Terminillo, storia di un'evasione possibile
15 luglio 2017, Roma, quattro amici in un bar bollente; l'aria è irrespirabile, fa un caldo che si muore, l'unico panorama il viale trafficato di fronte alla stazione. Il piano: Roma Tiburtina ore cinque e cinquantacinque, autobus Roma-Rieti. Se tutto procede, dovremmo arrivare alle sette e trenta alla stazione Morrone di Rieti. Ore sette e cinquantacinque, autobus Rieti- Pian de’ Valli (piccolo paese alla base del Terminillo, posto a circa 1.600 metri di quota). Da li è fatta, arriveremo sul Terminillo e al Monte Elefante, la nostra vetta di libertà! Nasce da questo idea il servizio che pubblichiamo sul numero di agosto-settembre di Skialper, un’idea per una veloce fuga a due passi da Roma. Naturalmente a piedi…
NEI BOSCHI DEI CARBONAI - L’itinerario proposto, che tocca il Monte Elefante, si snoda in parte nella foresta un tempo tagliata dai carbonai, uomini che dai villaggi partivano per le foreste rimanendovi anche mesi per produrre quello che è stato per centinaia di anni l'oro nero dell'Appennino, che forniva calore ed energia alle città: il carbone di legna. L’escursione è anche una scusa per scoprire Micigliano, un grazioso piccolo comune di circa 130 abitanti a quota 925 metri.
Ancora Kilian alla Sierre-Zinal
La sesta di Kilian Jornet Burgada: il catalano ancora primo alla Sierre-Zinal, tappa delle Golden Trail Series e prova del World Mountain Running Cup. 2h31’39” il suo crono dopo 31 km con 2.200 metri di dislivello, con un vantaggio di 1’31” sul britannico Rob Simpson e di 1’39” sul keniano Robert Panin Surum. Quarto a 4’14” un ottimo Francesco Puppi, quindi il messicano Juan Carlos Carera, il francese Julien Rancon, Davide Magnini, il britannico Andrew Douglas e lo svizzero Stephan Wenk a completare la top ten. Quindicesimo Marco De Gasperi, diciottesimo Luca Cagnati.
Dal Kenia la prima della graduatoria rosa: a segno Lucy Wambui Murigi in 2h57’54” con un margine di 3’35” sulla tedesca Michelle Maier e di 4’51” sulla svizzera Simone Troxler, quarta la neozelandese Ruth Croft, quinta una brillante Elisa Desco. Nelle prime dieci la statunitense Megan Kimmel, la spagnola Eli Gordon, la svedese Ida Nilsson, la spagnola Laura Orgué e la britannica Victoria Wilkinson. Diciassettesima Silvia Rampazzo, ventiduesima Gloria Giudici.
Alpago Sky Super 3 a Enrico Loss e Stefania Zanon
Enrico Loss e Stefania Zanon firmano la sesta edizione di Alpago Sky Super 3, la sky race che a Chies vuole onorare la memoria di Maudi De March, David Cecchin e Andrea Zanon, i tre ragazzi del Soccorso Alpino caduti sul Monte Cridola il 10 agosto del 2012. Dall'anno successivo, 2013, si corre sui sentieri dell'Alpago, e in particolare su quelli che salgono e scendono dal monte Venàl. Venerdì a Chies sono sono partiti in 117 (arrivati in particolare da tutto il Triveneto ma anche da altre regioni d'Italia) per affrontare una gara spettacolare e tecnica, su un tracciato di 18,8 chilometri e 3.626 metri di dislivello (1.850 quelli positivi) con partenza da Lamosano e arrivo a Chies e con il monte Venàl (2.212 metri di altitudine) a fare da “tetto” e “arbitro” della corsa.
La gara, come consuetudine, è stata di livello tecnico molto buono. Il più veloce di tutti è stato Enrico Loss, classe 1997, (che proprio sulle montagne dell'Alpago aveva vinto nell'inverno del 2017 una medaglia di bronzo ai Mondiali Juniores di ski-alp), atleta che lo scorso anno e due stagioni fa era salito sul secondo e sul terzo gradino del podio dell'Alpago Sky Super 3. Questa volta, finalmente, la vittoria. Il successo è arrivato al termine di una gara accorta che prima, lungo la salita verso il Venàl, lo ha visto contenere a una ventina di secondi il distacco dal friuliano Tiziano Moia (poi saltato a causa dei crampi), e poi lo ha visto scendere con grande sicurezza verso l'approdo finale di Chies dove ha fermato le lancette del cronometro sul tempo di 2h09'11”.
