Horn Attacke a Hannes Perkmann e Annelise Felderer

Sabato appuntamento con la Horn Attacke che da Bolzano porta fin sul Corno del Renon. Tre o due frazioni per le staffette, ma un’unica grande faticata per gli individuali, con 20 km e 2.000 metri di dislivello, due primi tratti di corsa, con la salita da Bolzano verso Soprabolzano, ed una seconda dall’arrivo della funivia del Renon fino a Pemmern, e poi via con gli sci e le pelli fino in vetta, un po’ in pista e un po’ in fuoripista in una giornata splendida, anche se a tratti una leggera nebbia ha offuscato l’affascinante veduta a 360° su alcune delle montagne più belle dell’Alto Adige.
Hannes Perkmann, già primo nel 2017, è partito spedito fin dalla prima rampa di Santa Maddalena, andando ad incrementare il vantaggio inizialmente su Philipp Plunger ed Henry Hofer, quindi a metà della prima salita sul solo Hofer, raggranellando oltre 2’ a Soprabolzano e addirittura oltre 3’20” a Pemmern, prima di calzare gli sci d’alpinismo. Poi Perkmann, atleta di Sarentino, ha badato saggiamente ad amministrare il vantaggio, anche perché Hofer nella prima parte di ascesa con gli sci ha sbagliato percorso, per sua ammissione a causa di un errore personale; Hofer poi ha messo il turbo ma il suo miglior tempo con gli sci non gli ha comunque consentito il sorpasso.

Hannes Perkmann ©Newspower.it

Hannes Perkmann ha chiuso la fatica dei 2.000 metri di dislivello in 2h03’40” con oltre 3’ su Hofer (2h06’58”). Sul podio, e meritatamente, c’è salito anche il gardenese Georg Piazza (2h14’49”). Dietro Philipp Plunger, Tobias Geiser, Franz Hofer, Anton Steiner, Andreas Öhler, Stefano Facchini e Alessandro Forni, finiti nell’ordine nei primi dieci posti.
Schiacciante, al femminile, il successo di Annelise Felderer, due volte vincitrice in passato e anche lei della Val Sarentino come Perkmann, prima nella corsa e prima con gli sci. Nulla ha potuto Anna Pircher. Ha chiuso con 2h35’48” e con oltre 8’ sulla rivale di Laces (2h44’13”). A podio anche Priska Gasser, con due quarte posizioni nella corsa e nello scialpinismo.

I vincitori della Horn Attacke 2019 ©Newspower.it

In gara anche le staffette a 2 o 3 frazionisti. Florian Zeisler e Michael Zemmer hanno dominato nella staffetta a due. Il primo nella corsa ha staccato il terzo tempo, Zemmer è riuscito a fare il vuoto con gli sci, un buon mix per i portacolori di Happy Fitness e Bogn da Nia che hanno prevalso sulla coppia Christian Moser e Andreas Gufler, ottimi secondi nelle due frazioni. Nella gara a tre vittoria del team Pseirer Alpinflitzer con Armin Larch, Hansrudi Brugger e Lukas Mangger.


Spazio lettori: La Belle Etoile

Secondo atto del nostro spazio dedicato alle storie delle vostre gare. Ecco allora come è andato il debutto di Steppina in Francia.

La Belle Etoile, ma toh che bel nome per una gara di scialpinismo! L’è bel d’el bun.
La Bella Stella: fammi vedere un po’ com’è. Apro la pagina internet e mi appaiono foto mozzafiato di creste innevate con scialpinisti controluce immersi in un cielo turchese come dipinto: che meraviglia!
Due giorni di gara sci-alpinistica nella regione Rhône Alpes, dipartimento d’Isère, Francia, 4600 m di dislivello totali: ma sì, che ottima occasione per vedere un nuovo luogo alpino! Mai stata in quelle zone: se ci andassi anche con amici esperti, faremmo giusto un paio di salite con due annesse discese; se invece mi iscrivo alla gara vado su e giù, qua e là per le Alpi ‘Franscesi’, paesaggi fiabeschi, sali da una valle-scendi dall’opposta, balzella sulle creste, zampetta nei canali e tutto in totale sicurezza perchè nelle gare piazzano le corde fisse nei passaggi pericolosi ed è obbligatorio usarle con la longe (imbraco, cordini, moschettoni).
Bene, bello, ma che dico: super! Solo che è a coppie… Bé ok, mando subito un messaggio all'amico Andrea, forte sci alpinista che gareggia ogni fine settimana. Mi risponde al volo: ‘Bel giochino. Non sapevo esistesse. Andiamo’.
Yeeeeehhh!
Io faccio l’iscrizione online (già questa per me è più impresa della gara), lui invita due suoi amici, pigliamo tutti insieme un monolocalino al volo per due notti a Prapoutel (dove parte e arriva la gara) finchè venerdì 18 gennaio alle ore 13 mi ritrovo a con Andrea, che ho visto due volte di sfuggita nella mia vita, e i suoi due amici: Maurino e Giacomino. Si ciao, piacere ‘Steppina’: siamo tutti “ini” nessuno che se la tira, bene.
Io non ho mai fatto una gara di sci-alpinismo in vita mia; so che si tolgono le pelli senza togliere gli sci, ma io non ho né zaino, né artva, né casco, né piccozza da gara. No problem, mi presta tutto Andrea che ha tutto moltiplicato. Bene di nuovo!
Verso l’ora di cena arriviamo in loco e seguendo le indicazioni inviateci per e-mail, troviamo il nostro monolocalino che va aperto con una combinazione di 5 numeri su una scatoletta murata accanto alla porta. Gira, cambia, togli, metti, riprova, ci tentiamo in quattro con questa combinazione malefica, ma la porta non si apre. Affranti e delusi, chiamiamo il proprietario che vive a Grenoble, 40 km da noi, e lo smuoviamo dall’accogliente cena in famiglia per salire, nel gelo invernale, a sbloccare la serratura e...figura di palta! Noi pensavamo che mettendo la combinazione, “clack, la porta si aprisse con sonoro scatto. Invece la combinazione permetteva di abbassare col ditino lo sportellino della scatoletta murata e dentro ecco la chiave per aprire la porta; conclusione: siamo 4 storditi! Va beh dai, andata… e il resto della sera Andrea lo passa a rilaminare i miei sci e a farmi imparare come infilarli nelle zaino al volo. Gli ricordo che io non ho mai gareggiato in vita mia e son qui per guardare il panorama, lui sogghigna, mi toglie la giacca di piumino dallo zaino e ci infila una giacchetta di carta bianca, quella dei muratori; mi toglie i copri pantaloni pesanti e ci mette dei cosi tipo cellophan; mi toglie pure i rampanti, toglie tutto a parte pala, sonda, ramponi che sono obbligatori! Aiuto…
Il mattino successivo, siamo sotto l’arco gonfiabile della partenza, gli sto ricordando che è compagno di una donna che per giunta non ha mai gareggiato e son qui solo per vedere e godere di cotanta bellezza, quando… ”PHUM” sparano il via e lui parte uguale: “PHUM” come una fucilata! Arranco a parecchia distanza da lui in salita, mi viene lo sconforto e urlo: “Oohhh, Andrea, sei con me, ricordi???!!”. Vedo che lui si ferma, ‘ravana’ sotto lo zaino, gli arrivo vicino, ‘zac’, al volo mi aggancia con un moschettone all’imbraco e un cordino ci unisce come un cordone ombelicale! Ossignur… Andrea continua come un levriero da corsa, col suo fisico snello, muscoli e tendini tirati, ma con potenza esplosiva; tac-tac-tac, passo cadenzato, ritmo serrato… Oh Andrea! O piuttosto: Oh Steppina, ma che diamine ci fai tu qui?? Com’è che ti sei ridotta così ??!! Vabbè dai, niente: ci siamo?! Andiamo!
Lui non molla mai, non mi da tregua né respiro, ma essendo molto più abile e forte di me, quando arriviamo in cima alle salite e dobbiamo togliere le pelli, bloccare scarponi, serrare attacchi, riesce sempre a darmi una mano… io son sempre tirata al cardiopalmo come Mennea nel record del Mondo, lui è come in gita domenicale col cono gelato in mano!
E giù dalle discese? No, niente, tutto dritto, zero curve: “Diamineeeeee mi si fulminano i quadricipiti, Andrea aspetta ostregaaaaa!”. Nulla da fare: è entrato in modalità gara, non sente ragioni, non si ricorda chi sono io rispetto a lui, mi tocca sputare i polmoni ho capito: ciao-ciao bellissimo paesaggio! ‘Ciaone’ stupende creste immacolate! Sono con Andrea, conosciuto come ‘Jeeg Robot d'Acciaio’ nel circuito delle gare skialper: ho poco da guardarvi, devo sgambettare e sforbiciare dislivelli come l’Apollo13 quando parte dalla rampa di lancio.


