Salomon verso la produzione di scarpe ‘made in France’

La svolta verso la produzione locale, conseguenza anche della pandemia e delle problematiche emerse con il blocco dei trasporti e le limitazioni alla mobilità delle persone, segna un nuovo traguardo. Salomon ha annunciato ieri l’accordo con Chamatex per la realizzazione di uno stabilimento altamente automatizzato a 200 chilometri dalla sede di Annecy, ad Ardoix.

Advanced Shoe Factory 4.0 (ASF 4.0), questo il nome del sito produttivo, sarà operativo a partire da metà 2021 e a regime (2025) potrà produrre fino a 500.000 paia di calzature, per la metà marchiate Salomon. La prima pietra è stata posata lo scorso 17 settembre. Le scarpe Salomon create in ASF 4.0 saranno distribuite in tutta Europa e saranno prodotte al 100% in questa fabbrica. L'uso della robotica in fabbrica semplifica anche il processo di assemblaggio, offrendo una soluzione competitiva ai costi di produzione asiatici. Infine, la produzione localizzata è maggiormente rispettosa dell'ambiente perché riduce al minimo l'impatto di CO2 associato alla spedizione dalle fabbriche all'estero. La costruzione di ASF 4.0, nonostante l’ampia automatizzazione, creerà anche nuovi posti di lavoro in Francia impiegando circa 50 persone, dagli operatori qualificati fino agli ingegneri e ai programmatori.

Chamatex, produttore di tessuti dal 1980, ha scelto Salomon come partner principale nella costruzione dello stabilimento ASF 4.0 per la storica collaborazione tra le due aziende e il know-how tecnico maturato. Molte delle scarpe Salomon realizzate nello stabilimento ASF 4.0 utilizzeranno il materiale Matryx che Chamatex ha fornito a Salomon per la scarpa da trail running Cross/Pro, presentata durante la stagione primavera/estate 2020. Chamatex e Salomon applicano anche le conoscenze acquisite da quando Salomon ha creato la sua linea di calzature personalizzate ME:sh nel 2017 e nel 2018, che prevedeva già l'utilizzo della robotica per la creazione di scarpe da corsa personalizzate all'interno dell'Annecy Design Center di Salomon.

La questione della produzione locale è strettamente legata non solo a quella della sostenibilità ambientale ma anche a quella della sostenibilità economica connessa al costo del lavoro nei Paesi Occidentali. Un interessante studio realizzato da un altro marchio francese, il brand di abbigliamento outdoor Picture, ha analizzato i costi di produzione e di vendita di una t-shirt in cotone organico realizzata in Turchia secondo i migliori principi e certificazioni della sostenibilità ambientale e della tutela dei lavoratori e a livello europeo. Produrre in Turchia determina un costo a capo di 7 euro, mentre il costo di acquisto del negozio è di 12,50 euro e al pubblico di 30-33 euro iva inclusa. La realizzazione in Europa costerebbe 15-20 euro, con la necessità di vendere al negozio a 30-35 euro e di prezzo al pubblico fuori mercato, di oltre 70 euro. L’unico modo perché la produzione sia sostenibile dal punto di vista economico, secondo il marchio francese, sarebbe la vendita diretta attraverso il proprio sito internet, come fanno alcuni marchi francesi, per esempio Hopaal e 1083. Una scelta che probabilmente ridurrebbe la popolarità ma soprattutto, cambiando il sistema di distribuzione, non contribuirebbe allo sviluppo delle economie locali, dai Paesi in via di sviluppo ai commercianti. Robotizzare o cambiare il modello di distribuzione? Queste al momento sembrano le vie possibili verso la rilocalizzazione di parte della produzione.


Il grido d'allarme di Bruno Compagnet per salvare i boschi dei suoi Pirenei

È arrivato l’autunno e il bosco cambia colore. L’estate indiana è uno dei momenti più belli nelle valli, quando gli alberi si colorano delle tonalità più calde, giusto prima che il bianco gelo ricopra tutto (e tanta neve, almeno così speriamo noi amanti della glisse). Un’occasione unica per riflettere su quanto siano importanti gli alberi per il nostro ecosistema e per le nostre montagne.

Proprio sull’argomento arriva un grido d’allarme da Bruno Compagnet, freeskier pirenaico, tra i fondatori del marchio Black Crows (beh, se leggete Skialper sapete bene chi è…). Nel comune di Lannemezan, sui Pirenei, è in progetto la costruzione di una grande segheria e Bruno sta cercando di risvegliare le coscienze perché ritiene che si tratti di un piano faraonico e non sostenibile per quei boschi dove tante volte ha posato le sue lamine. «Sono cresciuto in un piccolo villaggio a mille metri e i boschi hanno sempre fatto parte del mio ambiente e di quello degli abitanti della valle, hanno scandito le stagioni e oggi sappiamo quanto siano importanti per combattere l’emergenza climatica. Non sono contrario allo sfruttamento del bosco, ma è un progetto che va contro la realtà ambientale e umana di queste valli» ci ha detto Bruno che invita a firmare la petizione di SOS Forêt Pyrénées.

L’associazione segnala alcuni dati chiave dell’operazione: per fornire i faggi necessari alla segheria dovrebbero essere tagliati l’equivalente di 1.200 campi di calcio sul territorio di 400 comuni pirenaici ogni anno con 5.000 camion in più sulle strade. In pratica si tratta di una quantità da due a tre volte superiore a quella fornita oggi dai Pirenei Atlantici e dal Massiccio Centrale d’Acquitania. SOS Forêt Pyrénées ritiene che il volume di legno richiesto permetta di sostenere la segheria solo per qualche anno, mettendo in pericolo l’ecosistema della foresta pirenaica e la biodiversità. Il progetto sarebbe inoltre finanziato per almeno la metà con fondi pubblici.

Secondo Europe Écologie les Verts Midi-Pyrénées la quantità di legno da tagliare si aggirerebbe tra i 200.000 e 360.000 metri cubi all’anno: «la foresta copre più della metà del territorio dei Pirenei e questo ecosistema dai fragili equilibri ha un ruolo essenziale come serbatoio di biodiversità che preserva il futuro degli esseri viventi, cattura e immagazzina l’anidride carbonica, limitando i cambiamenti climatici e drena l’acqua, limitando le inondazioni e l'erosione del suolo».

La segheria potrebbe dare lavoro a 25 persone e gli studi di fattibilità valutano in 90 i posti di lavoro che si creerebbero nell’indotto negli anni a seguire, ma gli attivisti locali temono che la filiera chiuda prima ancora che possa esserci un indotto, rovinando irrimediabilmente quella natura che è il vero tesoro dei Pirenei.


Ryan Gellert è il nuovo CEO di Patagonia

Patagonia ha nominato il nuovo CEO di Patagonia Works, Ryan Gellert, dal 2014 alla guida di Patagonia in Europa, in Medio Oriente e Africa. Patagonia Works è la holding che presiede Patagonia, Inc (abbigliamento e attrezzature), Patagonia Provisions (alimentare), Patagonia Media (libri, film e progetti multimediali), Lost Arrow Solutions (settore government), Fletcher Chouinard Designs, Inc. (tavole da surf), Tin Shed Ventures, LLC (settore investments) e Worn Wear, Inc. (upcycling di abbigliamento usato).

