Kilian giù dal Troll Wall
È online da ieri sulla Salomon TV il documentario sulla prima discesa con gli sci della ripida Fiva Route in Norvegia, che Kilian ha completato un anno fa, nel febbraio 2018. La Fiva Route è a Trolltind, dove si trova il Troll Wall. «Il tracciato che percorre la Fiva ha attirato la mia attenzione sin da quando mi sono trasferito in Norvegia, ma mi ci sono voluti più di due anni per trovare il giorno perfetto per tentare la discesa» ha detto Jornet. Il Troll Wall (Trollveggen in norvegese) ha una pendenza costante tra i 55 e 60 gradi e per anni è stato tra gli obiettivi di molti sciatori e alpinisti.
Kilian ha iniziato a pensare all’impresa due anni fa, quando si è trasferito nella zona. Da allora, ha passato ore a studiare il percorso, esaminandolo e aspettando le condizioni ottimali per tentare una prima discesa sugli sci. Le nevicate dello scorso anno hanno fornito il momento ideale. «Il 17 febbraio 2018 sono andato a ispezionare il percorso. Ho capito subito che le condizioni erano molto favorevoli. Nello sci ripido le condizioni non sono mai perfette, quindi mi sono reso conto che dovevo provare. È stata un'esperienza molto interessante, ma impegnativa. Il tratto superiore è forse il più complicato, sono i 200 metri più verticali che abbia mai sciato. Poi c’è un canale piuttosto stretto di 400 metri e 100 metri di tratto più sciabile, ma molto ghiacciato e ripido. È un percorso molto esposto dove ti devi completamente concentrare».
La Sportiva Epic Ski Tour, tutto pronto per la terza edizione
Venerdì 22 e sabato 23 febbraio spazio alla terza edizione de La Sportiva Epic Ski Tour in Val di Fiemme, con quartier generale a Cavalese. Saranno due le tappe, alll’Alpe Cermis e a Bellamonte nel Parco di Paneveggio con lo stesso spirito, 4All, per tutti insomma. Al via ci sarà Michele Boscacci, testimonial della gara, e Victoria Kreuzer, vincitori della passata edizione oltre ad Alba De Silvestro, Davide Magnini, Matteo Eydallin, Axelle Gachet-Mollaret, Xavier Gachet, William Bon Mardion, Patrick Facchini, Alex Oberbacher e Federico Nicolini. Le iscrizioni chiuderanno giovedì 21 febbraio.
Anton Palzer vince in Cina
Tutto secondo copione nella individual di Coppa del Mondo in Cina. La sfida è stata tra i quattro europei in gara dei quattordici al via: vittoria di Anton Palzer davanti a Jakob Herrmann, staccato di 1.23, con terzo Marc Pinsach Rubirola e quarto Armin Höfl, quinto il cinese Yubo Jin. Senza storia la gara rosa con il primo posto Nahia Quincoces Altuna con oltre venti minuti sulla cinese Na Zhang.
Mercoledì la Coppa del Mondo in Cina. Senza Italia, Francia e Svizzera
Mercoledì prima delle prove di Coppa del Mondo in Cina: si parte con l’individual, a seguire vertical e sprint. Alla tappa organizzata al Lake Songhua Ski Resort, nella provincia di Jilin, nel nord-est del paese assenti Italia, Francia e Svizzera: favorito numero uno Anton Palzer che se la dovrà vedere con lo spagnolo Marc Pinsach Rubirola e il team austriaco con Jakob Herrmann, Armin Höfl e Daniel Zugg. A livello femminile sembra senza rivali la spagnola Nahia Quincoces Altuna.
