Da oggi in edicola la Outdoor Guide 2019
288 pagine con 350 prodotti tutti testati. Sono questi i numeri della Outdoor Guide, un appuntamento fisso nelle edicole italiane per gli appassionati di trail running, escursionismo e alpinismo. L’edizione 2019, dal 15 maggio in tutte le edicole (se volete riceverla a casa si può preordinare solo qui) si presenta con tante novità. A partire dalla veste grafica e dall’organizzazione dei contenuti. Un restyling completo per prendere ancora più per mano il lettore e guidarlo in modo semplice alla scelta del migliore prodotto per le sue esigenze: scarpe, zaini, bastoni, GPS, lampade frontali, tende, materassini, sacchi a pelo, fornelletti.
NUOVE CATEGORIE – Rispetto all’anno scorso abbiamo completamente rivisitato il nostro approccio e la Outdoor Guide non è più divisa in tre mondi separati, ma in categorie che rispondono a precisi identikit di sportivi e appassionati outdoor. E ogni categoria ha una sua introduzione specifica. Trail running, ultra trail, sky & vertical, day hiking, multiday hiking, approach & multifunction e mountain i micro-mondi individuati.
COME PROVARE – All’inizio un ampio servizio sulla metodologia dei nostri test e a seguire un articolo con i consigli per provare i prodotti in negozio prima dell’acquisto. Esistono scarpe, zaini e bastoni di livello superiore, ma è importante scegliere i prodotti più adatti alle nostre esigenze e soprattutto della misura corretta.
AWARDS – Sono stati razionalizzati i riconoscimenti per i prodotti che abbiamo ritenuto i migliori: solo un prodotto dell’anno per ogni categoria (con qualche sotto-categoria) e le editor’s choice, assegnate agli articoli consigliati dalla redazione per il rapporto qualità/prezzo o l’equilibrio generale della proposta. Nell’assegnazione dei premi abbiamo privilegiato scarpe, zaini e bastoni fedeli alla filosofia della categoria e adatti a un ampio spettro di utilizzatori.
TEST TEAM – Più di 30 testatori di altissimo livello. Qualche curiosità? C’erano dieci tra Guide alpine e Aspiranti, ma anche accompagnatori di media montagna e tra i trail runner il palmarès comprendeva ben cinque vittorie al Tor des Géants. Un grazie a Roberto Beretta, Filippo Bianchi, Lisa Borzani, Oliviero Bosatelli, Franco Collé, Michael Dola, Katia Fori, Giorgia Ganis, Nicola Giovanelli, Camilla Magliano, Christian Modena, Melissa Paganelli, Graziana Pè, Giorgio Pulcini, Giuditta Turini, Elisabetta Caserini, Alessio Cerrina, Alberto Ciannamea, Luca Polo, Luca Macchetto, Sergio Pezzoli, Gianni Predan, HannahMacMillan, Alessandro Monaci, Alberto Bolognesi, Francesco Ratti, Carlo Gabasio, Guido Chiarle, Maurizio Pastore e Federico Foglia Parrucin.
TRAIL, ULTRA, SKY & VERTICAL – Scarpe, zaini, bastoni per correre nella natura, dalle porte della città alla montagna vera, da pochi chilometri alle cento miglia e alle gare endurance. E poi i modelli per i terreni più tecnici e per le gare di sola salita. Nella categoria ultra trail abbiamo inserito una sotto-categoria ‘adventure raid’, che racchiude le gare lunghissime o a tappe ma anche le avventure in autosufficienza nella natura.
DAY HIKING, MULTIDAY E CAMMINI STORICI – Per chi ama camminare, abbiamo individuato scarpe e zaini specifici per escursioni giornaliere e di più giorni. Calzature di taglio basso, mid o scarponcini e poi gli immancabili bastoni. Non mancano le scarpe per i cammini storici, un segmento che suscita sempre più interesse e al quale abbiamo dedicato una sezione del capitolo multiday hiking. Un capitolo, quello del multiday hiking, particolarmente ampio, con anche una sezione dedicata ai GPS cartografici e un’ampia rassegna di tende, materassini, sacchi a pelo e fornelletti per il campo base. Prodotti leggeri e performanti per l’escursionista moderno.
APPROACH & MULTIFUNCTION – Il mondo dell’avvicinamento o approach è uno di quelli più in fermento ed esistono sempre più scarpe versatili, valide anche per un avvicinamento non tecnico, ma nella realtà delle multifunzione. Ecco perché abbiamo diviso in due questa categoria inserendo i modelli più tecnici e quelli più poliedrici.
MOUNTAIN – Le scarpe per l’alpinismo, ma anche gli zaini da parete, in versione classic o fast & light. Dalle proposte più tradizionali o integrali da ghiaccio e cascata alle nuove calzature per una versione più veloce e spinta dell’alpinismo.
GPS DA POLSO – Come ogni anno ritorna puntuale anche la rassegna degli ultimi strumenti da polso per tracciare i nostri percorsi, ma soprattutto per monitorare le prestazioni, da Garmin a Suunto passando per Polar.