Nella prima giornata facciamo sei salite e sei discese, due canali ripidi con sci in spalla e ramponi ai piedi, due creste sempre con sci in spalla, ramponi ai piedi. Metti e togli le pelli, metti e togli gli sci, su e giù i ramponi, mi si incrociano i neuroni! Chiudo gli scarponi quando devo aprirli, li apro quando devo chiuderli, ma accanto a me Andrea, non perde un colpo e mi rimette sempre in bolla; io, come un robottino, dove mi mette, sto. Ma, sciolte le prime preoccupazioni, mi diverto un mondo e non sono mai andata così forte nella mia vita e tutt’intorno è splendente di radiosità che rinviene anche i morti e…. ma che bello raga!! Addirittura tagliamo il traguardo pochi istanti prima dei suoi due amici, Maurino e Giacomino (quest’ultimo 29enne), due uomini che già fanno gare! Uauuuu…che roba: davvero non riesco a crederci. A fine gara i responsabili controllano che nel nostro zaino ci siano pala, sonda e la giacca di riserva… töt a post!
Assai felici, sorrisi stampati sui visi tutti e quattro, ce ne andiamo nel nostro appartamentino, mettiam su una super pasta con eccesso di condimento, poi brioche con nutella come diluviasse e recuperiamo le forze, contandocela su alla grande carichi di entusiasmo. Adrenalina in circolo come una centrale idroelettrica che saltello come una molla e parlo a mitraglia, rimetto a posto lo zaino e Andrea nota che in un micro taschino ho il fischietto, oggettino piccino, che è nell’elenco del materiale obbligatorio per la gara. Andrea perentorio mi dice di toglierlo che mai in nessuna gara gli hanno controllato il fischietto… “ma è obbligatorio” gli dico. Niente, via anche quello, quei due microgrammi!
Seconda mattina, seconda manche, solo che oggi so quello che mi aspetta! Ok, io e Andrea partiamo già col famoso cordino perché ti cambia la vita: mica mi tira! Solo che lui non deve continuamente guardare dietro per vedere se ci sono: appena il cordino tira, lui rallenta un zic; e mentalmente per me è una manna: io vedo lui sempre qui davanti a me, sono tranquilla, non perdo il ritmo e vado di più; Andrea non ‘spara0 davanti anni luce che gli faccio da palla al piede e mi abbatto!
Siccome io ieri, in tutta quella fatica di 2300 m di dislivello, montagne russe fulminanti, non son riuscita a mangiare nulla e ho bevuto un solo-unico sorso dalla borraccia che Andrea mi teneva, oggi mi son messa nelle tasche della giacchetta almeno un gel di carboidrati liquidi perché manco esistono ristori lungo il percorso. Alla terza salita, metto la mano destra in tasca, strappo coi denti la confezioncina di gel per ingurgitarla, ma….’spriccchh’ mi ‘sguiscia’ tutta lungo la guancia destra e i capelli imbalsamandomi in uno strato mieloso e appiccicaticcio: no non ci siamo! Doveva entrarmi nel corpo quel ‘coso’ lì. Niente, non c’è tempo. Mi cade un guanto e per grazia di Dio Andrea mi dà tre secondi per raccoglierlo; più avanti mi cascano gli occhiali, un gran bel paio di occhiali: tento di bloccarli sulla neve con la racchetta, maaaa…’sciuuffff’ scivolano via gagliardamente beffardi lungo il pendio…cacchio! E vabbé, sta più desta Steppina.
Più avanti mi casca la fascia dalla fronte al naso, poi giù sulla bocca a soffocarmi… ma dove si è incastrata che non riesco a spostarla? E Andrea non pensa assolutamente ad una micro pausa per sistemarmi! Niente, avendo il casco in testa non riesco a rimetterla al suo posto: l’abbasso sul collo. Senza fascia, il casco in prestito, qualche taglia più grande del mio ‘crapino’, mi diventa larghissimo e in salita mi casca sugli occhi: eh certo, cosa vuoi, si chiama casco, casca! In discesa mi vola all’indietro modello paracadute, strangolandomi laccetto al collo: che disastro!! Lo tengo con una mano, ma così perdo l’equilibrio e rovino a terra alcune volte. No, no, non ci siamo proprio oggi Steppina: ma che è? In più sia a me che ad Andrea oggi non si riattaccano le pelli e dobbiamo usare quelle di scorta; ieri sempre le stesse.
Tuttavia, così conciata e goffa con gel in faccia e sui capelli, fascia cascante, casco pendente, occhiali persi, guanto recuperato, cadute a raffica, naso che cola, affronto le sette salite e sette discese di oggi, un canale ed una cresta: è tutto ok, ce la faccio e mi diverto pure un mondo! Andrea regge meglio che un bronzo di Riace e mi guarda serafico, ma mi aiuta pure ovviamente. Tagliamo il traguardo immediatamente dietro Maurino e Giacomino, quindi per me va stra-benissimo così: se non fosse successo tutto ciò, eravamo ancora davanti. Sì, ma che c’entra?! Anche se avessi le ali volerei, ma non le ho e non volo! Perciò oggi son stata più impacciata di ieri, ma altrettanto felice. Al controllo di fine tappa, ci fanno aprire lo zaino e ci chiedono… IL FISCHIETTO !!! Nooooooo, Andrea perdindirindina!! Il fischietto che mi hai fatto togliere ci costa alcuni minuti di penalità: ahahahah, le risate. Ma che ci importa delle penalità? E’ stato tutto così bello, il luogo, gli amici, le montagne; è andato tutto così divertentemente bene: evviva anche il fischietto mancante che ci ha fatto tanto ridere.
E io sono così allegra, ma anche orgogliosa: ho terminato questa impegnativa prima gara sci alpinistica della mia vita a 51 anni suonati, chi l’avrebbe mai detto ? Mi sento gioiosa come una bambina, canterina come un usignolo, felice come una Pasqua!
Massì dai amici, al di là di questa gara, anche nella nostra vita, è sempre il momento giusto per realizzare ciò che di buono e bello ci interessa e ci sta a cuore: proviamo! Tanto si fallisce il 100% delle volte che neanche si tenta!
Un grande abbraccio, vostra,
Steppina