Merillas, mille metri in discesa in 9 minuti e 34 secondi
Un nuovo record del mondo: da 2.388 a 1.388 metri, 2.2 km, in 9 minuti e 34 secondi. Di corsa, con un po' di neve. È quello che ha fatto segnare il trail runner spagnolo Manu Merillas a metà febbraio. Va ricordato, come ha fatto Kilian dopo il suo ultimo record, quello del dislivello superato in 24 ore, che anche in questo caso non si tratta di un primato ufficiale in quanto non effettuato su un percorso identico e nelle stesse condizioni. Merillas è sceso dalla Pena Ubina, montagna abituale dei suoi allenamenti. L'unico record simile di cui si sappia è quello di Raul Criado di 11'36'' fatto registrare nel 2017 su un percorso estivo di 3.1 km. Merillas era attrezzato con casco e piccozza. Classe 1991, con risultati importanti fino al 2015 (secondo al Kima, all'Ice Trail Tarentaise e al Matterhorn Ultraks), Merillas è stato fermo per quasi due anni a causa del morbo di Haglund, una malformazione del calcagno.
Madesimo, al via la quinta edizione del Freeride Festival
Madesimo torna per 3 giorni a essere al centro del mondo degli amanti del fuoripista: dal 22 al 24 febbraio si terrà infatti la quinta edizione di Madesimo Freeride Festival. Le potenzialità dell’aerea per il freeride sono note: il Canalone o l’Angeloga sono itinerari rinomati e che spesso garantiscono tante curve in neve fresca. Da quest’anno MFF si è posto però l’obiettivo di allargare lo sguardo sulle potenzialità dell’intera località. Ecco dunque come l’attività più outdoor - nel senso profondo del termine - verrà svolta a Montespluga: il Base Camp, il quale prevede due giorni di scialpinismo e una notte in tenda, durante questa edizione sarà tenuto proprio in quella zona, lontano da impianti e dalle case del paese.
Gli scialpinisti old school (tanto per riallacciarci al numero in edicola adesso) conosceranno già le vette sovrastanti come Tambò, Suretta o Ferret: si tratta di classi itinerari di scialpinismo di tarda stagione. I pendii al confine con la Svizzera sanno però regalare diverse emozioni anche durante il periodo invernale, se approcciati con un’ottica che guarda meno alla cima e più alla scelta del versante e delle condizioni del manto nevoso. E che rende Montespluga una piccola Alaska a sole due ore da Milano.
Per chi non vivrà l’esperienza in quella località isolata, saranno comunque disponibili tutte le attività delle scorse edizioni e che hanno portato nella skiarea fino a quasi 600 partecipanti: corsi base e avanzati di fuoripista, speedriding, ripido e splitboard, nonché l’ampio village per testare sci e materiali. E ovviamente serate e après-ski in pieno spirito da freerider.
Per tutte le informazioni: http://www.madesimofreeridefestival.it/
Sul sito sarà possibile iscriversi fino alle 23.59 di martedì 19 febbraio. Iscriversi sul sito permette di essere sicuri di poter partecipare al corso desiderato (i posti sono limitati) e di evitare code al momento del ritiro degli skipass e del pacco gara.
Caroline Face, 2.000 metri di ghiaccio
Nove settembre 1991. Mentre il sole sta sorgendo dal Pacifico, il Monte Tasman, seconda cima più alta delle Alpi Neozelandesi, vede per la prima volta sulla sua sommità un uomo, con un paio di sci. È partito a notte fonda dalla Pioneers Hut, piccolo bivacco arroccato su poche rocce che fuoriescono dal Franz Josef Glacier. Il Tasman non ha una via normale, tutti i suoi versanti sono tormentati da creste e seraccate. Sul versante ovest c'è una debolezza, un canale, percorso da una via di ghiaccio: la Stevenson-Dick. Con le continue nevicate dell'estate australe il canale di ghiaccio è coperto di neve, fatta eccezione per un'enorme cornice sull'uscita. Dopo aver sciato la cresta sommitale con una doppia, lo sciatore entra nel canale. In breve percorre i suoi 600 metri a 50°. È la prima discesa con gli sci dalla cima del Tasman, una delle prime di questo genere in Nuova Zelanda: ci vorranno ancora un paio d'anni prima che francesi e altri scoprano il potenziale di questo luogo. Lo sciatore della Stevenson-Dick è Mauro Rumez di Trieste, sciisticamente nato e cresciuto sulle Alpi Giulie. Mauro allora aveva 28 anni.
