particolare dopo la grande impresa del maggio scorso con la conquista della vetta dell'Everest. Andrea è passato alla storia per la sua forza e determinazione. Colpito da una meningite con sepsi meningococcica  nel 2015, ha subito diverse amputazioni che lo hanno privato delle gambe e di sette dita delle mani. Nonostante questa grande sfortuna ha scelto di non arrendersi, di continuare a lottare per dimostrare a se stesso e al mondo intero che nulla avrebbe potuto fermarlo, e nei giorni scorsi ha dato ancora una volta riprova di questa determinazione, arrivando per due volte nel giro di una settimana in vetta ai 6962 metri dell'Aconcagua, la montagna più alta del Sud America.

Perché la scelta di scalare la vetta due volte nell'arco di pochi giorni? Il 16 gennaio, dopo aver raggiunto il campo 3 lungo la Ruta Normal de los Pionieros, è partito per la cima ma le sue tracce si sono perse a quota 6745, probabilmente a causa della caduta del dispositivo GPS collocato nella tasca superiore dello zaino. Un lieve principio di congelamento alle mani gli ha inoltre impedito di testimoniare il suo arrivo in vetta con delle fotografie. É arrivato in cima, ma non ci sono prove che possano confermare l'impresa. Rientrato al campo base Andrea non ha avuto dubbi: «Le previsioni meteo per i giorni successivi erano ancora buone, quindi ho deciso di ritornare su, questa volta per scattare le foto a testimonianza certa della cima raggiunta. Non volevo che ci fossero dubbi su questa salita per me tanto bella e importante».


Sono bastati pochi giorni per recuperare le energie, sabato 21 gennaio Andrea si è rimesso lo zaino in spalla ed è ripartito alla volta della vetta, raggiunta dal campo 2 in sole nove ore. Stavolta l'impresa è inattaccabile e l'alpinista toscano può finalmente rientrare al campo base con le prove del successo.

«Questa è stata una sfida particolarmente impegnativa per me, perché l'ho portata a termine da solo e in autonomia - commenta Andrea - Sono un solitario per vocazione. Ho fatto altre scalate senza compagni accanto, ma questa era la prima volta che affrontavo da solo una spedizione in altissima quota. Al campo base ho utilizzato i servizi logistici offerti da un'agenzia, ma da lì in avanti ho voluto fare tutto in autonomia: il trasporto in quota di attrezzature e viveri, l'allestimento dei campi, la preparazione del cibo, ecc. È stata dura portare su tutto, ma soprattutto portarlo giù: sono sceso con con uno zaino megagalattico sulle spalle! Dura, durissima, ma sono proprio felice: questa spedizione è tutta farina del mio sacco, un'enorme soddisfazione!».

Con l'Aconcagua Lanfri è un passo più vicino alla realizzazione del suo sogno, la salita delle Seven Summit, le cime più alte dei sette continenti. 

 


MILLET approda a Torino

Il rinomato brand francese inaugura il secondo monomarca in Italia dopo Bolzano, sottolineando l'importanza strategica di essere presenti sul territorio alpino

Millet punta all'Italia e lo fa in pompa magna con un nuovo monomarca nel pieno centro storico di Torino, città fondamentale per la posizione strategica, cuore pulsante delle attività outdoor in montagna. 

All'inaugurazione hanno presenziato le Guide del Cervino, che da sempre collaborano con il marchio, sfilando per le vie in uniforme ufficiale. L'obiettivo per il brand francese è quello di essere sempre più vicini al consumatore e di entrare a far parte di un mercato (quello italiano) che era in stand-by da diverso tempo.  

Il negozio, situato in via Gramsci 15, a pochi passi dalla stazione di Porta Nuova, è disposto su due piani e al suo interno raggruppa tutta l'esperienza dei 100 anni di Millet, accompagnando l'utilizzatore in un'esperienza che tra trekking, arrampicata e alpinismo, ripercorre grazie a immagini e testi lo sviluppo del know how, costruito negli anni di esperienza anche grazie a grandi rappresentanti dell'alpinismo italiano come Bonatti e Messner, che furono ai loro tempi consulenti, sviluppatori e tester per alcuni prototipi del marchio. 

Alle pareti i supporti comunicativi riportano i grandi nomi delle montagne locali, Monviso, Rocciamelone, Chaberton...e sono collegati da alcuni spezzoni di corda rossa che li unisce ripercorrendone la storia.



«Torino è una splendida città, la vicinanza alla Francia porta con se la certezza che qui il marchio sia già abbastanza conosciuto, anche grazie alla visibilità data dalle Guide valdostane. Per questo motivo abbiamo deciso di sceglierla come secondo punto di contatto in Italia» commenta Romain Millet, CEO dell'azienda «L'Italia è il punto chiave per la nostra strategia di marketing 2023/2024, avremo a breve il sito tradotto e stiamo lavorando ad una strategia di comunicazione specifica in grado di raccontare come i grandi alpinisti italiani siano stati degli ingranaggi fondamentali per il nostro sviluppo. Abbiamo una collezione con prodotti estremamente tecnici che si collocano perfettamente nel mercato,  alcuni dei quali sono già conosciuti ed apprezzati dagli alpinisti, come per esempio gli zaini. Sono sicuro che grazie al continuo lavoro realizzato con il supporto e i feedback di chi la montagna la vive quotidianamente, come le guide e gli atleti, continueremo ad accrescere la qualità dei nostri prodotti». 

Ultima grande novità per il 2023 è lo spazio che Millet ha voluto dedicare al trail running, con una nuova collezione SS in arrivo nei prossimi mesi. 


SPIN ST, l'anteprima del nuovo modello SCARPA

Presentato alla prima edizione di Winter Business Days, Spin ST è il nuovo modello da trail running della collezione FW23/24 pensato per la massima performance su terreni fangosi

Tra le caratteristiche principali del nuovo modello dedicato al trail invernale, presentato lo scorso lunedì all'evento Winter Business Days a Ponte Di Legno, troviamo la reattività e la trazione sui terreni morbidi. Spin ST è leggera, resistente , ammortizzata e dinamica e con un fit ultra performante che avvolge perfettamente il piede, ed è concepita per brevi e medie distanze su terreni tecnici. La tomaia è in tessuto traspirante resistente all'abrasione, con un collarino che protegge la caviglia da ogni tipo di contatto esterno. 

