Il fine settimana più caldo del trail running

L’ultimo week end di giugno è sempre molto affollato nel calendario del trail running. In Europa ci sono le gare della Laveredo Ultra Trail e quelle della Marathon du Mont Blanc, a Chamonix, mentre in Nord America va in scena la Western States Endurance Run. Negli ultimi anni è stato un fine settimana caldo sotto tutti i punti di vista, anche quello meteo, e il 2025 non è stato da meno. Quello che rimarrà però è soprattutto il ricordo di gare tra le più belle gare degli ultimi anni, con alcuni record di percorso infranti. 

LA SPORTIVA LAVAREDO ULTRA TRAIL BY UTMB: FRECCIA DHIMAN

A Cortina il trono è tutto stars & stripes, con Ben Dhiman e Courtney Dauwalter in copertina. Lo statunitense classe 1992 vince polverizzando il record di percorso di Hannes Namberger di quasi otto minuti. Dopo la vittoria al Gan Raid Ventoux by UTMB, il secondo posto all’Asics SaintéLyon e il terzo alla Diagonale des Fous e la vittoria al MIUT 2024 il runner del team Asics Fuji Trail non può più nascondersi: è uno degli uomini da battere. La regina incontrastata dell’ultra trail, per la prima volta in gara in Italia - se si esclude il tratto italiano dell’UTMB - aggiunge la prova dolomitica, sempre più accreditata nel Grande Slam con le scarpe da corsa, al suo prezioso palmarès. Il caldo impedisce alla statunitense del team Salomon di portare a casa il record della gara, ma poco importa: Courtney rimane la più grande di sempre, anche per la simpatia che sa sucitare nel pubblico. Sul podio della 120k maschile anche Andreas Reiterer, del team La Sportiva, che riuesce a portare a termine la gara dopo anni di sofferenza a Cortina (che non è mancata neppure questa volta). Nelle gare più corte, da segnalare l’exploit della sudafricana Toni McCann nella 50k, che abbassa il record di nove ninuti. Tra gli uomini Francesco Puppi conferma di essere tra i grandi, sfiorando per soli 15 secondi il record, seguito, in un podio tutto italiano, da Luca Del Pero e Alex Oberbacher, che chiude in bellezza la sua prima 50k.

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Ben Dihman assistito dal nostro storico collaboratore e responsabile della sezione Trail della Outdoor Guide, Tommaso Bassa © FB La Sportiva Lavaredo Ultra Trail by UTMB

 

Courtney Dauwalter alle Tre Cime di Lavaredo © La Sportiva Lavaredo Ultra Trail by UTMB

MARATHON DU MONT BLANC: IL RITORNO DI DAVIDE

Dopo la vittoria nel 2019 e due anni difficili, tormentato dalla condizione fisica, un grande Davide Magnini trona a vincere in una delle classicissime, la 42 Km della Morathon du Mont Blanc. E lo fa a modo suo, recuperando 4 minuti di ritardo accumulati nella prima parte, veloce e corribile, e nella discesa su Vallorcine. «È stata davvero dura fin dall'inizio. Le gambe erano doloranti, il primo tratto era troppo veloce per me e la discesa verso Vallorcine è stata un incubo. Ero molto indietro, ma sono riuscito a rimontare. Ho rispettato il mio ritmo, ascoltando il mio corpo. Durante la salita verso La Flégère, ho iniziato a ridurre il distacco. Non ho potuto nemmeno fermarmi a bere, ma ho trovato la forza di scendere bene. Mi sono slogato una caviglia, ma rinunciare a 3 km dall'arrivo era fuori discussione. Ho tagliato il traguardo completamente vuoto, ma felicissimo». Ad aspettarlo a Chamonix Théo Detienne, altro atleta New Balance, come Davide e la vincitrice della 42k femminile, Joyline Chepngeno. 

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Davide Magnini vola verso la vittoria © Ulysse Daessle

WESTERN STATES: ETERNO KILIAN

La vittoria è andata allo statunitense Caleb Olson. E che vittoria, con un tempo veloce, due minuti sotto il record di Jim Walsley. Però la copertina è per Kilian Jornet che a 37 anni centra il terzo posto dietro Chris Myers. Tra le donne successo della statunitense Abby Hall sulla cinese Fuzhao Xiang e sulla canadese Marianne Hogan. La gara simbolo dell’ultra-running, con i suoi 369 pettorali, il mitico guado del fiume con la fune e il caldo torrido si è dimostrata particolarmente dura anche quest’anno. 

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Arriva Altra Experience Wild 2

L’arrivo della prima versione, abbinata al corrispondente modello da strada Wild, aveva segnato l’ingresso del marchio statunitense drop zero nel mondo delle scarpe con differenziale tra tallone e punta, seppur basso. Ora, con il lancio lo scorso 17 giugno della v2 della Experience Wild, arriva una scarpa aggiornata, con qualche novità e il ben noto FootShape Fit di Altra, che lascia spazio alle dita nel toe box, copiando fedelmente la forma del piede. Experience Wild ha un drop di 4 mm e stack height 32/28 mm nelle numerazioni maschili. Tra le novità, tomaia in mesh aggiornata per migliorare la traspirabilità, GaiterTrap integrato per facilitare il fissaggio della ghetta, nuovo occhiello per i lacci, progettato per una calzata più precisa, e rinforzo in TPU rivisto per garantire una maggiore protezione della punta e durata nel tempo.

  • Peso: DONNE 249,5 g, UOMINI 293,4 g
  • Intersuola: schiuma EVA leggera e modellata a compressione
  • Suola: MaxTrac™ 
  • Altezza stack: DONNE 26mm/30mm , UOMINI 28mm/32mm
  • Drop: 4mm
  • Tomaia: mesh tecnico
  • Prezzo: 150 €

altrarunning.eu

 

 

 

 

 

 

 

 

© foto Altra Running


La Trilogia Iberica di Edu Marín

Con Donec Perficiam si è chiuso un percorso decennale. Una Trilogia Iberica ideata dal climber catalano Edu Marín e ispirata a quella alpina di Stefan Glowacz. Tre salite emblematiche della Penisola Iberica liberate nel pieno rispetto della visione originale.

«Il 28 maggio ho completato la libera di Donec Perficiam, una via multipitch di 350 metri e grado 8b+/8c sulla parete dell’Aragón a Montrebei, otto anni dopo che è stata aperta per la prima volta da Isaac Cortés e Carles Brasco, tra il 2012 e il 2017 -ha detto Marín - Questa via è stata tracciata dal basso, con un approccio etico e senza compromessi. Hanno affrontato potenziali cadute mentre mettevano gli spit, tutto per creare la linea di arrampicata più difficile possibile nella gola. Il loro stile e la loro visione mi hanno profondamente colpito. Dal primo momento in cui ho provato Donec Perficiam, ho capito che era qualcosa di speciale, ma la vita e altri sogni si sono messi in mezzo: una spedizione in Pakistan, l’apertura della mia palestra, e altro ancora». Poi, in primavera, il ritorno a Montrebei. «Per evitare il sole cocente, ho arrampicato soprattutto nel pomeriggio. Il 28 maggio ho realizzato la libera completa — cinque ore di sforzo intenso sotto il caldo, con ogni tiro che richiedeva totale presenza mentale e fisica. È stato duro. È stato bellissimo. Ne è valsa la pena. Con questa salita, completo quella che chiamo La Trilogia Iberica — una visione personale iniziata quasi dieci anni fa con la mia ripetizione di Orbayu nel 2015. La trilogia riecheggia lo spirito della leggendaria Trilogia Alpina — SilbergeierEnd of Silence e Des Kaisers neue Kleider — che è stata per me una fonte di ispirazione profonda». Nella Trilogia di Edu c’è anche Arco iris, a Montserrat.

