Un'indagine sull'aumento dei costi per ospitalità e biglietti di Milano-Cortina 2026
Fino a più di 3.000 euro per un week end olimpico, sommando viaggio, pernottamenti e biglietti di ingresso alle gare. Con aumenti rispetto al mese precedente, gennaio 2026, che arrivano al 489%. È quello che emerge da un'inchiesta giornalistica realizzata da Altroconsumo. L'analisi ha riguardato quattro poli dei Giochi del prossimo febbraio: Milano, Bormio, Cortina d'Ampezzo e la Val di Fiemme. Il capoluogo lombardo, insieme alla Val di Fiemme, risulta quello dove la differenza di prezzo tra il periodo pre-olimpico e le settimana a cinque cerchi è minore, con prezzi delle strutture ricettive di circa il doppio, mentre la Valtellina tocca il 489% in più rispetto a gennaio e Cortina (la località più cara) il 344%.
A conti fatti due persone che partono da una delle principali città italiane, pernottano due notti e acquistano due biglietti, spendono in media 1.792 euro, una cifra che equivale quasi a una mensilità della retribuzione media del 2023. Si va da minimo di 448 euro per chi assiste a una partita di hockey a Milano trovandosi già nel capoluogo lombardo, fino a oltre 3.200 euro per chi sceglie Cortina e le gare di sci alpino, con partenza da Roma. Se invece si sceglie uno dei pacchetti ufficiali di Milano Cortina 2026, che abbinano biglietti, pernottamento e servizi extra come l’accesso a lounge dedicate, catering e gadget esclusivi, la spesa va dal doppio fino a oltre otto volte rispetto alla somma di un biglietto base e di un hotel tre stelle. Curiosamente, tra le strutture ricettive, gli hotel, nonostante i rincari, risultano mediamente meno cari degli appartamenti.

E i biglietti per le gare? I pass più economici sono quelli per le partite di hockey su ghiaccio a Milano, dove si può ancora spendere meno di 100 euro a persona. Sotto i cento euro anche biathlon, curling, sci di fondo, bob e snowboard. Per il pattinaggio di figura si può arrivare a 280 euro.
L'inchiesta di Altroconsumo non contempla lo scialpinismo e lo sci alpino. Abbiamo fatto una ricerca sul sito ufficiale dei Giochi olimpici scoprendo che per lo scialpinismo sono disponibili solo dei pacchetti hospitality, con accesso alla lounge e degustazione di prodotti tipici, a 250 euro. Per lo sci alpino, per esempio per la discesa sulla pista Stelvio di Bormio, i costi dei tagliandi vanno da 100 a 220 euro ma non risultano posti disponibili.