LAMPADE FRONTALI – Un’altra novità della Outdoor Guide 2019 è il test delle lampade frontali completamente rivisitato. Per mettere alla prova dieci modelli top non siamo andati solo sul campo ma anche in laboratorio in Germania, per rilevare durata e portata effettiva delle lampade. Ne sono usciti risultati molto interessanti…
I CONSIGLI DEGLI ESPERTI E DEGLI ATLETI – Non è una novità che la nostra casa editrice stia per mandare in stampa alcuni libri di atleti o esperti in materia e allora ecco che, di tanto in tanto, la Outdoor Guide propone i consigli di Emelie Forsberg sulla corsa in salita o come affrontare una cento miglia o quelli di Nicola Giovanelli su ultra trail e problemi gastro-intestinali.
Quello che volevamo chiedere a Jérémie Heitz
Nello skibus del comprensorio austriaco di Lech-Zurs l’atmosfera è rilassata. Sono i giorni in cui si tiene l’evento organizzato da Scott per la stampa specializzata. Vengono anticipate le novità che saranno presentate a Ispo 2018, secondo la tendenza dei maggiori brand di settore. Fuori sta nevicando, forte, molto forte… a tal punto che, con un certo rammarico, scopriremo poi che alcuni impianti rimarranno chiusi per ragioni di sicurezza. È inverno dopotutto e forse non ci siamo più davvero abituati, anche se ognuno di noi cerca di trascorrere sulla neve il maggiore tempo possibile. Seduto, in un posto centrale ma un po’ in disparte rispetto al gruppo, che non fa che cercare di capire quali siano i confini ormai indistinguibili della strada che stiamo percorrendo, un giovane. Casco e una maschera con lenti fog, che ottimizzano la visibilità in giorni come questo, ma che lasciano vedere gli occhi. Lo riconosco subito: è Jérémie Heitz. Avevamo parlato con gli organizzatori per capire se si poteva organizzare una chiacchierata con lui: sapevamo che c’era. Dopotutto ci piace parlare con sciatori veri, con gente che ha fatto dello sci la propria vita, così come abbiamo fatto con Pierre Tardivel e Gilles Sierro.
Ho preferito osservare, non dire niente, non presentarmi nemmeno. Un cenno di saluto come si fa normalmente tra gente che sta andando a sciare neve… quando fuori nevica. E questo fa una bella differenza. Jérémie ha riabbassato subito lo sguardo sullo smartphone che teneva tra le mani. Lo confesso, non ho potuto fare a meno di sbirciare il social che stava sfogliando, così come fanno le morose per sgamarvi mentre seguite qualche donzella random. Anche lui stava guardando delle curve: sì! Ma quelle che qualche suo compare aveva appena disegnato su un pendio intonso delle Alpi! È in quel preciso momento che quel ragazzo mi è entrato in simpatia: uno che scia tutti i giorni di tutta la stagione, cosa fa quando ha cinque minuti liberi? Guarda video e foto di sci. Un altro. Uno sciatore. Geremia, uno di noi!
Per lo meno a sud delle Alpi, il suo nome ha iniziato a circolare in concomitanza con i primi piazzamenti nel Freeride World Tour di un promettente sciatore svizzero, intorno al 2013. Passarono tre anni e nel 2016 ci fu un fulmine a ciel sereno! Esce La Liste, uno skimovie fuori dai canoni, dove tutto quello che era rimasto impresso nella nostra mente dopo la prima visione era una saetta che squarciava un muro bianco. Lo faceva a pezzi, letteralmente. Veloce, potente, precisa, fisica e nel contempo armonica. È sempre difficile descrivere una prima impressione, a volte non si riesce, ma ciò che si è provato in quella singola occasione orienta spesso indelebilmente tutto il modo che abbiamo di vedere poi le cose. In meno di cinquanta minuti tutte le certezze su come si sciavano le classiche big face alpine erano state prese a calci. Nessun modo sbruffone o arrogante, ma fatti. Quelle sciate erano su pareti, aperte, con tratti sostenuti a 50°, con esposizione, nessuna ripresa alaskan style ad aumentare pendenze. Tutti le riconoscevano quelle pareti, per alcune io stesso e numerosi conoscenti avevamo perso più di una notte, sognando le lamine su quelle nevi. Geremia ha sciato, come meglio non poteva, creando un riferimento di tecnica e stile, come ha detto qualcuno.
Sono passati più di tre anni, in cui si sono sentite polemiche, elogi numerosissimi, si sono messe in ordine le cose, si è sedimentato quel sentimento di sbigottimento e allucinazione che ha provocato nel 2016 La Liste… e credevamo che fosse giunto il tempo di sentire il diretto interessato!
Perdonaci la confidenza, Geremia è più rassicurante, ti rende più… umano! Anche perché oggi, quando ti abbiamo visto sciare finalmente dal vivo, c’era davvero poco di ordinario! La Liste ha fatto molto discutere, se ne sono sentite di tutti i colori, siamo qui per parlarne, per sapere un po’ di retroscena, per conoscere Geremia, quello che La Liste l’ha sciata!
