La Sportiva Stratos Mask sarà certificata come le mascherine chirurgiche

Terminata la fase di collaudo, La Sportiva passa all’industrializzazione e commercializzazione di Stratos Mask, svelando tutti i dettagli della mascherina igienica di protezione generica pensata per la nuova fase di convivenza con il Covid-19 e per la pratica dello sport.

La prima notizia è che Stratos Mask è certificata come una mascherina chirurgica. Lo è il filtro monostrato, facilmente sostituibile grazie a dei comodi strap, che permette di filtrare il 99% dei batteri e virus emessi dalla bocca secondo la norma EN ISO 14683:2019. Il filtro andrà sostituito quotidianamente (un foro permette di vedere se è stato inserito o no) o con maggiore frequenza a seconda dell’intensità d’uso della maschera da parte dell’utente (l’azienda ne consiglia un utilizzo per un massimo di circa quattro ore). Stratos Mask sarà in vendita a 19 euro con 30 filtri mono-uso e le ricariche da 90 filtri costeranno 9,90 euro. La mascherina vera e propria invece è lavabile a 40 gradi a mano o in lavatrice, ma non è necessario farlo tutte le volte. Il tessuto 3DMesh traspirante infatti ha subìto un trattamento anti-batterico e anti-virale Viraloff by Polygiene, che riduce del 99% batteri e virus, quali quelli dell’influenza A, influenza avaria, Norovirus, Corona (SARS) entro due ore.

Per quanto riguarda l’ergonomia, è stata studiata per evitare la dispersione delle goccioline sia in scia, sia in verticale perché quando si va in montagna potrebbe esserci dispersione di droplet anche in questa direzione. Ecco dunque che il copri naso e il copri mento sono molto avvolgenti, ma possono essere allentati quando serve più areazione. L’applicazione avviene tramite due elastici con possibilità di regolazione, anche se esistono comunque tre taglie (Kid, M, L ) e due varianti colore.

Tutti i tessuti della mascherina sono certificati da Oeko-Tex: Oeko-Tex® Standard 100 indica che il produttore è certificato come ecocompatibile sia nei processi che negli stabilimenti, oltre che testato per verificarne l'assenza di sostanze nocive. Stratos Mask è pensata per attività sportiva outdoor, dalla gita in montagna alla corsa moderata, e pesa 20 grammi. L’utilizzo di una mascherina lavabile e riutilizzabile rispetto a quelle mono-uso contribuisce alla salvaguardia dell’ambiente: la minore superficie del filtro rispetto a quella necessaria per produrre mascherine sanitarie contiene gli sprechi di materiale ed è quindi una soluzione maggiormente sostenibile.

La commercializzazione avverrà a partire dalla settimana 18-22 maggio tramite i canali commerciali tradizionali e sarà inoltre acquistabile dall’utente direttamente dall’e-commerce dell’azienda con consegne a partire da fine mese.


La Sportiva, il 18 maggio riaprono produzione e negozi monomarca

Mascherine, guanti e distanziamento sociale sono i nuovi mantra della fase due nella lotta all’epidemia da coronavirus e La Sportiva è pronta ad affrontarla in sicurezza: da lunedì 18 maggio riparte ufficialmente la produzione delle scarpette d’arrampicata e scarponi da montagna nella sede produttiva di Ziano di Fiemme e con sé tutta la filiera di produzione. Inizialmente gli oltre 200 operai (su una popolazione aziendale di oltre 360 persone) si alterneranno su due turni giornalieri di 4 ore mentre gli impiegati che possono lavorare in homeworking, proseguiranno con il lavoro da casa, allo scopo di ridurre il numero di persone contemporaneamente presenti in azienda. A queste misure si aggiungeranno il controllo della temperatura corporea e l’entrata e uscita dei dipendenti a turno in modo da garantire ulteriore sicurezza a tutti i lavoratori e minimizzare il rischio di assembramenti.