Fabiola Conti di bronzo e Italia d'oro ai World Mountain and Trail Running Championships
Con il terzo posto nel Long Trail (82 km, 5.078 m D+) del 27 settembre ai Mondiali di Canfranc, sui Pirenei, Fabiola Conti è la stella della spedizione azzurra, ma la sua non è l'unica medaglia. La Conti (10h35'51'') sale sul podio dietro alla statunitense Katie Schide (9h57'59'') e alla nepalese Sunmaya Budha (10h23'03''). La squadra azzurra femminile ha conquistato l'oro grazie anche ai risultati di Martina Valmassoi (settimana), Giuditta Turini (nona), Alice Saggin (ventesima) e Martina Chialvo (ventiquattresima). Tra gli uomini vittoria dello statunitense Jim Walmsley davanti ai francesi Banjamin Roubiol e Lousion Coiffet, con Cristian Minoggio quarto e Francesco Puppi nono. Gli altri azzurri - Andreas Reiterer sedicesimo, Riccardo Montani trentanovesimo e Gionata Cogliati quarantaquattresimo - hanno consentito all'Italia di chiudere medaglia di bronzo nella classifica a squadre.
Nella gara Mountain Classic (14 km, 767 m D+) del 28 settembre tra gli uomini tripletta africana con Ombogo Kiriago Philemon (Kenya) davanti a Martin Kiprotich (Uganda) e Paul Machoka (Kenya). Primo azzurro Isacco Costa (decimo) davanti a Cesare Maestri. Italia di bronzo dietro a Kenya e Uganda tra le squadre. Nella gara femminile vittoria della tedesca Nina Engelhard davanti alla kenyana Ruth Gitonga Mwihaki e alla svizzera Oria Liaci. Prima azzurra Angela Mattevi, diciassettesima. Italia d'argento nella classifica a squadre femminile under 20, dietro all'Uganda.
Il 26 settembre è stata la volta dello Short Trail (45 km, 3.469 m D+), vinto al maschile dal francese Frédéric Tranchand davanti allo spagnolo Manuel Merillas e al connazionale Andreu Blanes. Sesto Luca Del Pero, ottavo Davide Magnini e decimo Lorenzo Rota Martir. Per gli azzurri un terzo posto nella gara a squadre. Tra le donne successo della svedese Tove Alexandersson sulla spagnola Sara Alonso e l'inglese Naomi Lang. Prima azzurra Alice Testini, venticinquesima.
Nel Vertical Uphill (6,38 km, 989 m D+) del 25 settembre dominio di Rémi Bonnet tra gli uomini, davanti ai due kenyani Richard Omaya Atuya e Patrick Kipngeno (primo azzurro Andrea Elia, ottavo); tra le donne la vittoria è andata alla tedesca Nina Engelhard davanti alla finlandese Susanna Saapunki e alla statunitense Anna Gibson. Quinta Francesca Ghelfi e settima Lucia Arnoldo. Per le azzurre però gradino più alto del podio nella gara a squadre.

Atomic Bent 110 GFD, uno sci limited edition per celebrare i Grateful Dead
Atomic ha presentato lo sci Bent 110 GFD in edizione limitata. Progettato in collaborazione con Chris Benchetler, ha il topsheet illustrato con artwork originale ispirato al gruppo musicale dei Grateful Dead, il Bent 110 GFD viene lanciato in contemporanea con il nuovo film di Benchetler Mountains of the Moon, che debutterà a livello globale il 18 ottobre 2025. Questa release esclusiva coincide anche con il 60° anniversario dei Grateful Dead, la cui musica e cultura hanno da sempre fatto parte del ritmo della vita in montagna. Il Bent 110 GFD sfoggia il logo speciale GD60 e grafiche vivaci e psichedeliche create dallo stesso Benchetler, che richiamano le storiche copertine d’album e l’intramontabile eredità visiva dei Dead.

Si tratta della terza collaborazione creativa tra Atomic e i Grateful Dead. Il viaggio è iniziato nel 2019 con il Bent 120 GFD, lanciato insieme al film Fire On The Mountain, seguito dal Bent 100 GFD distribuito su scala più ampia. Ora, con il Bent 110 GFD, questa eredità continua, in parallelo al film Mountains of the Moon, che vedrà anche la partecipazione speciale del batterista originale dei Dead, Mickey Hart.
Il Bent 110 GFD in edizione limitata sarà disponibile a partire dall’autunno 2025 presso rivenditori selezionati indicati sotto e su atomic.com. Prezzo al pubblico: 899 euro.
• Cortina Pro Sport, Cortina d’Ampezzo (BL)
• Gialdini, Brescia (BS)
• Mottolino, Livigno (SO)
• Rossini Sport, Verano Brianza (MB)
• Technosport, Charvensod (AO)
• Viglietti Sport, Prato Nevoso – Villanova Mondovì – Frabosa Sottana (CN)