Le innovazioni principali introdotte nel modello sono due: La suola Fixion ST in Vibram Megagrip, con ben 37 tasselli da 7mm, pensata per garantire la massima trazione e frenata e,  per la prima volta nel mondo del trail running, sarà presente il blocca lacci regolabile con tecnologia NBS-NEW Block System, un sistema brevettato di messa in tensione delle stringhe composto da due semplici elementi che lavorano in sincronia tra loro. Quest'ultimo sistema è stato ideato per evitare di dover intervenire sull'allacciatura durante l'allenamento o la competizione.

«SCARPA crede da sempre nell’innovazione di prodotti che possano offrire all’appassionato della corsa outdoor una calzatura affidabile per ogni condizione di utilizzo. La SPIN ST si colloca come elemento fondamentale nella nostra collezione “Trail Running”, perché va a completare l’offerta di coloro i quali si trovano a correre o a camminare nel fango, sulla neve morbida, o ovunque l’imperativo sia avere ai piedi la massima trazione. Un prodotto trasversale che abbraccia, oltre al Trail Running, mondi di grande tendenza come OCR/Spartan Race e Orienteering, coniugando in modo impeccabile durabilità e sostenibilità in quanto i materiali di mesh e del collarino sono riciclati al 45%» commenta Marco De Gasperi, brand manager di SCARPA.

 


SPIN ST 

Colori disponibili:

Black – Azure 

Dark Green-Lime 

Russet Brown-Coral 

Taglia:

M 38 - 46 (with ½ sizes) + 47 - 48 (no ½ sizes) W 36 - 43 (with ½ sizes) 

Peso:

260 g (½ pair size 42) 210 g (½ pair size 38) 


SCOTT supporta il Mysticfreeride Safety Camp

Una serie di weekend didattici sul tema sicurezza in montagna, accompagnati da Guide Alpine e Atleti alla scoperta dei dispositivi di sicurezza e dei metodi di ricerca e soccorso

Il progetto Mysticfreeride nasce nel 2009 con lo scopo di diffondere al pubblico le nozioni di base di sicurezza per la pratica del freeride, unendo alla conoscenza specifica delle Guide Alpine l'esperienza sul campo degli atleti che quotidianamente praticano lo sport e conoscono nel dettaglio il terreno di gioco in cui si muovono.

Per perseguire questo obiettivo sono stati organizzati una serie di weekend didattici durante i quali andare alla scoperta di alcuni tra i più bei comprensori sciistici delle alpi in compagnia delle Guide, per apprendere le principali metodologie di programmazione e azione in gruppo. 

Durante il corso, rivolto a sciatori, snowboarder e alpinisti con buona tecnica acquisita in pista, i partecipanti avranno la possibilità di apprendere le nozioni di analisi del rischio per la valutazione del terreno e del manto nevoso, le procedure di autosoccorso in valanga, la ricerca con Artva e l'utilizzo di sonda e pala, oltre che una serie di nozioni tecniche di sci fuoripista.

Il primo appuntamento è per il prossimo weekend del 28/29 gennaio  al Corvatsch e Diavolezza Lagalb, un vero e proprio paradiso del freeride con ampissime aree facilmente accessibili con gli impianti. Il calendario delle uscite per i weekend successivi è disponibile a questo link: MYSTICFREERIDE SAFETY CAMP.

Per tutti i possessori di scarponi, sci o zaino Airbag SCOTT è previsto uno sconto del 10% sull'iscrizione al Safety Camp Corvatsch Diavolezza.


SCARPA lancia Rush Polar GTX

Uno scarpone pensato per le ciaspolate e le escursioni sulla neve: pratico, confortevole e caldo

C'è un nuovo arrivato nella famiglia Rush, si chiama Rush Polar GTX ed è lo scarpone perfetto per chi vuole affrontare la montagna in inverno. Ideale per escursioni e ciaspolate, unisce il comfort di una scarpa versatile e dinamica come la Rush TRK al calore e all'impermeabilità di uno scarpone da neve. 

La combinazione Goretex Duratherm e Primaloft Gold Insulation Eco garantisce la massima protezione contro il freddo, mentre la tomaia in pelle scamosciata a 3 ganci nella parte superiore assicura un ottimo sostegno alla caviglia senza generare fastidi e pressioni grazie al sistema 3D Autofit

La suola Presa è realizzata in mescola SW (Supergum Winter) per maggiore adattabiltà al terreno e migliore aderenza su ghiaccio e neve e offre la tecnologia IKS (Interactive Kinetic System) che aiuta a ridurre l'affaticamento del piede, sostenendo in modo progressivo il peso del corpo durante le escursioni.

Il prodotto è disponibile online sul sito https://it.scarpa.com/ e presso i rivenditori autorizzati.


TABELLA TECNICA

Taglie: 36 - 46 (con 1⁄2 taglie) 47 - 48 (senza 1⁄2 taglie) 

Tomaia: Suede idrorepellente 1,7-1,9 mm + Mesh Gore-Tex Insulated Comfort Footwear

Intersuola: P-Flex Lite

Suola: Presa® TRK-02 

Peso: 680 g (taglia 42)


Alex Txikon e l'invernale al Manaslu

Il racconto dell'impresa dell'alpinista basco, la prima ascensione realizzata completamente in inverno

Lo scorso 6 gennaio Alex Txikon, ambassador di Ferrino, ha coronato il sogno a lungo inseguito, raggiungendo, senza utilizzo di bombole d'ossigeno, la vetta di 8.163 metri del Manaslu. Si tratta della seconda ascensione della montagna nella stagione più fredda. La prima era stata effettuata nel gennaio del 1984 dal team di scalatori polacchi composto da Maciej Berbeka e Ryszard Gajewski, che però avevano cominciato le operazioni sulla montagna a fine autunno. Quella di Txikon e compagni è invece la prima ascensione realizzata completamente in inverno.