Le vostre storie di gare in giro per il mondo: la Pierra Creta

Abbiamo ricevuto alcune mail di racconti delle vostre storie, o meglio delle vostre storie di gare in giro per il mondo. E allora spazio ai vostri racconti: il primo dedicato alla Pierra Creta in Grecia. Se volete partecipare anche voi con le vostre storie, sapete come fare, i nostri indirizzi mail li conoscete.

Fare sci alpinismo a Creta, a me e ai miei amici, ha regalato bellissime emozioni e siamo felici di condividerle. Siamo appena tornati dall’isola dove abbiamo fatto quattro giorni di skialp, partecipando anche alla Pierra Creta, la gara di sci alpinismo più a sud d’Europa.
Il nome prende spunto dalla prova più prestigiosa del mondo dello ski alp: la Pierra Creta è una manifestazione biennale giunta alla quarta edizione, disegnata sul monte più alto del isola, il Psiloritis che tocca quota 2456 metri. Le abbondanti nevicate hanno reso impegnativo il lavoro degli organizzatori che hanno preparato comunque un bellissimo percorso con partenza a quota 1200 metri per dare poi spazio a cinque salite e altrettante discese, con due tratti a piedi di cui uno con ramponi, e ovviamente il passaggio sulla cima per un totale di 1800 metri dislivello su 16 km.

Purtroppo, il giorno della gara, la fitta nebbia ha costretto gli organizzatori a rimandare la partenza per ritracciare un nuovo percorso più corto, affrontato da 186 atleti divisi in 93 coppie, provenienti da 11 nazioni. La vittoria è andata agli italiani Dorfmann-Verra seguiti da greci e norvegesi. Gli atleti hanno avuto le stesse sensazioni delle gare alpine con una aggiunta di calore esotico greco. Se volete andare nei prossimi anni, le informazioni le trovate sul sito pierracreta.gr, oppure sulla pagina Facebook Pierra Creta dove ci sono anche un sacco di foto.

Oltre alla gara, Creta si presta bene per fare vero ski alp, la neve è scesa fino a 1100-1200 metri, le salite sono dolci, mai troppo impegnative e le discese presentano una pendenza perfetta per farsi anche 1000 metri di dislivello in un sol boccone. Per le gite il monte più appropriato è il Lefka Ori: lì abbiamo fatto due gite fantastiche.
Cosma Verra



Sabato si aprono i Mondiali in Svizzera. Ecco gli azzurri in gara

Anche per lo ski-alp è tempo di medaglie iridate: sabato a Villars-sur-Ollon ci sarà la cerimonia d’apertura del campionati del mondo. Una rassegna forse più importante del solito quella svizzera di quest’anno, visto che sugli stessi tracciati il prossimo anno ci sarà il debutto dello sci alpinismo ai Giochi Olimpici, quelli giovanili di Losanna 2020.
Sabato la cerimonia d'apertura, domenica subito la prima gara, sprint con partenza alle 9, si prosegue lunedì con l’individuale giovani, martedì è tempo dell’individuale assoluta, mercoledì pomeriggio (con start alle 16) il vertical. Giovedì giornata di riposo, venerdì la team race, sabato spazio alle staffette.

ITALIA - 28 gli atleti azzurri in gara: a livello senior al via Robert Antonioli, Michele Boscacci, Matteo Eydallin, Damiano Lenzi, Nadir Maguet e Federico Nicolini e la sola Alba De Silvestro. A livello Espoir Henri Aymonod, Nicolò Canclini, Davide Magnini, Giulia Compagnoni, Mara Martini, Giulia Murada e Ilaria Veronese. Nel team Junior Daniele Corazza, Fabien e Sebastien Guichardaz, Giovanni Rossi, Samantha Bertolina e Valeria Pasquazzo, in quello Cadetti Rocco Baldini, Riccardo Boscacci, Simone Murada, Marco Salvadori, Luca Tomasoni, Silvia Berra, Noemi Gianola e Nicole Valli.


Come sarà la Pierra Menta 2019?