Due mesi più tardi, nel dicembre del '91, a soli due anni e mezzo, mettevo per la prima volta degli sci ai piedi, proprio sulle Alpi Giulie. Una volta iniziato con lo scialpinismo e poi con qualche discesa più ripida, Mauro Rumez è stato il mio mito di adolescente, insieme a Marco Siffredi. Mauro è stato il pioniere di un certo genere di linee sulle Alpi Giulie: per anni e ancora oggi le sue tracce sono per me un esempio da seguire. La prima spedizione extraeuropea di Rumez, seguita da una seconda a cinque anni di distanza, è stata sulle Alpi Neozelandesi, nel settembre '91. In quel viaggio riuscì in due prime discese, così come anche nel '96.
La Nuova Zelanda è stata la destinazione numero uno che ho appuntato nella mia lista dei desideri di sciatore. Ha un grosso difetto però: è dall'altra parte del mondo… Mi è sempre sembrata lontana, forse troppo lontana. Mi pareva lontana persino alla sola idea di andarci. Sapevo però che era questione di tempo: prima o poi ci sarei andato, dovevo solo aspettare l’occasione giusta. E infine è arrivata. Forse è solo un caso, ma mi si è presentata proprio a 28 anni. A fine primavera dello scorso anno un amico, Ross Hewitt, mi ha messo la pulce nell'orecchio con la proposta di aspettare l'estate per vedere se nell'emisfero sud avrebbe nevicato a sufficienza per garantire la copertura su quello che, senza dirlo, sapevamo essere il nostro grande obiettivo. Con noi ci sarebbe stato anche Tom Grant. Ross e Tom erano già stati sulle Alpi Neozelandesi nell'autunno del 2015. Quella volta erano riusciti in un paio di prime discese trovando condizioni eccezionali, ma mai abbastanza buone per la Caroline Face.
La Caroline Face è stata l'ultimo problema alpinistico neozelandese negli anni '70 e, con l'avvento dello sci su grandi pareti, nell’ultimo decennio una delle più grandi linee al mondo rimasta da sciare. Era stata addirittura inserita in una top ten di discese ancora da realizzare, insieme alla sud del Denali (poi scesa da Andreas Fransson), al K2 e altre ancora. Nella storia dei diversi tentativi alla Caroline Face ne figura perfino uno di un team Redbull con un milione e mezzo di euro di budget e guide pagate per fissare più di 1.500 metri di fisse sulla cresta est. Inutile dire che sulla parete non venne fatta nemmeno una curva. L'ultimo tentativo, quello di Andreas Fransson e Magnus Kastengren nel 2013, terminò al Porter con la fatale caduta di Magnus, senza la quale probabilmente i due avrebbero sciato l'intera parete. Il grande problema della Caroline Face non è tanto la pendenza, comunque per gran parte della discesa intorno ai 50°, quanto la dimensione della parete: duemila metri di ghiaccio tormentati da seracchi pensili qua e là. Per non parlare delle condizioni: la Nuova Zelanda non è certo nota per il clima mite e, per quanto riguarda il vento, la punta massima registrata in cima all'Aoraki/Mount Cook è di oltre 250 km/h. Senza contare i pericoli oggettivi di una parete simile.