«Torniamo finalmente operativi anche se non ancora a pieno regime - ha detto Lorenzo Delladio, CEO & Presidente - c’è bisogno di rimettere in moto l’azienda e tutta la filiera dei fornitori con l’obiettivo di tornare al 100% della capacità produttiva a giugno. Sarà fondamentale vedere anche come risponderà il mercato ed un sentiment immediato ce lo darà anche la riapertura dei nostri store monomarca che riapriranno sempre da lunedì 18 maggio rispettando tutti i decreti emanati dal governo in materia di sicurezza. Avremmo potuto riaprire la produzione già il 4 maggio grazie al lavoro dei nostri responsabili della sicurezza che hanno recepito ed applicato a tempo di record tutte le misure finalizzate al massimo contenimento del contagio, tuttavia abbiamo preferito aspettare e riaprire contemporaneamente sia produzione che brand store».

Lo stabilimento di Ziano non si è in realtà mai fermato del tutto fatte salve le primissime due settimane di chiusura, una task force di 18 dipendenti richiamati dalla cassa integrazione infatti ha dato vita ad una linea di produzione di 5.000 mascherine sanitarie al giorno a favore della Protezione Civile di Trento e principalmente di aziende locali trentine, mentre il reparto R&D ha lavorato incessantemente per creare l’esclusiva Stratos Mask, un prodotto lavabile e riutilizzabile che pensa anche alla sostenibilità dei dispositivi protettivi in questa fase di convivenza con il virus. «Siamo ormai pronti per la commercializzazione di questa mascherina con filtro intercambiabile ed utilizzabile nel quotidiano ma anche per fare sport outdoor - precisa Delladio - entro maggio sarà possibile acquistarla sul nostro e-commerce e a giugno partiranno le prime consegne. È un lavoro che ha richiesto molto impegno e ci ha dato tanta motivazione, non è stato semplice per una fabbrica che normalmente produce calzature riconvertirsi alla produzione di dispositivi di protezione come Stratos Mask».


Ski local

Primo gennaio 2010

Felicemente fidanzato a mesi alterni, un lavoro impegnativo ma che mi piace, un buono stipendio, una casa di proprietà in un posto da sogno in cui ti alzi al mattino e ti senti in vacanza, salute, tanta energia, passioni e interessi. E un potente furgone sul quale dormire e trasportare l’attrezzatura da sci, bici e da scalata praticamente tutto l’anno. Ogni fine settimana centinaia di chilometri di trasferte: non mi mancava nulla per essere il padrone del mondo e, soprattutto, della mia libertà, guadagnata solo grazie ai sacrifici. Una libertà che volevo godere, in quanto mio diritto acquisito, fino all’ultimo minuto, fino all’ultimo chilometro. Non badavo al fatto che il mio furgone inquinasse come una petroliera, che la mia casa non fosse efficiente, a cosa acquistavo su internet o al supermercato per convenienza, a cosa mangiavo, alla storia di ogni prodotto che mi circondava. Nel 2012 trascorsi un mese e mezzo in Colorado e scoprii tanto, ma sicuramente non tutto, dei folli stili di vita degli americani. Un mio compagno di stanza possedeva un fichissimo furgone modello A Team e un giorno gli chiesi quanto carburante consumasse. Mi rispose:
I don’t know, I don’t take care.