In seconda posizione si è classificato, con il tempo di 2h12'20”, un altre trentino, Francesco Baldessari, già secondo lo scorso anno. A completare il podio un atleta di casa, l'alpagoto Gianpietro Barattin, vincitore delle ultime due edizioni e recordman dell'evento (2h'07'18”, fatto registrare lo scorso anno).
Tra le donne il successo è andato alla bellunese, con un passato di ottimo livello nello sci alpinismo, Stefania Zanon. Per Stefania, in testa dal primo all'ultimo metro, il successo non è mai stato in discussione. Per portare a termine la propria fatica ha impiegato 2h49'11”, lasciando la piazzata, Valentina Loss (sorella di Enrico), a 7'50”. Anche nella gara in rosa il podio è stato completato da un'atleta di casa, Roberta Dal Borgo (3h01'29”).
Grand hotel sotto le stelle
Dicono che il futuro ci vedrà tutti iper-specializzati. Non sappiamo se ciò sarà vero in generale, ma di sicuro per quanto riguarda il mondo della montagna sembra una previsione azzeccata. Osservando i materiali da campeggio, si nota come la tendenza sia quella di distinguere tra i molti modi in cui si può andare per monti, e tra questi c’è anche la tendenza a farlo in maniera più evoluta - ossia più veloce e tecnica - e con una maggiore esposizione alla natura e rispetto di essa. Le escursioni di più giorni spesso non hanno più nulla a che vedere con i tranquilli tragitti da turista enogastronomico. Ormai anche qui si ricerca giustamente la maggiore soddisfazione possibile, e questa deriva dal poter camminare per giorni in autosufficienza, possibilmente senza rinunciare al piacere di muoversi, ossia senza essere oppressi da uno zaino pesante decine di chili e ingombrante quanto un vitello. I produttori di tende, sacchi a pelo, materassini e altre attrezzature hanno reso questo possibile, offrendo a prezzi ormai accessibili materiali incredibilmente performanti e leggeri. E sono proprio quelli che abbiamo testato su Skialper di agosto-settembre: sette tende e cinque materassini top. Camp Minima 2 SL, Vaude Invenio Sul 2p, Ferrino Lightent II, Ferrino Pumori II, Ferrino Nemesi I, Salewa Denali II, MSR Hubba NX le tende provate.
FORNELLETTO VEGANO - Sono sempre di più le persone che scelgono un’alimentazione vegana, anche sportivi ed escursionisti, ed ecco che abbiamo chiesto a Cristiano Bonolo, vegano, chef e appassionato escursionista/campeggiatore, di insegnarci qualche ricetta da campo…
UMTB, si scoprono i favoriti
Mancano tre settimane al via dell’UTMB e si scoprono le carte sui possibili protagonisti. Una gara fortemente attrattiva oltre-oceano: ben il 24% degli atleti top élite è americano. Gli Stati Uniti si presentano a Chamonix con Jim Walmsley, vincitore della Western States 2018 e leader della classifica ITRA, Hayden Hawks, Tim Tollefson e Zach Miller. Ma il favorito numero resta sempre Kilian Jornet che punta alla quarta vittoria. Con tanti, però, che vogliono arrivare prima di lui, in primis il campione del mondo di trail, Luis Alberto Hernando oppure Xavier Thévenard, Gediminas Grinius, Stephan Hugenschmidt, Michel Lanne, Ryan Sandes, Scott Hawker…
Tra gli italiani al via Emanuele Ludovisi, Roberto Mastrotto, Ivan Geronazzo, Fabio Di Giacomo, Stefano Ruzza, Daniele Fornoni.
Al femminile, sarà una sfida tra la francese Caroline Chaverot, leader della classifica femminile ITRA, la svedese Mimmi Kotka, in formissima da due stagioni, le americane Clare Gallagher, Kaci Lickteig, Magdalena Boulet e Stéphanie Howe; senza dimenticare la catalana Núria Picas, vincitrice nel 2017 o Uxue Fraile. A guidare la pattuglia azzurra Francesca Canepa e Katia Fori.
CCC E TDS - Nella CCC occhi puntanti su Marco De Gasperi: Pau Capell, Cristofer Clemente Mora, Cody Reed, Aurélien Collet, Rob Krar i rivali più agguerriti. Stefano Fantuz, Michael Dola tra gli altri azzurri al via. Nella CCC rosa in gara la statunitense Camille Herron, la svedese Ida Nilsson, la spagnola Maite Maiora e la cinese Miao Yao. Cecilia Flori, Alessandra Boifava, Daniela Bonnet le azzurre inserite nel gruppo delle migliori.