(ride ndr) «Sì, è vero, son sempre stato uno sciatore… gare, poi freeride. Vivo in montagna, a Les Marecottes, posto che adoro e a cui sono molto affezionato. È stato facile per la montagna entrare a far parte di me, e poi mio padre è Guida alpina. Non scalo molto, anzi. Però lo sci è sempre stato di casa, anche e soprattutto quello di randonnée, i viaggi con lo sci, lo scialpinismo che mio padre praticava».
La Liste è stato presentato come un progetto in cui dovevi sciare nell’arco di due anni 15 cime delle Alpi di 4.000 metri, poi ha subito alcune modifiche. Innanzitutto, quali erano quelle del progetto originale?
«Più o meno quelle elencate nel film, non con un ordine preciso: Cervino, Les Droites, Aiguille Verte per il Couturier, il Couloir Gervasutti al Tacul, la nord-est della Lenzspitze, l’Obergabelhorn, il Marinelli, lo Zinalrothorn, Combin di Valsorey, il Lyskamm orientale, il colle tra Dom e Täschhorn nel Mischabel, Weisshorn, Hohberghorn, Stecknadelhorn e l’Aiguille de la Blaitière. Questo, a grandi linee, era il progetto iniziale che poi ha subito delle variazioni, soprattutto per le condizioni. Certe pareti, come il Cervino o il Dom, erano in condizioni due giorni prima e poi completamente vuotate dal vento. E così altre. Ho inserito nuove pareti come il Brunegghorn, che era proprio vicino al Weisshorn. È molto complicato trovare le giuste condizioni in parete e ciò ha influito sul progetto originario».
Nel film, in realtà, poi compaiono anche altre pareti, per esempio la nord-est dell’Aiguille dell’Amône e la Blaitière, dove hai sciato il Couloir Spencer, che non sono cime di 4.000 metri…
«È vero: abbiamo voluto inserire l’Amône per mostrare in modo evidente quale era il pendio-tipo con le condizioni-tipo, su cui volevo esprimere la mia idea di sci in parete. Anche se più in piccolo rispetto a un 4.000, quello è IL pendio su cui sciare in quel modo, con quella fluidità. In realtà l’ho sciata più di una volta in occasioni diverse, ci sono piccoli frammenti delle due volte nel video se ci fate attenzione. Ci sono anche le esigenze delle riprese ovviamente, ma soprattutto lo sci che volevo far vedere.
La Blaitière, invece, ho voluto inserirla perché era stata sciata 50 anni fa da uno dei personaggi che più mi ha ispirato, Sylvain Saudan. Fine anni ‘60, con quei materiali, senza le notizie di adesso sulle condizioni… Un pioniere, che aveva voluto mostrare che anche vie alpinistiche potevano essere sciate. Incredibile!».
Con chi hai deciso la tua lista?
«Molte persone mi hanno accompagnato in questa scelta, consigliandomi i pendii che vedevano più adatti allo sci che volevo esprimere. Da mio padre, che essendo Guida ha potuto darmi delle dritte, a Sam Anthamatten, fino a Luca Rolli. E poi ci ho messo del mio. Volevo trovare belle montagne, dove poter sciare nel modo più fluido possibile, in velocità. Pareti che potessero offrire bella neve. Che si prestassero a questo.
Come avrai capito uno dei miei riferimenti è proprio Sylvain Saudan… siamo perfino nati nello stesso ospedale e mio nonno sciava con lui!»
Quando parli della tua idea di sci che cosa intendi? Qual era il vostro obiettivo?
«Volevamo trovare le linee e le condizioni che ci permettessero di affrontare linee da tutti ritenute di steep skiing, secondo una ricerca di massima fluidità. I materiali evolvono ormai ogni anno e quindi anche gli sci che ti permettono di sciare a grande velocità terreni così ripidi. In questo progetto, in fondo, ho trovato anche un modo di migliorare il mio sci. Di evolvermi, spingendo forse più avanti il modo di sciare questi terreni».
Per affrontare queste pareti con questo tipo di sciata veloce e super fluida, in che modo le studiavi, come controllavi le condizioni?
«Fortunatamente avevamo a disposizione un piccolo aereo ultraleggero. Era fantastico: dopo le nevicate primaverili, nel giro di un paio d’ore riuscivo ad avere una panoramica completa delle condizioni».
E poi il giorno della discesa utilizzavi l’elicottero per raggiungere la cima o salivi by fair means?
«Solitamente io, con il compagno di turno, salivo dal basso. Le pareti le ho risalite quasi tutte per controllare le condizioni, per rendermi conto se c’era ghiaccio o altro. Vedi poi cosa è successo la prima volta al Combin proprio con il ghiaccio… Alcune volte, prima della ripresa, ero già sceso su quelle pareti, come per esempio all’Obergabelhorn, dove avevo provato altre due volte. Una mi sono dovuto fermare a metà parete per il ghiaccio, un’altra avevo sceso il lenzuolo a sinistra (Wellenkuppe), che è forse anche più ripido. Raramente siamo stati depositati in cima dall’elicottero: come per esempio sulla Lenzspitze. Sammy mi ha chiamato e mi ha detto con quelle condizioni dobbiamo andare domani, o forse mai più. Siamo scesi a un compromesso, lo so…».