Lo sapete, quest’anno la Pierra Menta andrà in scena negli stessi giorni del campionato del mondo, da mercoledì 13 a sabato 16 marzo. Ma la gara di Arêches-Beaufort resta una grande classica, tappa de La Grande Course.
Sarà al via Laetitia Roux che gareggerà in coppia con la svizzera Severine Pont Combe: sono loro le favorite, ma ci proveranno le ‘nostre’ Martina Valmassoi ed Elena Nicolini, oltre alle francesi Adele Milloz e Sophie Mollard, la slovacca Mariana Jagercikova con la francese Valentine Fabre, la norvegese Malene Blikken Haukøy e l’austriaca Veronika Mayerhofer e le azzurre Katrin Bieler e Giorgia Falicetti.
Al maschile occhi puntati su Filippo Barazzuol e William Boffelli, Pietro Lanfranchi e Guido Giacomelli, Martin Stofner e Alex Oberbacher, Stefano Stradelli e François Cazzanelli, Filippo Beccari con il francese Yoann Sert e la squadra di casa con Didier Blanc e Valentin Favre. Ci saranno anche tre vincitori dell’Ultra Trail du Mont Blanc: due habitué come François D'Haene e Ludovic Pommeret, in gara rispettavamente con Alexis Traub e Julien Michelon, mentre debutta Xavier Thévenard in squadra con Benoit Nave.

LISTA ISCRITTI 2019


Sulle tracce di Coomba

Considerato tra i pionieri dello sci ripido d’oltreoceano, Doug Coombs ha lasciato un’eredità che va ben oltre le prime discese, l’audacia delle linee scelte, la ricerca dell’adrenalina, i molti trionfi (ha anche vinto il primo Campionato del Mondo di Sci Ripido a Valdez, in Alaska, nel 1991). Tra le pagine del libro Sulle tracce di Coomba colpisce il suo aspetto umano, l’energia contagiosa, l’amore per lo sci e per la famiglia, il suo infaticabile lavoro di Guida. «Non faccio niente di impossibile. Rendo possibile quello che gli altri pensano non lo sia» amava ripetere. Una giornata passata con lui ti poteva cambiare la vita, il suo interesse era farti migliorare, vivere al meglio ogni esperienza e, soprattutto, farti divertire. Un visionario, un personaggio che ha fatto scuola a Jackson Hole e ha plasmato il concetto di sci ripido ed heliski in Alaska, portando poi il suo gusto per la vita a La Grave, dove perì tragicamente il 3 aprile 2006, cercando di aiutare l'amico Chad VanderHam. A La Grave, dove la montagna è sempre pronta a farti capire chi comanda, trovò amici sinceri e un ambiente autentico.

Sulle tracce di Coomba, il libro che fa parte della collana Lamine di Mulatero Editore, scritto da Robert Cocuzzo, va alla scoperta di una figura leggendaria, un sognatore che ha fatto della sua umanità e della sua passione sfrenata per lo sci uno stile di vita. Abbiamo intervistato l'autore.

Non hai mai conosciuto Doug Coombs, eppure sei riuscito a completare una biografia molto ricca e completa, dove traspaiono tutte le sue emozioni e il personaggio di Doug si apprezza nella sua interezza. Che cosa ha attirato la tua attenzione alla vita di Doug Coombs fino a spingerti a scrivere un libro su di lui?

«Prima di tutto mi sembrava una sorta di eroe ideale. Ero cresciuto guardando i suoi video che lo ritraevano sfrecciare nella neve soffice lungo discese mozzafiato: mi sembrava una storia degna di essere narrata. Ma solo quando ho saputo che avevamo varie cose in comune - crescere nella stessa zona e nello stesso ambiente, effettuare le prime discese sulla medesima collina, Nashoba Valley nel Massachusetts – ho capito che potevo essere io l’autore di quel libro. Si può dire che sia stata la sua storia a trovare me in un momento in cui ero pronto a scriverla».

C’era una sorta di connessione tra i vostri mondi?

«Io sciavo all’incirca due settimane all’anno e ogni tanto calzavo gli sci per andare nelle vicinanze: i nostri mondi non erano di certo gli stessi. Ero comunque curioso di capire le circostanze che diedero il via alla sua carriera, le motivazioni dietro al suo personaggio. Ho cercato così di ricalcare i suoi passi, chiedendomi dove sarei potuto arrivare, e questo mi ha dato la motivazione per scrivere un libro».

Per chi l’hai scritto? Per te stesso o per gli altri?

«Scrivere un libro è un viaggio che ti porta alla scoperta di emozioni anche nascoste. Mi sono reso conto ben presto, però, che il mio lavoro era per David Coombs, il figlio di Doug, che aveva due anni quando il padre è morto. Le persone si rivolgevano sempre a David con parole di elogio ed entusiasmo nei confronti del padre, ma lui non poteva capire a fondo, non poteva avere ricordi tangibili. Con questo libro ho cercato di delineare la figura di Doug mettendo in luce tutte le sue sfaccettature».

Perché hai voluto seguire le orme di Doug al punto di recarti nei posti dove aveva vissuto?

«Nel tentativo di ricreare il personaggio di Doug, ho capito che conversazioni telefoniche o messaggi scambiati con chi l’aveva conosciuto non potevano essere abbastanza per capire a fondo la sua personalità. Dovevo mettermi nei suoi panni, sciare le sue linee, assaporare l’atmosfera che aveva vissuto e conoscere le persone che avevano condiviso il suo cammino».

E tu? Che ruolo hai nel libro?

«Beh, all’inizio non volevo includere tutte le parti che mi riguardano, perché non mi sembravano appropriate; in seguito ho capito che seguendo la sua storia sono riuscito a creare una sorta di testamento dell’impatto che ha avuto sullo sport, sulle persone incontrate, dando ai lettori la possibilità di entrare a far parte del suo mondo e apprezzarlo di più. Aggiungere le mie impressioni avrebbe fornito un mezzo per identificarsi ancora di più con il personaggio».

Sei molto onesto con le tue emozioni, rivelando paure, ansie, gioie. Avevi qualche timore sulla reazione dei lettori nei tuoi confronti?

«Sì, molti. Non tanto dei sentimenti di paura o delusione che avevo messo a nudo, o del mostrare che in certe occasioni ero decisamente fuori forma: più che altro non volevo dare l’impressione di essere come i grandi sciatori di cui si parlava nel libro, né di far parte di questa vicenda quasi eroica. In fondo, ero solamente lì per raccontare una storia. Temevo anche la reazione della famiglia di Doug, in particolare di sua moglie Emily: avrebbero potuto chiedermi il perché della mia presenza nel libro. Alla fine, cosa c’entravo io con la vita di Doug Coombs? Non l’avevo nemmeno mai incontrato».