La TDS raduna atleti élite di altissimo livello come Tom Owens, Dylan Bowman, Ludovic Pommeret, Tofol Castaner, Aurélien Dunand-Pallaz, Fabien Antolinos, Diego Pazos, il russo Dimitry Mityaev. Le speranze italiane con Fulvio Dapit, Giuliano Cavallo, Marco Zanchi, Paolo Rossi, Francesco Cucco o Giovanni Tacchini. Tra le donne, le favorite sono le americane, Megan Kimmel, Keely Henninger Yiou Wang e la doppia vincitrice dell'UTMB, Rory Bosio che così avrà così avrà preso a tutte le gare dell'UTMB. In casa Italia al via Sonia Locatelli, Elisabetta Mazzocco, Laura Besseghini.
De Gasperi e Magnini sfidano Kilian alla Sierre-Zinal
Domenica è il giorno della Sierre-Zinal, terza tappa del Golden Trail Series e prova del World Mountain Running Cup. 31 km con 2.200 metri di dislivello, da Sierre a Zinal, una classica, e si attende una supersfida, vista la lista iscritti. Nella gara maschile, l'attenzione principale sarà rivolta ancora una volta verso l'atleta Salomon Kilian Jornet. Il catalano ha vinto la Marathon du Mont Blanc e, solo una settimana dopo, ha abbattuto il record del famoso Bob Graham Round nel Regno Unito. Kilian ha vinto Sierre-Zinal ben cinque volte, ma sa che la distanza più breve e il ritmo più veloce rendono la gara una sfida unica. A dar battaglia (sportiva, s’intende) Marco De Gasperi del Team Hoka, il campione World Mountain Running Joseph Grey del Team Nike. E ancora Stephan Wenk del Team Scott, Oriol Cardona Coll del Team Dynafit, Pascal Egli, oltre a Robbie Simpson del team Salomon secondo nel 2017 dietro a Jornet e che recentemente è stato medaglia di bronzo nella maratona su strada ai Giochi del Commonwealth del 2018 sulla Gold Coast australiana.
In casa Italia, occhi puntati e ottime prospettive per Davide Magnini e Davide Cheraz, entrambi del Team Salomon.
Nella gara femminile Ruth Croft del Team Scott (vincitrice del Marathon du Mont Blanc) e Ida Nilsson del Team Salomon (vincitrice a Zegama) si presentano dopo aver vinto le prime due gare della Golden Trail Series.
Anche la campionessa di Sierre-Zinal Lucy Murigi, dal Kenya, e Michelle Maier (Team Adidas), seconda piazzata lo scorso anno e vincitrice del 2016, potrebbero sfidarsi per salire sul podio. Megan Kimmel (Team Salomon) cercherà di consolidare la sua posizione nella Golden Trail Series con un risultato importante dopo che un infortunio l'ha costretta al ritiro a Zegama ed è un po’ calata a Chamonix per finire al quinto posto alla Marathon du Mont Blanc. La sudafricana Meg McKenzie (Team Salomon), ha fatto un'ottima gara a Chamonix concludendo all'ottavo posto e arriva qui con il quinto posto nella classifica generale dei Golden Trail Series.
DIRETTA LIVE A SIERRE-ZINAL - Dopo aver fatto storia trasmettendo live l’intera Marathon du Mont Blanc in tempo reale sui canali di social media di Salomon Running, il team Salomon farà lo stesso da Sierre-Zinal, portando nuovamente la copertura in diretta della gara. Una diretta che vedrà coinvolti Emelie Forsberg e Majell Backhausen, Global Community Manager Trail Running by Salomon. Gli appassionati di trail running potranno guardare la gara sulla Salomon Running Facebook Page e su Salomon TV’s YouTube channel.
Peter Kienzl, obiettivo Tor
Peter Kienzl viaggia deciso verso l’obiettivo di questa stagione, il Tor des Géants. «Ho vinto il 4K, - spiega l'altoatesino del Team Dynafit - mi piacerebbe ripetermi nell’altra direzione. Non sarà certo facile, lo so, ma le distanze sopra i 200 km sono quelle che preferisco. Ci vogliono le gambe, di sicuro, ma è soprattutto un discorso di testa: e questo è l’aspetto che mi piace di più».
Ma come si allenano così tanti km?
«Beh, non è facile con il lavoro. In settimana riesco ad allenarmi solo un paio di ore, mentre solo nel fine settimane posso dedicarmi al lungo. A meno che non ci siano le gare».