Marín, ambassador Montura, è salito rapidamente ai vertici dell’arrampicata sportiva, diventando Campione del Mondo Giovanile e medagliato in Coppa del Mondo, prima di allontanarsi dalle competizioni per dedicarsi alla libera di alcune delle big wall più difficili al mondo. Tra le sue imprese più significative spicca la prima libera di Eternal Flame nelle Trango Towers del Pakistan.

 

La Trilogia Iberica

Orbayu
• Pico Urriellu / El Naranjo de Bulnes, Spagna
• Grado della via: 8c
• Lunghezza: 500 m
• Libera di Marín: 5 luglio 2015 (Compagno di cordata: Novato Marín)
• Aperta e prima salita: Iker Pou, Eneko Pou

Arco Iris
• Montserrat, Spagna
• Grado della via: 8c+
• Lunghezza: 220 m
• Libera e prima salita di Marín: 8 ottobre 2020 (Compagno di cordata: Novato Marín)
• Aperta da: Armand Ballard

Donec Perficiam
• Montrebei, Spagna
• Grado della via: 8b+/8c
• Lunghezza: 310 m
• Libera e prima salita di Marín: 28 maggio 2025 (Compagno di cordata: Juan Pablo Caballero)
• Aperta da: Carles Brasco, Isaac Cortés

 

© foto dal profilo Facebook di Edu Marín

 

 

 


Trail running, le migliori scarpe del 2025

Anche quest’anno nella Outdoor Guide 2025 abbiamo messo alla prova decine di modelli per offrire una guida completa, imparziale e approfondita alle migliori scarpe da trail running sul mercato. Grazie a un team di tester esperti e a un protocollo di valutazione affinato nel tempo, abbiamo analizzato ogni dettaglio: grip, comfort, stabilità, reattività e durata, sia sui sentieri più tecnici che nelle uscite di allenamento quotidiane. L'obiettivo? Aiutare ogni runner, dal neofita all'ultra trailer, a trovare la calzatura perfetta per il proprio stile e terreno di corsa ed eleggere i modelli che più interessanti dell'anno.

 

Scarpe Trail, non solo comfort e stabilità

Se in una fase iniziale l’introduzione di schiume più morbide e reattive aveva appiattito le differenze tra scarpe da allenamento e da gara, oggi la distinzione è nuovamente chiara: ciascuna categoria offre prodotti con feedback ben differenziati. Le scarpe da allenamento rappresentano il cuore dell’offerta: prodotti versatili e resistenti, pensati per gestire ogni tipo di sessione, dai lavori quotidiani ai lunghi pre-gara. Gli stack height medi si attestano attorno ai 33 mm sul tallone e 27 mm sull’avampiede, in crescita costante negli ultimi anni. Se comfort e stabilità rimangono le priorità di questa categoria, l’arrivo dei materiali nobili ha reso molti modelli idonei anche al giorno gara. Dove non competono alla pari con i prodotti performance della categorie Speed Race? Non tanto nella possibilità di essere utilizzati in gara, ma nel come si comportano: si tratta spesso di scarpe più ingombranti, meno reattive e meno adatte ad accogliere componenti tecnologiche avanzate. Fanno eccezione le cosiddette super-trainer, che colmano il divario tra le due categorie. Quest’anno le più apprezzate in questo segmento sono state la Norda 005 e la Merrell MTL Adapt.

Asics Gel-Trabuco 13: se è vero che squadra che vince non si cambia, c’è però da dire che si può sempre migliorare lavorando sulle lacune, anche di prodotti premiatissimi come sono state le passate iterazioni di Trabuco. E così questa tredicesima edizione torna con qualche novità, ma radici salde. l’onda del successo guadagnato con le precedenti versioni e continua a farsi apprezzare, grazie a un’intersuola stabile e un grip versatile; è la scarpa da allenamento (ed eventualmente gara) affidabile e funzionale al lavoro duro. Vera workhorse della categoria, anche se per la densità della nuova intersuola forse questa versione si presterà meno per ultra distanze.

 

 

 

 

Scarpe Speed Race, la discriminante è il terreno di utilizzo

Nel segmento più orientato alla performance, il 100% dei modelli monta zeppe in materiali avanzati. Lo stack height medio è di 30 mm al tallone e 25 mm all’avampiede. Su venti scarpe testate, sei includono una piastra, in carbonio o Pebax, pensata rispettivamente per aumentare il rimbalzo o modulare l’elasticità. Queste scarpe sono ideali per corse ad alta intensità, ma il vero elemento discriminante non è l’intensità d’uso, quanto il tipo di terreno. Le geometrie e i battistrada specializzati definiscono una destinazione d’uso ben precisa: nascono così super-shoe perfette per terreni veloci e corribili, oppure modelli più versatili per condizioni tecniche moderate. Importante ricordare che, pur essendo pensate per la competizione, queste scarpe sono strumenti performance adatti anche a chi cerca una calzatura reattiva e divertente per allenamenti intensi, non solo per il giorno gara.

La Sportiva Prodigio Pro: evoluzione della piattaforma Prodigio, questa Pro si presenta come una super shoe priva di inserti rigidi in carbonio o affini: un prodotto performance nato in montagna ma in grado di adattarsi a una grande varietà di terreni più o meno corribili. Versatilità al primo posto. Se la gioca sul filo di lana con la Speed Ultra di casa Adidas. Anche se le mancano un paio di feature a posizionarla sull’olimpo delle tecnologie applicate alla competizione, vince per l’adattabilità a tanti terreni diversi: si muove disinvolta dal corribile alla montagna e non solo per i top runner. Prodotto davvero trasversale a tanti utilizzatori, ben tornata La Sportiva.

 

 

 

 

© foto di Riccardo De Conti

 

 

 


Milano-Cortina occasione persa? I dubbi emersi dalle wolkscape di Protect Our Winters

Nell’ambito del monitoraggio civico e ambientale delle opere collegate alle Olimpiadi Invernali Milano-Cortina 2026, l’associazione Protect Our Winters Italy (POW Italy) ha promosso due iniziative di osservazione partecipata, denominate Walkscape. Gli appuntamenti si sono svolti a Rasun-Anterselva (BZ) nel dicembre 2024 e a Cortina d’Ampezzo (BL) nell’aprile 2025, coinvolgendo cittadini, amministrazioni locali, associazioni ambientaliste e gruppi civici per discutere e riflettere sulle trasformazioni in atto nei territori interessati dai cantieri olimpici.

Le Walkscape si sono rivelate momenti cruciali di confronto e ascolto, pensati per osservare direttamente l’impatto delle opere infrastrutturali, raccogliere testimonianze locali e analizzare le conseguenze ambientali, sociali ed economiche dei Giochi su territori montani già fragili e sotto pressione. Attraverso queste camminate collettive, POW Italy ha promosso un modo diverso di abitare e comprendere il paesaggio, stimolando una riflessione partecipata sul futuro delle Alpi.