Andrzej Bargiel ha sciato l'Everest
Quella del 22 e 23 settembre è la prima discesa integrale senza ossigeno.
He did it. Andrzej Bargiel ha portato a termine la prima discesa integrale dell'Everest senza ossigeno lo scorso 22 e 23 settembre. Il polacco, secondo le prime notizie che arrivano dall'Himalaya, è sceso fino al Campo II dove ha riposato qualche ora per poi continuare fino al Campo Base. Bargiel era al terzo tentativo dopo quelli del 2019 e del 2022, falliti a causa di seracchi a rischio crollo o venti forti. Dopo aver sciato Shishapangma, Manaslu, Broad Peak, Gasherbrum, K2 e Gasherbrum I, un altro successo per Bargiel. Della spedizione facevano parte più di 16 tra Sherpa e Guide. L'Everest è stato sciato nel 2000 dallo sloveno Davo Karničar con l'uso dell'ossigeno e nel 1996 da Hans Kammerlander, che però ha dovuto togliere gli sci per circa 300 metri.
Bargiel è partito intorno alle 15,17 del pomeriggio del 22 settembre dalla vetta per raggiungere il Colle Sud balle 17,20 e il Campo II alle 20,30 e poi ripartire intorno alle 7 di mattina del 23 settembre. L'ultimo tratto ha comportato il passaggio dei crepacci della Khumbu Icefall senza l'uso di corde fisso per arrivare al Campo Base poco prima delle 9.

© Bartłomiej Pawlikowski / Red Bull Content Pool
Axelle Gachet-Mollaret: nuovo record del mondo nel chilometro verticale
Axelle Gachet-Mollaret stupisce ancora, questa volta con le scarpe da corsa ai piedi. La notizia arriva dalle Alpi francesi, dal KMV de Nantaux. Nel vertical di 2,3 km x 1.000 m D+ corso lo scorso 13 settembre Axelle ha fermato il cronometro a 33 minuti esatti che rappresenta il nuovo record del mondo della disciplina (curiosamente ha battuto anche il marito Xavier Gachet, salito in 33 minuti e 40 secondi). Gachet-Mollaret ha abbassato di ben 42 secondi il precedente crono di Christel Dewalle, fatto registrare meno di un anno a Fully, in Svizzera, teatro naturale di tutti i record del mondo di chilometro verticale, almeno quelli sui percorsi dove è consentito l’uso dei bastoni. A Fully, infatti, sono stati registrati anche i record maschili, quello di Urban Zemmer del 2014 (primo uomo a scendere sotto i 30 minuti, in 29 minuti e 42 secondi) e di Philip Götsch del 2017 (28 minuti e 53 secondi). Il percorso di Fully? Più corto (1,9 km) e naturalmente ripido. L’appuntamento è il prossimo 18 ottobre. Ci sarà un nuovo record?

©️ KMV de Nantaux
Kilian raggiunge tutti i Fourteeners del Colorado
I numeri, come sempre quando c’è di mezzo Kilian Jornet, sono impressionanti. A poco più di una settimana dalla fine della parte in Colorado del suo progetto States of Elevation per concatenare tutti i 67 Fourteeners of the lower 48 aperti al pubblico (le cime di oltre 4.267 metri) degli Stati Uniti (Colorado, California, Washington) by fair means, correndo e in bici, iniziano a filtrare i primi dati. In 16 giorni e 13 tappe Kilian ga raggiunto 56 Fourteeners, è stato in movimento per 267 ore, 10 minuti e 18 secondi. Il dislivello totale ha raggiunto i 79.176 m e la distanza i 2.007 km.
Martedì scorso, dopo aver superato le mille miglia percorse e 200.000 piedi di dislivello, è stata la volta delle San Juan Mountains, dove si corre la Hardrock. Kilian si è fatto accompagnare dalla trail runner Anna Frost, da Meghan Hicks (che nel 2020 ha fatto registrare il FKT della Nolan’s 14, una delle sezioni del progetto di Kilian), e da Bryon Powell di irunfar.com. La tappa si è conclusa con un gelido tramonto in vetta e una pedalata fino a Ouray in compagnia di Scott Simmons.

La dodicesima tappa si è conlusa invece con 18 ore di traversata in una delle zone più selvagge del Colorado. Iniziata con una pedalata sulla bici gravel e proseguita in compagnia di Dakota Jones, ha portato il duo a Mount Sneffels, per poi scendere velocemente, pedalare ancora e concedersi un concatenamento di 25 miglia toccando Wilson Peaqk, El Diente e Mount Wilson, con passaggi fino al quarto grado.
L’ultima tappa, per concatenare i quattro Fourteeners rimasti, ha avuto come teatro il Chicago Basin, in compagnia di Joe Grant. Le ultime vette? Mount Eolus, North Eolus, Sunlight Peak e Windom Peak.