La famiglia invece lo ha giudicato molto interessante.

«Sì. Quando il libro è stato pubblicato, si era già creato un buon rapporto tra la famiglia di Doug e me, e a loro è piaciuto molto il mio modo di raccontare la storia, creando un parallelo tra me e Doug, dando un’altra chiave di lettura del grande personaggio che aveva riempito le loro vite».

Nel tentativo di ricalcare i passi di Doug, sei andato dappertutto, prima a Jackson Hole, poi a Valdez in Alaska e infine a La Grave. Ti sei mai trovato a un punto morto? Che cosa ti spingeva ad andare avanti in questo progetto nei momenti di sconforto?

«Scrivere un libro può incutere timore ed essere scoraggiante. Durante i tre anni che mi sono serviti per completare il progetto, c’è stato un momento in cui non avevo un editore, avevo già investito tempo e denaro in quest’idea e non mi sembrava di arrivare a nessuna conclusione. Sarei dovuto ancora andare in Alaska e poi in Francia e tutta questa strada da percorrere mi spaventava non poco. Uno scrittore ha sempre momenti di dubbio o incertezza e io ne ho avuti non pochi; continuavo a dubitare del fatto che quello che stavo scrivendo valesse veramente qualcosa».

Ci sono stati anche momenti oscuri, quando è stato complicato trovare informazioni utili?

«Sì, ad esempio le circostanze della sua morte. Mi sono ritrovato a parlare con persone che non volevano assolutamente rivivere momenti così tragici. Guadagnarsi la fiducia di individui che ti hanno appena incontrato, riuscire a farli parlare di eventi che li hanno segnati così profondamente, non è stato per niente facile».

Sei tornato nei luoghi che avevi frequentato durante il progetto del libro?

«Non sono tornato a Valdez e nemmeno a La Grave. C’era questa idea di andare a La Grave per l’anniversario della morte di Doug, cosa che poi non è successa. La Grave sarà sempre un luogo molto importante nella mia vita per l'ospitalità ricevuta, l’umanità delle persone, le sensazioni provate. Avrei quasi paura a tornarci e rovinare quella che è stata un’esperienza davvero speciale. C’era anche l’idea di creare un documentario sul libro e sarei dovuto tornare a La Grave per ripetere gli eventi descritti, ma poi non se n’è fatto niente e so che le sensazioni non avrebbero potuto essere le stesse. La magia, l’energia di Valdez e La Grave sono state tali che non mi viene nemmeno voglia di ritornarci. Si tratta anche di luoghi molti pericolosi e avrei paura a sciare di nuovo quelle linee».

In termini di attrezzatura e di approccio degli sciatori, che differenze hai notato tra gli Stati Uniti e l’Europa?

«Per quanto riguarda l’attrezzatura, a Jackson Hole, ad esempio, non vedresti mai nessuno sciare con un imbrago, chiodi da ghiaccio o una corda nello zaino, cosa invece molto frequente, direi essenziale, a La Grave. La cultura europea in luoghi come La Grave è molto meno incentrata sull’ego del singolo sciatore. A Jackson Hole il testosterone si tocca quasi con mano, c’è sempre una sorta di gara per dimostrare chi è il miglior sciatore; a La Grave sono tutti ottimi sciatori, non ci sono competizioni, tutti conoscono i propri livelli e lasciano che la sciata parli per loro. Certo, entrare a far parte delle cerchie ristrette di La Grave, guadagnare la loro fiducia e integrarsi non è stato molto semplice. Direi comunque che in Europa c’è uno spirito particolare che non trovi negli Stati Uniti».

È stato questo uno dei motivi che spinse Doug a trasferirsi lì?

«Sì, credo proprio di sì. Doug era un personaggio molto noto a Jackson Hole, mentre a La Grave poteva essere se stesso e godersi una vita molto più autentica. Lì lo sci è allo stato puro, non ci sono pisteur, corde, segnali o indicazioni che delimitano una zona di pericolo. Sta a te giudicare se una linea è in condizione e se è possibile sciarla».

L’aspetto umano traspare molto chiaramente nel libro, andando ben oltre gli exploit di sci ripido ed estremo e creando un interesse per la persona di Doug, non solo per il favoloso sciatore. Un’umanità che traspare nelle circostanze dalla sua morte, nel fatto che, come guida, era interessato a darti una bella esperienza, non solo a portare i clienti in giro e guadagnarsi da vivere.

«La magia nella vita di Doug non riguardava solo il suo essere uno sciatore fenomenale. Aveva un’energia contagiosa, un ottimismo incondizionato, avrebbe illuminato qualsiasi stanza nella quale entrava e lo sguardo delle persone che ho incontrato risplendeva quando parlavano di lui. Il suo modo di essere aveva un impatto sulla vita degli altri».

Una storia di vita quindi.

«Sì, questa biografia racconta la vita di uno sciatore, ma potrebbe essere applicata a una qualsiasi altra sfera umana. Il libro non si focalizza solo sul mondo dello sci estremo, ma vuole toccare gli eventi attorno all’esistenza di una figura così carismatica, morta facendo quello che amava di più, aiutando un amico in pericolo. Una vera e propria esplorazione nel potere dello spirito umano: lo sci è stato una sorta di scenario per poi esplorare la vita affascinante di Doug».

È con questo spirito che è stata creata la Doug Coombs Foundation. Ce ne parli?

«Sì, sua moglie Emily ha creato la fondazione nel 2012 e da allora ospita circa duecento bambini a stagione. L’idea è di insegnare ai ragazzi di famiglie non abbienti a sciare, dando l’opportunità di eccellere in un ambiente, con la speranza che portino la fiducia e la sicurezza acquisita anche in altri campi. Lo sci è solo una scusa, un trampolino di lancio per poi dare il massimo in altre sfere».