Rasun-Anterselva: viabilità e governance sotto la lente

Nel cuore della Valle di Anterselva, il walkscape ha acceso i riflettori su tre principali interventi infrastrutturali: l’ampliamento del centro di biathlon, la costruzione di un bacino per l’innevamento artificiale e le modifiche alla viabilità locale. Al confronto pubblico del 13 dicembre 2024 hanno partecipato, tra gli altri, il sindaco Thomas Schuster, rappresentanti di amministrazioni passate e presenti, del CAI Alto Adige, della Federazione degli Ambientalisti dell’Alto Adige, di Heimatpflegeverband, di Climate Action Sudtirol, dell’associazione ProPustertal, nonché esponenti dell’Associazione Turistica Valle Anterselva e del Legacy Group, incaricato di definire il riuso post-evento delle strutture.

Dal dibattito sono emerse tre criticità principali:

  • Partecipazione civica debole: è stata più volte denunciata la scarsa inclusione della cittadinanza nei processi decisionali, soprattutto rispetto a opere di grande impatto gestite in tempi stretti e con fondi ingenti, spesso senza adeguata trasparenza.
  • Sostenibilità della mobilità: in contrasto con le linee guida del Piano Clima Alto Adige 2040, sono emerse forti perplessità sull’effettiva utilità delle nuove rotonde previste a Rasun-Anterselva e Valdaora, nonostante alcune modifiche progettuali.
  • Vincoli ambientali e opportunità locali: si è auspicata una maggiore concertazione tra istituzioni e comunità per armonizzare lo sviluppo infrastrutturale con i limiti ecologici del contesto alpino.

Cortina d’Ampezzo: trasformazioni urbanistiche e dubbi sulla legacy

Il secondo walkscape, svoltosi a Cortina, ha posto l’attenzione su alcune delle opere più simboliche e controverse dei Giochi: la Variante di Cortina (una galleria per deviare il traffico), la nuova pista da bob e la riqualificazione dell’ex stazione ferroviaria. Hanno partecipato numerose realtà civiche e ambientaliste, tra cui Voci di Cortina, Cortina Bene Comune, Libera Cadore, Italia Nostra, Plattform Pro Pustertal, e rappresentanti di Patagonia Cortina, insieme a Michele Di Gallo della Fondazione Cortina, presente in forma informale.

Il confronto ha fatto emergere tre tematiche chiave:

  • Limitato coinvolgimento della cittadinanza: le associazioni locali hanno segnalato l’assenza di reali occasioni di partecipazione e di accesso alle informazioni, lamentando la mancata approvazione di un referendum consultivo sui Giochi e la debole rappresentanza delle istanze territoriali da parte della Fondazione Cortina.
  • Vantaggi disomogenei per la comunità locale: mentre Cortina attrae investimenti legati al turismo di fascia alta, mancano interventi a favore dei residenti, sia in termini di servizi che di infrastrutture necessarie. La gestione della nuova pista da bob e la mancata soluzione di problemi strutturali – come l’instabilità idrogeologica – sono stati indicati come esempi emblematici di scarsa attenzione alla realtà quotidiana degli abitanti.
  • Una legacy incerta e poco condivisa: le grandi opere rischiano di rimanere sovradimensionate e scollegate dai bisogni reali del territorio. In particolare, la Variante di Cortina è al centro di un acceso dibattito tra chi la considera un’opera strategica e chi ne teme l’impatto ambientale e l’inadeguatezza rispetto alle necessità locali e alle strategie di adattamento climatico.

Un’opportunità mancata?

Le evidenze raccolte durante le Walkscape confermano quanto già denunciato da POW Italy nel documento di posizionamento “Milano-Cortina 2026: un’opportunità mancata”, disponibile online. Il documento mette in luce:

  • Governance debole e trasparenza insufficiente: i processi decisionali sono risultati poco partecipati, con limitate valutazioni ambientali e scarsa integrazione delle politiche climatiche nazionali e internazionali.
  • Mobilità insostenibile e impatti ambientali elevati: molte opere risultano invasive e non coerenti con gli obiettivi di decarbonizzazione della mobilità alpina e nazionale.
  • Legacy poco chiara e carico sui territori: esiste il concreto rischio che le infrastrutture costruite per i Giochi restino inutilizzate, mentre i costi – economici, ambientali e sociali – ricadranno sulle comunità montane, già fortemente colpite dagli effetti della crisi climatica.

Verso un nuovo paradigma per le Alpi

Le Walkscape promosse da POW Italy rappresentano un importante tentativo di riappropriazione civica del territorio e di promozione di un dibattito consapevole e plurale sul futuro delle Alpi. In un contesto di cambiamento climatico accelerato e di crescente pressione su territori fragili, la pianificazione di grandi eventi non può prescindere da una governance partecipata, trasparente e orientata alla giustizia ambientale.

Solo partendo dall’ascolto delle comunità locali e dalla valorizzazione del patrimonio naturale e culturale sarà possibile trasformare eventi come le Olimpiadi in occasioni autentiche di rigenerazione territoriale e resilienza.

 

© foto di POW/Beatrice Citterio


Il social-alpinismo e l’ossessione del peso

Testo estrapolato dalla Outdoor Guide 2025

 

La comunicazione ha avuto un ruolo importante nel trend della leggerezza e la velocità è il mantra dell’alpinismo moderno, ma siamo sicuri che sia un credo valido per tutti?

Nel panorama moderno dell’alpinismo emergono due nuove ossessioni: la ricerca maniacale della perfezione nell’attrezzatura tecnica e l’accumulo compulsivo di materiale digitale da condividere sui social, che si tratti di un’escursione, una gita o un’ascesa. I brand, sempre più attenti e reattivi alle esigenze del mercato, rispondono proponendo innovazione, funzionalità e leggerezza, senza dimenticare l’estetica. Ma in un mondo che cresce a ritmi esponenziali, quanti hanno davvero bisogno di uno zaino ultraleggero che pesa come un sacchetto della spesa e quanti lo acquistano semplicemente perché il messaggio dominante impone di andare in montagna leggeri? Molti consumatori si trovano spiazzati nel passaggio dallo zaino Invicta del padre, ancora perfettamente integro dagli anni ’80, a un prodotto di ultima generazione, ultra light, che dopo qualche anno richiede la sostituzione. Non si tratta di obsolescenza programmata – anzi, l’innovazione è affascinante e ci regala vantaggi straordinari – ma è normale che modelli pensati per risparmiare ogni grammo siano più fragili o richiedano l’utilizzo di materiali leggeri e resistenti ma al tempo stesso particolarmente costosi come, per esempio, il Dyneema. Nessuno ammetterà mai che uno zaino sia destinato a durare solo qualche stagione, ma è realistico pensare che, se il peso è in torno al chilogrammo o meno, difficilmente lo passeremo ai nostri figli o nipoti per le loro prime avventure in montagna. Una delle ragioni principali per cui l’alpinismo ha preso questa direzione è, chiaramente, la comunicazione, che possiamo considerare un moltiplicatore della tecnologia. Forse questo rapporto causa-effetto ce lo portiamo dietro fin dal 1867, con la nascita de La Stampa, il primo quotidiano nazionale. Su quelle pagine venivano celebrati i successi sulle grandi vette alpine, come il Monviso e il Cervino. Con il tempo, il peso della notizia è aumentato, includendo tragedie e polemiche che alimentavano un vero e proprio gossip alpinistico, tutto su carta.
Il XIX secolo ha poi portato la fotografia, con Vittorio Sella a perfezionarne le tecniche in ambiente montano, trasformando la montagna in arte. Le pubblicazioni si moltiplicarono, incrementando notevolmente il numero di appassionati. I racconti delle ascensioni, corredati da disegni e fotografie, riempivano interi volumi. Se questo è il preambolo, possiamo saltare la cronistoria intermedia e arrivare direttamente a oggi, quando una discesa in sci dal K2 viene ripresa da un drone. Cosa è cambiato nella psiche dell’alpinista contemporaneo rispetto a quello del passato? La vera variabile è la velocità. Il potere della comunicazione nell’influenzare le decisioni in montagna è rimasto invariato, ma oggi tutto accade più in fretta. Il rischio di compiere scelte sbagliate è direttamente proporzionale alla velocità con cui circolano le notizie, ben diversa dai tempi del telegrafo. E se pensiamo che con la tecnologia sia impossibile mentire, ci sbagliamo: il desiderio di stupire sui social può spingere anche i più forti a raccontare una versione edulcorata, se non proprio distorta, della realtà. Ma cosa c’entra tutto questo con la scelta di uno zaino o di uno scarpone? C’entra, eccome. Oggi la comunicazione è la virtù dominante e le nostre scelte in fatto di equipaggiamento sono fortemente influenzate da ciò che vediamo nei post degli ambassador, nelle campagne pubblicitarie e nelle recensioni, come quelle della Outdoor Guide.