Ci siamo messi in testa la Corona di Ötzi
Foto di Gianmaria Strinati e Andrea Pasquali
Anche questa l’abbiamo portata a casa. Siamo in Alto Adige, a Maso Corto, in Val Senales. Ho appena tolto gli sci. Sembra strano muoversi senza sentire a ogni passo il tintinnio di moschettoni, discensore e chiodi da ghiaccio. Mi sento leggero senza il fardello dello zaino che tentava di schiacciare il sogno che stavo vivendo. Mi sento leggero, è finita, dopo 80 chilometri di sviluppo, circa siemila metri di dislivello positivo, 27 ore di attività, 13.850 calorie consumate, per quanto mi riguarda.

La Corona di Ötzi ce la siamo messa in testa e niente ce la può più togliere. Abbiamo circumnavigato il luogo dove negli anni ’90 trovarono la celebre mummia del Similaun. In tre giorni, con tappe da educazione siberiana causa la chiusura per ristrutturazione di diversi rifugi, coincidenza che non ci consentiva di diluire maggiormente il tracciato se non a prezzo di portarci sulle spalle anche viveri e sacco da bivacco. Un prezzo che non abbiamo voluto pagare perché - quasi tutti con un passato agonistico - apprezziamo il passo dinamico, i dislivelli importanti e poi vogliamo gustarci la discesa, cosa quasi impossibile quando ci si deve trasformare in lumache dai grandi gusci.

Ghiacciai fin dove l’occhio può vedere, pendi da attraversare aggrappandosi alle lamine; canali da rimontare a colpi di piccozza e ramponi, vette famose e cime meno note, farina intonsa su cui disegnare curve su lenzuoli bianchi appesi a 45 gradi, crostaccia immonda dove l’imperativo categorico è salvare le ginocchia, prati verdi su cui arrancare fino al tramonto storditi dalla fatica e dalle emozioni; spindrift senza sosta per ricordare che è tutto vero, che non si sta sognando in questo lembo di Alpi che sembra creato apposta per lo skialp. Diverse le cime salite - i denti della Corona di Ötzi, appunto - tra cui la seconda d’Austria (Wildspitze, 3.770 m.) e la terza (la Palla Bianca, Weiskugel in lingua germanica, 3.739 m, che gli austriaci persistono, nonostante l’esito della Prima Guerra Mondiale, nel voler ritenere come loro, pure se si trova entro il confine italiano).

Dopo aver lo scorso anno tracciato una nuova alta via circolare intorno al Cervino denominata Skyline around the Matterhorn, divenuta anche soggetto di un apprezzato docufilm di Andrea Pasquali presente sulla piattaforma Youtube, anche la Corona di Ötzi figura ora ben visibile nel saldo del contocorrente delle nostre emozioni. Un vero e proprio viaggio portato a termine a cavallo tra marzo e aprile 2025, una settimana dopo del previsto, causa pericolo valanghe, dall’altoatesino naturalizzato parmigiano Alex Keim e dai piacentini Fabrizio Cappa, Giammaria Strinati, Andrea Pasquali e da me. Dalla Val Senales allo Stubai, alla Pitztal, alla Rofental, per ritornate a Maso Corto dopo aver risalito il massiccio del Similaun. Tracciando il percorso nel bianco più assoluto, coordinata gps per coordinata, rifuggendo nel primo tratto (quello che da Maso Corto consente di accedere al bacino glaciale) gli impianti per la volontà di compiere integralmente l’anello senza sconti, by fear means. In un ambiente d’alta montagna che, abbandonati gli impianti della Val Senales, è apparso ad antropizzazione zero e, nel periodo che ci ha interessato, pochissimo frequentato dagli skialper causa la già accennata chiusura di alcuni rifugi che negli anni passati consentivano di spezzare il giro in 4-5 giorni. Isolamento e wilderness da trasferta extraeuropea, dunque, a pochi chilometri dal confine nazionale e per molti tratti proprio sul confine.