DOUG COOMBS - Nato a Boston nel 1957 e cresciuto a Bedford, nel Massachusetts, è stato un pioniere dello sci ripido prima negli Stati Uniti (Tetons, Chugach) e poi in Europa. Un grave incidente a 16 anni non ferma la sua passione per le discese e nel 1991 vince il primo World Ski Extreme Championship a Valdez, Alaska, spiazzando la giuria per l’audacia delle linee scelte. Insieme alla moglie Emily fonda la Valdez Heli-Ski Guides nel 1993, poi gli Steep Skiing Camps a Jackson Hole che porta successivamente a La Grave. La sua sciata veloce e sinuosa, unendo potenza, controllo e grazia, era ineguagliabile. Amava dire che «il miglior sciatore è quello che si diverte di più» e viveva la sua vita con passione ed energia. È morto il 3 aprile 2006 mentre cercava di aiutare un amico caduto da un dirupo, Chad VanderHam.

COME ACQUISTARE IL LIBRO - Sulle tracce di Coomba (Mulatero Editore, 264 pagine, 19 euro) è in vendita nelle migliori librerie oppure si può ordinare online a questo link.

©Ace Kvale


Horn Attacke, ci siamo

Horn Attacke, ci siamo: sabato 9 marzo torna la prova che, partendo dai 262 metri di Bolzano, arriva a quota 2260 del Corno del Renon. 20 km e 2000 metri di dislivello, i primi 13 km di corsa, con le scarpette ai piedi, e poi con gli sci d’alpinismo nei 7 finali. La Horn Attacke è un duathlon da percorrersi in singolo o anche in squadra (composta da 2 o anche 3 atleti), una prova ‘vertiginosa’ arrivando, però, a godere di una vista impareggiabile.

PROGRAMMA - Il contest altoatesino si aprirà con la distribuzione dei pettorali a partire dalla giornata di venerdì dalle ore 9.30 alle ore 13 e dalle ore 14.30 alle ore 19 al Marmot Shop di Bolzano, prima dello start la giornata successiva alle ore 9. Anche prima della partenza ci sarà la distribuzione pettorali, dalle ore 6.30 alle ore 7.45. Il pranzo al Rifugio Feltuner completerà la giornata a partire dalle ore 11.30. La festa non finirà al termine della gara, poiché dopo il pasta party conclusivo verrà messa in palio una e-bike Prestige di Italwin del valore di 1.500 euro, e a vincerla non sarà come solitamente accade il primo o la prima ad arrivare sul traguardo della gara stessa, o la miglior staffetta, bensì si tratterà di un’estrazione tra tutti i partecipanti della Horn Attacke che determinerà il fortunato o la fortunata. L’estrazione avverrà davanti al rifugio Feltuner, alle ore 14 nel corso della cerimonia di premiazione. 5.280 euro invece il montepremi destinato ai migliori atleti. Martedì 5 marzo ultimo giorno per iscriversi, info su www.hornattacke.com

CURIOSITÀ - Un tracciato costantemente all’insù, con un passaggio a Soprabolzano a fianco della tenuta della famiglia Mair, inizialmente impegnata nell’allevamento di cavalli e dal 1996 di lama ed alpaca, con i quali alcuni componenti della famiglia percorsero anche un lungo e particolare cammino da Bolzano a Roma, fino a raggiungere Papa Francesco. 'Buffon', il lama di color nero della tenuta Mair, è riuscito persino ad ‘esibirsi’ alla trasmissione televisiva Italia’s Got Talent.


La Ski Alp Lagorai Cima d'Asta sarà prova di Coppa Italia

Domenica 10 marzo appuntamento con la ventinovesima edizione della Ski Alp Lagorai Cima d'Asta, che ha ricevuto un’importante attestazione federale proprio nelle ultime ore. La competizione del Tesino avrà infatti validità come prova di Coppa Italia, in sostituzione di una delle tappe inizialmente in calendario e non disputata. «Penso che lo spirito del movimento scialpinistico – commenta il presidente del comitato organizzatore Nicola Muller – sia quello di venire in contro a situazioni difficili. Per il circuito nazionale, causa la poca neve in quota in alcune zone alpine, era difficile mantenere il format di competizione e, seppure per noi questa richiesta dell’ultima ora aumenti pure i costi di gestione, abbiamo detto di sì».
Nel frattempo gli organizzatori dello Ski Team Lagorai stanno lavorando a pieno ritmo per l'allestimento della logistica e per preparare la traccia e le corde fisse, nei punti più impegnativi e belli del percorso. E la notizia più importante riguarda la conferma del percorso originale, con il transito ai 2847 metri della vetta del Zimon, così chiamano i tesini la loro granitica montagna. «I partecipanti - evidenzia il presidente dello Ski Team Lagorai – potranno gustarsi anche quest’anno il tracciato che ha reso famosa in tutto il mondo la nostra competizione. In questi giorni abbiamo fatto molti sopralluoghi, la neve non è tantissima ma è ben assestata e compatta, sufficiente per garantire una competizione in sicurezza. Si partirà dunque dai 1300 metri di Prà della Regola sopra il campeggio Val Malene. Gli sci alpinisti saliranno per la Val Tolvà fino alla Bocchetta dei Sassi. Qui ci sarà il primo cambio di assetto per la discesa fino alla Busa. Nuovo cambio di assetto e salita fino alla Cima d'Asta passando ai 2473 metri del Rifugio Ottone Brentari. Dal rifugio gli sci alpinisti passeranno dal lago che è ghiacciato e coperto di neve fino all’imbocco del canale dei Bassanesi, dove avrà inizio il lungo e tecnico tratto a piedi per affrontare la spettacolare cresta di Cima d’Asta. Dalla vetta si discende sul versante nord fino al breve canale della Forzeletta, altro tratto tecnico da fare con gli sci sullo zaino e che riporterà gli atleti sul versante sud. Breve discesa per riportare gli atleti alla Bsa, da dove affronteranno l'ultima salita di circa 200 metri per tornare nuovamente alla Bocchetta dei Sassi. Verrà cambiato nuovamente assetto, per lanciarsi nella lunga e spettacolare discesa finale di oltre 1300 metri di dislivello e tagliare il traguardo ai 1100 metri del Campeggio di Val Malene».
Quest'anno il responsabile tecnico del percorso sarà la guida alpina Peter Moser, che sostituisce lo storico ideatore della gara Franco Melchiori, non presente per impegni lavorativi. Il programma prevede il via della sfida senior e master alle ore 9, quindi alle 9.15 le categorie junior e cadetti e alle 9.20 la sfida promozionale. Premiazioni alle 14.30 presso la palestra di Pieve Tesino.