Che condizioni cercavi?
«Il meglio è la poudre tassè, non troppo fonda ma morbida, regolare, ben attaccata alle pareti di ghiaccio».
Che materiali utilizzavi?
«Gli Scrapper 115 della Scott, un pro model che, rispetto a quello oggi di serie, aveva due fogli di fibra di vetro in più, per poter garantire ancora maggiore rigidezza ad alta velocità. Oggi scio con il nuovo modello di serie. Poi ho usato il sistema Cast, che mi permetteva di fissare attacchi da freeride fissi per la discesa, mentre in salita utilizzavo un puntale da skialp con sistema pin».
Geremia, dopo quasi due anni sei soddisfatto di questo tuo progetto? Ne hai pronti altri?
«Certamente! È stato il mio primo film project. Da quest’anno non parteciperò più alle competizioni di freeride e potrò dedicarmi a un progetto su tre anni con Sam Anthamatten: vogliamo sciare alcune pareti in Perù e su dei seimila himalayani, anche alcune linee nuove se si riuscirà. Sono terreni, quelli, dove ancora oggi possiamo essere pionieri, proprio come aveva fatto Saudan cinquanta anni fa, qui sulle Alpi. Dove c’è incertezza sulle condizioni e piacere della scoperta».
Alcuni, dopo La Liste, sostengono che in realtà non si sia trattato di evoluzione nell’ambito dello sci estremo, perché in fondo sono state sciate, seppur a grande velocità e con uno stile unico, linee classiche, non nuove o particolarmente tecniche. Come rispondi?
«È vero. Sono state sciate linee che, per quanto difficili, sono classiche. Niente di super tecnico, o di nuovo. Non era il nostro intento. Abbiamo scelto di proposito quel tipo di terreno, per fare un film di sci. E quando dico di sci, intendo un film comprensibile a tutti, indistintamente, anche ai non esperti delle linee super tecniche. La Liste vuole essere pure ski, puro sci nello stile più fluido possibile. Punto. Rispecchia la mia idea di questi sport e le pareti sono state scelte proprio per poterla esprimere. Non avrei potuto farlo su terreni ipertecnici o esplorativi».
Mi sembra di capire che non ti piaccia il termine sci estremo?
«Sinceramente non tanto. Che cos’è lo sci estremo, in fondo? Sammy fa sci estremo a modo suo, Vivian Bruchez anche, quelli che scendono a Kitzbühel fanno qualcosa di estremo, se ci pensiamo. Chi esplora nuove linee lo fa o semplicemente chi affronta qualcosa al suo limite sta facendo qualcosa di estremo per lui. Ci sono molti modi di farlo e forse non ha tanto senso definirlo così».
Ritieni però che questo modo di sciare si possa applicare solo su pareti aperte? Tardivel sostiene che secondo lui il vero estremo sta nelle competizioni, perché lì ci si avvicina davvero al limite. Ti senti di condividere questo pensiero?
«Forse ha ragione. Nelle competizioni spingi davvero al limite, cosa che non fai ragionevolmente in montagna su certe discese. Però, se ci pensiamo, una parete come quella del Bec de Rosses del Verbier Extreme non è forse un terreno tecnico dove si scia in velocità? Quindi chissà in futuro: un’evoluzione passerà certamente nello scendere con sempre maggior velocità e fluidità le pareti, comunque con dei limiti dettati da condizioni e terreno».
Geremia, dimmi solo un’ultima cosa: la cima che vorresti ancora aggiungere alla tua lista?
«In realtà c’era già. È il Cervino, il sogno sarebbe di farlo dalla punta. Si passa…forse!
QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SUL NUMERO 116 DI SKIALPER, DISPONIBILE QUI.