Gellert ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti, in Asia e in Europa. Prima di entrare in Patagonia, ha trascorso 15 anni presso Black Diamond Equipment, dove ha ricoperto diversi ruoli tra cui Brand President, VP of Supply Chain Management e Managing Director di Black Diamond Asia. Sotto la sua guida, Patagonia ha lanciato la sua prima campagna ambientale globale relativa a un'iniziativa europea: Save the Blue Heart of Europe, proteggendo gli ultimi fiumi incontaminati d'Europa dalla minaccia di oltre 3.000 progetti idroelettrici pianificati. Ha inoltre lanciato nel vecchio continente Patagonia Action Works, uno strumento digitale per connettere le persone con i gruppi ambientalisti, sia nella loro area sia in tutto il mondo, dando loro modo di partecipare alle iniziative e agire concretamente. Gellert succede alla carismatica guida di Rose Marcario e la sua nomina arriva dopo un periodo di qualche mese di guida ad interim dell'azienda da parte del COO Doug Freeman.

Il Consiglio di Amministrazione di Patagonia ha annunciato due ulteriori cambiamenti nella sua leadership: Jenna Johnson e Lisa Williams sono state incaricate di un nuovo importante ruolo. Jenna Johnson, che precedentemente ha guidato il settore outdoor tecnico di Patagonia è ora a capo di Patagonia, Inc., dove avrà il compito di allineare ulteriormente il business della divisione di abbigliamento e accessori alla mission aziendale e alle comunità sportive. Lisa Williams, che è entrata a far parte del team prodotti di Patagonia nel 2001, assume un nuovo incarico esecutivo come Head of innovation, design and merchandising. In questo ruolo, avrà il compito di accelerare la mission di Patagonia attraverso progetti e materiali rivoluzionari e in grado di catturare CO2.

«Sono davvero onorato dell'opportunità e profondamente consapevole della grande responsabilità di guidare l’azienda in questo momento critico – ha detto il nuovo Ceo Ryan Gellert - Siamo noi stessi ad avere le maggiori aspettative su Patagonia. Tutto ciò che facciamo deve ricondurre alla nostra mission: siamo in business per salvare il nostro pianeta e dobbiamo farlo in un modo che sia giusto, equo e inclusivo per tutte le persone. È una grandissima ambizione e dovremo affrontare giorni difficili quando proveremo a sfidare le regole, ma sono entusiasta di poterlo fare fianco a fianco con i talentuosi e appassionati professionisti che fanno parte del team Patagonia. E sono sicuro che ci sarà anche da divertirsi durante il percorso!».

Il sito statunitense Fastcompany ha pubblicato la prima intervista a Ryan Gellert e Jenna Johnson, online qui.


Adamello Ultra Trail, tutto rinviato di una settimana

L’Adamello Ultra Trail andrà in scena con una settimana di ritardo. Paolo Gregorini e il team organizzatore dell’evento inizialmente in programma dal 25 al 27 Settembre hanno infatti deciso di rinviare l’intero programma al 2-4 ottobre. Le previsioni per il fine settimana, e in particolare per la nottata fra venerdì 25 e sabato 26 settembre, sono molto negative. In pratica si slitta di una settimana esatta.

«Dover attuare un cambio di programma così importante a pochi giorni dall’evento non è certo quello che auspicavamo, ma è un atto dovuto nei confronti di chi ama questo evento e ci dà fiducia: a loro dobbiamo garantire di vivere Adamello Ultra Trail in condizioni di serenità e sicurezza» spiega Paolo Gregorini, leader del comitato organizzatore di Adamello Ultra Trail.

«Purtroppo venerdì 25 e sabato 26 settembre sono previste piogge intense sul tracciato della gara, con neve fino a bassa quota. Questo significa temperature inadatte alla disputa di un evento di trail running e impossibilità di garantire la sicurezza in alcuni passaggi particolarmente tecnici del percorso. A questo si aggiunge, nell’attuale contingenza legata al Covid-19, la difficoltà di assicurare il distanziamento nel momento in cui un gran numero di atleti fossero costretti a ripararsi in corrispondenza dei punti ristoro o delle basi vita»

Le iscrizioni ad Adamello Ultra Trail 2020 rimangono automaticamente valide per le nuove date. Coloro che non fossero in grado di partecipare all’evento dal 2 al 4 ottobre 2020 possono mettersi in contatto con l’organizzazione all’indirizzo info@adamelloultratrail.it, chiedendo di confermare la propria iscrizione per l’edizione 2021 dell’evento, o viceversa domandando il rimborso dell’iscrizione nella misura dell’80%. In caso di defezioni, il comitato organizzatore aprirà una finestra per eventuali ripescaggi sino a domenica sera, 27 Settembre 2020.


Arriva anche il pantaloncino... elettorale

È un fenomeno tutto americano, però un po’ di curiosità la può destare anche da noi. Negli Stati Uniti, in fibrillazione per le elezioni presidenziali del 3 novembre, ha iniziato a circolare la foto di un’etichetta di un capo di abbigliamento Patagonia con una scritta ‘Vote the assholes out’ (linguaggio molto colorito, diciamo ‘vota per lasciare a casa gli st….i’). La fotografia è apparsa per la prima volta in un post di Corey Ciorciari, ex consigliere del senatore della California Kamala Harris. In molti hanno pensato a un fotomontaggio, invece alcuni articoli della stampa, da Adventure Journal al Los Angeles Times, confermano che non è un fotomontaggio. Secondo quanto scritto da Steve Casimiro dell’Adventure Journal, che ha contattato la sezione affari pubblici del brand di abbigliamento outdoor californiano, si tratterebbe di un’edizione in tiratura ultra-limitata del pantaloncino Road to Regenerative Stand Up. Il messaggio sarebbe diretto genericamente, come avvenuto in altre forme in passato a ‘politici di qualsiasi partito che negano che il cambiamento climatico sia reale, o non credono che dovremmo fare nulla per il cambiamento climatico’.


Gorropu in anteprima sul sito internet di Ferrino

Il film Gorropu, ritratto della climber polacca Aleksandra Taistra, viene proiettato oggi, sabato 19 settembre, in occasione della 25esima edizione del Ladek Mountain Festival, la più importante manifestazione polacca dedicata alla cinematografia di montagna. Evento che da tre anni ospita la cerimonia di premiazione dei Piolets d’Or, gli oscar dell’alpinismo. In concomitanza alla proiezione Ferrino organizzerà un’anteprima online per lunedì 21. Dalle 21 alle 24 sarà infatti possibile vedere Gorropu in una sezione dedicata del sito Ferrino: www.ferrino.it

Gorropu, titolo del film realizzato da Francesco Pierini, Ivan Frattina e Filippo Maragno, è anche il nome di una gola in Sardegna, quella dove Aleksandra Taistra ha realizzato la sua salita piщ importante: Hotel Supramonte in giornata (8b max/7c obbl.; 400 m). Percorso aperto da Rolando Larcher e Roberto Vigiani nel 1999, Hotel Supramonte è tra le più apprezzate vie multi tiro in Europa. La pellicola ripercorre, scena dopo scena, il percorso che ha portato Aleksandra dal primo approccio con la roccia alla conclusione di questo ambizioso progetto, nell’ottobre 2019.