Da Maso Corto, circa a quota 2.000, siamo saliti, mantenendoci fuori dalle piste con qualche difficoltà, allo splendido Rifugio Bellavista, con sauna e idromassaggio. Svalicato in Stubai abbiamo affrontato, ramponi ai piedi e sci sullo zaino, la parete Est della Palla Bianca (Wisskugel, 3.799 m., la cima più alta delle Alpi Venoste) per poi scendere la medesima parete con gli sci (circa 45 gradi di pendenza nel tratto iniziale) e raggiungere uno spettacolare ghiacciaio che poteva fungere da set per il film Frozen, con fauci bianconere spalancate e vele di ghiaccio ben tese, fino al Rifugio Hochjoch Hospitz (2.430 m), in Stubai, dove abbiamo pernottato. Il secondo giorno, una cammellata di circa trenta chilometri e 2.300 metri di dislivello positivo, sferzati da raffiche di vento anche a 50 km/h continue: 12 ore tra salita e discesa, senza alcuna sosta, toccando la panoramicissima vetta Mittlere Guslarspitze (3.128 m.), la Wildspitze, 3.770 m. con una crestina finale per nulla banale, per raggiungere infine Vent, uno spettacolare e tipico paesino austriaco situato a circa 1.900 metri di quota, alle 19 circa, quando il serbatoio delle energie era ormai in riserva. Pernottato a Vent in un grazioso hotel, il terzo giorno, per chiudere la corona, abbiamo puntato al Similaun, risalendone per oltre 15 chilometri le pendici fino al Giogo di Tisa (3.100 m), dove si trova il cippo che ricorda il ritrovamento della celeberrima mummia. Da lì, aggirando una pinna di squalo che fuoriesce dal bianco perenne, la Finalspitze (3.514 m), una lunga discesa su farina intonsa, districandoci tra qualche seracco per riapprodare a Maso Corto.
Ancora una volta ci siamo resi conto che gli sci, prima di essere ridotti a mero strumento di divertimento di massa, sono stati e restano uno straordinario mezzo per spostarsi da un luogo all’altro, anche abbastanza velocemente e senza alcun impatto ambientale. Ancora una volta ci siamo resi conto che la montagna inizia dove incomincia la fatica, dove non arrivano gli impianti e le auto, perché senza fatica la montagna muore, si banalizza relegandola a mero palcoscenico per selfie di massa.

Tolti gli scarponi, riposti sci e zaini in auto, entriamo in un bar per mangiare un boccone. C’è uno specchio: i nostri visi appaiono in bianco e nero, come nelle foto di un tempo. Abbrustoliti dal sole, le rughe ancor più evidenti, le labbra cotte dagli spindrift che ci hanno schiaffeggiato per tre giorni, gli occhi trasudano emozioni. Brillano ricordando i colori dell’infinito, ma sono tristi perché devono ora ritornare a farne a meno. Ci siamo tolti gli sci dai piedi, ma non dall’anima.