Maga, aperte le iscrizioni
Doppio appuntamento domenica 1 settembre sulle Orobie Bergamasche: in programma la Maga Skyrace (e la Maga Ultraskymarathon che sarà prova unica di campionato europeo di specialità. Dietro le quinte un comitato organizzatore che viene dal ‘mondo gare’ e conosce le esigenze degli atleti. Al fianco della rodata Maga Skyrace 24 km e 1400 metri di dislivello), molto veloce e aperta a tutti, lo scorso anno è stata introdotta una prova ultra che per durezza e tecnicità è stata definita ‘il mostro’, da 50 km con 5000 metri di dislivello. Una gara tanto dura quanto spettacolare che la ISF ha voluto promuovere sul campo come campionato europeo. A decretare i nuovi campioni europei un anello disegnato su sentieri di montagna con tanto di tratti attrezzati, ferrate e corde fisse. I migliori interpreti della specialità saranno chiamati a confrontarsi su cenge esposte e ripidi pendii rocciosi. Proprio per questo, si è pensato di richiedere un vero e proprio curriculum atletico ai concorrenti che dovranno compilare un form di preiscrizione sul sito e, se ritenuti idonei, avranno la possibilità di correre una delle gare più attese della stagione. Una super gara che li porterà sulle cime Menna, Arera, Grem e sulle due croci dell'Alben. Per maggiori informazioni e iscrizioni: www.magaskymarathon.it
Tutto pronto al Trail del Monte Soglio
Manca poco al Trail del Monte Soglio, in programma il 25 maggio sui sentieri dell’Alto Canavese. Un progetto nato dieci anni fa per promuovere questa parte del Piemonte che ha saputo coinvolgere oltre venti associazioni del territorio e migliaia di volontari che si sono messi all’opera per valorizzare e far conoscere la rete di sentieri esistente sulle montagne canavesane, riscoprendo, e anche ripulendo, antiche vie di comunicazione tra le borgate e gli alpeggi, e creando così nuovi percorsi fruibili tutto l’anno. Per l’undicesima edizione, il comitato organizzatore, in collaborazione con i nuovi gestori del rifugio Alpe Soglia, ha deciso di effettuare il ristoro (tradizionalmente posto sulla cima del monte Soglio) proprio al rifugio, situato lievemente più in basso a quota 1.700 metri circa). Il passaggio sulla cima, sarà quindi un momento che gli atleti potranno ‘gustarsi’ in solitaria senza la ‘confusione’ del ristoro, per poi affrontare i circa 300 metri di discesa che in poco meno di 2 km li condurranno al rifugio. La nuova ubicazione del ristoro comporterà una piccola variante al percorso che ha richiesto agli organizzatori la tracciatura di nuovo sentiero sia per il Gir Lung che per il Gir Curt e l’allungamento di qualche minuto dei cancelli orari nella seconda parte del percorso di gara.
Arriva Scarpa Mescalito Knitted
Con l'arrivo della bella stagione Scarpa presenta una nuova scarpa nella sua ampia collezione da approach. Si tratta di Mescalito KN, calzatura da avvicinamento tecnico ed escursionismo estivo su terreni misti, leggera e traspirante. Modello molto comodo e versatile.
La tomaia è in tecnologia knitted che permette di ottenere una costruzione con diversi spessori e trame con zone studiate e pensate per garantire leggerezza, massima traspirabilità e protezione. Il bordo in PU Tech leggero per il contenimento del tallone, supporto e protezione della tomaia. Puntale in gomma asimmetrico a vasta protezione nella parte interna. L'allacciatura extended Lacing estesa fino in punta di derivazione climbing garantisce la massima personalizzazione e comfort di calzata. La suola dynamis LB in Lite Base Technology Vibram e il battistrada in mescola aderente Megagrip Vibram sono garanzia di precisione sugli appoggi e massima agilità. Infine l'intersuola è in due densità di EVA, con un inserto ergonomico in TPU anti-torsione per maggiore stabilità.
Tempo di premiazioni finali allo Skialpdeiparchi
All’Aquila, tempo di premiazioni finali dello Skialpdeiparchi, circuito che si è articolato in otto manifestazioni: il capoluogo abruzzese è ormai il riferimento del centro Italia nella crescente pratica dello ski-alp, ospitando la sua provincia il 90% delle manifestazioni.
Alla serata hanno partecipato atleti, organizzatori e sponsor dell’edizione 2019: in campo femminile il circuito è stato vinto da Raffaella Tempesta davanti alla new entry di quest’inverno, Leda Argentini e a Giovanna Galeota; al maschile vittoria di Carlo Colaianni che ha preceduto Armando Coccia e Raffaele Adiutori. Da sottolineare che i vincitori hanno sempre ottenuto la prima posizione agli eventi cui hanno partecipato.
Lo Skialpdeiparchi, coordinato da Live Your Mountain, è giunto al suo sesto anno. Complessivamente gli atleti che hanno partecipato almeno ad un evento sono stati circa quattrocento con provenienza da dieci regioni, Abruzzo, Marche, Molise, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia, Toscana, Trentino Alto Adige e Umbria, con una naturale maggioranza dalle regioni del Centro Italia, Abruzzo in primis.
BIG uP & Down, siamo tutti figli dello stesso dio
Scordatevi tutina e cronometro, la parola d’ordine è tranquille. «Ci vediamo domani alle 9, anche 9.30, tranquille; vuoi fare un’uscita tranquillefuoripista?». La vera performance è finire tutta la tartiflette che ti hanno messo nel piatto. Benvenuti alla BIG uP & Down. Siamo a Les Arcs, Savoia, patria di un po’ di tutto, dal KL al freeride, al turismo internazionale. Inizio febbraio. Hai un paio di pelli e un attacchino perché un po’ bisogna salire con le tue gambe? Sei dei nostri, ma non importa quanto pesi o quanto sia largo sotto il piede il tuo sci, oppure ancora se la tutina da gara non ce l’hai: tutti insieme appassionatamente. E se pelli e attacchino non ce l’hai, tranquille,te li danno loro. Loro sono il Community Touring Club, la comunità creata da Gino Decisier e Guillaume Desmurs che mette insieme Kilian Jornet e Cédric Pugin, Mathéo Jacquemoud ed Enak Gavaggio, Laetitia Roux e l’ex campionessa di skicross Meryll Boulangeat. Skialper e freerider: alla francese i freerando.