Non si tratta del mero racconto di una scalata su roccia, ma di un viaggio che va a toccare anche gli aspetti emotivi e sentimentali oltre a quelli sportivi. Un film che parla di resistenza e perseveranza, ma anche di maturazione personale attraverso la realizzazione di qualcosa per molti fuori portata. Mostra come la concentrazione necessaria per sopportare le difficoltà di un’intensa scalata, di tentativi falliti, di pessime condizioni meteo, possa diventare mezzo per comprendere se stessi.

Per le sue scalate Aleksandra veste Rock Slave e utilizza attrezzature da camping Ferrino High Lab. „Siamo orgogliosi – commenta Anna Ferrino, CEO – di supportare Aleksandra e con lei il film Gorropu. Una climber forte e decisa, capace di vivere l’arrampicata come percorso di crescita, andando oltre il gesto atletico».


La donna che vuole battere il record maschile

Una donna che punta dritta al record di un uomo. Peraltro fresco. Lo scorso 6 settembre il francese Aurélien Dunand-Pallaz ha superato 17.218,2 m di dislivello in 24 ore. Ora la connazionale Élise Delannoy vuole mettere la bandierina più in alto. Élise, settima all’ultima UTMB, ha scelto sabato prossimo, 19 settembre, per cercare di stabilire il nuovo record di dislivello in 24 ore. Lo farà su una collina di 129 metri a Nœud-les-Mines (Pas-de-Calais).

Il piano è di fare 290 giri di 520 metri con 59,4 m di dislivello per un totale di 151 km per 17.226 m D+. Nelle recenti prove in un giorno ha fatto 5h x 62 giri (3.680 m D+ - proiezione: 17.660 m in 24 ore), in un altro 3h x 39 giri (2.361 m D+ - proiezione: 18.500 m in 24 ore).

AGGIORNAMENTO 21/09/2020: Élise Delannoy non ha battuto il record maschile, ma stabilito quello femminile, che è il quarto assoluto con 16.572,6 m.

© Florent Lienard

AlpFrontTrail, da Grado al Passo dello Stelvio di corsa per non dimenticare

Il 10 ottobre 1920 l’Alto Adige venne formalmente annesso all’Italia. Cento anni dopo quattro team internazionali, ciascuno composto da due atleti di spicco, tra il 6 e il 14 ottobre percorreranno il confine storico tra Italia e Austria. Affronteranno 850 chilometri e un dislivello di 55.000 metri. AlpFrontTrail, questo il nome dell’iniziativa, non è solo un evento sportivo. Attraverso lo sport il confine, un elemento che separa, si trasforma in un’esperienza che lega e viene tenuto alto il valore della libertà. «Correre è una cosa che chiunque può fare, indipendentemente dalla nazionalità, dal colore di pelle o dalla religione. Per correre non serve un’attrezzatura costosa e lo si può fare ovunque» ha detto Philipp Reiter. Il trail runner e videomaker ventinovenne originario di Bad Reichenhall (Baviera) ha avuto, insieme al fotografo altoatesino Harald Wisthaler, l’idea dell’AlpFrontTrail, che prenderà il via martedì 6 ottobre con la prima tappa da Grado al santuario di Castelmonte.

Il percorso toccherà poi Sesto passando per la Val Canale e Tarvisio, da lì proseguirà per Arabba e Grigno fino a raggiungere Riva del Garda, da cui sarà percorsa l’ultima parte che, affrontando il passo del Tonale e l’Ortles, raggiungerà infine il Passo dello Stelvio. «Parteciperanno Anton Palzer, Daniel Jung, Eva Sperger, Jakob Hermann, Martina Valmassoi, Hannes Perkmann, Marco De Gasperi, Ina Forchthammer e Tom Wagner: alcuni tra i migliori trail runner al mondo. Inoltre ci sarà anche l’olimpionica del biathlon Laura Dahlmeier» ha spiegato Wisthaler. L’iniziativa è sostenuta, tra gli altri, da Suunto e della zona  turistica delle 3 Cime/3 Zinnen in Alta Pusteria.

© Wisthaler

Poker di novità Scarpa per il trail running

Sono state presentate lo scorso fine settimana agli Outdoor & Running Business Days, sul lago di Garda, le novità trail running di Scarpa per la prossima primavera-estate. L’arrivo di Marco De Gasperi ha da subito rimescolato le carte con ben quattro prodotti nuovi o rinnovati, nell’ottica di un allargamento dell’orizzonte di utilizzatori e di una sempre maggiore attenzione al pubblico femminile e all’ambiente. La ricerca continua di materiali ha permesso a Scarpa di introdurre per la prima volta in alcune calzature da trail running il Pebax Renew. Si tratta di un materiale ecologico derivato dalle piantagioni di mais, che rispetta l’ambiente e che permette di rielaborare una proposta di prodotti per i consumatori più attenti alle tematiche di sostenibilità.

I nuovi prodotti sono GOLDEN GATE, dedicato ai terreni off-road più facili e misti, SPIN INFINITY, per le lunghe distanze, le leggere e performanti RIBELLE RUN per lo sky Running e le SPIN 2.0 per la corta e media distanza.

SCARPA GOLDEN GATE

GOLDEN GATE ATR è il modello di Scarpa dedicato ai terreni off-road più facili misti, compresi tratti asfaltati per la media/lunga distanza, che ben si adatta a varie tipologie di atleti di qualsiasi peso e velocità di percorrenza. La calzata contenitiva e avvolgente, la suola con adattabilità unica sia allo sterrato che all’asfalto e una combinazione fra leggerezza e ammortizzazione e stabilità fa di questa calzatura un prodotto trasversale nel mondo del trail Running, che va dall’urban trail anche in città fino ai percorsi montani. La GOLDEN GATE ATR è sviluppata pensando sia a chi si avvicina al trail running che agli esperti che non vogliono rinunciare ad una scarpa affidabile e comoda per i propri allenamenti quotidiani. Il peso è di 260 gr e il drop di 4 mm.

SCARPA SPIN INFINITY

SPIN INFINITY modello dedicato alla lunga distanza. Le caratteristiche di stabilità, ammortizzamento e controllo la rendono perfetta per l’allenamento e le gare di ultra trail per atleti che richiedono una scarpa comoda e stabile. La combinazione di una forma precisa e avvolgente che consente maggior libertà nell’area dell’avampiede, una tomaia leggera e traspirante, una suola a doppia densità che garantisce il giusto ammortizzamento ed elevato controllo del piede e un battistrada ad alta aderenza, trazione e stabilità rendono questo prodotto molto trasversale oltre che un fedele alleato oltre la maratona off-road, sia in competizione che in allenamento. Punti di forza che rendono la SPIN INFINITY preferibile rispetto alla concorrenza sono la tecnologia Vibram MegaGrip e l’efficienza di un cushioning molto performante che abbina stabilità del piede. Il peso è di 305 gr e il drop di 4 mm.