 

Zaini, non siamo tutti alpinisti fast & light

È importante documentarsi e relazionare sempre le informazioni con quelle che sono le nostre esigenze. Difficilmente vedremo un atleta di punta con uno zaino da 35 o 40 litri per un’ascesa in giornata, ma siamo davvero sicuri di sapere cosa sta facendo e perché porta al massimo due chili sulle spalle? L’attenzione si concentra sulla velocità, sull’impresa spettacolare. Ma se non stai scalando in una settimana le tre pareti Nord più difficili delle Alpi, non sei uno sfigato. Magari hai solo bisogno di uno zaino più grande. I brand offrono una vasta scelta, com’è giusto che sia, ma dobbiamo essere noi a stabilire i criteri con cui scegliere. Possiamo affidarci a esperti e professionisti per orientarci, ma serve spirito critico. Oggi, fortunatamente, la possibilità di scelta non manca. E non denigriamo lo stile lento e inesorabile mi piace chiamarlo così – che rappresenta l’antitesi del fast & light. Anche chi adotta un approccio più rilassato alla montagna può trarre grande vantaggio dall’evoluzione tecnica. Però non è
detto che per chi ama la calma la scelta migliore sia sempre quella più leggera o ricca di accessori. Magari conviene avere due zaini: uno per le salite invernali e lo scialpinismo, l’altro per le escur sioni estive, un po’ come avere due treni di pneumatici per l’auto.

Scarponi, sostegno vs morbidezza

Lo stesso vale per gli scarponi. La scelta è estremamente soggettiva. Quando li provate, pensate bene a come li userete: affronterete neve e ghiaccio o camminerete prevalentemente su sentiero? Avete bisogno di sostegno e rigidità perché avete una corporatura robusta o preferite la morbidezza e la leggerezza di un modello più da runner? Se cercate durata, magari puntate su una suola più spessa; se invece volete precisione sui terreni tecnici, vi servirà uno scarpone più performante, ma anche meno longevo.

Piccozze, non è importante solo il peso

Anche in questo segmento di prodotti, il mercato ormai è caratterizzato da una moltitudine di nicchie specifiche. La ricerca della polivalenza è così ottenuta introducendo dettagli specifici: la forma del manico, i pesi e la distribuzione delle masse, le geometrie di becche e puntali. Nascono prodotti più tecnici che in generale però richiedono una maggiore consapevolezza nel loro utilizzo e una migliore conoscenza da parte dell’utilizzatore dei limiti dove possono essere spinti. Scegliere solo in base al peso non è l’approccio corretto, occorre innanzitutto avere in mente dove andremo a utilizzarli. Se ci muoveremo per lo più per passeggiate glaciali e terreni innevati facili, poco inclinati, ecco che piccozze più lunghe con una comoda impugnatura in appoggio forse si riveleranno la scelta migliore. Se cerchiamo qualcosa di più polivalente, dovremmo orientarci su un prodotto più corto, magari che presenti una leggera curvatura con una migliore distribuzione delle masse. In questo segmento le geometrie delle becche presentano per lo più curvature classi-che: forme accennate a banana garantiscono migliore infissione su tratti in ghiaccio, ma sono mediamente meno polivalenti. Anche la dimensione della paletta conta: aver la possibilità di gradinare un appoggio per il piede in maniera efficace, magari per brevi tratti, è un plus di cui non solo i professionisti dovrebbero tener conto.

Ramponi, occhio al sistema di collegamento

Per camminare su neve e ghiaccio l’acciaio la deve fare da padrone, ecco perché volutamente i modelli ibridi, più adatti allo skialp, non sono stati inclusi. La tendenza è comunque quella di offrire prodotti solidi che coprono diverse situazioni di utilizzo, anche i modelli base non sfigurano quando le condizioni si fanno più esigenti.Sono i dettagli a fare la differenza: numero delle punte, geometria, dimensione di quelle posteriori possono aiutare sensibilmente in diverse situazioni. Molti brand continuano a proporre l’asta rigida di collegamento tra corpo avampiede e tallone, sistema immediato nelle regolazioni, ma che comporta un volume e un peso certamente maggiori dei ramponi quando riposti e negli zaini lo spazio scarseggia sempre. Blue Ice o Petzl da alcuni anni propendono per sistemi di collegamento flessibili, realizzati con fettuccia o cordini, anche su modelli destinati all’alpinismo tecnico, al misto e alle cascate di ghiaccio. Siamo rimasti sorpresi dalla stabilità e dalle prestazioni, ma anche dopo questi test ci sentiamo di sottolineare che sono modelli che richiedono davvero un’attenzione particolare nella regolazione e nel tensionamento. Le regolazioni vanno provate a secco, preventivamente, e il tensionamento va fatto regolar-mente, per evitare che con l’utilizzo si allentino.

 

 

 

 

Testo di Andrea Migliano

Foto di Nicola Damonte e Matteo Mocellin


Le nuove frontiere della ricerca dei dispersi in montagna

Il sistema SAR di Recco, utilizzabile appeso all’elicottero, sembra essere la nuova frontiera della ricerca delle persone disperse in montagna

Pensare di trovare una piastrina di pochi centimetri in un campo da calcio è come cercare un ago nel pagliaio. Eppure ci si riesce in pochi secondi, andando a cento l’ora e volando a cento metri di altezza. Basta utilizzare un sistema SAR di Recco appeso all’elicottero, che sembra essere la prossima frontiera della ricerca dei dispersi. Ecco perché sono sempre di più le scarpe, ma anche gli zaini e altri articoli che usiamo nelle nostre escursioni estive, a essere dotati di riflettore Recco. Recentemente, per esempio, è stato introdotto sul gilet da trail Apex Pro Run Vest di Camelbak. Il funzionamento è all’apparenza semplice: uno strumento di ricerca funziona come il radar armonico, emettendo onde che vengono riflesse dal circuito presente nella piastrina.