Tre gare che gare vere e proprie non sono, nel senso che l’importante è esserci, non vincere. Ed esserci, però, non vuol dire appartenere a una comunità chiusa, anzi. Lo spirito è completamente diverso, è quello di allargare i numeri dei freerando. Tre giorni dove nel village puoi provare gratuitamente tutto il materiale che vuoi, che tu sia già skialper, freerider e sciatore. Nessuna distinzione. Abbiamo visto ragazzi con la divisa dell’Equipe de France di sci mettere in un angolo un gigante da gara per provare un bel 100 sotto il piede, cercando di capire prima di tutto come funziona il pin dell’attacco; bambini partire in gruppo con una guida per iniziare la discese fuoripista e conoscere come funziona l’ARTVA per la Première Trace. E poi c’erano quelli pronti per una uscita in neve fresca in big mountain, anche una banda tutta al femminile, le Girls Only. Basta andare e divertirsi fuoripista. Nella massima sicurezza, senza la massima prestazione.
Intendiamoci, non immaginatevi chissà quali numeri o un village smisurato. Ma tutto di qualità. Per capirci: nello stand Salomon abbiamo trovato il nuovo attacco Shift che andrà in commercio a settembre 2018. Come rivista siamo riusciti a vederne in anteprima uno solo, a Les Arcs ce n’erano almeno una decina e siamo andati a provarlo più di un’ora in salita, in pista e fuoripista. E ancora: in quello della Black Crows c’erano almeno tre nuovissimi Solis da ripido, in arrivo direttamente dall’ISPO.
I momenti clou sono due: La Belle Montée e Big Nak. Il primo appuntamento non è nulla di più di un raduno, o meglio, di una salita al rifugio alla chiusura degli impianti. Saranno in trecento, salgono tutti senza fretta, anzi. Parata iniziale con i big e su. Ci sono anche io, a mio agio con i miei 108 sotto il piede, uno dei tanti. «C’est joli» mi dice Jean-Pierre che vede laggiù in fondo la sua Bourg-Saint-Maurice tutta illuminata. Perché è qui? Perché è bello, perché anche lui preferisce la discesa alla salita: e allora uno sci più largo, non troppo pesante, per non fare chissà quanti metri di dislivello, ma poi godere dopo. Lo spirito freerando francese è tutto qui. Ci passa Anna, va veloce: avrà di sicuro più gambe, ma anche solo un 90 sotto il piede. E ci supera anche Mathéo Jacquemoud: non fa più le gare, ha deciso di diventare subito allenatore, ma il suo passo è un’altra cosa. Tanto che al collo ha un bel megafono per sostenere chi incontra in salita. Ci chiama, ci dice: «visto il mio nuovo lavoro? Il clown…». Fa freddo, ma la salita scalda. Alla fine proprio banale non è, con quasi 500 metri di dislivello. Dopo il couloiriniziale in pista, si avanza su una bella strada forestale nei pini, poi la rampa finale, ma si vede già il rifugio. Mi prende anche Antoine, un ragazzino di 14 anni accompagnato da papà Gregory. Arriviamo insieme su: finalmente si mangia. Passano anche a chiederti se stai bene mentre ritiri le pelli: sì, sto bene, c’est joli… Per fortuna basta raclette e tartiflette, ma pizza e birra e qualche fetta di jambon de Savoie. «Siamo partiti con qualcosa di nuovo due anni fa - mi racconta Guillaume, che nello staff organizzativo si occupa di comunicazione - che unisse tutti i mondi del salire in montagna, senza distinzioni tra chi fa dislivello per la prestazione, chi per una gita, chi per godersi la discesa. C’è anche una prova vera il venerdì, a cronometro, proprio per coinvolgere tutti. Ogni anno siamo sempre di più, perché alla fine è un modo come un altro per stare insieme. E vedrai domani». Intanto scendo a valle: la pista, ma anche il fuoripista a fianco, è illuminato a giorno da dei palloni giganteschi. Della frontale puoi fare a meno.
La festa continua nella birreria di Arcs 1800, molto local direi. Ma cosa sarà mai ‘sta Big Nak? Se ci mette la mano Rancho… Qualche idea me l’ero fatta: in fondo nulla di più di un vecchio rally, quattro prove cronometrate, due in salita e due in discesa. Niente piste però, o magari porte da gigante. Tutto fuori. Pettorali di carta che svolazzano oppure sono nascosti dagli zaini: e va bene. Ma la partenza proprio no, non me l’aspettavo così: tutti schierati in linea, alle 10 il via, anzi no, alle 10.15 perché devono arrivare ancora un po’ di rider. Tre, due, uno, go. Nessuno dice nulla ai turisti in pista, neanche a quelli che stanno prendendo gli impianti. Così per arrivare alla partenza della prima prova speciale, quelli della Big Nak prendono d’assalto la seggiovia. Di corsa, una mandriaimbizzarrita… in una domenica di febbraio. «Solo qui possono fare una cosa del genere» mi viene da dire. La gara continua, finisce nel primo pomeriggio: chi vince si porta a casa una testa di cinghiale. Finta, state tranquilli.