Victor Richard da record al TOR330
© Zzam Agency | Stefano Coletta
Il segreto, in una gara lunga come il TOR330, è prendersi i propri tempi. Ricordo una volta Rory Bosio all’UTMB, alla base di Maison Vieille, sopra Courmayeur. Tutte le avversarie passate prima di lei hanno bevuto qualcosa in corsa, senza neanche fermarsi. Lei è arrivata un po’ attardata, si è seduta, ha gustato una zuppa calda e poi è ripartita. Nella notte le ha riprese tutte, come una cecchina infallibile, le ha superate ed è andata a vincere la sua seconda UTMB. La strategia del belga Victor Richard, che mercoledì mattina presto ha tagliato per primo il traguardo del TOR330, a Courmayeur, nel tempo record di 66 ore 8 minuti e 22 secondi è stata simile, anche se in una gara ancora più lunga. Alla base di Cogne è arrivato solo, primo, con un’ora di anticipo rispetto al record del 2023. Ed ecco il colpo di scena: si ferma a dormire per un’ora e dieci minuti, mangia, si cambia e riparte dopo altri venti. A questo punto è sesto, staccatissimo dalla testa, ma rispetto agli avversari è fresco e riposato. La sua rimonta inizia qui e si completa nel pomeriggio di lunedì, al Lago Chiaro, dopo aver ripreso uno a uno i suoi antagonisti, proprio quando Collé decide di abbandonare per un problema agli occhi. Da lì in poi, comincia il suo viaggio in solitaria contro il tempo. Il vantaggio virtuale sul tempo di Collé arriva anche a superare l’ora e trenta minuti, ma poi lo sforzo profuso presenta il suo conto sotto forma di forte dolore al tendine d’Achille. Alla base vita di Ollomont si fa trattare dai MassaggiaTOR e riparte dopo mezz’ora. Da lì in poi non si fermerà più fino al traguardo, stringendo i denti.
Ora per lui è arrivato il momento di godersi una vittoria e un tempo da sogno, anche se in questi casi è sempre difficile parlare di record, visto il percorso cambiato rispetto al passato con il passaggio ai Rifugi Bonatti e Bertone. «Ho fatto davvero molta fatica nella prima parte della gara, perché non riuscivo proprio ad alimentarmi. Nonostante ciò, sono arrivato a Cogne in prima posizione e ho cercato di dormire, perché avevo in programma di farlo. Non ci sono riuscito del tutto, ma almeno mi sono riposato un po’. Poi finalmente al Rifugio Coda ho mangiato un bel piatto di polenta e mi sono sbloccato: da lì in poi mi sono sentito davvero bene e ho iniziato finalmente la mia gara». Un po’ a sorpresa, il suo avversario principale non è stato Franco Collé, ma Louis Calais. «Franco non dorme, io invece ho capito che bisogna farlo. Louis invece mi preoccupava molto, ho fatto gara su di lui, poi quando si è ritirato per assurdo sono andato in crisi, perché ho avuto un calo di tensione e mi sono sentito svuotato». Victor Richard, 39 anni, è nato a Reims, in Francia, ma ha vissuto per molti anni a Saint-Georges-sur-Meuse, in Belgio, dove ha fondato Ultratiming, società specializzata nel cronometraggio di eventi sportivi. In Belgio, inoltre, ha incontrato la donna che sarebbe poi diventata sua moglie: la coppia ora vive in Alta Savoia, a pochi chilometri da Chamonix, ma lui corre ancora con la bandiera del Belgio. Victor Richard, in ogni caso, non è nuovo ad imprese di questo genere in Valle d’Aosta. Dopo il 23° posto al TOR330 -Tor des Géants del 2015, il capolavoro arriva quattro anni dopo, nel 2019, con il secondo posto nella prima edizione del TOR450 – Tor des Glaciers, dietro solo a Luca Papi.
Al secondo posto, insieme, sono arrivati Simone Corsini e Martin Perrier in 71 ore 48 minuti e 55 secondi. Terzo Danilo Lantermino in 73 ore 37 minuti e 7 secondi.
Per quanto riguarda il podio femminile Noor Van Der Veen è la nuova Regina del TOR330. L’atleta olandese ha chiuso 13ª assoluta, tagliando il traguardo di Courmayeur alle 17:34 con un tempo di 79 ore, 34 minuti e 30 secondi: è la seconda donna, dopo Katharina Hartmut, a scendere sotto il muro delle 80 ore. Dopo una giornata di continui ribaltamenti in testa alla gara femminile, martedì 16 settembre, Van Der Veen è riuscita ad avere la meglio su Natalie Taylor al termine di un lungo duello. Tra il Rifugio Barmasse e il bivacco Varetan ha trovato l’allungo decisivo, accumulando vantaggio durante la notte fino a superare le tre ore. È stata poi la volta di Lisa Borzani, che con una grande rimonta ha raggiunto Taylor a Bosses e l’ha staccata fino ad arrivare a Courmayeur con circa 40 minuti di margine, conquistando così la seconda posizione.
Degne di nota le vittorie di due italiani sulla distanza intermedia il Tot Dret TOR130, circa 130 chilometri e 12.000 metri di dislivello, per il cuneese Davide Rivero in 21 ore 44 minuti e 33 secondi e Cristina Vecco in 28 ore 37 minuti e 29 secondi.