Alex era già entrato nella storia dell'alpinismo himalayano nel 2016, quando, in cordata con l'italiano Simone Moro e il pachistano Ali Sadpara, aveva raggiunto per primo in inverno la vetta del Nanga Parbat. Dopo di allora aveva tentato per ben due volte senza successo la salita del Manaslu, impresa che gli è riuscita quest'anno grazie anche al cambio di strategia, che ha consentito agli alpinisti di arrivare al Manaslu già acclimatati per l'altissima quota e pronti per sfruttare la prima occasione favorevole.

A fine dicembre il team ha allestito il campo base a 5000 metri e, guardando le previsioni meteo, ha scoperto che negli ultimi giorni dell'anno il vento sarebbe stato forte ma poi il tempo avrebbe cominciato a stabilizzarsi.

“Era l'occasione che stavamo aspettando. Così il 4 gennaio, abbiamo preso il materiale necessario e siamo saliti direttamente al campo 2, a 6400 metri. Abbiamo fatto circa 1500 metri di dislivello e la salita è stata molto dura  a causa del vento, del freddo e di tutto il peso che avevamo sulle spalle. Quando siamo arrivati al C3 abbiamo pensato alla strategia da seguire. Dovevamo decidere se riposarci oppure attaccare direttamente la vetta. Non era una decisione facile, perché era ormai molto tardi e a quelle quote, d'inverno, più tempo trascorri all'aperto di notte più corri il rischio di patire congelamenti. Però eravamo lì e le condizioni meteorologiche erano buone. Era la nostra opportunità e dovevamo approfittarne!".

Alle 23, dopo neppure un'ora di riposo, Txikon e i compagni nepalesi sono quindi ripartiti verso la vetta, che hanno raggiunto alle 9,30 del 6 gennaio:

"È stata un'ascensione molto lunga, infinita! Quando abbiamo raggiunto il pinnacolo, a 7992 metri, prima della vetta principale, era già giorno. Abbiamo visto il luogo dove si fermano le spedizioni commerciali, ma, dalle foto analizzate prima della salita, sapevamo che la vera vetta era poco più in là, oltre una breve cresta. Il vertice del Manaslu è un posto molto stretto e non abbiamo potuto starci tutti assieme. Abbiamo salito e sceso la cresta uno alla volta, ma alla fine tutti gli scalatori del gruppo hanno raggiunto la cima. In seguito, abbiamo iniziato a scendere, il che è stato,  senza dubbio, la parte più difficile della sfida. Alle 18 siamo arrivati tutti al campo base: devastati!".

Txikon e compagni hanno completato l'ascensione e la discesa in meno di 60 ore, un tempo record per la scalata su un 8.000 compiuta in inverno, e ciò nonostante le enormi difficoltà affrontate:

"È stata una delle esperienze più dure e pericolose della mia carriera professionistica e ci ha richiesto una forza fisica e mentale incredibile. Soprattutto nella prima parte la montagna era in condizioni peggiori di quanto pensassi.  Le temperature sono scese fino a -45º, e le raffiche di vento hanno raggiunto i 50 km orari. È difficile per le persone farsi un'idea di cosa siano queste condizioni: anche l'acqua delle borracce che portavamo tra il petto e la tuta di piumino gelava, una cosa che non mi era mai accaduta prima!".

In questa storica impresa Ferrino è stato al fianco di Alex Txikon e compagni mettendo a disposizione le tende modello Colle Sud, utilizzate al campo base, e le tende d'alta quota Sbowbound 3 per i campi alti. Due prodotti di punta della linea Ferrino HighLab che, grazie ad un lavoro di costante ricerca, test e sviluppo, garantisce un continuo miglioramento delle attrezzature, ottimizzando le loro altissime prestazioni anche nelle condizioni dell’Himalaya in inverno, con venti fortissimi, nevicate intense e temperature di parecchi gradi sotto lo zero, come dimostrano le immagini dell'impresa di Alex.

Gli zaini utilizzati da Alex per la spedizione sono invece quelli della linea Instinct, ultraleggeri e costruiti in Dyneema® Composite Fabric, Cordura® Nylon e rinforzi in SuperFabric® per garantire un rapporto ottimale tra resistenza e leggerezza. Essenziali in ogni loro parte ma completi di ogni tipo di dotazione per l'alpinismo, sono dei veri all-around per la montagna.


Zaini Airbag, Il podcast di SCOTT

Una panoramica completa con Pietro Berbenni alla scoperta delle novità SCOTT

Pietro Berbenni, Product Manager di SCOTT Winter, ci porta alla scoperta della gamma di zaini airbag  del brand con un podcast disponibile su Spotify. La novità indiscussa nel mondo della sicurezza è l'introduzione del sistema elettrico Alpride E2, montato sugli zaini della linea Patrol dai 20L ai 40L. Cosa cambia rispetto alla versione precedente di Alpride?

«La rivoluzione principale è soprattutto in termini di peso e ingombro del sistema all'interno della scocca zaino, mentre rimangono invariate caratteristiche tecniche del meccanismo in se. Il sistema elettrico permette tra i tanti vantaggi di testare più volte il sistema, per prendere confidenza e non trovarsi impreparati in caso di reale necessità».

Il prodotto di punta con cui Scott ha deciso di lanciare la nuova tecnologia è il Patrol Ultralight, uno zaino ultraleggero destinato a scialpinisti e freerider che permette di macinare dislivelli importanti in sicurezza, senza soffrire eccessivamente il peso sulle spalle. Patrol Ultralight, presentato in anteprima a ISPO è realizzato in Dyneema molto resistente  performante, che permette di ridurre notevolmente il peso dello zaino rispetto al resto della linea in tessuto.

Per scoprire di più su zaini airbag Scott, Alpride E2 e Patrol Ultralight ascoltate il podcast a questo link:

ZAINI AIRBAG SCOTT - TECNOLOGIE E SPECIFICHE


Skialper Archive / Balkan express

Un biglietto ferroviario di sola andata Monaco-Salonicco. Due biciclette e gli sci legati al telaio. Duemilacinquecentoventi chilometri in autosufficienza per tornare a casa ed esplorare i Balcani, tanto sulle alpi c'era poca neve. Diario di 31 giorni indimenticabili.