L’ultima la Grossglockner Ultra-Trail da 110 km.
«Siamo partiti forte, c’era anche la prova a coppie e noi individuali abbiamo tenuto il loro passo all’inizio. C’erano il lituano Gediminas Grinius e il catalano Pau Capell a fare l’andatura: per me era troppo e mi sono staccato. Rimanendo comunque tra i primi, sono risalito sino al terzo posto nonostante avessi preso una storta, poi nella discesa finale ho perso la posizione, ma è un quarto posto che va benissimo visto il livello».
Come ti alimenti in gare del genere?
«Non faccio programmi particolari, certo mi controllo prima della gara per vedere se ci sono carenze. Mi segue un medico ‘naturalista’: in questo periodo ha visto una carenza di proteine e nella dieta ho messo dentro un po’ più di uova. In gara un po’ lo stesso discorso, nessuna indicazione particolare, di solito, però, preferisco le zuppe che assimilo con più facilità».
Oltre al Tor altre gare in calendario?
«La Reunion, la Diagonale des Fous, anche se arriva un po’ troppo presto dopo in Tor, appena un mese dopo. Poi vorrei tornare alla Transgrancanaria (che ha già vinto nella versione 360° di 269 km).
Sogna in grande e osa fallire
«Ho una proposta indecente da farti. Dal 20 maggio al 20 giugno. Io, te, Dadde e Zeno. Dritti dalla cima. Mai sciata. Pensaci». Questo il messaggio di Enrico Mosetti a Federico Ravassard che ha fatto nascere lo stupendo reportage dalla Cordillera Vilcanota, in Perù, che pubblichiamo su Skialper di agosto-settembre. La cima è quella dell’Ausegnate (6.384 metri). E rimarrà non sciata…
DISCESA IMPOSSIBILE - Poche idee in testa ma abbastanza chiare: sciare l’Ausengate, una cima semi-sconosciuta di 6384 metri a sud di Cusco. Come documentazione di supporto qualche foto, le immagini prese dal satellite e il video vecchio di dieci anni degli unici altri due scialpinisti che avevano battuto quella zona prima, niente meno che Rémy Lécluse e Glen Plake. La zona è decisamente remota, molto, e anche la scarsa documentazione si dimostra inaffidabile: la montagna è insciabile. Una possibile via di discesa è di fatto una seraccata di mille metri, che termina in un colatoio di roccia e detriti. L’altra, invece, è per metà buona. L’altra metà luccica per il ghiaccio azzurro che la ricopre. Poco male, non mancheranno altre occasioni per sciare e soprattutto per scoprire questo magnifico Paese e i suoi paesaggi sterminati. «Qualcuno potrebbe anche ridere, ma l’aria sopra i 5000 metri non ti è amica per nulla. Se aumenti per un attimo il passo la testa scoppia e devi rassegnarti a salire di una trentina di passi alla volta. La vista, però, è incredibile. Il bianco della neve, il rosso delle montagne detritiche e l’azzurro del cielo. Nient’altro, solo questi tre colori che si intervallano con degli stacchi nettissimi. Sciamo ridendo dal nostro Nevado-senza-nome, alla fine curvare sulla neve è sempre una figata». A documentare questa frase ci sono le bellissime foto di Federico…
Alpago Sky Super 3, ci siamo
A Chies d’Alpago è tutto pronto per la sesta edizione di Alpago Sky Super 3, la gara di corsa in montagna che vuole onorare la memoria di Maudi De March, David Cecchin e Andrea Zanon, i tre ragazzi del Soccorso Alpino caduti sul Monte Cridola il 10 agosto del 2012. La gara andrà in scena venerdì prossimo, 10 agosto, con start alle ore 8.45, sul consolidato tracciato di di 18,8 chilometri e 3.626 metri di dislivello (1.850 quelli positivi), con passaggio in cima del monte Venàl (a 2.212 metri, tetto della corsa). Oltre alla skyrace, la giornata proporrà anche la Camminata nella natura, 10 chilometri accessibili a tutti a Lamosano. Le iscrizioni alla sky race verranno chiuse al raggiungimento dei 250 iscritti.
Vertical Tovel a Manuel Da Col e Stephanie Jimenez
Ottime prestazioni (basti sapere che il vincitore assoluto ha abbassato il tempo di quasi due minuti rispetto alla scorsa edizione) e un caldo torrido, con temperature ben oltre i 30 gradi anche in quota, hanno caratterizzato il Vertical Tovel. Manuel Da Col e Stephanie Jimenez hanno iscritto i loro nomi nell’albo d’oro della manifestazione, giunta alla seconda edizione, e anche in quello della neonata Finstral Vertical Cup, che ha unito i tempi di DoloMyts Run Vertical Kilometer e Vertical Tovel.