Community Touring Club, c’est quoi?
Nella pagina della Community Touring Club (www.communitytouringclub.com) troverete la foto di Kilian Jornet con gli sci da gara insieme ad Enak Gavaggio con quelli da freeride. Una associazione, o meglio una comunità, che vuole mettere insieme tutti i modi dello ski de randonnée. E unire appassionati, aziende, stazioni… Con la BIG uP & Down tra gli eventi top che organizzano.
Questo articolo è stato pubblicato su Skialper 117, clicca qui per ordinarlo.
il Trail del Segredont al keniano Dennis Bosire Kiyaka
Non ha avuto rivali il keniano, classe 1990, Dennis Bosire Kiyaka sui 23 chilometri del Trail del Segredont. Il portacolori del team Serim ha tagliato il traguardo di Vertova con il tempo di 2h06’44”. Avvincente la battaglia per il podio, con Luca Carrara del team Salomon Running Italia, fresco vincitore della Trentapassi Marathon, che ha agguantato il secondo posto stoppando le lancette su 2h08’34”.
Rimonta come al solito impressionate per Fabio Bonfanti nella gara che passa proprio fuori casa sua. Innestando il turbo lungo la discesa della Val Vertova, i suoi sorpassi gli sono valsi il terzo gradino del podio, su cui è salito con il crono di 2h09’36”. Nella top ten di giornata Paolo Poli, Cristian Terzi, Matteo Longhi, Fabio Bazzana, Clemente Belingheri, Luca Rota e Denny Epis.
La gara femminile ha avuto come protagonista la bergamasca Federica Giudici del team Sport Evolution che si è guadagnata la vittoria con il finish time di 2h48’59”. In seconda posizione la trentina Lara Bonora (Atletica Lumezzane), prima lo scorso anno – che troviamo al via della gara vertovese da ben sei edizioni. 2h56’02” il suo tempo. A far loro compagnia sul podio Elena Sala.
Il presidente del Gav Vertova Franco Testa: «Ci riteniamo soddisfatti dell’esito della manifestazione. Abbiamo raccolto un parere positivo da tutti gli atleti. Tutto è filato liscio nonostante le condizioni del percorso non fossero delle migliori. C’era grandine sul terreno nella parte alta del tracciato e acqua in abbondanza nel torrente Vertova che gli atleti hanno attraversato».
Online il nuovo documentario Protect Wild Fish di Patagonia
L'ultima campagna ambientale di Patagonia, Artifishal, mette in evidenza le problematiche causate dagli allevamenti ittici in mare aperto e la minaccia per il salmone selvatico e altre specie ittiche costiere in tutto il mondo. Dopo l’uscita del lungometraggio attualmente in tournée in Europa, Patagonia si è recata in Islanda con gli Ambassador del fly fishing Mikael Frodin e Katka Švagrova per realizzare un video sulla situazione attuale, con le ONG locali attivamente impegnate per la protezione dei pesci selvatici. Guardalo qui.
Nord Atlantic Salmon Fund Iceland (NASF) e Icelandic Wildlife Fund (IWF) stanno combattendo contro l’espansione esponenziale dell’allevamento ittico, che minaccia sempre di più l’esistenza del pesce selvaggio e della natura circostante. "La cosa più bella dell'Islanda è la sua diversità." ha affermato Jón Kaldal di IWF, "L'Islanda è, in un certo senso, l'ultima frontiera del salmone selvaggio dell’Atlantico".
Nel 1970, a livello globale erano presenti 10 milioni di uova di salmone atlantico selvatico, ora ne restano solo tre milioni. Mikael Frodin, che viaggia in tutto il mondo, Islanda compresa, per pescare ha raccontato che la quantità di pesce che entra nei fiumi è la metà rispetto al passato. Attualmente sono circa 8 milioni i salmoni atlantici allevati annualmente in Islanda, ma il piano è di triplicare le dimensioni dell'industria. «Siamo estremamente preoccupati per la crescita di allevamenti di salmoni in reti in mare aperto in Islanda. Riteniamo che questa sia la più grande minaccia per il salmone atlantico selvaggio nei nostri fiumi», ha dichiarato Fridleifur Gudmundsson, direttore di NASF Islanda.
La sopravvivenza dei pesci selvatici, tra cui il salmone atlantico, la trota di mare e il salmerino alpino, è in pericolo. «In Islanda abbiamo una delle più grandi aree selvagge d'Europa. La nostra generazione non ha il diritto di rovinarla, ha il dovere di conservarla per le generazioni future» ha affermato Jón nel cortometraggio lanciato da Patagonia questa settimana: Protect Wild Fish.
Puoi unirti a questa causa e sostenere la salvaguardia dei pesci selvatici - e delle specie e comunità che dipendono da essi - firmando la petizione sostenuta da North Atlantic Salmon Fund Islanda, Redd Villaksen - NASF Norvegia, Salmon e Trout Conservation Scotland e Salmon Watch Ireland.