 

Il sistema Recco è nato per la ricerca in valanga. Nel 1973 Magnus Grandhed stava sciando nel backcountry di Åre, in Svezia, quando si ritrovò a cercare un gruppo di sciatori travolti da una valanga sondando a caso con i bastoncini. Sotto la neve rimasero due persone, tra le quali un amico. Da quel giorno il suo assillo è stato quello di realizzare uno strumento per la ricerca in valanga ed è nato così il primo detettore, che pesava 20 chili, mentre oggi il sistema portatile r9 utilizzato dalle squadre di soccorso pesa 900 grammi. Il detettore incorpora anche un artva, in modo da utilizzare entrambi i sistemi nel caso il travolto indossi un apparecchio oltre alla piastrina Recco, che non si sostituisce all’artva ed è utile soprattutto nel caso di sciatori che disegnano curve fuoripista nei pressi delle piste di un comprensorio. Ecco perché l’apparecchio Recco viene dato in comodato gratuito alle squadre del soccorso alpino e ai soccorritori delle principali località sciistiche.

 

 

Nel 2016 arriva la svolta, con l’introduzione del sistema SAR, che apre nuove prospettive, non solo per l’utilizzo invernale. «Le possibilità sono enormi e si sta iniziando a utilizzare il sistema anche per la ricerca nei laghi e in mare, in mancanza del SAR, dall’elicottero può essere utilizzato il detettore portatile r9, naturalmente con un’area di ricerca più piccola» dice Sergio Albanello, uno degli istruttori Recco italiani. In realtà l’acqua inibisce il circuito della piastrina, ma se non è completamente sommersa, viene rilevata. «Le richieste di aiuto per persone disperse sono in aumento in tutto il mondo, ecco perché la domanda di sistemi SAR è in crescita, fino a zone remote come quelle del Pakistan e dell’India» aggiunge Albanello. In Italia di SAR ce ne sono quattro: in Valle d’Aosta, a Trento, alla base dell’Aiut Alpin Dolomites della Val Gardena e nel Centro Italia. «Vengono assemblati in Svezia ma la componentistica elettronica non è stata immune dal problema della mancanza di materie prime, l’obiettivo è di coprire a breve Piemonte, Lombardia e Veneto/Friuli» aggiunge Albanello. Anche i SAR vengono dati in comodato gratuito, c’è però l’eccezione dell’Austria che ha deciso di acquistarli per dotare ogni territorio della tecnologia. Su quale capo di abbigliamento è più efficace la piastrina? «Abbiamo un database globale relativo agli interventi che ci aiuta nella ricerca e sviluppo del prodotto e a dare indicazione ai marchi partner sul posizionamento ideale, in generale funziona ovunque e per questo è presente in alcune scarpe, giacche, zaini, caschi, sempre più spesso anche sugli imbraghi; abbiamo rilevato che sul cappuccio della giacca la piastrina è molto efficace, anche averne due in diverse parti potrebbe essere una buona idea». Va segnalato che esistono anche delle piastrine adesive, per esempio per il casco o lo zaino, acquistabili a partire da 24,95 euro sul sito recco.com. C’è una casistica di interventi efficaci con i SAR utilizzati in Italia? Ci sono stati dei ritrovamenti in un crepaccio e, caso curioso, incidentalmente è stato recuperata la chiave di un’auto. Il circuito del telecomando era simile a quello della piastrina ed è stato rilevato dal sistema. Ma questa è un’altra storia.

 

 

 

 


Anna Ferrino nominata Cavaliere del Lavoro

Riconoscimento importante per la Direttrice Generale di Ferrino & C. S.p.A. che il prossimo 11 di giugno verrà nominata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, insieme ad altre 24 persone, Cavaliere del Lavoro. L’onorificenza è riservata agli imprenditori che si distinguono  per meriti eccezionali nel loro settore. «Questo riconoscimento rappresenta un traguardo personale e, al tempo stesso, un tributo al lungo percorso imprenditoriale della mia famiglia, dei soci Rabajoli e di tutta la squadra Ferrino, che ogni giorno contribuisce con passione e competenza al successo della nostra azienda - ha dichiarato Anna Ferrino - La nomina sottolinea l’importanza strategica del settore tessile in Piemonte e il contributo significativo di Ferrino all’economia locale e nazionale. È uno stimolo ulteriore a continuare a lavorare per valorizzare il tessile e il design italiano nel settore outdoor, offrendo prodotti funzionali, innovativi e sostenibili a chi vive la montagna».

Anna Ferrino è Direttore Generale di Ferrino & C. S.p.A e siede nel CdA della Fondazione La Stampa - Specchio dei Tempi. Nel passato è stata Presidente di Assosport, Vicepresidente di Unione Industriali Torino e del Teatro Stabile Torino, Presidente della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, Vicepresidente Fondazione CRT, consigliere OGR-CRT e Vicepresidente del Comitato per l’Imprenditoria Femminile della CCIAA. È stata Country Manager Italia per Columbia Sportswear Company (1995–2004) e per Gailliard s.a. France (1986–1994).

Fondata a Torino nel 1870, Ferrino è un’azienda italiana a conduzione familiare, pioniera nella produzione di attrezzatura tecnica per la montagna e il tempo libero. Con una forte vocazione all’innovazione e alla ricerca, Ferrino ha sviluppato nel tempo prodotti diventati punto di riferimento per professionisti, esploratori e appassionati dell’outdoor. Le sue tende sono utilizzate nelle spedizioni più estreme, dai ghiacci artici alle vette himalayane, grazie a una costante collaborazione con alpinisti e team scientifici. 


Rimbalzo e smorzamento delle piastre in polimeri rinforzati nelle scarpe da trail

Nel mondo della corsa in natura si parla sempre più spesso di piastre o plate annegati nell’intersuola. Per la verità è diminuita l’attenzione sulle piastre in carbonio, massima solo un paio di stagioni fa e diffusa sulle scarpe top performance nella maratona e nell’atletica, ma l’utilizzo di un inserto rigido all’interno dei prodotti da trail running è stato ampiamente sdoganato. E, a differenza dei primi esperimenti che prevedevano prodotti realizzati con base termoindurente (il cosiddetto carbonio), sono sempre di più le piastre (nel caso del trail running si tratta spesso di prodotti a forma di forchetta) a base termo- plastica. Nella pratica sono polimeri rinforzati, cioè caricati con fibre, prevalentemente con la fibra di carbonio. Prodotti che, al netto della performance, offrono vantaggi significati-vi in termini di lavorazione e riciclabilità rispetto ai compositi a base di termoindurenti. Per citare alcuni esempi di questa guida, Adidas Terrex Agravic Speed Ultra adotta un inserto in Pebax, mentre Rossignol Vezor una forchetta Diapazon composta di Nylon e fibra di vetro. Atri modelli, come ASICS Metafuji Trail, Hoka Tecton X 3, Speedland GL:SVT e XBionic Terraskin X00/C sfruttano le proprietà di un plate in carbonio.
Poter contare su una piastra annegata nell’intersuola permette di intervenire sulla rigidità e stabilità, ma soprattutto sulla propulsione e il ritorno di energia. Tutti fattori importanti per la prestazione che dipendono dal materiale utilizzato, dalla forma, dall’interazione con le schiume dell’intersuola. Per aiutare i principali marchi a selezionare i migliori materiali per leoro applicazioni specifiche, Xenia, azienda vicentina leader nella produzione di polimeri rinforzati, ha realizzato un interessante studio in collaborazione con lo Sport Technology Lab dell’Università di Bologna.
Ci si è concentrati soprattutto su un innovativo test per analizzare e ottimizzare le proprietà di rimbalzo e smorzamento dei materiali rinforzati con fibra di carbonio e la variazione della rigidità in funzione della temperatura. Aspetti importanti perché il rimbalzo influisce sulla prestazione della corsa e lo smorzamento delle vibrazioni sul controllo, senza considerare che in montagna si può correre a temperature prossime ai 30 °C nei fondovalle, fino a zero o meno gradi in quota. In particolare il nuovo studio ha dimostrato che è possibile scegliere materiali compositi termoplastici su misura per applicazioni specifiche, con le desiderate caratteristiche di rimbalzo e smorzamento, selezionando la giusta combinazione di fibre (quantità e tipo) e di matrice polimerica.