Il primo a tagliare il traguardo, e a rispettare il pronostico che lo vedeva tra i favoriti, è stato il forte atleta veneto Manuel Da Col, portacolori del Team Scott. Vittoria che ha iniziato a costruire a metà gara, quando è riuscito a portarsi in testa seguito dall’altoatesino Alex Oberbacher, in forza al Team Tornado. All’ingresso a Malga Tuena Da Col vantava un vantaggio di una decina di secondi su Oberbacher. Un margine che, metro dopo metro, è riuscito a difendere e ad ampliare in maniera consistente, tanto da tagliare il traguardo con un vantaggio di oltre un minuto sul secondo classificato e con l’ottimo tempo di 40’ 26”. Prima tra le donne, e 20ª nella classifica generale, Stephanie Jimenez, atleta del Team Salomon, che ha preceduto - staccandola di quasi tre minuti - Paola Gelpi del Team La Sportiva.
RaidLight, bienvenue à la maison du trail
«Se fossimo a Grenoble questa domanda non me l’avresti fatta». La risposta, seppur con toni gentili, è di quelle che ti spiazzano. Un attimo di pausa e aggiunge: «è normale non trovare lavoro sotto casa, diciamo che i nostri collaboratori arrivano da un cerchio che ha un raggio anche superiore ai venti chilometri, come avverrebbe a Grenoble o a Chambery». Come, abbiamo fatto 321 chilometri nella pioggia e nella nebbia, ci siamo arrampicati fin quassù a 900 metri di quota tra boschi e mucche che pascolano, nella vallée du trail, per sentirci dire che essere qui o in una città per un’azienda simbolo del mondo del trail e del fast & light nella natura è la stessa cosa? Sul tavolo ci sono prototipi di zaini e di bastoni buttati lì alla rinfusa, alla parete pettorali ingialliti della Diagonale des Fous, maglie da running in cornice e una campana tibetana. Siamo nell’ufficio di Benoît Laval, fondatore e CEO di RaidLight, a Saint-Pierre-de-Chartreuse, mille anime e un’atmosfera bucolica. Sembra di essere in un film di Claude Chabrol, nella Francia più profonda. Anche l’hotel Beau Site sembra uscito da un quadro d’antan e quando siamo arrivati in camera, nella notte del 15 di maggio, i caloriferi erano accesi. Qui, a parte la famosa certosa e il verde liquore, non c’è nulla. A parte la RaidLight e la prima station de trail al mondo.
Passi il municipio e sulla sinistra, sotto il bosco, c’è un grande prato con una costruzione moderna, con ossatura in legno, e 240 metri quadrati di pannelli fotovoltaici. Dal 2011 è il quartier generale di RaidLight che proprio quest’anno festeggia i 20 anni. A Saint-Pierre-de-Chartreuse, se sei l’anima di un marchio affermato come RaidLight, non ci arrivi per caso. «Questo è vero, come è vero che RaidLight è cresciuta insieme alla mia carriera di trail runner». Laval è uno dei primi corridori off road. Originario della regione parigina, laureato in ingegneria tessile a Lille, ha iniziato subito a correre. Un po’ di tutto, pista, strada, siepi. Però c’erano tre cose che lo incuriosivano: la natura, la difficoltà e la distanza. Ecco perché ha sentito il richiamo della montagna e si è trasferito vicino alle Alpi ed ecco perché dalle siepi è passato alla Diagonale des Fous e alla Marathon des Sables. Le soddisfazioni non sono mancate con un podio a La Réunion e la maglia della nazionale francese di trail. «Però non ho fatto il trail runner e successivamente creato un marchio, ma è venuto tutto insieme: prima ho lavorato per un’azienda che produceva zaini per conto terzi, poi ho iniziato ad aggiungere tasche e personalizzare i prodotti per i miei raid e nel 1999 è nata la RaidLight». Dopo qualche anno sono in cinque a cucire zaini, poi diventano dieci. Intanto Benoît consuma tante suole (e continua a consumarle) in giro per il mondo. «Non avrei corso in posti così lontani senza la RaidLight e la RaidLight non sarebbe quello che è senza i miei viaggi, andare in Giappone per incontrare il distributore locale e correre una gara ultra ti permette di conoscere a fondo le abitudini dei runner di quel Paese».