Testo e foto di Max Kroneck e Jochen Mesle

D1 0-68 km 

Finalmente siamo qui, alla stazione ferroviaria di Salonicco. Le ultime settimane sono state piuttosto stressanti. Durante i tre giorni di viaggio in treno siamo riusciti a recuperare un po’ di sonno, ma ora finalmente si comincia.

D2 68-123 km 

Ieri siamo rimasti subito bloccati. Ora dobbiamo togliere il fango dalle ruote, poi proseguiremo lungo la costa sotto il nevischio. Freddo e umidi- tà, però il cibo greco fa dimenticare tutto. La gente del posto parla di un buon inverno sul Monte Olimpo, quindi il nostro obiettivo è salvo.

D3 123-142 km

È l’alba quando lasciamo Litochoro. La strada non è ancora stata ripulita e rimaniamo presto bloccati nella neve, continuando a spingere le biciclette finché non passiamo agli sci. Attraversiamo un bosco da favola e arriviamo in un bivacco invernale, che raggiungiamo al buio. Fa piuttosto freddo, ma la zuppa è calda.

D4 142-167 km

Siamo saliti attraverso la neve profonda fino alla vita. In cima soffia un forte vento. Ci sfoghiamo nel bosco. Polvere profonda e vista sul mare: c’è di meglio? Poi, una divertentissima discesa nel sottobosco per tornare alle nostre biciclette. Che esordio con gli sci!

D5 167-286 km

Finalmente esce il sole, ma fa ancora troppo freddo per i pantaloncini. Oggi copriremo un po’ di distanza: la prima tappa di oltre 100 chilometri è alle porte e non vediamo l’ora di tornare a sciare, questa volta nella Macedonia del Nord. Quindi una rapida sosta al supermercato e via...

D6 286-392 km

Tanta pioggia, che poi si trasforma in neve. In bici è fastidiosa, ma potrebbe essere molto meglio con gli sci. Oggi non è stata la giornata più facile del viaggio, ma - lo diciamo a bassa voce - ci siamo divertiti un po’. Al confine ci consigliano le migliori discese e i migliori après-ski del Paese.

D7 392-422 km

Raggiungiamo il comprensorio sciistico di Kopanki pedalando, su una strada per una volta già liberata dalla neve. Jonche, una Guida alpina, ci mostra orgoglioso la sua montagna. Usciamo dall’area sciistica e saliamo sul monte Pelister. Un’altra giornata di neve fresca fino alle ginocchia e nessuna traccia in vista. Non riusciamo a fermarci, è troppo bello e troppo diverso dalle Alpi nelle scorse settimane, per questo raggiungiamo le nostre biciclette con il buio.

D8 422-515 km

Dopo un lungo commiato dal nostro ospite, che si è preso cura di noi nelle ultime due notti, abbiamo iniziato a pedalare verso la nostra destinazione, il monte Korab. Vicoli ciechi, gomme sgonfie e telai oscillanti non ci impediscono di raggiungere il lago di Ohrid. Un posto meraviglioso, ma siamo troppo stanchi per guardarlo da vicino.

D9 515-624 km 

Il percorso costeggia lunghi bacini artificiali e grandi discariche in mezzo ai fiumi. Prima dell’ultima salita, un abitante del luogo ci ha avvertito che negli ultimi giorni qui sono stati avvistati dei lupi. Ma, soprattutto, dobbiamo stare attenti agli automobilisti ubriachi. Dopo un lungo spostamento notturno attraverso la tempesta, abbiamo raggiunto Radomirë, un piccolo villaggio albanese di montagna ai piedi del monte Korab.

D10 624-668 km 

Dopo molti tira e molla, oggi abbiamo deciso di non mettere gli sci. Con il vento, la temperatura percepita dovrebbe essere di circa -30 °C... Così abbiamo il tempo di pianificare meglio le prossime tappe e di prendercela comoda e non è male quando le gambe sono appesantite da centinaia di chilo- metri e altrettante curve nella polvere. Però anche in bicicletta il vento non ci lascia in pace e ci fa quasi uscire di strada.

D11 668-748 km 

In un’altra discussione con i nostri contatti locali abbiamo preso la decisione: dobbiamo usare l’autostrada per attraversare il confine e risparmiare così una deviazione con molti metri di dislivello. Con la bici in autostrada? Già... partiamo piuttosto nervosi. Ma il viaggio si rivela meno selvaggio del previsto, anche se non certo piacevole. Arrivati in Kosovo, ci facciamo già un’idea su Prizren e dintorni direttamente dalla sella. Più tardi, abbiamo l’opportunità di parlare con Edis, che ci fornisce utilissime informazioni sul Kosovo e sulle sue montagne. Dopo una lunga pausa, riprendiamo le bici con temperature ben al di sotto dei -5 °C e risaliamo il passo verso i monti Sharr, dove ci aspetta tanta neve fresca.

D12 748-756 km 

Non possiamo creder ci. Ancora una volta abbiamo una montagna tutta per noi e la neve è di nuovo fresca e alta fino al ginocchio. Non salia- mo troppo, perché sopra gli alberi non c’è visibilità, ma le corte discese nel bosco sono piene di pillow e valgono come migliaia di metri di dislivello.

D13 756-891 km

Oggi è stato il primo giorno di bel tempo da quando siamo scesi dal treno. La partenza però ha lasciato il segno con il termometro che segnava -12 °C e una discesa di oltre 1.200 metri di dislivello da affrontare sulle due ruote. Brrr! Le bici hanno puntato verso la valle di Valbona, in Albania. Ti trovi da- vanti un enorme scenario di montagne, da tutte le parti; è uno dei giri in bici più belli che abbiamo mai fatto. Il sole stava già tramontando quando abbiamo attraversato il confine albanese e nell'ultimo tratto abbiamo pedalato di nuovo al freddo e al buio.

D14 891-901 km

Quattro telecamere riprendono Max mentre si gode la sua seconda linea e scende urlando di gioia. Non è facile documentare le emozioni e soprattutto... quanto è perfetto quas- sù. Il sole splende, anche se abbiamo iniziato la nostra gita con le pelli solo alle 11 del mattino, dopo una lunga dormita e una mattinata rilassata. C’è ancora la neve perfetta e tutta l’area (quasi tutta la valle di Valbona) per noi.