Per questo scopo è stato sviluppato e realizzato un nuovo metodo per misurare le caratteristiche di rimbalzo e smorzamento dei materiali compositi. Il sistema blocca una parte del campione alla base, mentre la parte superiore è piegata con un cavo collegato a una macchina di prova di trazione capace di misurare lo spostamento e la forza applicata. Una volta ottenuta una certa deflessione, il campione viene rilasciato e la

curva di smorzamento (posizione vs tempo) viene misurata utilizzando un rilevatore laser che registra a 1 kHz. La velocità di ritorno elastico (rimbalzo) è stata valutata sulla base della frequenza naturale misurata durante il test ed è stata osservata una correlazione lineare tra rigidità e velocità di rimbalzo, che non dipende dalla matrice polimerica del composito. Questo per- mette di affermare che la velocità di rimbalzo desiderata può essere ottenuta modulando la rigidità, che può essere raggiunta variando la quantità e il tipo di fibre nel composito.
Per quanto riguarda lo smorzamento delle vibrazioni è risultato che dipende dal tipo di matrice e non è influenzato dalla rigidità del materiale per tutti i tipi di matrici analizzate. Sono state osservate differenze significative cambiando la matrice, con caratteristiche di smorzamento che possono variare tra quelle di un TPU standard (con elevato smorzamento delle vibrazioni) e quelle di un laminato di fibre continue (con basso smorzamento delle vibrazioni). Gli sport all’aperto vengono praticati a temperature molto diverse. Tutti i materiali diventano progressivamente più rigidi a mano a mano che la temperatura diminuisce, ma con ampiezze diverse. Per valutare la rigidità in funzione della temperatura, sono state eseguite analisi DMTA in un intervallo che va da -40°C a 80°C. Il risultato? Il comportamento rigidità vs temperatura dipende quasi
completamente dal tipo di matrice polimerica utilizzata e solo in misura molto minore dal tipo e dalla quantità di fibra utilizzata. I dati ottenuti dimostrano chiaramente che è possibile progettare materiali per applicazioni specifiche, con le caratteristiche di rimbalzo e smorzamento desiderate, scegliendo il tipo e la quantità corretti di fibre combinati con la matrice adeguata. Questo perché il rimbalzo è regolato dalla rigidità del materiale composito, mentre lo smorzamento è determinato dal tipo di matrice polimerica utilizzata.

Ulteriori analisi realizzate sempre dallo Sport Technology Lab ma direttamente sulle intersuole con plate hanno confermato i risultati, mostrando che un materiale con un modulo elastico più elevato (rigidità maggiore) ha una velocità di rebound maggiore. Per esempio, utilizzare un plate con una matrice in PA6 e 30% di fibre in carbonio porta a un aumento della velocità di ritorno del 46% rispetto a una suola senza plate. Il punto di posizionamento del plate (vicino alla parte superiore dell’intersuola o nel centro dell’intersuola) non porta a differenze sul rebound. Le analisi effettuate hanno inoltre mostrato una quantità di energia rilasciata del 50% superiore nel caso dell’intersuola con plate in PA6 e 30% di fibre di carbonio rispetto a quella rilasciata per la suola senza plate a parità di angolo di flessione della suola. Risultati intermedi si ottengono con un plate in TPU caricato con il 30% di fibre di carbonio. Va però evidenziato che una suola con plate in PA richiede il 50% di energia in più di quella senza plate per essere flessa allo stesso angolo.
Questo significa che una suola con plate necessita di più energia per essere flessa ma la cede in modo più veloce e con maggiore energia una volta rilasciata la forza. L’analisi di Digital Image Correlation sulla suola ha inoltre mostrato come la plate distribuisca la pressione su un’area maggiore creando meno stress localizzati rispetto alla suola senza plate.

xeniamaterials.com

 

Foto © Riccardo De Conti e Xenia Materials


Boffelli ritocca il fastest known time del Monte Bianco dopo Védrines

Giusto una settimana. È quanto ha resistito il nuovo fastest known time di salita e discesa da Chamonix al Monte Bianco con gli sci.

Il 24 maggio lo aveva ritoccato Benjamin Védrines e lo scorso 31 maggio ci ha pensato William Boffelli a mettere una nuova firma sull’impresa, abbassando di oltre dieci minuti il tempo. William, ingegnere alla fondazione Montagna Sicura di Courmayeur e tra gli atleti di punta del
movimento scialpinistico, oltre che testatore della nostra Buyer’s Guide nella sezione agonismo, è originario della Val Brembana.


Il cronometro si è fermato a 4 ore 43 minuti e 24 secondi contro le 4 ore 54 minuti e 41 secondi di Védrines. La partenza dalla chiesa di Chamonix alle 5,45 e la salita con scarpe da trail e sci nello zaino fino a quota 2.200. L’arrivo in vetta intorno alle 9,30 e la discesa in circa un’ora. Boffelli ha usato scarpe Kailas, scarponi La Sportiva Stratos VI e sci Dynastar M-Pierra Menta.

 

Il monte Bianco è stato al centro dell’attenzione nel mese di maggio visto che anche il FKT femminile con gli sci è stato ritoccato il 16 maggio da Élise Poncet con il tempo di 6 ore 54 minuti e 47 secondi. Il record maschile con gli sci era del 2024, dell’americano Jack Kuenzle, in 4 ore e 59 minuti. Nel 2013 Kilian Jornet è salito e sceso in assetto skyrunning, senza gli sci, in 4 ore 57 minuti e 40 secondi.

Avanti il prossimo.

 

Foto © Instagram William Boffelli


La guerra dei mondi

Estratto dalla sezione climbing della Outdoor Guide 2025

 

Il confine tra plasticari e rocciatori è ben delineato, complice anche lo stile comp della tracciatura moderna, sempre più utilizzato nelle palestre indoor, che ha poco a che vedere con la scalata in natura. Riusciremo a superare questo gap e creare un’unica community? 