SCARPA RIBELLE RUN

Il modello di scarpa da trail running dal look aggressivo e accattivante che deriva dal prodotto di grande successo della famiglia di calzature da montagna. Leggera e performante, rivolta ad atleti di peso medio/leggero per il trail e skyrunning di breve/media distanza su qualsiasi grado di difficoltà e tipologia di terreno. La combinazione di una forma studiata per avvolgere il piede, una tomaia ultra leggera e traspirante con rinforzi termosaldati e una suola ad alta aderenza, trazione e stabilità sui terreni molto sconnessi rendono questo prodotto un punto di riferimento per chi ricerca la precisione assoluta nelle proprie uscite di corsa outdoor, specialmente qualora i terreni più tecnici impongano una spiccata capacità di adattamento. Il Peso è di 285 gr, il drop di 4 mm.

SCARPA SPIN 2.0

SPIN 2.0 è il nuovo modello dedicato al trail/skyrunning per la corta e media distanza, votato alla performance sia sui sentieri facili che su quelli più tecnici. Introduce nel mondo del trail running il PEBAX RNEW, materiale ecosostenibile di derivazione naturale con elevate caratteristiche di ammortizzazione e durabilità. La combinazione di una forma precisa ed avvolgente, una tomaia ultra leggera e traspirante e la nuova suola performante in PEBAX RNEW rendono questa scarpa un nuovo punto di riferimento per la categoria delle leggere. Punto di forza è il materiale PEBAX RNEW®. Innovativo nel mondo del trail running, ecocompatibile e con elevate caratteristiche di ammortizzamento e durabilità. Il peso è di 255 gr e il drop di 4 mm.


Lettere dai 4.000

Capitolo 1 / Silvestro, la Guida

Mentre scrivo queste riflessioni sono a Courmayeur, è il 26 di giugno e sono trascorsi 45 giorni da quando sono partito con il mio compagno Gabriele Carrara e abbiamo salito la Barre des Écrins. Lo scopo del nostro viaggio era traversare tutti gli 82 quattromila delle Alpi e per farlo avevo calcolato di impiegarci circa 40 giorni. Volevo sapere se in 33 giorni effettivi, con condizioni e meteo favorevole, fosse possibile salire tutte le vette più alte delle Alpi. Per prepararmi ad affrontare questo viaggio ho programmato e portato a termine delle gite che concatenassero, possibilmente con il minimo sforzo, più cime in uniche giornate di scalata. L’incognita era capire se queste tappe fossero state studiate bene e se il mio fisico avrebbe retto. La programmazione del viaggio è stata di per sé un motivo di divertimento e apprendimento. È proprio vero che i viaggi si vivono tre volte: in sogno, nel momento in cui sei lì e nel ricordo. Ad oggi posso dire di essere molto contento perché dopo la prima settimana, quando mi sentivo stanco, ora che sto rientrando da Courmayeur dopo tre giorni passati su e giù per il monte Bianco mi sento riposato. Il mio fisico ha risposto perfettamente agli sforzi a cui l’ho sottoposto e mi stanco molto meno in montagna. Le condizioni meteo di questa primavera sono state pessime, tanto da costringerci a fermarci per ben 18 giorni. Però, essendo riusciti a fare quello che abbiamo fatto con questo meteo, credo di potere affermare che non mi sbagliavo: in 40 giorni alpinisti con il nostro allenamento avrebbero davvero potuto completare senza eccessive difficoltà la salita degli 82 quattromila delle Alpi. Grazie alla nostra sfida ci siamo confrontati con gli altri alpinisti che in passato si sono imbarcati in questo progetto. A differenza di loro abbiamo scelto una stagione ibrida, né estate, né inverno.

In primavera ci siamo mossi tantissimo con gli sci, affrontando il pericolo della neve non ancora assestata e scoprendo che in questa stagione la maggior parte dei rifugi e degli impianti di risalita sono chiusi. L’altra scelta alla base del nostro progetto è stata quella di spostarci in furgone, in compagnia di Werby. Siamo partiti in quattro: io, Gabriele, Tiziano e suo padre. Non abbiamo avuto nessun appoggio logistico, altro aspetto che ci ha distinto rispetto a chi ci ha preceduto. Con il nostro allenamento un avvicinamento di 1.500 metri di dislivello con successivo riposo può essere una passeggiata defaticante, ma quando le funivie erano aperte le abbiamo prese, per ottimizzare i tempi e per rendere i percorsi meno noiosi. In totale le abbiamo utilizzate in cinque occasioni e in due i trenini, quello dello Jungfraujoch nell’Oberland e uno a Chamonix, rientrando dal rifugio Couvercle. In 27 giorni abbiamo fatto 200 ore di attività in montagna. Quando ci si espone così tanto, dei piccoli rischi ci sono sempre e siamo stati fortunati perché non è successo niente e non abbiamo neppure avuto acciacchi fisici rilevanti. Come per il concatenamento delle Ande nel 2018, per ogni cima scalata ho scattato una foto georeferenziata. Sicuramente in una settimana di bel tempo salirò anche le 15 cime che ci rimangono, ma non ora, non ho la giusta motivazione per continuare. Per completarle mi piacerebbe puntare più sulla qualità, per esempio salendo in giornata l’integrale di Peuterey, come ha fatto il mio socio Gabriele, accoppiando la salita di Blanche e Grand Pilier d’Angle. Infine mi piacerebbe portare con me sull’ultima cima, che potrebbe essere lo Zinalrothorn, la mia ragazza per regalare a lei il suo primo quattromila e a me una doppia soddisfazione. Arrivederci, a presto!

Silvestro Franchini

©Silvestro Franchini/Gabriele Carrara

Capitolo 2 / Gabriele, il Berghem

Sono un ragazzo normalissimo, si fa per dire. Ho un fratello gemello e altri due più piccoli. Finito il periodo travagliato delle superiori, ho iniziato a lavorare stagionalmente nei rifugi, passando dal Tosa Pedrotti nelle Dolomiti di Brenta, al Torino e al Monzino sul Monte Bianco. Non basterebbero le parole per spiegare la mia passione per la montagna e ora ho finito il corso Aspiranti Guide alpine del Collegio Lombardia. Credo molto nella forza della natura e della montagna come motivo di salvezza e viaggio dentro di sé. Ritengo l’alpinismo una forma di sano egoismo necessario a conoscere se stessi. I silenzi che questi ambienti ci regalano e gli attimi di solitudine ci permettono di arrivare a un equilibrio interiore. Il nostro è stato un viaggio nato per caso da un messaggio che Silvestro mi aveva mandato più di un mese prima della nostra partenza e che io non avevo visualizzato.

Ci siamo incontrati e lui si era già organizzato, a me non è rimasto che aggregarmi; volevo conoscere parte dell’arco alpino e avevo bisogno di ritrovare un po’ di pace dopo un periodo non facile, pace che i ritmi della società sicuramente non mi avevano aiutato a trovare. Questo viaggio mi ha regalato una bella amicizia e la realizzazione di un grande sogno: attraversare in stile alpino la cresta integrale della Peuterey in giornata, partendo e tornando dal campeggio La Sorgente in Val Veny. Avendo lavorato al Rifugio Torino e al Monzino la vedevo tutte le mattine e la traversata è sempre stata un sogno nel cassetto da realizzare. Su questa affascinante e affilata linea si sono spese e si spendono un sacco di parole, spesso inutili. Sarebbe sufficiente stare in silenzio, chiudere gli occhi per iniziare a sognare il tragitto, facendo il primo passo verso di lei. Per me è stato così.