Con la crescita bisogna cambiare quartier generale e le idee sono chiare: andare in montagna, dove si possa uscire dall’ufficio in pausa pranzo e provare subito i prototipi degli zaini sui sentieri. Vengono presi in esame ben 50 comuni, in tanti fanno ponti d’oro, ma la RaidLight verrebbe confinata nella zona industriale. Invece Benoît vuole che l’azienda abbia le porte scorrevoli in entrata e in uscita verso il paese e i trail runner. La nuova sede deve essere anche il cuore della prima station de trail, un concetto innovativo oggi replicato in un’altra trentina di località in tutto il mondo. Il motto del marchio è share the trail running experience, condividi l’esperienza del trail running. E la condivisione, partage in francese, è alla base della filosofia e del successo di RaidLight, anche ora che fa parte di un grande gruppo come Rossignol che fattura oltre 300 milioni di euro. Il sogno si è trasformato in realtà, con 40 delle 55 persone impiegate che lavorano a Saint-Pierre-de-Chartreuse e 15.000 visite all’anno alla station de trail.
Diciamolo, Raidlight è uno di quei posti dove un outdoor addicted vorrebbe lavorare e la condivisione non è una trovata del direttore marketing. Una di quelle aziende modello in vetta alle classifiche del dove si lavora meglio. Produce zaini, bastoni, abbigliamento e scarpe per trail e raid (e dal 2019 verrà rinnovata completamente tutta la linea di scarpe) e per entrare negli uffici bisogna passare dal negozio che vende tutti i prodotti, ma affitta anche E-bike e attrezzatura da scialpinismo in inverno. Subito all’ingresso ci sono delle grandi mensole con decine di scarpe da trail, zaini e bastoni. Non le affittano, se vieni a fare trail puoi provare tutto gratuitamente. Da un lato c’è un grande schermo touch che riproduce gli itinerari trail della stazione, con mappa tradizionale o satellitare e tutti i dati. Dall’altra parte un altro schermo è collegato direttamente con il sito e permette, appena tolte scarpe e zaini, di inserire la propria scheda test del prodotto. Di fronte la macchinetta del caffè, dove dipendenti e turisti possono scambiare quattro chiacchiere e condividere le loro esperienze. Dall’altra parte dell’ingresso c’è la palestra con i tapis roulant per correre quando c’è brutto tempo, ma soprattutto ci sono spogliatoi, docce e armadietti. Anche qui è tutto in condivisione, ci vengono i dipendenti quando vanno a correre o a fare skialp in pausa pranzo, ma con un paio di euro possono usufruirne gli utenti della station de trail e lasciare anche il portafoglio o le chiavi dell’auto. La partenza degli itinerari e le mappe sono proprio all’ingresso, sotto il porticato.
La condivisione, nell’era del web e dei social media, ha diversi risvolti e direzioni. C’è il trail runner che arriva in negozio ed esce con un prototipo da provare e c’è quello che propone via web prodotti nuovi. Dalla sezione team del sito (team.it.raidlight.com), infatti, si accede al R&D collaborativo, dove ci sono dei forum su argomenti specifici e ognuno può proporre la sua idea. Periodicamente vengono anche organizzati dei workshop in azienda per personalizzare i propri prodotti con utenti selezionati. Da questa processo è nato, per esempio, lo zaino Evolution 2. Ci sono muri che dividono, ma per fortuna non tutti. All’ingresso del reparto R&D sorgerà un muro dei post-it dove ogni dipendente potrà mettere il suo personale foglietto con un’idea prodotto. Sorgerà in una stanza dove ci saranno tessuti e macchine di prototipazione in modo che chiunque lavori in RaidLight, se ha un’idea, possa provare a svilupparla con le sue mani. «Condividere vuol dire ascoltare chi pratica il trail, non solo gli atleti top - aggiunge Laval -. Per esempio il primo bastone ripiegabile lo abbiamo lanciato sul mercato noi, ma è un’idea che arriva da un nostro cliente che ci ha proposto di commercializzarlo, invece le tasche sugli spallacci degli zaini per mettere i flask sono arrivate dalla collaborazione con Marco Olmo».