Che l’arrampicata sia diventata uno sport sempre più pop è ormai evidente: non solo le palestre sono piene di arrampicatori di ogni livello, ogni giorno, sia in estate che in inverno, ma è sempre più facile trovare falesie o aree boulder eccessivamente affollate nei weekend e durante i periodi di vacanza.In alcuni luoghi, tuttavia, la scalata conserva il suo animo punk originale e stenta a farsi addomesticare.È forse questo che sta separando sempre più la scalata in-door dall’outdoor? Il confine tra plasticari e rocciatori è ormai ben delineato. Complice di questa separazione è lo stile comp della tracciatura moderna, sempre più utilizzato nelle palestre indoor, che ha ben poco a che vedere con la scalata in natura eche tende a scindere le due categorie, sia nella pratica che nella filosofia alla base della disciplina. Dall’ingresso alle Olimpia-di di Tokyo 2020 la visibilità dell’arrampicata sportiva è aumentata moltissimo: la IFSC (International Federation of Sport Climbing) ha riportato che le iscrizioni ai corsi di arrampicata sono aumentate del 45,7% a livello globale dopo questo debutto e siamo sicuri che gli insight dei prossimi anni, anche sulla base della visibilità data da Parigi 2024, registreranno una crescita ancora più esponenziale.Sappiamo bene quanto sia divertente scalare: non stupisce che abbia attratto il pubblico in massa, anche quello in cerca di un’attività sportiva per tenersi in forma e in movimento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Diciamocelo, la scalata fa fare fatica senza accorgersene e fa divertire un sacco senza sforzo, soprattutto se l’ambiente è quello sicuro e inclusivo delle palestre, ormai dei veri e propri parchi giochi per adulti. Soprattutto in sala boulder, ma anche nelle palestre lead (con tiri di corda), la paura frena molto meno che in ambiente outdoor, rendendo la sua pratica meno selettiva.Il gesto atletico e muscolare prevale sull’aspetto psicologico e mentale - componente fondamentale sulla roccia - che viene in parte trascurato in questo approccio più pop. Così, per l’utente medio, l’arrampicata sportiva rientra tra le scelte possibili quando a inizio anno deve scegliere tra crossfit o nuoto. Poi, che il fascino irresistibile di questa disciplina conquisti e non molli più, è un altro discorso. Il numero di tesserati FASI (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana) in costante aumento riflette questa crescente popolarità.D’altro canto l’incremento esponenziale dei praticanti porta inevitabilmente a riflettere sull’impatto ambientale di questo sport e sul futuro dello stato di conservazione della roccia nelle falesie e nelle aree boulder, che è ormai evidente non essere un bene eterno e indistruttibile. Molti sono il luoghi in cui calcare, arenaria o granito hanno perso quasi totalmente il loro grip originario, a causa degli infiniti passaggi degli arrampicatori, compromettendo la possibilità di arrampicare. A essere irrimediabilmente unti non sono però solo siti storici, ma anche falesie e aree blocchi relativamente nuove che per qualche ragione sono entrate nel mirino della massa dei climber. La gestione del deterioramento della roccia è un problema recente, che 30 o 40 anni fa non si poneva. Ricordo quando alcuni amici, tra i primi frequentatori di Cornalba (storica falesia della bergamasca), mi raccontavano che facevano ripetute sui tiri con tanto di giubbotto con pesi, perché quello era uno dei modi per allenarsi. Penso poi a oggi, quando in un qualsiasi weekend di mezza stagione si trovano cordate che occupano tutto il giorno un tiro, già unto, facendoci infiniti giri, proprio come in palestra. Penso inoltre a come forse ci sentiamo legittimati e ispirati a seguire le orme dei proclimber che, per concludere un progetto, effettuano decine, centinaia di tentativi per portarsi a casa il successo. Chi può decidere cosa sia etico e cosa non lo sia? Chi è il responsabile o il portavoce di tale etica?Insomma, la questione è davvero complessa, soprattutto perché molti sono i climber che si avvicinano all’outdoor arrivando dalla palestra e che di tutto questo non sanno nulla. Il rispetto della roccia è un valore che viene insegnato e trasmesso di generazione in generazione, così come le buone norme di comportamento (pulire le prese, cancellare i tickmark, non lasciare rifiuti o sporcare l’ambiente). Riusciremo a superare questo gap tra rocciatori purie scalatori indoor in trasferta e creare una community unita e rispettosa?

 

Scarpette, calzata veloce e volumi differenziati

Basta entrare in una qualsiasi palestra di arrampicata per notare quanto la scelta del brand di scarpette si sia diversificata rispetto a qualche anno fa. Nuovi player sono entrati nel mercato con prodotti di alta qualità, riuscendo a posizionarsi allo stesso livello dei marchi storici. Tuttavia, si sta uniformando il tipo di caratteristiche ricercate dall’utente medio: alla rigidità e precisione di un tempo (le cosiddette scarpette di cemento),si preferiscono oggi comodità e morbidezza, fondamentali per adattarsi ai grossi volumi e alle prese in plastica della scalata indoor. Inoltre, un buon tallone e un efficace aggancio di punta sono ormai caratteristiche essenziali anche per gli scalatori alle prime armi.I cambiamenti non riguardano solo l’indoor: il fatto che la placca tecnica venga ormai definita old school è sintomatico della preferenza per stili di scalata più strapiombanti, dinamici e fisici. Di conseguenza, il supporto sui piccoli appoggi vie-ne spesso sacrificato a favore del-la sensibilità e del grip, con talloni pieni e punte capaci di agganciare su qualsiasi superficie. Due aspetti saltano all’occhio analizzando le attuali pro-poste sul mercato. Innanzitutto, si assiste alla graduale scomparsa dei lacci a favore di calzate più veloci, come velcro e slip-on. Questo cambiamento è dovuto in parte alle tecnologie sempre più avanzate nei sistemi di chiusura: basti pensare al classico Fast Lacing System di La Sportiva, già presente sul-le prime Solution, o a Evolv, che combina l’avvolgimento e la precisa regolazione dei lacci con la praticità del velcro. Diffusissima è anche la calzata slip-on con calzino elastico, spesso abbinata a un velcro per migliorarne la precisione, come nelle Instinct VS e VSR di Scarpa.In un contesto dimetti e togli costante come quello delle palestre, la velocità di calzata è uno dei parametri di scelta più considerati. Un altro trend sempre più evidente è la sostituzione dei modelli differenziati per uomo e donna con varianti regular fite low volume (spesso con mescole di gomma più morbide), segno che il mercato sta evolvendo verso una differenziazione anatomica piuttosto che di genere. Come scegliere la scarpetta più adatta? In base all’utilizzo che dovremo farne: palestra, boulder, falesia o via lunga?Per ognuna di queste discipline ci sono prodotti specifici di-segnati appositamente per soddisfare ogni necessità. E se voglio una scarpa per far tutto? Anche in questo caso abbiamo individuato i prodotti più versatili che possono adattarsi a ogni situazione.

 

Caschi, mai senza

Il casco nell’arrampicata è come la cintura di sicurezza in auto: nel 99,9% dei casi non serve, ma quando serve fa la differenza e può salvare la vita. Questo vale non solo in montagna, dove il suo utilizzo è ormai ampiamente diffuso, ma anche in falesia, sia per il rischio di caduta sassi sia per proteggerci in caso di brutte cadute. L’innovazione nei materiali e nelle tecnologie li ha resi così comodi e leggeri che vale la pena di supera-re lo scoglio iniziale e farne un’abitudine.Il crescente numero di scalatori alle prime armi è uno dei motivi per cui l’uso del casco è altamente consigliato. Tra assi-curatori inesperti, climber poco abituati ai voli e rocce di qualità non sempre eccellente, il rischio di incidenti è sempre dietro l’angolo. Ma non solo: anche gli scalatori più esperti possono trovarsi in situazioni critiche, come la rottura improvvisa di una presa apparentemente solida o una caduta mal gestita (per esempio, capovolgersi a causa della corda dietro al piede). Il mercato offre caschi per tutte le esigenze e fasce di prezzo, dagli ultra-light con calotta ridotta ai modelli con protezione completa. Qualunque sia la scelta, proteggi sempre la testa!E ricorda che un casco leggero necessita di essere maneggiato e riposto con cura, poiché più delicato.