Primo gennaio 2020

Vivo in una casa efficiente con frutteto, orto e quasi tre bambini. Ogni gesto mio e della famiglia è pensato percontenere al minimo l’impatto ambientale. Sfrutto al massimo l’autoproduzione alimentare di frutta e verdura e gestisco l’extra preparando conserve, marmellate e surgelando. Le tisane arrivano dalle erbe del mio giardino, lo yogurt si riproduce con i fermenti. Ho costruito un network di fornitori locali, biologici e a portata di bicicletta che completano le nostre esigenze alimentari e che mi hanno permesso di ridurre del novanta per cento e a una volta al mese gli acquisti presso la grande distribuzione. Carne, uova, latticini, pane, dolci, miele, frutta e verdura di stagione, pasta fresca: la spesa spesso diventa una scusa per una gita in famiglia in bicicletta. Pasta secca, spezie, riso, orzo, farro, avena, fiocchi per le colazioni e frutta secca biologica e sfusa si acquistano in un negozio vicino a casa che accetta i nostri sacchetti di carta o contenitori di vetro o plastica, stessa cosa per il gelato. Una volta al mese arriva una consegna dal Sud Italia con prodotti biologici prenotati direttamente al produttore: farina, fagioli, lenticchie, ceci, farina, conserva di pomodoro, agrumi, mandorle, olio e qualche verdura. Beviamo solo acqua che arriva dal rubinetto. Baratto prodotti con chi, come me, crede in questo progetto di vita e si specializza in qualcosa: verdura con biscotti e pane, verdura con sapone e detersivo fatto in casa. Do via tutto quanto non usiamo più, riparo, riutilizzo e do nuova vita a vestiti e oggetti. Ho ridotto del cinquanta per cento il mio guardaroba. Acquisto da attività e uffici del posto evitando di spostare inutilmente merci già presenti sul territorio. Boicotto i grandi marchi che perseguono nel continuare a promuovere il prodotto ignorando una responsabilità economica, sociale e ambientale degna del momento. Diffido di offerte e piattaforme che muovono un’economia malata e milioni di corrieri puntando invece a qualità, servizio, durabilità e, soprattutto, contatto umano. Possiedo un’auto efficiente e la uso responsabilmente sia in quantità che in qualità. Razionalizzando e riunendo gli impegni professionali e personali, utilizzando la bicicletta e mezzi pubblici quanto più possibile, rinunciando agli spostamenti del fine settimana, privilegiando le gite da casa o a piedi, ho tagliato oltre 20.000 chilometri all’anno.

Ma tutto questo cosa c’entra con lo scialpinismo e gli sport outdoor? Il mio passaggio in un decennio da persona standard, che vedeva e mirava limitatamente al proprio presente, a persona informata, che ha preso coscienza e si è sentita responsabile del futuro proprio e degli altri in funzione di scelte, gesti e azioni e ha iniziato un percorso per diventare ogni giorno più virtuosa mi è servito per giustificare un approccio moderno all’attività di scialpinismo, parte ricreativa importante degli ultimi trentadue anni. Lo skialp prende sicuramente più like per le sue regole e modalità poco convenzionali e amiche dell’ambiente. Sta di fatto che solo ognuno di noi sa quale contributo reale alla riduzione di impatto ambientale fornisce e, quindi, quanto è coerente con la vera filosofia green. Se un tempo mi sarei fatto trenta trasferte sopra i quattrocento chilometri e oggi rinuncio a tutte queste, sommandole mi potrei permettere di usare l’auto per trecento uscite vicino a casa. Voglio dire che fa di più, concretamente, la rinuncia a una lunga trasferta a vantaggio di una gita locale, anche se raggiunta in auto, rispetto a trenta chilometri percorsi in bicicletta una tantum se poi abusiamo dell’auto. Per cui ognuno decida come interpretare lo sport che piùamiamo, come bandiera per i propri like e per mostrare la propria interpretazione radical-chic, come sfidapersonale o vetrina su Strava, come un diversivo per vestire di nuovo una gita conosciuta, comecompletamento radicale di una coerenza etica.

I più atletici e tecnologici potranno permettersi di inforcare una mountain bike, intraprendendo un’esperienzaby fair means non impossibile, ma roba da veri e pochi eroi. Perché la bici a pedalata assistita, pur con un impatto non trascurabile, sia per la batteria e il suo smaltimento che per l’utilizzo di materie prime o per energia elettrica non rinnovabile utilizzata per ricaricala, è innegabile che sia un uovo di colombo che solo chi ha provato può capire. Uno strumento che può, su strade poderali, consorziali e forestali, farti andare fortecome un fuoristrada anche con quindici chili sulle spalle, rispettando il silenzio del bosco. Oppure offrirti un cavallo col quale ributtarti a valle più veloce di un’auto, divertendoti come con una moto. Ecco, questa è la mia idea di sci locale e sostenibile, un modo per vivere un’esperienza con se stessi, con gli amici, col territorio e l’ambiente al cento per cento dalla porta di casa.