L’ho osservata e le sono girato attorno parecchi anni, sono serviti altrettanti giorni di ravanate e delusioni lontano da lei per potermi sentire pronto ad affrontarla nel mio stile: in autonomia, in velocità e in compagnia dell’amico Marco Farina. In questa salita non sono stato accompagnato dal mio compagno Silvestro perché per motivi di lavoro era impegnato. Non è una salita qualunque e per affrontarla come volevo era neces- sario un buon feeling, che ho trovato fin da subito con il mio socio. Mi piace pensare che non sia solo una cresta, ma la cresta. Mi piace credere che rappresenti il legame tra la terra e il cielo, tra la realtà e il sogno e quel giorno ero lì a camminare nel mio sogno più grande, accarezzando il cielo, in compagnia di un amico. È stato magico condividere con Marco questo momento. È stato bello fare il giro dei quattromila con Silvestro.

Sembrerà strano ma ho imparato di più dalle 13 cime che abbiamo saltato piuttosto che dalle 69 che abbiamo raggiunto e che si sono concesse. Porterò sempre con me l’insegnamento di saper rinunciare umilmente di fronte alla forza della natura, consapevoli che è la montagna che si concede. A noi non resta che attendere e nel dubbio allenarci. I dettagli del viaggio li ho lasciati raccontare a Silvestro, Guida alpina di Madonna di Campiglio, che in montagna ci è nato e ci vive e sicuramente ha molta più esperienza di me. Io adesso porterò Werby al mare a cercare una bella furgonetta: se la merita. Grazie Alpi, grazie soci! Adesso è ora di aprire gli occhi e pensare a qualcos’altro. Ah! Grazie Werby, sei una roccia. Grazie a tutte le persone che in questi anni ho incontrato e che con la loro umiltà, determinazione e lealtà mi hanno indicato la strada. Sono stati due mesi alla Grande Grimpe.

Gabriele Carrara

©Silvestro Franchini/Gabriele Carrara

Capitolo 3 / Diario: 45 giorni in cresta

di Gabriele Carrara

13 maggio / La prima tappa ci fa capire subito che non sarà per nulla facile: la visibilità scarsa e il vento che soffia forte, abbinati alla neve caduta al suolo nei giorni precedenti, diventano una combo molto pericolosa. Per fortuna, grazie anche all’aiuto del GPS, arriviamo in cima, direttamente con gli sci, prima al Dôme de Neige des Écrins (4.015 m), dove il papà di Tiziano ci aspetta, poi alla Barre des Écrins (4.101 m). Le condizioni sono tutto tranne che facili a causa del verglas. Ambiente selvaggio, montagna vera.

14 maggio / Siamo in direzione del Grand Combin, il vento non molla nemmeno oggi, anzi, sembra voler spingere ancor di più; nella parte alta raffiche a 70 km/h ci fanno perdere un po’ l’orientamento, ma saliamo tre cime: il Combin de Valsorey (4.184 m) dalla Parete Nord-Ovest per poi proseguire verso il Grand Combin de Grafeneire (4.314 m). Purtroppo saliamo anche la cimetta in parte, convinti che sia il Combin de la Tsessette (4.141 m), invece due giorni più tardi ci accorgeremo che è l’Aiguille de Croissaint, sempre un quattromila che però non fa parte degli 82.

Giornata resa molto fredda dal vento e direi anche abbastanza lunga, visto lo sviluppo e il dislivello. Ci toccherà tornare in futuro per una buona gita scialpinistica, del resto sarà una motivazione in più, anche se questo posto di motivazioni per tornarci ne ha ben più di una: magnifico.

15 maggio / Prima giornata quasi rilassante alla Dent D’Hérens (4.171 m). Se si esclude la passeggiata lungo il lago, abbastanza frustrante da fare con gli sci in spalla, si rivelerà una delle mete top, sciisticamente parlando.

16 maggio / Siamo a Pont in Valsavarenche, verso il Gran Paradiso (4.061 m). Niente piani da spingere, poco portage degli sci, in pratica un vertical. Giornata quasi relax se non fosse per la malsana idea di ripartire subito verso Campo Moro, ai piedi del Bernina.

17 maggio / Meteo orribile, nebbia da nausea, neve tutto tranne che bella: Piz Bernina (4.049 m), il GPS funziona davvero, ma a me si rompe lo scarpone. È l’ultima cima fatta insieme a Tiziano e suo papà, per me e Silvestro sarà ancora lunga.

22 maggio / Saliti il giorno prima al bivacco, dopo la pausa per
il maltempo e condizioni pericolose, ripartiamo dal Weissmies (4.023 m). Sempre tanta neve, anzi, più di prima, e far traccia con queste condizioni inizia a pesare anche di testa: per fortuna abbiamo gli sci ai piedi. Poi il Lagginhorn (4.010 m), salito dalla cresta, questa volta a piedi, e affondare fino al ginocchio non è un caso. Nel pomeriggio prendiamo la funivia a Saas-Fee e saliamo a dormire alla Britannia Hütte.

23 maggio / Giornata da incorniciare. Le prime tracce che incontriamo sul nostro viaggio: che goduria non sfondare, ma non durerà molto... La discesa con i nostri sci stretti è da panico, neve cartone. Saliamo così lo Strahlhorn (4.190 m), poi il Rimpfischhorn (4.199 m) e per finire il dislivello positivo di giornata puntiamo diretti dalla west face dell’Allalinhorn (4.027 m). Sarebbe top anche da sciare in discesa, peccato che Werby sia dalla parte opposta e allora arriviamo con gli sci ai piedi, sul cosiddetto firn remol, fino a Saas-Fee: discesa altrettanto da sogno.

24 maggio / Altra gita da sogno per ogni scialpinista, se poi si riesce
a trovare anche la powder, beh allora il Bishorn (4.153 m) è una delle gite scialpinistiche più belle dell’arco alpino. Poca fatica, massima resa.

27 maggio / Siamo già al rifugio Couvercle, dove siamo saliti il giorno prima. Ci aspetta una giornatona, la prima un po’ più tecnica. Avvicinamento alle cime con gli sci, ma poi li lasciamo alla base e proseguiamo con picca e ramponi. Saliamo e scendiamo Les Droites (4.000 m), riscendiamo, traversiamo con gli sci e infine li lasciamo alla base del Couloir Whymper, da dove scenderemo a piedi. Saliamo in sequenza l’Aiguille du Jardin (4.035 m), Grande Rocheuse (4.102 m) e Aiguille Verte (4.122 m) per poi scendere a valle e prendere il trenino di Montenvers e raggiungere Chamonix. In cresta troviamo tanta neve, condizioni più che invernali e... appena il sole scalda meglio, togliersi dai pendii! Una volta a Chamonix basta la sfida a chi mangia il panino più grosso e una sola birra per collassare tra le lamiere di Werby e svegliarsi il giorno dopo sotto l’ennesima pioggia primaverile.