Come promesso, con Ross e Tom ci risentiamo a metà settembre. In tutto l'emisfero meridionale ha nevicato tantissimo. Sembra essere l'ideale per il nostro viaggio in Nuova Zelanda, ma purtroppo a Ross è uscita un'ernia e non potrà fare parte del gruppo. A Tom e me si aggregherà invece Ben Briggs. Con Ben non avevo mai sciato. Insieme abbiamo poi stabilito di esserci probabilmente incontrati in qualche bar a Chamonix, ma non ne siamo così sicuri. Decidiamo di trovarci a Christchurch, nell'isola del sud, il 20 ottobre. Per risparmiare sul volo, ne scelgo uno un po' sfigato: quattro scali, di cui uno da sedici ore. Parto il 17 ottobre da Lubiana, per atterrare infine in Nuova Zelanda a mezzanotte passata del 20. Nonostante le nevicate abbondanti dell'estate australe, le foto più recenti che avevo visto della Caroline Face non erano così rassicuranti. Sapevo però che sarebbe bastata una nevicata primaverile a cambiare la situazione a nostro favore. In ogni caso i dubbi sulla riuscita erano parecchi: non sciavo da fine maggio, non ero certo di quanto fossi allenato e la parete sembrava effettivamente troppo grande e complessa per andare realmente in condizione. Fortunatamente però il feeling con i miei due compagni è stato ottimo fin dall'inizio.
I primi tre giorni sulla west coast sono stati flagellati da piogge torrenziali. Una volta raggiunto il Mount Cook village, ai piedi dell'Aoraki, però, ci si è presentata una finestra di bel tempo. Il piano fin da subito era quello di volare al Plateau Hut sotto al Cook, il prima possibile, per valutare le condizioni generali e della Caroline Face in particolare. La zona offre comunque parecchie discese interessanti. Se le condizioni della Caroline non fossero state ideali, avremmo avuto altre tre settimane per sperare che cambiasse qualcosa. Già dal sopralluogo in elicottero la nostra linea sembrava in ottime condizioni e, cosa ancor più importante, il seracco a metà parete non era un muro strapiombante di cento metri, come appariva dalle foto di Tom del 2015, bensì una rampa che finiva su un muro arrotondato.
Ci eravamo portati provviste per una decina di giorni, in modo da avere la possibilità di aspettare il momento perfetto. Ogni sera alle 19 venivano trasmesse via radio le previsioni meteo per il giorno successivo. La sera del 26 ottobre, terzo giorno per noi al Plateau Hut, le previsioni davano tempo ideale, senza né vento né nuvole, e temperature relativamente basse. Nonostante i 40 centimetri di nuova neve del giorno precedente, abbiamo deciso che era il momento di partire. Fin da subito, nell'ottica di una discesa più pulita e lineare possibile, avevamo stabilito di entrare in parete calandoci dal Porter Col, il che ci avrebbe permesso di evitare le sezioni di ghiaccio blu nella parte superiore della Clit Route, via che corre esattamente a centro parete. Ci eravamo ripromessi infatti di non sciare la parete a tutti i costi: volevamo una discesa pulita e condizioni ideali. Una linea di questo tipo si merita un'etica rigorosa. Non ci interessava portare a termine una discesa con una serie infinita di doppie, come si è visto fare negli ultimi tempi. All'alba del 27 ottobre ci siamo ritrovati a battere traccia nella neve, a tratti fino ben oltre la vita, per raggiungere la cresta est che ci avrebbe condotto fin sotto la cima mediana dell'Aoraki/Mount Cook. Dopo sette ore e mezza di sforzi, finalmente siamo sbucati in cresta. La cosa bizzarra è stata ritrovarsi su una montagna di 3.700 metri, avere l'oceano a meno di dieci chilometri in linea d'aria e al di là dei ghiacciai vedere la foresta pluviale.