Domodossola è una base di partenza perfetta per interpretare lo scialpinismo a chilometri zero. Dalla stazione internazionale ferroviaria si possono affrontare oltre una decina di itinerari logici, evitando strade trafficate, dove esaltare le potenzialità della bicicletta per riscoprire le stesse montagne da nuovi versanti e linee. Dal Moncucco, il più accessibile a soli sei chilometri in linea d’aria, alla Weissmies, il quattromila ben visibile dalla stazione stessa, ci si può sbizzarrire, mappa alla mano, a inventare destinazioni e accessi nella totale libertà di spostamento e lontano da resse e gite blasonate. Accessi eterni, versanti abbandonati e incontaminati che hanno tenuto per decenni lontana la massa, possono ora essere considerati, riponderati nelle misure e tempi abbattendo distanze e tabù. Garantisco che la solita gita, la solita montagna raggiunta decine, centinaia di volte si trasformerà, con la giusta compagnia, in un’esperienza così nuova, così divertente da farti sembrare di aver praticato uno nuovo sport in una valle diversa da quella che conosci.

Questo articolo è stato pubblicato su Skialper 128. Info qui.

© Max Draeger

 


Monsieur Mezzalama

«Quella è un’avventura cominciata nel 1995. La prima edizione organizzata da noi è stata nel 1997, dopo quelle tenutesi fra il 1933-39 e quelle del 1972-78. L’idea del Mezzalama moderno fu del consorzio turistico del Monte Rosa e all’epoca, lavorando per Monterosa Ski, venni incaricato della questione. Non ero assolutamente pratico di quel mondo e mi sono fatto le ossa poco alla volta. Sono state determinanti la conoscenza di queste montagne e – diciamolo - un pizzico di fortuna per arrivare a far correre la gara anche con condizioni avverse. Fin dalla prima edizione, poi, è stata fondamentale la collaborazione con il meteorologo Luca Mercalli, capace di prevedere le finestre meteo giuste nelle quali far correre gli atleti. L’edizione 2015, ad esempio, si è disputata in un intervallo di nove ore tra le perturbazioni, basti pensare che gli atleti di testa indossavano il piumino anche in salita. Nel 2003, invece, abbiamo dovuto evacuare degli atleti in ipotermia e da quel momento abbiamo introdotto regole più severe per l’attrezzatura».

A parlare è Adriano Favre, anima del Mezzalama. E, come scrive Federico Ravassard, è una persona che ha «la capacità di complicarsi meravigliosamente la vita, portando avanti progetti che, presi singolarmente, basterebbero già a riempirti la giornata». Perché Adriano è «Guida alpina, tecnico e responsabile del Soccorso Alpino, viaggiatore, alpinista himalayano, organizzatore del Mezzalama e una delle menti dietro al successo della Grande Course, rifugista». Lo abbiamo intervistato su Skialper 129 di aprile-maggio. Ma come è cambiata la regina delle gare di skialp? «I partecipanti, ora, sono più preparati tecnicamente, sia perché è evoluto lo scialpinismo, sia perché la voce si è sparsa e ormai tutti hanno bene in mente quali siano le difficoltà aggiuntive del Mezzalama che ne fanno una gara unica: non è assolutamente sufficiente avere il motore e basta. Sono cambiate anche le condizioni della montagna, un fatto che si è palesato nell’edizione 2015, quella corsa in senso inverno da Cervinia a Gressoney; molte discese, a causa dello scioglimento dei ghiacciai, presentavano tratti tecnici con ghiaccio vivo e dubito che si ripeterà l’esperimento, a meno che non ci sia un’inversione di tendenza».

Skialper 129 è in distribuzione in edicola, oppure puoi ordinare la tua copia qui.


Lo scaldacollo Run Local di Dynafit a sostegno dei negozi specializzati

Uno scaldacollo limited edition #RunLocal - #ShopLocal per sostenere i rivenditori specializzati di articoli sportivi. È questa l’iniziativa Run for your local dealer lanciata da Dynafit, che ha distribuito 10.000 esemplari dell’accessorio tecnico ai negozi perché venga dato in omaggio ai clienti per acquisti di prodotti Dynafit superiori a 100 euro a partire dal prossimo 20 maggio. Lo scaldacollo funzionale, che ha un prezzo al pubblico di 22 euro, è particolarmente utile anche nella vita di tutti i giorni in quanto può essere utilizzato per coprire il naso e la bocca rispettando così l’obbligo presente in molti luoghi di indossare la mascherina. E lancia un segnale chiaro: correre e acquistare local. In supporto all’iniziativa Dynafit chiuderà il proprio sito di e-commerce online dal 20 al 27 maggio.