D15 901-950 km

La sveglia suona alle cinque. Passo dopo passo, attraverso la valle ghiacciata, poi metro dopo metro su per i cespugli fitti. Ieri siamo saliti sui fianchi della valle, oggi raggiungiamo il fondovalle e saliamo al Maja e Boshit. La vista in cima è più che grandiosa, ma ci accorgiamo che non è la cima giusta, quindi andiamo sull’altra, a 2.414 metri. Dopo aver goduto di questi enormi pendii incontaminati, dobbiamo lottare per tornare indietro facendo lo slalom tra i cespugli. Una volta arrivati in fondo, ci tocca ancora pedalare.


D16 950-1.076 km

Il traghetto allontana le linee e possiamo rilassarci un po’ mentre percorriamo una certa distanza. Dopo una lunga riflessione, abbiamo scelto di usare il battello lungo il fiume Drin, da Fierzë a Komani, invece di fare il giro dell’intera catena montuosa, per- ché così risparmiamo due giorni che non avremmo comunque avuto a disposizione. Siamo circondati da un paesaggio incredibile di gole, rocce a strapiombo e acque verdi. Quando attraversiamo il confine con il Montenegro, è già buio.

D17 1.076 km

Oggi è stato un giorno speciale, prima di tutto perché non abbiamo pedalato. A Podgorica abbiamo lasciato le bici in rimessa per un giorno e incontrato Srdja, un artista montenegrino che le ha dipinte. Ma soprattutto Srdja ci ha dato tante dritte sul cicloturismo in Montenegro e sui Balcani.

D18 1.076-1.196 km

Purtroppo dobbiamo rinunciare a sciare sulle montagne del Montenegro, perché mancano ancora tanti chilometri da percorrere, ma va tutto molto bene e raggiungiamo la Bosnia-Erzegovina poco dopo l’alba. Dove possiamo trovare cibo e riparo?

D19 1.196-1.304 km

Dopo una notte folle nel cuore di Bileća, circondati da persone ubriache e assordati dagli schiamazzi, le strade tortuose continuano e aumenta anche il vento laterale. Ci sorpassano così tanti camion che sembra di pedalare a 20 centimetri da un muro. Esausti, chiudiamo la giornata subito dopo Mostar e speriamo in una mattinata tranquilla...

D20 1.304-1.384 km

Wow, che bell’altopiano quello del Parco Nazionale di Blidinje. E non c’è nessuno qui, a parte noi. Le montagne sembrano selvagge e la sensazione è che non nevichi da giorni. Vediamo se riusciamo a trovare qualche bella linea da sciare domani.

D21 1.384-1.434 km

I nostri timori sono confermati: sotto i nostri piedi sembra che ci sia più ghiaccio che neve, ma il panorama è magnifico e ci godiamo il viaggio. Illuminati dagli ultimi raggi di sole, cambiamo assetto, legando gli sci alla bici, e partiamo verso il tramonto.

D22 1.434-1.576 km

Sole, pantaloni corti, strade sterrate: una bella giornata. Le nostre preoccupazioni per le condizioni della neve aumentano chilometro dopo chilometro: la vera domanda è piuttosto se troveremo ancora neve in Croazia.

D23 1.576-1.701 km

Scuotendo la testa, osserviamo gli incendi sul ciglio della strada. Abbiamo optato per un passo dove in inverno dovrebbe esserci un’area sciistica e speriamo di trovare qualche residuo di neve a Velebno, sui Velebit. Ci consoliamo comprando qualche altro spuntino e torniamo in sella; bisogna pedalare.

D24 1.701-1.776 km

Ammettiamolo... a volte, non è così facile come sembra. È tardi, non abbiamo ancora trovato la neve e ora dobbiamo tornare indietro di 15 chilometri, perché qui non c’è cibo né acqua. Dopo una pausa e un bicchiere di vino ci sono ancora 1.500 metri di dislivello, ma il nostro umore è migliore e saliamo metro per metro ben dopo il tramonto, al buio. Speriamo almeno che ci sia ancora della neve lassù, verso il monte Buljma.



D25 1.776-1.831 km  

Sopra a Stinica abbiamo trovato la neve. In Croazia, a marzo. Wohoo! Giusto qualche chiazza, ma c’è qualcosa di unico nel fare un paio di curve con una t-shirt, sciando nella pappa, tra i prati fioriti e con lo sguardo che corre sul mare. Abbiamo costruito un piccolo kicker e ce la siamo goduta, prima di scendere a tutta velocità verso il mare.

D26 1.831-1.971 km

Stiamo pedalando in riva al mare, perché dobbiamo stare vicini ai 200 battiti al minuto anche oggi? Be’, qui tra Croazia, Slovenia e Italia c’è molta salita. Anche la città di Fiume sembra essere tutta su e giù. Però siamo riusciti a ricavarci del tempo per un delizioso pranzo, prima di pedalare verso Trieste e chiudere la giornata con una pizza e un cappuccino.

D27 1.971-2.100 km

Saranno l’ottimo espresso triestino, il sole, i 25 °C, il tuffo rinfrescante in mare e la prospettiva di un’emozionante sciata sulle Alpi slovene, ma oggi abbiamo più voglia di pedalare degli ultimi giorni. Giusto il tempo di rilassarci ancora un po’ al mare e via verso la Slovenia, passando per Cividale del Friuli e il valico di Stupizza.

D28 2.100-2.127 km

Sembra impossibile: siamo tornati sulle Alpi, ma in Grecia c’era molta più neve. Una giornata piuttosto indecisa si conclude finalmente sul Passo di Vrsic e domani vogliamo fare qualche escursione con gli sci.

D29 2.127-2.163 km

Che montagne! Anche se non nevica da cinque settimane, iniziamo presto a camminare in una valle selvaggia. Il cuore di Max sobbalza, perché oggi ci aspettano due bei canali. A causa delle temperature calde e della mancanza di precipitazioni, nei couloir ci sono quasi più pietre che neve, ma è molto divertente e concludiamo la nostra ultima giornata di sci con un grande sor- riso, dopo aver raggiunto la vetta del Mala Ponca (2.468 m), sopra Kranjska Gora.