Snow Leopard Day: raccolti oltre 16.000 euro per salvare il leopardo delle nevi

Undici diversi paesi, uno stesso weekend per raccogliere metri di dislivello (tradotti in centesimi di euro donati allo Snow Leopard Trust) a tutela del leopardo delle nevi, animale che Dynafit ha scelto come simbolo del proprio marchio. Quest’anno sono stati 1.141 gli scialpinisti che hanno risposto all’appello dell’azienda per lo Snow Leopard Day. In Germania, Austria, Italia, Polonia, Grecia, Bulgaria, Slovenia, USA e Slovacchia, pelli sotto gli sci e ascesa su percorsi prestabiliti sabato 2 marzo. In Francia e Svizzera l’evento si è invece tenuto il 3 marzo.

NUMERI - In media ogni atleta ha percorso 1.400 metri di dislivello, il record è stato raggiunto da Stephan Hugenschmidt in Svizzera che ha raccolto la cifra incredibile di 8.003 metri di dislivello. Grande orgoglio per la tappa italiana di Misurina, in provincia di Belluno, che ha visto la partecipazione di quasi 70 scialpinisti per 50.920 metri di dislivello raccolti, anche grazie alla personale sfida del Dynafit Trail Hero Marc Slanzi, che ha percorso per ben sei volte il tracciato da Misurina alla Forcella della Neve, accumulando da solo 4.500 metri di dislivello.  Alla fine del weekend le varie località hanno permesso di raccogliere 1.604.138 metri di dislivello, che corrispondono a una donazione di 16.042 euro. La cifra raggiunta sarà utilizzata dall’organizzazione no-profit Snow Leopard Trust per censire per la prima volta la popolazione mondiale del leopardo delle nevi. Per i ricercatori è essenziale sapere con precisione il numero di esemplari superstiti e in quali paesi si trovino. Solo grazie a questi dati sarà possibile in futuro tutelare il leopardo delle nevi, impedendo interventi sul suo habitat naturale.

SNOW LEOPARD TRUST - Dal 1981 l‘organizzazione Snow Leopard Trust con sede a Seattle è attiva nella tutela degli esemplari superstiti del leopardo delle nevi e svolge ricerche su questo felino a rischio di estinzione. L’habitat del leopardo delle nevi si riduce sempre più. Gli studi stimano che attualmente esistano 3.500 esemplari allo stato brado, che vivono una minaccia sempre crescente a causa del bracconaggio, dei cambiamenti climatici e della decimazione del loro habitat. L’organizzazione porta avanti progetti in Cina, India, Kirgisistan, Mongolia e in Pakistan, compiendo ricerche su questi animali a rischio di estinzione e ripristinandone l’habitat, in collaborazione con la popolazione delle regioni montane.


Contrabbandieri di emozioni

Ha ragione Giorgio Daidola, il vero scialpinista è un viaggiatore errante. Usa gli sci non solo come mezzo di trasporto, ma pure come strumento di conoscenza del mondo e di se stesso. Li utilizza per raggiungere luoghi inaccessibili attraversando deserti bianchi, come bene ci ha insegnato Michel Parmentier; per salire montagne che sono solo tappe di un percorso fuori e dentro di sé. Un percorso che, a volte, ha come obiettivo l’orizzonte, per vedere ciò che c’è dopo e ciò che c’è dentro. Non per niente sciare è un po’ come vivere: consente di lasciare una traccia che non è indelebile, ma che identifica in modo univoco chi l’ha disegnata, così vincolata come è alla sua sensibilità, alla sua capacità tecnica, all’attrezzatura utilizzata, persino allo stato d’animo e alle emozioni del momento. E le traversate - meglio di ogni altra attività scialpinistica - permettono di rendersi conto di tutto questo, seguendo le tracce di chi le ha percorse per primo ed entrando in sintonia con la sua sensibilità, pur vivendo ogni volta un’esperienza nuova; assecondando le proprie emozioni, entrando fra le pieghe delle montagne, penetrando in punta di piedi in un mondo che, seppure già percorso, come la neve, cambia a ogni ora, a ogni folata di vento.

Per vivere queste emozioni non è sempre necessario partire per più giorni da casa e andare in capo al mondo. A volte è possibile trovare ciò che si cerca anche dietro l’angolo. Io ho avuto la fortuna di condividere un breve viaggio alla portata di qualsiasi scialpinista allenato a pochi passi da casa, sulle nostre Alpi, in giornata, da Isolaccia di Valdidentro a Livigno, lungo le tracce dei contrabbandieri e dietro alle code di Giacomo Meneghello. Lui è un fotografo che vive a Sondalo e che, collaborando con la Ski Trab, ha avuto l’idea di creare un’alta via scialpinistica tra Bormio e Livigno, tracciando due percorsi. Uno, più logico e diretto, parte da Isolaccia e uno, più difficile e tortuoso, prende il via da Oga, quest’ultimo in verità già in parte sperimentato da alcuni scialpinisti locali che fanno capo sempre alla Ski Trab. Noi, a causa del rischio valanghe, abbiamo affrontato il tracciato meno pericoloso, ma anche più lineare. Ventuno chilometri per circa 1.900 metri di dislivello positivo. Un tracciato senza particolari difficoltà tecniche che, partendo dalla Valdidentro, concatena in modo logico diverse convalli esistenti tra Bormio e Livigno. Convalli in un recente passato utilizzate dai contrabbandieri per far transitare le merci dal porto franco di Livigno all’Italia. Lo abbiamo fatto il lunedì di Pasquetta in una giornata splendidamente serena dopo il maltempo della settimanaprecedente che aveva portato quasi un metro di neve fresca, ma anche numerosi accumuli da vento suipendii maggiormente esposti.

Partenza alle 6,30 da Sant’Antonio di Scianno, pochi chilometri sopra Isolaccia, nel comune di Valdidentro, a quota 1.650 metri. Lasciata l’auto in un piccolo spiazzo, abbiamo iniziato a risalire verso il Monte Resaccio dapprima facendo traccia in un rado bosco di abeti e poi su distese innevate in cui s’intuivano alpeggi semisepolti dalla neve in un universo fiabesco al risveglio. Giacomo Meneghello davanti, noi dietro. Una decina di scialpinisti in tutto per l’occasione: alcuni ragazzi di Cantù guidati da Marco Colombo di Ski Trab, il forte altoatesino Alex Kheim con la moglie parmigiana Anna e io. Si sono poi aggiunti in Val Vezzola alcuni appassionati livignaschi e di Semogo tra cui la nota atleta polacca di scialpinismo Anna Tybor. Ci aspettavano già in quota, essendo partiti più avanti, da Li Arnoga. Un ripido pendio, la larga cresta ed eccoci in vetta al Monte Resaccio. Siamo a quota 2.717 metri. Il panorama a 360 gradi toglie il fiato; Cima Piazzi ci ammalia controllando ogni nostro passo dall’alto della sua bellezza e severità. In fondo, a sinistra, riconosco il Pizzo Palù, dietro l’Ortles con la sua corona di cime del bacino dei Forni.