Numerosi atleti e ambassador Dynafit hanno aderito all’iniziativa Run for your local dealer e la promuoveranno sui loro canali social. Run for your local dealer non è però l’unica proposta di Dynafit per sostenere i rivenditori. Il brand del leopardo delle nevi riproporrà infatti l’80% della collezione estiva 2020 anche nell’estate 2021, così da non sovraccaricare i rivenditori ed evitare fondi di magazzino. Le novità per l‘estate 2021 saranno presentate il 20 maggio 2020 dalle ore 17.00 nell’ambito della Oberalp Convention che per la prima volta si svolgerà in versione completamente virtuale.

 


Mountains Within: la sfida di Michele Graglia

Non è facile abbandonare il mondo dorato delle sfilate di New York e Miami. O meglio, è facile uscire da quel mondo bello e finto allo stesso tempo, ma non è facile rinunciare ai privilegi di quella vita e ricostruirsene un’altra, ripartendo da zero. È la storia di Michele Graglia, ragazzo ligure catapultato per caso (un incontro fortuito in un negozio dove si riparava da un acquazzone) sulle passerelle yankee (di lui si dice che Madonna lo abbia soprannominato the abs per i suoi addominali) e poi fuggito da quelle passerelle per ritrovare la pace nella natura e nell’ultra running. La sua storia è stata raccontata da Fosco Terzani nel libro Ultra. La libertà oltre il limite e ora è diventata un cortometraggio, Mountains Within, il primo di una serie prodotti da La Sportiva che ha sviluppato il claim For your mountain. I prossimi saranno sulla climber egiziana Amer Wafaa e su Tamara Lunger.

Il significato di Four your mountain è quello della propria sfida interiore. Ci sono sfide che vanno oltre l’avversario, il traguardo, la cima, il tempo da battere. Sfide che chi pratica sport conosce bene: si basano sulle nostre motivazioni più profonde, ci portano ad intraprendere intense sessioni di allenamento, ad affrontare le nostre paure, a conoscere e possibilmente superare i nostri limiti. Chi corre, arrampica, scia, chi fa escursionismo, chi pratica una qualsiasi attività outdoor per stare bene prima di tutto con se stesso, affronta ad ogni uscita la propria sfida, la propria montagna.

Mountains Within dura 13 minuti ed è stato realizzato da Storyteller Labs con la direzione di Damiano Levati e Matteo Vettorel mentre i testi sono di Michele Graglia e Giovanni Spitale. È stato interamente girato in California, dove Michele vive, dalle colline di Hollywood tra le nebbie dell’alba alle dune del deserto, passando per la Walk of Fame. Graglia ha vinto molte delle sfide che si era posto all’inizio del suo percorso: nel 2016 la Yukon Artic 100 miglia nel gelo e nella solitudine dell’inverno canadese, nel 2018 è il primo italiano di sempre a tagliare il traguardo in prima posizione alla Badwater Marathon negli Stati Uniti, l’ultra maratona su strada di 217 km considerata dagli appassionati la più dura al mondo e ancora nell’ottobre 2019 entra nel Guinness dei primati con la traversata completa del deserto dei Gobi nella Mongolia meridionale, primo essere umano a percorrere, correndo, i 1.703 km del deserto ventoso nel tempo record di 23 giorni, 8 ore e 46 minuti.