Tempo di presentazione per Hoka One One Monterosa EST Himalayan Trail
Tempo di presentazione per la seconda edizione della Monterosa EST Himalayan Trail, griffata Hoka One One. Al megastore Sportway di Gravellona Toce erano presenti i vincitori della passata edizione, Giulio Ornati e Giulia Saggin, oltre a Scilla Tonetti pronta a dare battaglia (sportiva) a Macugnaga. La manifestazione organizzata sa Sport Pro-Motion si correrà infatti in Valle Anzasca sui sentieri sotto la parete più alta d’Europa con ben tre distanze (60K, 38K, 23K) oltre alla prova a staffetta (38K+22K). Appuntamento allora sabato 27 luglio: le iscrizioni su meht.it, gli aggiornamenti sui canali social Instagram e Facebook.
Arrivano le Scott Kinabalu RC 2.0
Belle, gialle, aggressive. Ecco le nuove Scott Kinabalu RC 2.0. La trazione è importante, è il suo motto. La nuova Kinetic Foam restituisce il 14 % di energia in più rispetto alla gommapiuma convenzionale in EVA, con il risultato di una corsa morbida, ma stabile e più dinamica. La suola è Hybrid Traction, ottimizzata per una corsa efficiente e veloce su trail: una combinazione di tacchetti a forma di chevron, per un trasferimento della potenza in linea retta, con tacchetti conici, che offrono trazione multi direzionale per offrire supporto nelle curve ad alta velocità.
Infine il nuovissimo Internal Fit System blocca il piede al suo posto grazie alla speciale microfibra utilizzata, che offre performance nelle corse ad alta velocità.
Cala Cimenti vuole sciare il Nanga Parbat
Carlalberto ‘Cala’ Cimenti partirà il 2 giugno per il Pakistan. Obiettivo: salire il Nanga Parbat e sciarlo da una via nuova. Saranno con lui in questa spedizione i russi Vitali Lazo e Anton Pugovkin, il cui progetto Death Zone Freeride prevede la salita di cinque ottomila senza ossigeno con discesa sugli sci. Il Nanga Parbat rientra fra gli obiettivi e per questo hanno chiesto a Cala di unirsi a loro in questa avventura. La Nanga Parbat Ski Expedition 2019, in preparazione sin dall’agosto dello scorso anno, ha come obiettivo quello di scalare la montagna in stile alpino, senza portatori di alta quota e senza l’ausilio dell’ossigeno, dalla parete Diamir (Nord-Ovest) seguendo la via che si presenterà più praticabile, per poi scendere con gli sci dalla vetta, se le condizioni di neve lo consentiranno, lungo una via mai scesa fino ad ora con gli sci. Se il meteo sarà favorevole, Cala Cimenti prevede un primo periodo di acclimatamento in giugno, per poi chiudere la spedizione entro la prima settimana di luglio.
«La sfida è certamente impegnativa, ma allo stesso tempo estremamente affascinante - commenta Cala Cimenti - È ormai quasi un anno che Vitali, Anton e io studiamo ogni angolo della montagna per poterla affrontare con la maggior consapevolezza possibile. Molto dipenderà anche dalle condizioni della neve e dal meteo. Per quanto ci riguarda, ci stiamo allenando al meglio per poter arrivare preparati a questo importante appuntamento. Certamente affrontando oggi il Nanga Parbat il pensiero non può non andare alle tristi vicende degli ultimi mesi, ma queste devono servire per prendere ancora più seriamente il progetto che abbiamo in mente e a non sottovalutare in alcun modo la montagna».
Alpinista sciatore quarantaquattrenne piemontese, dopo alcune esperienze d’alta quota in Tibet, Nepal, Ojos del Salado, Kilimanjaro, nel 2005 è arrivato in vetta al Cho-Oyu (8.201 m) e successivamente ha scalato in solitaria in una no-stop dal campo base alla vetta in 26 ore l’Ama Dablam (6.812 m) in Nepal. Nel 2011 è sceso con gli sci dal Manaslu (8.156 m) e da allora ha sempre cercato di sciare in discesa le vette raggiunte. Nel 2015 è stato il primo italiano della storia a ricevere l’onorificenza Snowleopard, riconoscimento che la Federazione alpinistica russa concede esclusivamente a chi scala tutte e cinque le cime oltre i 7.000 metri sul territorio dell’ex Unione Sovietica. Nel 2017 ha raggiunto gli oltre 8.167 metri di quota del Dhaulagiri ed è sceso con gli sci ai piedi. Nel 2018 è sceso con gli sci dalla vetta del Laila Peak (6.096 m), prima ripetizione assoluta della via. Cala, che sarà supportato da Garmin, Masters, Elan, Mammut e Cèbè nell’impresa, è da poco diventato ambassador degli attacchi ATK Race. «Ho sempre guardato ad ATK come un’azienda seria che dedica un’attenzione particolare ai propri prodotti» dice Cala - Già solo da un esame visivo si notano la scelta di materiali di alta qualità e la lavorazione eccellente che si abbina ad una particolare cura del dettaglio e alla ricerca del miglior compromesso tra leggerezza ed affidabilità. Sono entusiasta di iniziare questa nuova collaborazione e spero di apportare un valido contributo già a partire dalla mia prossima spedizione».