La condivisione è ormai una pratica collaudata a Saint-Pierre-de-Chartreuse e sul web. Ma nella testa di Benoît Laval ci sono altre sfide. Mentre parliamo ha tra le mani un iPhone. «Vedi questo smartphone? Ha solo due tasti, è il massimo dell’ergonomia e del design, se avesse tanti tasti non sarebbe così. Noi abbiamo fatto lo stesso ragionamento quando abbiamo iniziato a produrre una linea di zaini in Francia. Meno può significare meglio». Quella della produzione in Francia è un’altra bella sfida vinta da RaidLight e la possiamo toccare con mano scendendo al piano terra. Qui nel 2013 è stato creato un atelier per la produzione di zaini che impiegava 3 persone che sono già diventate 10. Sono tutte del paese o di molto vicino, ma non c’erano più le competenze tessili e per questo il lavoro di formazione è stato importante. A oggi l’88 per cento degli articoli di Raidlight e della sorella Vertical (abbigliamento e zaini per hiking e skialp) sono prodotti all’estero, da qui possono uscire circa mille zaini al mese e dal 2015 la produzione è stata di circa 24.000 pezzi. Una finestra guarda sul negozio in modo che anche dal punto vendita si possa osservare la produzione: anche questa è condivisione. Quando si è deciso di produrre in Francia la sfida ha riguardato tutto il processo industriale. «Abbiamo ridotto le ore di lavoro manuale, che sono quelle che incidono di più sui costi, pensando a prodotti minimalisti e utilizzando le tecnologie più all’avanguardia, come le macchine per il taglio laser dei tessuti» dice Laval. A Saint-Pierre-de-Chartreuse vengono realizzati i modelli top di gamma come il Responsiv 10, perché meno vuol dire meglio. Non è un laboratorio di prototipazione, ma una vera linea industriale dalla a alla z utilizzata soprattutto quando gli zaini vengono lanciati sul mercato e non raggiungono quantità che giustifichino una produzione in Cina. E poi l’atelier è il cuore dell’ultima idea RaidLight: la personalizzazione della grafica del proprio zaino Responsiv 10L o 18L o della fascia Pass-Mountain. Dal sito si accede alla sezione customise it dove si inserisce la foto che si vuole sublimare sul prodotto. E in tre settimane il prodotto è a casa del cliente. Share the trail running experience.
VETERANO DEL TRAIL - Classe 1972, è dal 1999 che Benoît Laval calca i sentieri del trail e soprattutto dei grandi raid e ancora oggi non si fa mancare tre-quattro gare all’anno, in giro per il mondo. Nel palmarès un terzo posto alla Diagonale des Fous e un nono alla Marathon des Sables, oltre alla maglia della nazionale francese di trail. Ha iniziato con il Défi de l’Oisans, ma non si è fatto mancare nulla, neppure il vertical sull’Empire State Building o sulla Tour Eiffel o la 100 km su strada e i 400 km del deserto del Gobi. «Quello che mi è sempre piaciuto dei trail e dei raid è la possibilità di viaggiare e scoprire nuovi paesaggi» dice. Viaggiare, cambiare ogni volta, ma una gara è rimasta nel cuore. «La Diagonale des Fous, per il paesaggio, per il pubblico». Benoît è uno dei più competenti osservatori della trasformazione del mondo del trail negli ultimi 20 anni.«È vero, è cresciuto, una volta oltre i 100 km c’era solo la Diagonale, oggi ogni fine settimana c’è una cento miglia, il calendario andava da aprile a ottobre, oggi non c’è pausa e ci sono gare che sono diventate dei veri e propri business. Però si trovano ancora eventi basati sul volontariato e i tempi dei top non sono tanto diversi, è cambiata la densità di atleti forti e per questo una volta arrivavi tra i dieci all’UTMB e oggi con la stessa prestazione no, ma perché in tanti hanno crono simili, non perché le performance siano cambiate molto».
IL DREAM TEAM - RaidLight ha un Dream Team di atleti top che comprende, oltre al fondatore Benoît Laval, Nathalie Mauclair, Antoine Guillon, Christophe Le Saux, Elisabet Barnes e Rachid El Morabity. Tutti atleti di grande valore e con palmarès importanti. Nathalie tra il 2013 e il 2017 ha portato a casa i trofei di due Diagonale des Fous, una TDS, una UTMB, due medaglie d’oro ai Mondiali di trail, due secondi posti alla Marathon des Sables e il terzo posto a UTMB, Hardrock 100 e Western States. Antoine Guillon, tra le tante gare dal 2002, può vantare ben sei podi e una vittoria alla Diagonale des Fous e quattro alla TDS, oltre a un terzo posto al Tor des Géants e una vittoria al Grand Raid du Cro-Magnon. Elisabet Barnes? Basta dire che ha vinto due volte la Marathon des Sables… Christophe Le Saux ha corso e continua a correre in tutto il mondo e in Valle d’Aosta lo conoscono bene visto che è stato due volte terzo e una volta secondo al Tor des Géants. Infine, last but not least, Rachid ha vinto sei Marathon des Sables, delle quali le ultime cinque consecutivamente. Non esiste solo il Dream Team però, perché ognuno, tramite il sito, si può iscrive al team e diventare parte della grande comunità RaidLight. E poi c’è il Chartreuse Trail Festival, a fine maggio, un insieme di gare, compreso un simpatico color trail per bambini e famiglie, che attirano un migliaio di persone tra questi monti. E gli atleti del Dream Team. Curiosamente tutti i top sono degli anni ’70, se si esclude la Barnes, del ’77, ed El Morabity, anni ’80, gli altri sono dell’inizio del decennio. In pratica coetanei di Laval. «È un caso, non li ho conosciuti in gara, a parte Le Saux, li abbiamo scelti perché incarnano l’idea di trail come avventura prima ancora che come sport e vittoria o perché, come Nathalie, sono persone comuni, madri di famiglia con un lavoro che hanno saputo arrivare al vertice; per intenderci anche Kilian rientrerebbe in questa categoria di atleti amanti della natura prima di tutto» dice Laval.