Skialper amarcord

«L’equazione era piuttosto semplice: un giovane abituato a stramazzarsi di fatica nelle gare di fondo - Lenzi era forte in tecnica classica - avrebbe potuto fare sfracelli nello scialpinismo in cui la componente fatica e motore erano altrettanto importanti. A detta del suo allenatore, Vincenzo Trozzi, del Centro Italia, il ragazzo era piuttosto dotato e mal volentieri gli dava l’approvazione per praticare lo skialp, anche se verso fine inverno gli concedeva il nulla osta quasi come un premio per quanto si era impegnato nel fondo. E così Lenzi si era guadagnato la partecipazione agli Europei di Morzine-Avoriaz del 2007 con gli altri azzurrini a difendere i colori dell’Italia. Il giorno della Vertical ho raggiunto una postazione a metà percorso in un punto in cui presumevo che il plotone si fosse già sgranato e che gli atleti migliori avessero preso il largo. Idalba un po’ più in basso, appena fuori dal bosco. Pronti, via! Da dove ero piazzato potevo seguire dall’alto il serpentone che velocemente si avvicinava. Più gli atleti si avvicinavano e più si delineavano le posizioni di testa in base ai colori delle tutine. Qualcosa non quadrava: nella mia assoluta certezza che Lenzi dovesse mangiarsi tutti, proprio grazie al suo grande allenamento nel fondo, non era in testa… Davanti a me è transitato uno spagnolo pressoché sconosciuto seguito da un francese, un po’ staccato Damiano Lenzi, visibilmente provato dal forcing dei due battistrada. Lo spagnolo era Killian Jornet Burgada».

Ecco come è nato il mito di Kilian nello scialpinismo, ma allo stesso Europeo, nel vertical, ha vinto anche una sconosciuta francese con la tuta color prugna, Laetitia Roux. Sono solo due degli aneddoti raccontati da Enrico Marta su Skialper 129 di aprile-maggio. Un amarcord dello skialp race, da Gignoux in grave difficoltà al Mezzalama, perché aveva perso le lenti a contatto, alle imprese di Guido Giacomelli o della coppia Cazzanelli-Righi. Parole e foto di un pezzo di storia dello sci.

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Arianna Tricomi, go with the flow

«All’inizio l’ambiente del freestyle era super punk, ognuno faceva quello che voleva ed era libero di esprimersi liberamente, ma poi anche lì con l’arrivo della FIS e delle federazioni siamo tornati da capo: l’ambiente è cambiato e molti hanno mollato, come me e Markus Eder; con l’arrivo delle Olimpiadi sono apparsi sulla scena skier che non hanno mai costruito un kicker in vita loro, che non si sono sbattuti, attirati solo dai Giochi e dai benefici che possono portare. Ora questi park skier si allenano come matti in park e sui tappeti, ma poi se devono tornare a valle preferiscono montare in cabinovia piuttosto che sciare (ovviamente questo non vale per tutti i freestyler). Dov’è la passione per lo sci? Le leggende che hanno spaccato nel freeski, come Tanner Hall o Candide Thovex, presenti dal giorno uno di questa rivoluzione, non torneranno più probabilmente, ora è tutto più incentrato sulla prestazione, è un vero e proprio sport e la progressione è molto più veloce. Come dicevo riguardo le nuove leve del Tour, ad alcuni giovani sicuramente manca il background fatto di sperimentazione e passione».

Così parlò Arianna Tricomi. Alberto Casaro l’ha incontrata proprio prima del lockdown e che venisse incoronata per la terza volta regina del World Tour. L’intervista è stata l’occasione anche per un simpatico siparietto con la madre, Cristina Gravina, olimpionica di discesa libera a Lake Placid.

 «Arianna faceva incavolare gli allenatori perché o si faceva i fatti suoi o non si presentava agli allenamenti e poi alle gare andava forte e batteva gli altri bambini, figurati i genitori… Una volta aveva avuto la possibilità di andare col club a Les 2 Alpes a fare allenamento e nella sacca degli sci aveva nascosto quelli da park: un giorno l’allenatore mi chiama e mi chiede dove sparisce tutti i giorni Arianna alla fine degli allenamenti!».

Su Skialper 129 di aprile-maggio l'intervista completa. Skialper 129 è in distribuzione in edicola, oppure puoi ordinare la tua copia qui.