 

Scarpe approach, comfort e versatilità

Precisione, comodità, camminabilità. Nell’approach c’è tutto e il trend è di proporre prodotti sempre più versatili: confortevoli e performanti nella camminata (in certi casi anche veloce), ma in grado di muovere qualche passo anche quando l’asticella della tecnicità si alza. Sembra essere questa la fetta più am-pia del mercato dell’avvicinamento, ma rimane uno spazio per proposte più tecniche che scarificano qualche punto alla voce comfort, mantenendo un’impostazione più tradizionale che punta molto sul sostegno, quando si cammina e si arrampica.

 

Testo Marta Carminati

Foto © Camilla Miliani


Trento Film Festival 2025, allo sci il ruolo di comparsa

di Giorgio Daidola

 

I film di sci (in essi comprendo anche quelli di snowboard) non mancano certo sul web, ma pochi raggiungono festival importanti come quello di Trento, da poco conclusosi. I motivi sono molti, il principale è forse che il maggior numero di opere dedicate allo sci e allo snowboard hanno contenuti puramente commerciali. Sta di fatto che mentre nel primo Film Festival di Trento del lontano 1952 i film di sci rappresentavano il 28% di quelli ammessi, sono ormai anni che questa percentuale è scesa sotto il 5%. C’è inoltre un disinteresse sempre più evidente nelle giurie ufficiali a premiare film di sci, come fossero espressione di un alpinismo di serie B, o di una pratica ludica e consumistica tipica dei lunapark in quota che ha ormai fatto il suo tempo. Secondo molti esperti di turismo invernale che non sanno distinguere le code dalle spatole, lo sci avrebbe perso la sua centralità nella pratica della montagna invernale e purtroppo le giurie pare che abbiano fatto tesoro di questo modo di pensare. Sono insomma un lontano ricordo i tempi in cui a Trento venivano premiati film di sci di indubbio valore. Come ad esempio La decisione di Gerhard Baur, Genziana d’Argento 1985 che in soli dieci minuti dice tutto sullo sci estremo.

Oggi sono cambiati profondamente i criteri di valutazione delle opere e si preferisce premiare lungometraggi e cortometraggi impegnati, con elevate qualità cinematografiche su problematiche ambientali, storiche, culturali, economiche o sociali. Opere che talvolta non riguardano neppure le terre alte. Opere importanti, per carità, ma spesso, mi riferisco in particolare ai lungometraggi, soporifere per gli spettatori. Così anche quest’anno nessun film di sci ha avuto riconoscimenti dalla giuria ufficiale che aveva il compito di valutare i 22 film in gara, di cui uno solo di sci. Sul totale dei 126 proiettati nelle diverse categorie (compresa quella dei 22 in gara) solo 6 erano di sci o di snowboard e decisamente alcuni di essi erano di indubbio valore. È il caso di Painting the Mountains sulla prima ripetizione della salita e discesa in sci della Rampa Whillans sull'Aguja Poincenot, in Patagonia, a opera di Aurélien Lardy, Vivian Bruchez e Jules Socié, facilmente visibile su YouTube e oggetto di un ampio articolo su Skialper 153 di ottobre 2024. Se ne è accorta una giuria speciale, quella del premio Ritter Sport-Emozioni in montagna, definendolo un’opera che va ben oltre il semplice documentario sportivo.

Il pubblico ha invece premiato il lungometraggio norvegese Ski-The greatest ski tour of all time, compreso nei 22 in concorso. Non si tratta di una vera traversata con gli sci come il titolo potrebbe far pensare, ma di un concatenamento di ben 27 salite e discese ripide nella penisola norvegese di Lyngen, che inizialmente il freerider norvegese Vegard Rye pensava di compiere senza dir niente a nessuno. Alla fine Vegard cede alle lusinghe dell’amico Nikolai Shirmer, anche lui sciatore professionista oltre che filmaker, e accetta di girare un film sull'exploit. Ne sono risultati ben 96 minuti, davvero troppi per una storia del genere, di salite e discese all’insegna della velocità, della spettacolarità, ma anche della ripetitività, accompagnati da un’assordante colonna sonora. Ovviamente deve essere piaciuto ai giovani in sala per meritare questo ambito premio. Personalmente ho fatto fatica a vederlo tutto.

 

Sono invece passati quasi del tutto inosservati altri due film di sci decisamente pregevoli: Transcardus, a balkanski story di Elisa Bessega e Pachamama di Yannick Boissenot. In
entrambi i film vengono espresse molto bene le emozioni del viaggiare con gli sci alla ricerca di un modo di vivere le montagne bianche tutto fuorché banale. Fra i protagonisti, in entrambi i casi
grandi signori dello sci ripido, troviamo Enrico Mosetti il Mose nel film di Elisa Bessega e un team formato dagli chamoniardi Julian Casanova, Pierre Hourticq e Camille Armand nel film di Yannick
Boissenot. Il delicato film di Elisa Bessega esprime molto bene il fascino di una traversata inedita di un centinaio di chilometri della catena dello Sharr, in Kosovo, ai confini con la Macedonia e l’Albania. Si tratta di una vera haute route di altri tempi, con grandi zaini con tutto il necessario per campeggiare sulla neve. La performance è intervallata da sciate da manuale del Mose in stile freeride lungo canali ripidi e da una visita alla stazione invernale decadente di Brezovica. A questa traversata il Mose ha dedicato un bell'articolo pubblicato nel numero 153 di Skialper, lo stesso numero del pezzo sulla Rampa Whillans sopra citato.Il film di Yannick Boissenot racconta un viaggio di 5.000 chilometri lungo le Ande argentine alla ricerca di linee ripide mai sciate prima. Un sapiente uso dei droni permette di raggiungere livelli di rara spettacolarità. Da notare che Boissenot non è solo un bravo regista, ma anche un grande specialista di sci ripido e ha quindi potuto trasferire nel film tutta la sua esperienza nella scelta delle linee e nelle tecniche di ripresa. Pachamama è senza dubbio uno dei film di sci ripido più spettacolari che siano mai stati realizzati.

 

Un altro film di sci e di snowboard non premiato al Film Festival è Circle of madness di Christoph Thoresen. I protagonisti sono due superstar del freeride-freestyle che non hanno bisogno di presentazione: Markus Eder e lo snowboarder Victor de Le Rue, fratello minore dell’intramontabile Xavier. Circle of madness permette davvero un’abbuffata incredibile di pazze bravure dei due assi sulla neve. Da notare che anche in questo caso il regista è un freestyler professionista, fattore che ha aiutato non poco a far risultare la spettacolarità delle performance dei protagonisti. Al tempo stesso non ha però evitato di cadere in una certa ripetitività di capriole e rotazioni. Seppur tutte di altissimo livello, qualche sforbiciata qua e là sarebbe stata a mio avviso opportuna…

 

Infine Qivitoq: un film di 67 minuti in cui lo snowboarder francese quarantenne Mathieu Crepel, già campione del mondo di big air e halfpipe, ritorna a Tasiilaq, in Groenlandia, dove aveva girato, quando aveva solo 10 anni, Kallaallit Nunaat (che significa Groenlandia), diventato un film di culto per un’intera prima generazione di snowboarder. Il nuovo film, ricco nei contenuti oltre che professionale nella fattura, rappresenta un viaggio introspettivo che permette a Mathieu di riflettere sui profondi cambiamenti sociali e ambientali della Groenlandia, senza mai cadere troppo nella trappola della nostalgia.

 

 

Foto copertina © Michele Purin