Come stabilito, raggiunto il Porter Col è stato compito mio attrezzare le abalakov per le due doppie da cinquanta metri che ci hanno depositato sulla neve. E qui è avvenuta la magia. La neve di due giorni prima e delle settimane precedenti si era appiccicata per bene un po' dappertutto, mentre il forte vento non era riuscito a intaccarne la superficie. Caroline era rimasta protetta dai venti oceanici e si è presentata sotto i nostri sci nel suo miglior abito: bianco, candido e leggero. Calate comprese, abbiamo impiegato poco meno di un’ora e mezza per sciare i quasi duemila metri di parete. Al seracco mediano ce la siamo cavata con appena quaranta metri di doppia, sciandovi letteralmente dentro. Da lì in giù è stata una corsa contro il tempo per evitare i crolli che iniziavano a farsi sentire, causa le temperature in rialzo. Una volta alla base, ci aspettavano 500 metri di ripellata e, dopo una breve discesa, un altro centinaio per portare il totale della salita a più di 2.200. Non facevo un dislivello simile con gli sci da maggio. Paradossalmente, ad appena una settimana dall'arrivo in Nuova Zelanda, siamo riusciti in quello che era il grande obiettivo del nostro viaggio. L'isola di giada, però, ci ha subito ricordato, al ritorno in bivacco, che il meteo sulle sue montagne è inclemente: ci sarebbe stato ancora un giorno di bel tempo e poi una settimana di brutto. Abbiamo deciso così di scendere dal Plateau Hut a bordo di un aeroplanino sgangherato e aspettare il ritorno del bello a suon di pinte e fish'n'chips.
Uno dei primi giorni dopo il mio arrivo in Nuova Zelanda, mentre facevo colazione ancora frastornato dal jet lag, Ben mi aveva messo davanti agli occhi una vecchia fotografia di una montagna: nel mezzo, una linea sinuosa e sensuale. Era la Zig Zag Route, che solca la Malte Brun, montagna piuttosto prominente che, essendo la più alta, dà il nome a un sottogruppo di fronte al Cook. Tornati dall'Aoraki, alla prossima finestra di bel tempo sarebbe stato il momento per il nostro obiettivo successivo. Diametralmente opposta rispetto alla discesa della Caroline Face, la Zig Zag è stata una sciata molto più simile a quelle a cui sono abituato sulle Alpi: niente seracchi sopra la testa pronti a ucciderti, ma un bel vuoto sotto gli sci grazie a grandi salti di roccia. Effettivamente si tratta più di una via di misto/ neve, ma anche qui le condizioni hanno giocato a nostro favore con neve soffice aggrappata a ghiaccio e roccia. Una volta in più mi sono convinto che in fondo allo zaino è sempre bene mettere una fettina di culo. Ormai verso la fine del nostro viaggio, almeno per quanto riguardava il tempo che potevamo spendere sulle montagne, e non volendo passare agli occhi dei neozelandesi per delle euro-pussy ma per dei veri alpinisti, per uscire dal ghiacciaio Tasman ai piedi del Malte Brun abbiamo deciso di non sfruttare mezzi meccanici e ci siamo caricati in spalla tutta la nostra attrezzatura per 22 chilometri di ghiacciaio detritico e morene-killer. Una piacevole passeggiata di quasi undici ore, durante le quali mi sono ripetutamente domandato per quale assurdo motivo avessimo voluto risparmiare 90 euro a testa di elicottero.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 116, uscito a gennaio 2018. Se non vuoi perderti nessuna delle storie di Skialper e riceverlo direttamente a casa tua puoi abbonarti qui.
Feuerstein Skiraid a Alex Oberbacher e Corinna Ghirardi
Condizioni ideali in Val di Fleres domenica, per il recupero della Feuerstein Skiraid. «Una bella giornata di sole - spiega Stefanie De Simone, presidente del comitato organizzatore - tanta neve, ancora farinosa nella seconda parte del tracciato, tutto a Nord. Ed è stata tosta, basta guardare i tempi, quasi 21 km e 1700 metri di dislivello per l’assoluta maschile, 15 km e 1300 per la gara rosa. E siamo contenti anche per le presenze: erano 75 al via; peccato non essere riusciti a svolgere la gara 14 giorni fa, quando sarebbe stata anche tappa di Coppa Italia, sarebbero stati 170. Speriamo di essere rimessi nel calendario di Coppa Italia anche 'anno prossimo e che il tempo ci sia clemente. Desidero ringraziare i numerosi volontari e i tanti sponsor generosi, senza i quali sarebbe impossibile realizzare un evento simile».