Anna Tybor, reduce da una brillante prestazione al Tour du Rutor, mi fa da Cicerone illustrandomi il nome di valli e convalli. Livignasca d’adozione, mi dice di non poter più fare a meno di queste montagne. Il tempo di spellare e giù, verso il bianco più bianco. Versante nord: farina intonsa, sciatona. Gli Ski Trab Maestro che l’azienda bormina mi ha dato da testare per l’occasione non mi fanno rimpiangere sci più larghi. Ricamiamo un lenzuolo intonso consapevoli di essere dei privilegiati. Consapevoli di poter ancora una volta sperimentare che è vero che gli sci sono sciancrati per meglio adattarsi alla forma rotonda del mondo; per meglio consentirci d’accarezzarlo con le nostre curve. Si attraversa un universo incantato senza alcuna traccia, se non quella di qualche camoscio. Dalla Val Vezzola transitiamo in Val Trela. Procediamo ora in leggera salita sotto un sole abbacinante. È metà mattina. Le montagne si scrollano di dosso ciò che non riescono più a trattenere. Sentiamo rombo di scariche. La tigre bianca oggi è sveglia, in agguato su molti pendii, nascosta sotto il nuovo strato di neve. Ma il nostro percorso è mansueto. Giacomo lo ha scelto apposta preferendolo a quello più rischioso che transita in Val Viola e che potrebbe essere affrontato al ritorno in un ipotetico viaggio ad anello di due giorni. Saliamo pendii non impegnativi al Monte Rocca (2.814 m), classica scialpinistica della zona. Lo rimontiamo da est, non - come di consueto - da nord-ovest.

Dalla vetta si apre sotto di noi la Valle di Tre Palle. Firn e neve trasformata per una sciata da ricordare, con Giacomo che si sdoppia nel ruolo di guida e fotografo. Malghe che emergono qua e là, stalle, cavalli. Un presepe che lascia segni indelebili nell’anima dell’escursionista-viaggiatore. Attraversiamo una strada asfaltata in località Trepalle (quota 1.918) e di nuovo rimettiamo le pelli. Ora si sale verso il Monte Crapene (2.430 m). Ancora pendii dolci, neve trasformata. Qualche escursionista con le ciaspole. L’ambiente si fa meno isolato, gli impianti e le piste del carosello sciistico compaiono dall'altra parte della valle. Dalla cima del Crapene appare Livigno, giù in fondo. Dall’alto sembra davvero esteso e con il suo vestito migliore, quello tutto bianco, sembra una perla tra una conchiglia di cime.

Inanellando curve sul firn, scendiamo così fino al capolinea del nostro viaggio, firmando altri magnifici pendii con le lamine. Le nostre tracce saranno già scomparse, cancellate dal sole o dal vento. Non sarà invece cancellata l’idea di Giacomo d’ideare questo percorso che consente di collegare al ritmo delle pelli questi due paesi, Bormio e Livigno, divisi dalla cresta delle Alpi, ma uniti in una splendida cavalcata. Percorrendola noi, contrabbandieri d’emozioni, siamo andati alla ricerca del senso del viaggio con gli sci, solcando valli e salendo montagne dolci come la panna montata. Come sempre alla ricerca della curva perfetta. Come sempre trovando alla fine noi stessi.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 118 di Skialper di giugno 2018. Se vuoi acquistare l'arretrato clicca qui, se vuoi abbonarti a Skialper qui.

©Giacomo Meneghello

Alla Marmotta Trophy assegnati gli scudetti a squadre

In Val Martello assegnati domenica i titoli italiani a squadre alla Marmotta Trophy. Scudetto per Michele Boscacci e Davide Magnini: il team del CS Esercito chiude con 2.23 di vantaggio su Alex Oberbacher e William Boffelli e con 6.36 su Valentino Bacca e Federico Nicolini. Quarti Pietro Lanfranchi e Guido Giacomelli, quinti Daniel Antonioli e Filippo Beccari. Titolo Master a Graziano Boscacci e Paolo Venturini.
Nella gara rosa a segno Alba De Silvestro e Giulia Murada con 1.52 su Elena Nicolini e Corinna Ghirardi, con Giorgia Felicetti e Margit Zulian a 11.17 a completare il podio.


Skimo for Young, tappa di Coppa Italia Giovani a Valgrisenche

Valgrisenche e lo sci club Corrado Gex sostituiscono in corsa la poco innevata Chamois e allestiscono la tappa di Coppa Italia Giovani, valida anche come la selezione per i Mondiali du Villars sur Ollon. All’Arp Vieille, domenica mattina, 120 i concorrenti - compresa la promozionale Allievi e Ragazzi – al via. Negli Juniores a segno Giovanni Rossi della Sportiva Lanzada che nella discesa abbandona la compagnia di Fabien e Sebastien Guichardaz del Corrado Gex, secondi con 39” di ritardo. Alle loro spalle Daniele Corazza del Valtartano e Alessandro Rossi della Sportiva Lanzada.
Al femminile a segno Lisa Moreschini del Monte Giner su Samantha Bertolina dell’Alta Valtellina e Valeria Pasquazzo del Brenta Team. Nei Cadetti affermazione di Luca Tomasoni del Presolana davanti a Rocco Baldini dell’Albosaggia e Marco Salvadori dell’Adamello Ski Team, quarto Simone Murada, quinto Luca Vanotti, entrambi dell’Albosaggia; nella gara rosa vittoria di Silvia Berra dell’Albosaggia seguita dalla compagna di club Nicole Valli ed Erika Sanelli dell’AS Premana.
Nella prove promozionali sono imposti Irene Gianola (Premana), Mirko Migliorati (Presolana Pora) negli Allievi, Giulia Visinoni (13 Clusone) e Federico Picchiarini (13 Clusone) tra i Ragazzi.


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