30 maggio / Il meteo oggi ci grazia. Le condizioni sarebbero
da powder day con un palettone sotto i piedi, altro che scarponi
e ramponi sulla Dent Blanche. Ieri il GPS è stato utile: tre ore per arrivare al bivacco della Dent Blanche nella nebbia, bufera con visibilità a 10 metri: uno schifo. Oggi 20 metri di kevlar, qualche moschettone e cordino, ramponi, due piccozze e via a fare la king of ravanage del nostro viaggio. Se la salita è impegnativa, la discesa sarà abbastanza da panico. Saliamo dalla cresta della via normale fino alla Dent Blanche (4.357 m): panorama tra i più belli di tutte le Alpi. Non scendiamo dalla cresta, da dove siamo saliti, perché le parti più ripide dove abbiamo dovuto scalicchiare risulterebbero troppo laboriose per calarci e non abbiamo molto materiale a disposizione. Scendiamo dalla parete Ovest. In certi punti c’è neve fino al bacino, per fortuna fa freddo, il pendio è stabile e, recuperati gli sci, ci godiamo le discese polverose con ampi curvoni verso Ferpècle e, con la solita oretta di portage degli sci sullo zaino, rientriamo da Werby.

31 maggio / Siamo a Zermatt da ieri pomeriggio e questa mattina prendiamo la funivia del piccolo Cervino. La tecnica è sempre la stessa: sci dove si può e ravanage dove gli attrezzi rimangono sulle spalle. Partiamo dal Breithorn Occidentale (4.165 m), per poi proseguire sempre sul filo di cresta dove, tolte le normali sulle cime classiche, di tracciato non c’è nulla e così testa bassa e tritare. Passiamo dal Breithorn Centrale (4.160 m), Breithorn Orientale (4.141 m), Gemello del Breithorn (4.106 m), Roccia Nera (4.075 m), Polluce (4.092 m), Castore (4.228 m), punta Felik (4.087 m), Lyskamm Occidentale (4.481 m), Lyskamm Est (4.527 m) per arrivare verso pomeriggio-sera alla Capanna Gnifetti.

1 giugno / Partiamo presto perché di neve ce n’è ancora parecchia
ed è meglio muoversi nelle ore meno calde. Si comincia dalla Punta Giordani (4.046 m), proseguendo per la Piramide Vincent (4.215 m), Corno Nero (4.322 m), Ludwigshöhe (4.342 m), Punta Parrot (4.436 m), Punta Gnifetti (4.554 m). Sembra davvero una collezione di figurine vista la facilità nel percorrerle, ma per fortuna dalla Punta Zumstein (4.563 m) alla Grenzgipfel (4.618 m) e Punta Dufour (4.634 m) cambia il terreno, che diventa più tecnico e, dovendo batter traccia, la motivazione risale. L’ultima cima di giornata è la Nordend (4.612 m) che dobbiamo salire dal pendio Nord-Ovest perché i crepacci sulla via normale sono troppo aperti e alcune Guide ci hanno detto che son tornate indietro. Ora non ci resta che goderci un’altra sciata, almeno fin dove si riesce.

3 giugno / Inizia davvero a fare caldo, ieri siamo saliti in bivacco, oggi alle tre di mattina siamo già in marcia verso il Weisshorn (4.506 m), uno dei quattromila più classici ed estetici delle Alpi.  Di notte non c’è più rigelo, lo zero termico è sopra i 4.000 metri
e dobbiamo muoverci senza sci, si fa una gran fatica. Serve solo pazienza, di certo non si può pensare di essere veloci, ma allo stesso tempo anticipare le ore di sole, muovendosi di notte, è l’unica opzione. Basta dire che alle otto di mattina, tornando verso valle,
la neve è già marcia e a quote intorno ai 4.000 si sprofonda fino
al bacino. Il pomeriggio siamo dall’altra parte del versante e con
la funivia arriviamo alla stazione intermedia del Piccolo Cervino
per dormire e dirigerci il giorno dopo verso la Gran Becca.

4 giugno / La notte ha piovigginato e il cielo nuvoloso non ha indurito la neve, un calvario fino al rifugio Hörnli. Si sprofonda su una crosta che, a forza di battermi negli stinchi, fa male. Il rifugio è ancora chiuso, allora entriamo nel locale invernale dove io cerco di riprendermi un attimo, oggi sto davvero male. Per fortuna la cresta dell’Hörnli è ben pulita e in poco raggiungiamo la cima del Cervino (4.478 m). Il nostro progetto inizia a prendere forma, da qui riusciamo a identificare gran parte delle cime salite, dal Monte Rosa, alle vette sopra Zermatt, il Combin, la Dent d’Heréns, il Weisshorn, lo Zinalrothorn e l’Obergabelhorn, dove tenteremo di salire domani mattina.

5 giugno / Rinunciamo all’ Obergabelhorn per condizioni davvero troppo pericolose:
sempre più caldo e ancora troppa neve. Più lontano si vede il Monte Bianco, là ci sono le gite che mi hanno dato la motivazione in tutto il nostro viaggio e presto sarà il loro momento.

17 giugno / Riprendiamo il viaggio lasciando Werby a Fiesch e prendendo il trenino rosso, che in cinque ore tra attesa e viaggio
ci porta allo Jungfraujoch. Centosettanta euro a testa di biglietto:
a questo giro le cime da salire hanno un sapore più costoso. Si passa da Grindelwald. Saranno le nostre ultime cime con gli sci d’alpi- nismo, una volta scesi dal trenino si sale prima la Jungfrau (4.158 m) e poi il Mönch (4.105 m). Se gli altri giorni, tolte le due giornate al Monte Rosa e quella a Zermatt, dovevamo tracciare e non abbiamo incontrato nessuno, qui di gente ce n’è anche troppa.

18 giugno / A mezzanotte suona la sveglia, la luna è quasi piena, tutto stellato, il top. Dal rifugio Mönch mettiamo gli sci verso valle
e su questi immensi ghiacciai per ben 10 minuti non facciamo nemmeno mezza curva; ci lasciamo trasportare dai nostri sci su lievi pendenze, solo il rumore delle solette che sfregano sulla neve dura e i giochi di ombre che la luna crea, non un filo di vento. Arrivati all’attacco della prima salita, iniziamo a togliere metri positivi a una giornata abbastanza lunga: prima il Gross Grünhorn (4.044 m), Hinter Fiescherhorn (4.025 m), Gross Fieschhorn (4.049 m) e infine l’ultima lunga salita al Finsteraarhorn (4.274 m), altra cima bellis- sima. Non ci resta che andare verso il Concordia, altri 200 metri di salita fino al colle e poi più di 100 metri di dislivello su scale di ferro per raggiungere il rifugio, il calvario finale.

19 giugno / La nostra ultima cima con gli sci cerchiamo di godercela al meglio, è l’Aletschhorn (4.195 m). Gita bellissima e rientro fino
a Fiesch veramente lungo. Sopra il paese prendiamo la funivia che
ci riporta in valle. Se sulle Alpi esiste un paradiso dello scialpinismo, è proprio qui, nell’Oberland Bernese!