Pronti, via e subito all’attacco Alex Oberbacher che sfrutta le doti di fondista nella ‘forestale’ iniziale dopo la partenza e poi controlla il vantaggio, andando a vincere in 1h49'19, precedendo di oltre cinque minuti Valentino Bacca, con David Thöni del team di casa del Gossensass a completare il podio.
Al femminile nuovo sigillo di Corinna Ghirardi che si impone in 1h50'02 con più di quattro minuti su Giorgia Felicetti con terza Melanie Dorfmann.
Transcavallo a Antonioli-Eydallin e De Silvestro-Bonnel
Domenica mattina a Col Indes, a pochi chilometri da Tambre, è partita l’ultima tappa della Transcavallo. Dopo le prime due prove, le oltre cento squadre hanno affrontato un vero e proprio tappone dolomitico: il comitato organizzatore, coordinato da Diego Svalduz, con l’aiuto di tutti i numerosi volontari dislocati lungo il tracciato, ha disegnato una tappa spettacolare e impegnativa con quattro salite, due tratti tecnici in cresta, per un dislivello positivo totale di 2295 metri diluito in oltre 20 chilometri. Il percorso di gara prevedeva inizialmente la lunga salita verso il Monte Cornor, nell’ultima parte gli atleti hanno dovuto affrontare un tratto a piedi. Dopo aver raggiunto il cambio pelli hanno iniziato a scendere verso Casera Pian de le Stele, non prima di aver salito 45 metri di dislivello. Terminata la discesa, le squadre, risalendo la Val Salatis all’ombra del Monte Guslon, sulla spalla del Monte Castelat hanno dovuto riporre gli sci nello zaino per affrontare l’affilata cresta che li avrebbe portati in vetta al Monte Guslon. Toccata la vetta, i team hanno iniziato a scendere sino al penultimo cambio d’assetto. L’ultima salita di giornata prevedeva la conquista di Cima Vacche, dopo questa solo discesa per andare a tagliare il traguardo di Col Indes.
LE GARE - Sul traguardo di questa ultima tappa, dopo aver corso praticamente sempre insieme, si sono presentati Michele Boscacci, Davide Magnini, e appena dietro Robert Antonioli e Matteo Eydallin. Boscacci e Magnini hanno fermato il cronometro con il tempo di 2h44’26’’.
In seconda posizione hanno tagliato il traguardo, con soli due secondi di ritardo, i vincitori della trentaseiesima edizione, Robert Antonioli e Matteo Eydallin. Il podio, sia della tappa sia della gara, è stato completato da William Boffelli e Filippo Barazzuol. In quarta posizione hanno chiuso i francesi Samuel Equy e Alexis Sevennec. Filippo Beccari e Yoann Sert sono invece quinti.
In campo femminile Alba De Silvestro e Lorna Bonnel si è sono imposta, con il tempo di 3h30’12’’, su Valmassoi-Nicolini che confermano anche la seconda posizione assoluta dopo le tre tappe, mentre salgono sul terzo gradino del podio Margit Zulian e Tatiana Locatelli.
Ad Antonioli-Eydallin la seconda tappa della Transcavallo
Robert Antonioli e Matteo Eydallin dopo aver impostato un ritmo elevato fin dall’inizio hanno tagliato il traguardo della seconda tappa della Transcavallo, con il tempo di 2h9’53’’; i compagni del Centro Sportivo dell’Esercito di Courmayeur, Michele Boscacci e Davide Magnini, hanno confermato la seconda posizione con circa tre minuti di ritardo. In terza posizione con il tempo di 2h26’48’’ si sono classificati William Boffelli e Filippo Barazzuol.