D30 2.163-2.310 km

Tre passi, due rapporti, una speranza. Il cambio elettronico di Max è ancora difettoso. Più precisamente, può scegliere tra la marcia più bassa e quella più alta, quindi è un gioco di equilibri tra allenamento e forza massima. Per fortuna, il negozio di bici che ci hanno consigliato mantiene le promesse e finalmente possiamo pedalare lungo la Drava in direzione di Katschberg e Obertauern, in Austria. Peccato solo che sia già passato mezzogiorno.

D31 2.310-2.520 km

Si torna a casa! :) Dato che non possiamo, come speravamo, arrivare a Monaco di Baviera quando c’è il sole e che anche nelle Alpi Bavaresi non è una stagione invernale da ricordare, non abbiamo dubbi: a tutto gas, via verso la tappa più lunga, gli ultimi 210 chilometri di un viaggio che non scorderemo mai.




Trovate questo ed altri articoli a tema Ski Nomads su Skialper 143​


Crazy apre due nuovi stores

Due nuove vetrine per il brand valtellinese a Torino e Cortina

Continua senza freni la strategia retail per Crazy, il marchio fast&light per eccellenza nel mondo dello skialp. I nuovi flagship sono stati aperti nel corso dell'ultima metà di dicembre in due città iconiche per il mercato ski-touring: Torino e Cortina. La strategia distributiva è chiara, essere presenti nei punti nevralgici per il mondo outdoor per consolidare il brand sul territorio.

«Abbiamo deciso di aprire a Torino perché, oltre a essere una vera e propria metropoli, è una città dove l’alpinismo, uno dei nostri settori di riferimento, è di casa - ha commentato Luca Salini, CEO di Crazy - e Torino è in una posizione strategica nell’arco alpino e vorremmo puntare sulla sua storicità, sulla sua frizzante vita artistico-culturale e sul suo panorama modaiolo».

Con l’apertura dello store di Torino va a completarsi l’asse con Bardonecchia dove lo scorso anno Crazy ha aperto il primo negozio in Piemonte; mentre l'apertura a Cortina, insieme al negozio di Livigno, sarà strategica per la visibilità e la presenza del brand nelle località interessate dalle olimpiadi 2026.

Con queste due inaugurazioni il numero di negozi monomarca presenti in Europa e USA Crazy sale a 15.


Scott Winter Pro Team

SCOTT incontra il team Ambassador 2023 al rifugio Teodulo, durante la seconda edizione del meeting annuale

Per celebrare l'inizio della stagione, il 21 dicembre , durante il solstizio d'inverno, SCOTT Sports Italia ha radunato il team Ambassador del progetto Scott Winter al rifugio Teodulo, al cospetto del Cervino. Un'occasione imperdibile per incontrare i propri collaboratori, coloro che vivono il marchio quotidianamente sul campo, per lavoro e per diletto, lo indossano e lo rappresentano con entusiasmo. Guide alpine, professionisti della montagna, atleti di notevole caratura, questi sono i componenti del dream team sul quale SCOTT ha scelto di investire per promuovere lo spirito del brand. Durante l'evento, tra una sciata in polvere e un brindisi a base di buon genepì valdostano, sono stati presentati i progetti per la prossima stagione. «Abbiamo investito molto in questo progetto perché crediamo fortemente che un gruppo coeso e motivato, fatto di professionisti della montagna, faccia la differenza al giorno d’oggi per un marchio come SCOTT Winter - afferma Jessica Signori, Marketing Manager Sport Division - Ringrazio quindi tutti i ragazzi per la passione che ci mettono quotidianamente e per credere nel brand». 

@Stefano Vedovati

All'interno del gruppo troviamo anche due nomi a noi ben noti, quelli di Matteo Calcamuggi e Andrea Cismondi, due dei nostri fedeli tester materiali del team Buyer's Guide. Abbiamo provato a sottrargli qualche informazione preziosa sulle nuove collezioni ma sono rimasti sul vago, in ogni caso hanno voluto raccontarci in prima persona l'esperienza vissuta a quota 3317 metri. Ecco le parole di Cis:
 

@Stefano Vedovati

«Ci siamo capitati un po’ per caso. Ma non al meeting ambassador, proprio in Scottsportitalia. E da allora, il capriolo del val Serina (alias Piero) insieme a tutto lo staff Winter Division, sono diventati una famiglia.

E noi un team. Noi? E chi? Ambassador, Proteam, una volta promoter non importa il nome, importa la sostanza. Otto professionisti sparpagliati un po’ per tutta Italia che ne masticano di montagna, specie se quest’ultima é innevata.

Il meeting annuale é il pretesto. Difficile essere più determinati e professionali tra scattare immagini, produrre contenuti, testare, sviscerare criticità sui prodotti. Già perché é dallo sviluppo e dall’uso continuo di prodotti specifici che emergono pregi e ogni tanto qualche difetto. Insomma, facciamo proposte per effettuare un upgrade. Questo è ciò che facciamo.

E poi? E poi siamo Montanari. Metteteci in un rifugio (magari con una buona bottiglia di Genepy) e gli aneddoti che emergono sono un concentrato di magia.

E domani? si ricomincia, nel nostro habitat. Con i nostri sci Scott a piedi. A lavorare con un super team di professionisti condividendo la nostra passione con clienti, negozianti e la super family di Scottsportitalia».