23 giugno / Messi gli sci in cantina, siamo finalmente al Monte Bianco. Dal rifugio Monzino, per me il più bello che abbia mai visto, saliamo verso Eccles con l’idea di scalare il Pilier d’Angle e l’Aguille Blanche. Le condizioni sono le solite, si sprofonda, fa caldo anche se, come dice qualcuno in montagna, di caldo non è mai morto nessuno. Il nostro caldo è riferito solo alle condizioni ottimali per muoversi in alta montagna, quindi bisogna variare il programma. Passare sotto il pilone è da follli. Anticipiamo parte della gita del giorno seguente e saliamo al Col Émile Rey per poi salire il Monte Brouillard (4.068 m) e Punta Baretti (4.006 m).

Torniamo infine al bivacco Eccles dove passeremo il resto della giornata a dormire, mangiare e bere, cercando di immagazzinare più energie possibili in previsione dei tre giorni successivi.

24 giugno / Direzione Monte Bianco, la cima più alta del nostro viaggio, e per arrivarci facciamo la cresta del Brouillard passando dal Picco Luigi Amedeo (4.470 m), poi Mont Blanc de Courmayeur (4.765 m) e vetta (4.807 m). Sembra di essere sulle strade dello Stelvio nella stagione di punta, dove di ciclisti ne salgono veramente tanti; uguale, una processione che una volta giunti al Dôme du Goûter (4.306 m) abbandoniamo per dirigerci verso l’Aiguille de Bionnassay (4.052 m). Da qui scendiamo dal rifugio Gonella, verso il Miage.

25 giugno / Siamo sulla cresta più arrampicatoria dei quattromila delle Alpi, l’Arête du Diable: giornata super, granito eccellente, voglia di scalare a bomba e senza accorgercene saliamo in successione Corne du Diable (4.064 m), Pointe Chaubert (4.074 m), Pointe Médiane (4.097 m), Pointe Carmen (4.109 m), L’isolée (4.114 m) e Mont Blanc du Tacul (4.248 m). Qui lasciamo gli zaini e, un po’ veloci, sicuramente più leggeri, procediamo verso il Mont Maudit (4.468 m). Rientriamo poi al rifugio Torino, dove eravamo già saliti il pomeriggio prima con la funivia Skyway.

26 giugno / Ultimo giornatone in compagnia di Silvestro, prima della pausa per impegni lavorativi. A mezzanotte suona la sveglia e, dopo una colazione doc al rifugio Torino, ci dirigiamo verso la prima cima di giornata: Dente del Gigante (4.014 m), proseguendo poi per l’Aiguille de Rochefort (4.001 m) e Dôme de Rochefort (4.015 m). Alle prime luci dell’alba siamo in zona bivacco Canzio, dove saliamo punta Young, poi verso la Punta Margherita (4.065 m), Punta Elena (4.045 m), Punta Croz (4.110 m), Punta Whymper (4.184 m) e per finire la Punta Walker (4.208 m). La discesa è un calvario, eppure non sono ancora le dieci di mattina: neve granita, si sfonda fino al bacino. È impensabile riuscire a sfruttare le giornate a pieno e una volta arrivati in Val Ferret ci fermiamo
e decidiamo che le prossime cime per ora rimangono lì. Consapevoli
di averci provato e di aver imparato tanto, portandoci a casa una bella amicizia ed emozioni che rimarranno per sempre.

©Silvestro Franchini/Gabriele Carrara

Postfazione / Due ragazzi e un furgone

Siete passati dal vento gelido della Barre des Écrins al caldo torrido del Monte Rosa; dalla polvere della Dent Blanche alle creste in condizioni perfette dell’Arête du Diable; dalla selvaggia cresta delle Brouillard al sovraffollamento della cima del Monte Bianco; dalla neve alla roccia, dalle creste ai sentieri, in una primavera strana con le condizioni che vi dicevano di non partire, ma il vostro spirito vi ha spinto a provarci. Vi siete avventurati in luoghi in cui non eravate mai stati, là dove si sono scritte le pagine storiche dell’alpinismo di ricerca. Alla fine ne è nata una bella amicizia oltre che la conoscenza di tutto questo territorio (l’arco alpino e i suoi quattromila) che tanto ci ha dato e tanto continua a toglierci. Avete percorso il tragitto a bordo di Werby, il nostro compagno di avventure: un furgone Volkswagen targato alfa whisky ormai più che maggiorenne, che vanta oltre 300.000 chilometri in giro per l’Italia, dalle Alpi alle coste della Sardegna, sempre con lo stesso spirito randagio. Sono stati 46 giorni di azione e allo stesso tempo di attesa, immersi nella natura più selvaggia delle Alpi, lontani dal turismo dell’alta stagione, lontani dalle comodità che la società ci propone.

Le tappe si sono rivelate più difficili del previsto; il vostro obiettivo non è mai stato un record, ma prendervi il giusto tempo per legare come persone e vivere i momenti con le loro emozioni. Il dover spesso battere traccia, l’aver incontrato poche persone,
il periodo primaverile vi hanno fatto un grosso regalo, quello di potervi sentire parte di questo ambiente misterioso, dove il vento che accarezza le creste sembra narrare le storie di chi prima di voi ha percorso lo stesso tragitto alla ricerca di se stesso. È stato un viaggio all’insegna dell’avventura e della ricerca, legati alla natura
e ai suoi ritmi, alle sue scelte e opportunità. Vi siete fatti ispirare da chi in passato ha avuto il coraggio di avventurarsi in questi luoghi, da chi ha saputo coltivare e condividere le idee e le emozioni di un viaggio così. Avete passato otto notti in rifugio, sette in bivacco e le restanti con il vostro terzo compagno di viaggio, Werby. Si potrebbe anche definirla un’avventura dall’alba al tramonto, sicuramente non facile da gestire.

Ricordo una notte. Eravate ormai alla fine del viaggio, la montagna aveva deciso così. Erano le 4,15 del mattino e vi vedevo dalla finestra della mia camera del Rifugio Torino. Alle prime luci dell’alba si scorgeva la sagoma del Dente del Gigante e le lucine, in prossimità del DÔme du Rochefort, muoversi a fil di cielo in direzione delle Grandes Jorasses. Un altro giorno, esattamente il quarto dalla vostra partenza, tu Gabriele eri felice di essere partito e anche Werby sembrava esserlo. Arrivati in Valgrisenche il clacson ha iniziato a suonare all’impaz- zata. Ricordo ancora la tua voce quando mi hai chiamato per dirmi che avevi tagliato i fili perché non smetteva di suonare. Non ne voleva sapere di tacere. Era un po’ come tu in quel momento: felice di essere in viaggio, alla ricerca di nuove emozioni, alla ricerca della tranquillità. È stato magico condividere tutto questo con voi, passando le notti insonni leggendo i pochi messaggi che mi mandavate. È stato emozionante farmi vivere la vostra avventura. Non sarei mai stato
in grado, ma amo questi luoghi e li osservo tutti i giorni con tanta passione e stupore.