© Brett Wilhelm / Red Bull Content Pool

Mezzalama 2009, quando le avversità diventano opportunità

«Le Guide dislocate in quota mi annunciano che le condizioni meteo si sono aggravate, la perturbazione annunciata è arrivata in anticipo, il vento da stanotte sul Castore e sul Naso del Lyskamm sta creando pericolosi accumuli sui pendii. Mi dispiace dovervi dire che in queste condizioni il Mezzalama non può partire. Ipotizziamo di poter recuperare la gara sabato 2 maggio, ma ci sono grossi problemi organizzativi da risolvere. Vi daremo novità al più presto».

Un annuncio che avrebbe potuto essere accolto con rabbia, invece alle cinque del mattino di quel 19 aprile 2009, ai piedi del Cervino, la tensione si sciolse in un applauso liberatorio dei concorrenti del Trofeo Mezzalama. Uno dei momenti più difficili nella storia della maratona dei ghiacciai raccontato dalla penna arguta di Pietro Crivellaro su Skialper 129 di aprile-maggio. Riprogrammare la gara, dopo il riscontro positivo dei concorrenti, non sarà per nulla facile e, come in tutte le storie che si rispettano, c’è un episodio dietro le quinte che è cruciale e che Crivellaro racconta con dovizia di particolari. Uno di quei momenti di fratellanza che ha permesso di riprogrammare il Mezzalama proprio il 2 maggio, quando 798 atleti, ossia 266 cordate, hanno preso il via. L’innevamento del percorso era talmente ideale che gli alpini Eydallin, Reichegger e Trento hanno polverizzato il record della corsa, arrivando al traguardo di Gressoney in 4h1’22”, con ben 17 minuti in meno del record 2005. E le ragazze Martinelli, Pedranzini e Roux hanno migliorato il record femminile di quasi un’ora. Ma questa è un’altra storia.

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L’anno zero della tutina

«Io e Adriano Greco ne usavamo una da ginnastica della Panzeri, un normale spezzato, con la giacca e i pantaloni a parte: per certi versi funzionava visto che la neve non si attaccava, ma se cadevi erano dolori perché ti bagnavi tutto» dice Fabio Meraldi a proposito della prima tuta che ha usato per le gare di skialp. La parentela tra skialp e fondo ha portato a provare quanto usavano gli atleti degli sci stretti. «Le tutine dei fondisti erano fantascienza per noi, però c’era quell’apertura sulle spalle che le rendeva scomode perché dovevano essere infilate da sopra e non erano funzionali per lo scialpinismo, dove avremmo dovuto mettere le pelli?» continua Meraldi. Così è nata la prima tuta da skialp, dall’esigenza della coppia Meraldi-Greco e dall’esperienza di Valeria Colturi, che conosceva bene le tute che venivano utilizzate in quegli anni e aveva fatto anche le prime da short track perché la sorella Katia era una pattinatrice che ha partecipato a ben cinque Olimpiadi. Curiosamente i due primissimi esemplari erano neri con le bande gialle, una colorazione insolita. Il ragionamento è stato semplice: i colori scuri attirano maggiormente i raggi del sole… anche questa è storia dello skialp race. Ne parliamo su Skialper 129 di aprile-maggio.

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© Enrico Marta

Avevamo tutto e non lo sapevamo

«Dopo un caffè partiamo dal Valasco portandoci dietro un asse di legno, ci servirà ad attraversare un ruscello senza dover allungare inutilmente fino al ponte situato in fondo alla piana. Il canale è stretto, ma mai ripido. Si snoda attraverso pareti di granito rossastro che sono una delle caratteristiche della zona, ben riassunte dalla Cresta Savoia che si snoda qualche chilometro più a monte. Trecento metri, poco più o poco meno. Pochi per essere l’obiettivo di una giornata, ma abbastanza per rientrare in una concezione di scialpinismo che in Italia stenta ancora ad avere seguito: anziché voler programmare la gita in funzione di una cima precisa, in alcune aree ha più senso fare l’avvicinamento iniziale e solo dopo decidere dove puntare gli sci, in base all’appetito e al menù del giorno. Come, ad esempio, la valle del Valasco, dove sono presenti pendii di qualsiasi esposizione e inclinazione».