PETZL Legend Tour - Il ghiaccio dell'Ovest

Torna il Petzl Legend Tour Italia, con un docufilm alla scoperta delle cascate di ghiaccio nelle valli piemontesi

Tra le selvagge valli dell'arco alpino occidentale il team di Petzl Italia è andato a incontrare i protagonisti di una vera e propria rivoluzione, quella che sul finire degli anni settanta portò alla nascita dell'arrampicata su ghiaccio in Italia. La genesi del cascatismo ricorda quella dell'arrampicata sportiva, la voglia di spingere sempre più avanti  i propri limiti e le tecniche dell'alpinismo è la stessa onda che portò alle grandi imprese su roccia, trasportandole in un terreno invernale ancora inesplorato sotto il punto di vista della verticalità. E, quando si parla di questi concetti, un nome spicca più degli altri: quello di Gian Carlo Grassi. Il viaggio non può quindi che partire dalla Val di Susa, dove l'alpinista nacque e mosse i primi passi sul terreno montano che diventò in breve campo di gioco preferito e rifugio dove evadere nei momenti più duri. Insieme ai personaggi che hanno affiancato Grassi nella sua crescita e nelle sue imprese, troviamo ad accompagnarci in questa esplorazione storica l'atleta Federica Mingolla, che in questa puntata del Legend Tour ci regala un assaggio di alcune cascate storiche che oggi sono punto di riferimento per il Ghiaccio dell'Ovest: L'altro Volto del Pianeta, in Valle Argentera e il cascatone del Rouit in val Troncea. Dalle valli torinesi si percorre a ritroso la storia della piolet-traction, fino a terminare la spedizione in Val Varaita, dove nel 1977 Romero Isaia e Piero Marchisio riuscirono, inconsapevoli del valore di quell'impresa, a salire per la prima volta nella storia il sottile nastro ghiacciato della cascata Ciucchinel.

Il film è disponibile dal 21 dicembre sul canale Youtube Petzl Sport, al seguente link:

PETZL LEGEND TOUR - IL GHIACCIO DELL'OVEST

https://youtu.be/1NIqWlPiS5o


Skialper Archive / Ortles Friends, fidarsi & affidarsi

Gabriel Tschurtschenthaler soffre di un disturbo degenerativo
della vista, così per salire in vetta ha creato una cordata
perfetta con le Guide Vittorio Messini e Matthias Wurzer.
Che è arrivata sul Cerro Torre e sulla cresta Hintergrat.

Testo di Elena Casolaro, foto di Damiano Levati/Storyteller Labs

Radice a sinistra. avverte Vittorio, in testa alla cordata. Gabriel segue le indicazioni, spostandosi a destra, e Matthias lo osserva da vicino, affinché eviti ogni ostacolo. I tre alpinisti procedono in cresta, muovendosi tra canaloni ghiacciati e camini di roccia e avvicinandosi alla vetta un metro alla volta. Potrebbe sembrare una cordata come tante, ma Gabriel è affetto fin da piccolo da un disturbo degenerativo della vista, e dell’ambiente che lo circonda distingue solo immagini sfocate. Se nasci in Alta Pusteria, in montagna ci devi andare per forza: non c’è molto altro da fare. Così Gabriel Tschurtschenthaler, altoatesino classe 1988, inizia da bambino a scorrazzare per creste e prati. Verso i 15-16 anni, le sue facoltà visive cominciano a diminuire lentamente, dandogli il tempo per fare ciò che gli viene naturale: cercare un modo per continuare a fare alpinismo. Il suo modo ha un nome e un cognome, anzi due, quelli di Vittorio Messini e Matthias Wurzer, entrambi Guide alpine.

I tre si conoscono scalando su ghiaccio e il loro rapporto è fin da subito qualcosa di più di quello Guida-cliente. Iniziano ad andare in giro insieme, diventano amici e progettano vette da conquistare. A uno viene un’idea, oppure spesso tutti e tre hanno già in testa la stessa montagna. Si informano e cercano la via più adatta alle loro esigenze, magari che sia stata già ripetuta da Matthias o Vittorio e che lasci la possibilità di calarsi in discesa. La stessa cosa che farebbe una cordata normale, con qualche accortezza in più e la massima concentrazione da mantenere per tutta la durata dell’ascensione, evitando anche il minimo inciampo. Ognuno si fida degli altri, oltre che di se stesso, e questo è il vero punto di forza della squadra. Gli altri sensi di Gabriel compensano le mancanze della vista: si muove affidandosi al suo equilibrio, alle sensazioni trasmesse dalle piante dei piedi e alle indicazioni minuziose dei compagni, con cui si intende al volo. Così riesce a trovare le giuste prese per le mani o i migliori appoggi per i piedi, a conficcare le punte di piccozze e ramponi nel ghiaccio e a scegliere il percorso più sicuro su cui camminare. Gabriel ha inoltre grande consapevolezza del proprio movimento nello spazio e distingue chiaramente un tratto di roccia solida da uno sfasciume, indovinando il momento preciso in cui accorciare il passo o cambiare direzione.


Oggi essere autosufficienti e bastare a se stessi sono considerati i massimi valori a cui aspirare: farcela da soli, senza chiedere l’aiuto di nessuno. Quando domando a Gabriel cosa si prova a riconoscere di essere completamente dipendenti dagli altri in questo contesto, risponde che non gli è mai piaciuto fare affidamento su qualcuno, per lui farcela da solo è sempre stato un grande obiettivo. Ma a un certo punto ha dovuto ammettere di non poter continuare a fare certe cose, senza aiuto. Aveva solo due scelte: accettarlo, o mollare. Inutile dire che l’alpinista altoatesino non si è arreso, ha scelto di affidarsi ai suoi amici e continuare ad andare in montagna. Matthias e Vittorio sono i suoi occhi e anche loro, descrivendo con precisione qualcosa che Gabriel non può vedere, ottengono una prospettiva nuova sulla montagna. Tutto questo ha un piacevole effetto collaterale: l’assoluta fiducia che si costruisce tra i tre amici vetta dopo vetta e che è forse più importante della salita stessa.