STATIONS DE TRAIL - Saint-Pierre-de-Chartresue è la prima di una trentina di station de trail, un concept che prevede itinerari suddivisi per difficoltà e segnalati, servizi come docce e spogliatoi, un sito e una app con cartografia e la community dove è possibile condividere i propri giri e allenamenti. Nella Chartreuse ci sono itinerari da 6 a 30 km, un vertical, uno stadio del trail con percorsi studiati per l’allenamento, dalle ripetute ai circuiti per la velocità e la resistenza. Le altre destinazioni sono in Francia, Belgio, Svizzera, La Réunion, Cina e Spagna.
stationdetrail.com
Great Himalaya Trail, 24 giorni che ti cambiano la vita
«Sono stato in villaggi minuscoli, lontani da tutto e da tutti, con tanta povertà, eppure sono felici e ti aprono la porta alle undici di notte, nel buio immenso, ti preparano da mangiare e ti fanno dormire senza chiederti chi sei, mentre noi abbiamo perso il giusto punto di vista e per ritrovarlo non ci rimane altro che scappare dalla civiltà e dal bombardamento di informazioni e social media, camminare nella natura, correre per ritornare in noi stessi». Così parlò Ryan Sandes, ultra-runner sudafricano, dopo i 1.504 chilometri e 70.000 metri di dislivello a tempo di record del Great Himalaya Trail. Ventiquattro giorni, quattro ore e ventiquattro minuti ci ha impiegato a correre (per la verità camminare veloce) su e giù per passi himalayani, giungle e caotiche città insieme al connazionale Ryno Griesel. Eppure la lotta contro il tempo è stata l’ultima preoccupazione. E non sarà il ricordo più potente. Ne parliamo su Skialper 119 di agosto-settembre in un ampio reportage con le belle foto di Dean Leslie.
IL MITICO GHT - Il Great Himalaya Trail non è un solo sentiero, ma la combinazione di vari itinerari sia nella parte montuosa del Nepal (GHT High Route) che in quella più popolata e ricoperta dalla giungla (GHT Cultural Route) e va da un confine all’altro del Paese, lungo la direttrice Ovest-Est. Per questo, sebbene Ryan e Ryno abbiano fatto segnare il FKT (fastest known time), non si può parlare di vero e proprio tempo record in quanto un crono di riferimento non esiste data la possibilità di alternative lungo il percorso e le varianti imposte dai tanti imprevisti. Quello seguito dai due sudafricani ripercorre fedelmente le orme del connazionale Andrew Porter dell’ottobre 2016 ma, per esempio, Lizzy Hawker, nel 2016, ha fatto segnare un tempo di riferimento lungo la parte in quota del GHT, tra le montagne.
CIBO - Quella del cibo è stata la sfida nella sfida. Per scelta e per alleggerire gli zaini è stato deciso di fare tutto il Great Himalaya Trail procurandosi da mangiare lungo il percorso, come dei normali turisti: acquistandolo o facendosi ospitare dai locali. Solo in tre punti c’è stata la possibilità di cambiare gli zaini e i vestiti e nelle tasche trovava spazio qualche barretta, gel o lattina di Red Bull. «Alla fine il mio corpo mi diceva che non ne poteva più di quell’alimentazione e sono stato male un paio di giorni: i nostri pasti consistevano di frittata, riso e lenticchie quando avevamo la fortuna di essere ospiti, oppure di biscotti e cioccolato comprati alle bancarelle e non era proprio l’ideale durante una traversata di 1.500 chilometri» - ha detto Sandes.