© Federico Ravassard

Scrive così Federico Ravassard nell’articolo di apertura di Skialper 129 di aprile-maggio, che ha regalato anche la copertina al numero attualmente in edicola. Avevamo tutto e non lo sapevamo il titolo. Sì, perché Federico si è ritrovato in uno degli angoli più selvaggi d’Italia, dove il distanziamento sociale è la norma, proprio nel momento in cui è stato dichiarato il lockdown nazionale. «Cis nel frattempo controlla nervoso il telefono, fino a quando arriva la notizia che cambierà il corso della nostra primavera, e per nostra si intende quella dell’intero Paese: in conferenza stampa il premier Conte ha appena dichiarato lo stato di lockdown in tutta Italia in risposta all’aggravarsi dell’epidemia. Ci guardiamo negli occhi consci che ora la situazione si farà parecchio complicata, per dirla con un eufemismo. In altre parole: siamo tutti fottuti». Così fare scialpinismo nel Parco Naturale Alpi Marittime soggiornando in un rifugio ex reale casa di caccia sabauda, guardando le vette e canali dove si snodano decine di itinerari, si è trasformata in un lusso e nella scusa per riflettere su quanto siamo stati fortunati fino a oggi ad avere tutto, anche se spesso non ce ne siamo resi conto fino in fondo.

© Federico Ravassard

«Scendiamo uno alla volta, dandoci il cambio alla guida del gruppo. Le pareti che ci circondano sono alte, si potrebbe credere di essere ben altrove. Anche se poi, a pensarci bene, le Marittime hanno ben poco da invidiare ad altri massicci, qui la quota relativamente modesta viene compensata dalle abbondanti nevicate, merito proprio della vicinanza con il Mediterraneo, e la morfologia complicata sembra essere studiata apposta per soddisfare desideri di pornografia scivolatoria». Se le vacanze torneranno a essere più local, come è probabile, qui in Valle Gesso, nel Parco Naturale Alpi Marittime, potrete vivere esperienze in un certo senso esotiche e quella sensazione di isolamento sempre più rara sulle Alpi. Sapevatelo e… se volete approfondire l’argomento, non rimane che leggere Skialper di aprile-maggio.

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© Federico Ravassard
© Federico Ravassard

Afghan Ski Challenge, lo sci è una cosa semplice

«Il giorno della gara a Bamyan è pieno di afghani con gli sci e in tanti vengono a vederli. A fare il tifo sono venuti anche alcuni dei bambini che avevamo visto a Jawkar, camminando per tre ore sulle montagne dove noi abbiamo sciato, con ai piedi scarpe da città e come pantaloni dei normali jeans».

© Ruedi Flück

Scrive così Ruedi Flück su Skialper 129 di aprile-maggio a proposito dell’Afghan Ski Challenge. Nel numero dedicato all’agonismo pubblichiamo un ampio reportage a questa gara che si tiene da dieci anni nel cuore di uno dei Paesi più belli e tormentati del mondo, una gara di skialp con modalità abbastanza diverse da quelle a cui siamo abituati sulle Alpi, spesso con concorrenti che utilizzano sci di legno e devono portarli a spalla in salita. O con spettatori armati di mitra. Ruedi è stato da quelle parti nel 2014 e il reportage è un avvincente racconto di viaggio, dove lo sci è, come spesso avviene, la scusa. Un viaggio nel quale ha incontrato anche Ferdinando Rollando, la Guida alpina italiana che in quegli anni operava in Afghanistan con la sua ong Alpistan. Un viaggio per visitare il luogo dove si trovavano le famose statue di Budda distrutte dai Talebani e per incontrare Sajjad Housaini e Alishah Farhang. Questi due ragazzi, grazie alla vittoria nella gara di quell’anno, hanno avuto l’opportunità di allenarsi per tentare di rappresentare il loro Paese ai Giochi olimpici di Pyeongchang nello sci alpino. Non ce l’hanno fatta, ma la loro storia ha fatto conoscere un volto diverso dell’Afghanistan. Ed è anche quello che cerca di fare, oltre i luoghi comuni, Ruedi con il suo articolo e le belle foto.

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© Ruedi Flück
© Ruedi Flück

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