Le imprese di Gabriel riflettono la sua determinazione: nel dicembre 2021, vola in Patagonia per provare a raggiungere la vetta del Cerro Torre insieme a Matthias e Vittorio, da un’idea di quest’ultimo. Una montagna iconica e che pone molte sfide, prima fra tutte l’avvicinamento: la base della via dista dall’ultimo paese 40 chilometri, di cui buona parte su ghiacciaio e il resto su roccia. Quando i tre riescono a raggiungere la base della parete, rimangono da affrontare le difficoltà. dell’arrampicata: impiegano due ore e mezza solo per salire l’ultimo tiro della via. Per questo, una volta conquistata la cumbre, la prima sensazione provata da Gabriel è il sollievo per esserci arrivati tutti interi. Poco dopo, la necessità di rimandare l’esultanza e rimanere concentrati: la discesa è, infatti, lunga e la vetta è solo a metà strada. Ma l’avventura patagonica non fa che affiatare la cordata e alimentarne la fame di nuove imprese. Così lo scorso aprile troviamo i tre alpinisti sull’Ortles, la cima più alta dell’Alto Adige, la stessa che Gabriel guardava da bambino col naso all'insù. Proprio per questo ci vuole andare: arrivare in vetta alla maggiore tra le montagne di casa, è qualcosa che sente di dover fare. La via scelta è la cresta Hintergrat, spesso esposta e con tratti di roccia friabile che per Gabriel rappresentano la maggiore insidia. I tre procedono seguendo uno schema ben preciso: quando Vittorio sale da primo, avverte gli altri due di ogni ostacolo, mentre Matthias sta alle spalle di Gabriel, seguendone ogni mossa. Viceversa, quando . Matthias a guidare la cordata. Così, i tre conquistano i 3.905 metri della vetta. La giornata è limpida e il panorama in cima all’Ortles lascia senza fiato, mille picchi bianchi che bucano le nuvole e si allungano verso il cielo. Gabriel sente il vento sul viso, l’odore della neve che fonde, il calore del sole e la grandezza del vuoto tutto intorno a sé. Sembrava impossibile, ma ci ha creduto e ce l’ha fatta. Tocca la croce di vetta, abbraccia gli amici e gli sembra quasi di riuscire a vederlo, il panorama.

L'OUTFIT DI GABRIEL, VITTORIO E MATTHIAS

Gabriel, Vittorio e Matthias durante le loro ascensioni non si possono permettere distrazioni, neanche quelle derivanti da un abbigliamento meno che perfetto. Per questo hanno scelto la collezione Ortles di Salewa, una linea in vendita da questo mese, basata su funzionalità ed essenzialità. Giacca e pantaloni Ortles 3L GTX Pro Stretch hanno svolto egregiamente il loro dovere sia sul Cerro Torre, sia sull’Ortles, Gabriel si ritiene pienamente soddisfatto: «Ho sempre la stessa giacca e non voglio cambiarla». Si tratta di prodotti pensati per l’alpinismo invernale più tecnico e le cascate di ghiaccio, realizzati per adattarsi a qualsiasi sfida. «La giacca hardshell, dal taglio ampio, lascia sufficiente gioco per un abbigliamento a più strati - indispensabile in inverno - e dona un senso di comfort senza costrizione» commenta Vittorio. La giacca (650 euro) è costruita in Gore-Tex Pro a tre strati, per una maggiore resistenza del tessuto all’abrasione. Troviamo due diverse tecnologie di Gore-Tex: gli inserti ergonomici Gore-Tex Pro Stretch, strategicamente posizionati in corrispondenza delle spalle e dei gomiti, lasciano tutta la libertà di movimento necessaria per l’alpinismo e l’arrampicata. Nelle aree esposte, invece, si è puntato sulla protezione dalle intemperie e la resistenza all’abrasione con la tecnologia Gore-Tex Pro Most Rugged, che assicura isolamento e durevolezza. Il capo presenta inoltre ampie tasche anteriori, che consentono di accedere al dispositivo ARTVA senza spogliarsi. Il cappuccio è regolabile e, grazie al soffietto nascosto sul retro, può essere utilizzato con e senza casco. Per quanto riguarda i pantaloni hardshell (550 euro), anche questi sono molto protettivi, impermeabili e traspiranti. Il design segue l’anatomia del corpo per lasciare le gambe libere di muoversi e le zip laterali permettono la massima ventilazione. Nei pantaloni, gli inserti in Gore-Tex Pro Stretch sono posizionati sulle ginocchia, in vita e sulla seduta. La parte inferiore della gamba è costruita per adattarsi agli scarponi da alpinismo e da scialpinismo e l’inserto elasticizzato permette di regolare l’ampiezza dell’orlo, così da evitare che i ramponi si impiglino. All’interno della collezione troviamo anche Ortles Ascent Mid GTX, uno scarpone da alpinismo leggero e funzionale che accetta ramponi semi-automatici. Vittorio lo utilizza per lunghe giornate su roccia e ghiaccio in alta quota e ne è entusiasta: «Una scarpa che non perde comodità nemmeno durante le uscite più lunghe e intense e che convince grazie all’ottimo grip e alla sicurezza che trasmette a ogni passo, senza limitare la mobilità. Un mix riuscitissimo, perfetto sia per noi Guide, che per le persone che si affidano a noi». Ortles Ascent Mid GTX adotta una suola Vibram con inserto per l’arrampicata, tomaia in robusta pelle da 2,2 mm, abbinata a una membrana Gore-Tex Insulated Comfort, che mantiene il piede caldo e asciutto anche in inverno. L’Ankle Protector System (APS) sulla caviglia aumenta la stabilità e la tenuta della tomaia; un supporto in più, che si rivela prezioso per proteggere dagli infortuni durante i lunghi tour in alta montagna, quando le discese danno fondo alle ultime riserve di energia. Pesa 850 gr e costa 370 euro. La combo perfetta è con lo zaino Ortles Guide 35L, studiato sulle esigenze di chi pratica alpinismo in inverno e deve attrezzarsi per affrontare uscite di più giorni, che comprendano anche passaggi di arrampicata. Compatto e leggero (1.280 gr), ha chiusura rolltop, attacco magnetico per la corda, scomparto per la pala e la sonda, fascia lombare separabile, doppio attacco per la piccozza, cerniera 3-way per un accesso rapido e completo allo scomparto principale. Il sistema di trasporto Salewa Dry Back Contact riduce l’area di contatto dello zaino con la schiena, garantendo una migliore circolazione dell’aria. Costa 190 euro ed è disponibile anche nella versione da 45 litri.

www.salewa.com

Giacca Ortles 3L GTX Pro Stretch
Scarpone Ortles Ascent Mid GTX
Zaino Ortles Guide 35 L