Sono sicuro che i tempi non ve li ricorderete e tanto meno il numero di birrette bevute – troppe per contarle – ma sono certo che rammenterete per sempre chi si mangiava il panino più grande una volta rientrati dalla gita. Come quel giorno che siete arrivati al rifugio Couvercle dopo aver attraversato le Droites, l’Aiguille du Jardin, Grande Rocheuse e Aiguille Verte in giornata, passando dagli sci per tracciare la via nelle neve fresca, agli scarponi per percorrere le creste. Il rifugista vi ha riempito di orgoglio con quella frase c’est pas possible, incredulo della vostra prestazione. È forse da qui, fratello, che è iniziato il tuo vero viaggio alla conquista di quella pace e serenità che sembrava tanto difficile da raggiungere ma che con la tua determinazione sei riuscito a guadagnare. Era il tuo momento e hai saputo sfruttarlo; l’impossibile stava diventando possibile.

Nessuno vi ha obbligato a partire, nessuno vi ha detto di fare questo giro. Avete dimostrato che quello che conta sono i sacrifici fatti negli anni e di averli fatti divertendovi, senza mai perdere la passione per questi luoghi. Forse è questa la cosa che più di tutto vi ha unito. La vostra passione si legge negli occhi e nelle parole, in un periodo in cui i tempi e le prestazioni da record sembrano essere l’unica cosa importante. Siete stati due montanari romantici. Perché se i record sono fatti per essere battuti, le emozioni sono per sempre. Ho amato il vostro stile leggero e veloce. Ho ammirato il vostro incedere oltre la soglia di questi ambienti misteriosi e fragili, cercando di lasciarli incontaminati e senza traccia. Ormai si trovano bivacchi in condizioni vergognose, gente irrispettosa dell’ambiente che li ospita, così maestoso ma allo stesso tempo fragile. Ognuno di noi, nel proprio piccolo, può fare qualcosa ed essere di grande aiuto nella salvaguardia di questi fantastici luoghi. Grazie Silvi per aver condiviso con il mio gemello questo viaggio. Grazie gemello per aver condiviso con me queste emozioni che rimarranno per sempre. Queste non ce le batte nessuno.

Francesco Carrara

QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SU SKIALPER 126

©Silvestro Franchini/Gabriele Carrara

Tor in gamba, 9 atleti amputati sulle alte vie 1 e 2 della Valle d’Aosta

Il singolo non conta, i valori da condividere sono altri. Perché percorrere i 342 chilometri e 24.000 metri di dislivello positivo che uniscono Courmayeur attraverso l’Alta Via n. 1 e n. 2 della Valle d’Aosta sarà un viaggio. Ecco la sostanza di Tor in Gamba, al via il 12 settembre prossimo da Courmayeur, percorso da nove atleti amputati che non saranno mai soli. Accanto a ognuno di loro, atleti disabili, ci saranno un accompagnatore personale e una serie di compagni. Il progetto è nato grazie alla collaborazione tra Team3Gambe, Gamba in spalla e un gruppo di amici.

La partenza di Tor in Gamba avverrà da Courmayeur alle 10 di sabato 12 settembre. I nove endurance trailer e i loro accompagnatori avranno tempo fino alle 16 di sabato 19 settembre per completare le 30 tappe del programma della staffetta. Le trenta tappe del Tor ripercorrono il tracciato già utilizzato al Tor des Géants. Si partirà da Courmayeur – Piazza Brocherel – alle 9 del mattino di sabato 12 settembre e la prima frazione assicura già 1.411 metri di dislivello positivi e 578 negativi nei 12 chilometri di sviluppo. La tappa regina di Tor in Gamba è la numero 8. Il menu prevede 1.624 metri di dislivello positivo e 1.697 negativi per coprire la distanza di 24,5 chilometri che separano Eaux Rousse, nella Valsavarenche, da Cogne.

«Abbiamo studiato le tappe – dice Sergio Enrico, disegnatore del percorso – a misura dei nove atleti amputati che saranno al via. Ma non basta. Ognuno di loro presenta caratteristiche fisiche differenti a seconda dei diversi handicap fisici. L’idea della staffetta nasce dal rispetto delle capacità di ogni atleta che sarà impegnato nell’evento. Alcuni di loro percorreranno tratti più lunghi, altri più brevi, alcuni cammineranno in salita, altri in discesa. I trailer saranno impegnati giorno e notte coprendo, a turno con cambi di staffetta in luoghi messi a punto dall’organizzazione, quattro tappe nell’arco delle 24 ore. La base vita del Tor sarà a Villeneuve, presso l’Hotel des Roses dove gli atleti troveranno massaggiatori pronti a prendersi cura dei propri muscoli, pasti caldi, docce e camere dove riposarsi.

I nove paratleti al via saranno Andrea Lanfri, Cesare Galli, Francis Desandrè, Lino Cianciotto, Massimo Cavenago, Massimo Coda, Salvatore Cutaia, Loris Miloni e Moreno Pesce.

 


Il 20 settembre c'è il Trail degli Eroi

Si avvia al termine l’estate senza gare del trail running. Sono stati pochissimi gli eventi andati in scena, sostituiti da FKT e record personali. A fine mese però quella che è diventata ormai una delle classiche del panorama italiano andrà regolarmente in scena: il Tecnica Trail degli Eroi, che festeggia proprio quest’anno la sua decima edizione. Si corre lungo i principali crinali del Massiccio del Grappa, ricalcando dove possibile i tratti di trincea teatro della Prima Guerra Mondiale e l'Alta Via degli Eroi. Il nome della manifestazione è un omaggio ai protagonisti della Grande Guerra, per una manifestazione che propone un connubio unico e autentico di sport e storia, compreso il suggestivo passaggio presso il Sacrario di Cima Grappa, dove riposano le spoglie di oltre 20.000 soldati caduti su queste montagne. Per il decennale hanno già dato la loro adesione a una delle tre gare in programma gli uomini che hanno formato il podio della prima edizione: il vincitore Mirco Righele, il secondo Fabio Caverzan e il nostro collaboratore Nicola Giovannelli, terzo classificato. Tra i top ci saranno anche Riccardo BorgialliStefano Rinaldi e Riccardo Montani.

L’appuntamento è domenica 20 settembre a Seren del Grappa, in provincia di Belluno, su tre diversi percorsi e distanze:

- Tecnica Trail degli Eroi: 48 km di distanza con 2910 m di dislivello positivo

- Tecnica Sky degli Eroi: 23 km di distanza con 1800 m di dislivello positivo

- Tecnica Ultra degli Eroi: 60 km di distanza con 4110 m di dislivello positivo

Nel pacco gara ci sarà uno scaldacollo molto particolare che, ripiegato in almeno 4 strati, questo fornisce una protezione con efficienza di filtrazione (BFE) elevata, pari al 90% (il valore per essere nella categoria medicale è 95). Indossato come una mascherina gli strati diventano 12, fornendo un grado di efficienza ancora maggiore.

Tecnica sarà presente durante la manifestazione per presentare e far testare ai trail runner presenti Origin, la prima scarpa da trail running con tecnologia C.A.S custom adaptive shape, che consente di personalizzare la calzata in negozio in soli 15 minuti.