Anche al femminile c’è stata la conferma dei risultati della prima tappa con la vittoria della due volte campionessa italiana Alba De Silvestro, per l’occasione schierata al fianco della transalpina Lorna Bonnel. Il tempo della squadra italo-francese si è fermati a 2h56’40’’. Seconda piazza per la coppia formata da Elena Nicolini e Martina Valmassoi (3h03’10”) e terzo posto di giornata per Margit Zulian e Tatiana Locatelli in 3h38’16”.
IL PERCORSO - Questa mattina la seconda tappa della trentaseiesima edizione della Transcavallo è partita dalle piste del comprensorio sciistico di Piancavallo per ritornare sulle nevi di Col Indes in Alpago. Le oltre cento squadre dopo aver percorso il tracciato della prova vertical mondiale, hanno conquistato per la prima volta l’aereo Tremol. Dopo la vetta i team sono scesi fino al successivo cambio pelli per risalire in Forcella Alta. Dopo la discesa sono passati per il Rifugio Semenza e sono entrati in Val Salatis guadagnando la forcella Lastè. Gli atleti sono dunque scesi in Val Sperlonga e hanno riguadagnato la tradizionale traccia sulla piramide del Cornor, fino all’anticima. Da qui una breve discesa e una salita fino alla forcella del Cornor hanno condotto i concorrenti sull’ultima discesa che li avrebbe portati nuovamente a Col Indes. Lo sviluppo di questa seconda prova era di 19.500 metri mentre il dislivello di sola salita era di 2.050 metri.
IL PROGRAMMA DELL'ULTIMA TAPPA - Domenica mattina si correrà la terza prova sul celebre percorso della Transcavallo moderna con il Monte Guslon come punto nevralgico della giornata e da salire tre volte volte, prima dalla Val del Cadin poi dalla Vallazza e infine dalla Val Salatis con il ripido canalino delle placche a 55° di pendenza. Il dislivello è di 2.400 metri.
Transcavallo, partiti
Transcavallo, partiti. La prima delle tre tappe della trentaseiesima edizione è andata in scena venerdì pomeriggio.
Come previsto, sfida tra le due squadre dell’Esercito: stoccata vincente per Robert Antonioli e Matteo Eydallin, ma con appena 9” su Michele Boscacci e Davide Magnini. Terza piazza per William Boffelli e Filippo Barazzuol a quasi tre minuti, quarti i francesi Sevennec-Equy, quinti Pippo Beccari e l’altro francese Sert.
Al femminile, nessuna sorpresa. Alba De Silvestro e la francese Lorna Bonnel hanno dominato la prima tappa in 1h23’24”. Seconda piazza per Elena Nicolini e Martina Valmassoi in 1h27’58” e terzo posto di giornata per Margit Zulian e Tatiana Locatelli in 1h33’56”.
SECONDA TAPPA - Dopo essere giunti a Piancavallo, sabato si tornerà in Alpago e si rientrerà seguendo il tracciato della prova vertical mondiale passando poi la Forcella di Palantina alta verso il Veneto. Poi si salirà in direzione del Rifugio Semenza con l'inedita vetta del Monte Lastè, la Cima Coppi dei tre giorni con i suoi 2.248 metri di quota. Poi si scenderà in Val Sperlonga per toccare prima il Col de Banca e a chiudere la piramide del Cornor. Il dislivello supererà i 2000 metri.
Condizioni ideali per la Feuerstein Skiraid
La situazione in Val di Fleres è ideale: tutto pronto per la Feuerstein Skiraid di domenica, sotto il sole e condizioni neve fantastiche. Partenza, presso il Centro sci di fondo Erl (all’Hotel Feuerstein), anticipata di un’ora, quindi alle ore 9, a causa delle previste alte temperature. Iscrizioni ancora aperte fino a sabato, entro le ore 17.