© Zzam Agency | Geo Vergnano
Quando il sole cala presto: allenarsi con le frontali in autunno
Con l'arrivo dell'autunno e l'accorciarsi delle giornate diventa indispensabile attrezzarsi per sfruttare le ore pre o post orario di ufficio per i nostri allenamenti, le frontali sono la soluzione. Come ogni anno abbiamo testato i modelli più interessanti presenti sul mercato sulla nostra Outdoor Guide 2025.
Abbiamo confermato le ottime impressioni su prodotti già collaudati nel corso dell’anno. Black Diamond e Silva hanno arricchito le rispettive linee dei pesi piuma con modelli come la Deploy Run Light e la serie Smini, in competizione diretta con le intramontabili Iko Core e Bindi di Petzl, anche se queste ultime continuano a distinguersi per il design. Tra le lampade più performanti, la Nao RL di Petzl resta il riferimento assoluto per durata della batteria e comfort. Ci auguriamo che anche altri marchi investano in materiali capaci di offrire prestazioni analoghe su lunghe distanze. Per un utilizzo intermedio, senza ambizioni ultra, tutti i produttori offrono valide alternative con luminosità adeguata per tre-cinque ore di attività. Le interfacce utente rimangono semplici ed efficaci: Petzl e Silva prediligono tasti fisici, mentre Black Diamond usa un mix di comandi fisici e touch. L’usabilità rimane elevata anche in condizioni meteo avverse. Le batterie variano dai 700 mAh delle Smini di Silva fino ai 3.200 mAh della Petzl Nao RL, con output luminosi tra i 250 e i 1.500 lumen. La durata effettiva oscilla tra 2 ore e mezza e 3 ore, ma nei modelli progettati per trail lunghi si arriva anche a 8-10 ore all’80% della potenza massima, ed è proprio lì che si gioca la vera differenza.

PETZL NAO RL
170 euro 145 grammi
Con il suo design minimalista, bilancia lampada e corpo batteria sul retro grazie a una fascia ergonomica ed essenziale. Il corpo luce, basato su 10 led, è sottile e ripartisce un fascio morbido, privo di rifrazione sulle diverse superfici; l’interfaccia ruota attorno a un solo tasto per passare dalla luce reattiva a quella standard e, per entrambe, modulare le intensità da una luce di prossimità a una di spostamento, fino a quella di massimo raggio. Lampada perfetta per corse di ogni distanza a tutti i ritmi. Batteria ricaricabile da 3.200 mAh, lumen dichiarati massimi 1.500 in modalità reattiva e 900 in luce fissa, distanza massima 200 m in modalità reattiva e 140 m in luce fissa, durata 2-24 h in modalità reattiva e 5 h in modalità standard.

BLACK DIAMOND DISTANCE 1500
200 euro 203 grammi
Il prodotto top di gamma per lunghe notti sui sentieri, adatto a trail runner non necessariamente competitivi ma anche a chi cerca una soluzione solida e facile da maneggiare. Sulla testa la struttura portante è stabile, con un buon bilanciamento tra fronte e retro, sebbene si percepisca un po’ di rigidità nell’alloggiamento della corposa batteria. La luce è nitida senza grossi cali per usi prolungati; la possibilità di mantenere 8 ore a 300 lumen la rende una protagonista interessante per la maggior parte delle ultra. Batteria ricaricabile BD 1.500 mAh, lumen dichiarati 1.500 max, 800 alto, 300 standard, 15 minimo; distanza massima 117 m max, 95 m alto, 45 m standard, 5 m minimo; durata 10" max, 1h40' alto, 6 h standard, 40 h minimo.

BLACK DIAMOND DEPLOY RUN LIGHT
60 euro 38,5 grammi
Ha un corpo leggerissimo che scompare una volta indossata, con poco materiale gommato sul fronte della lampada, tenuto in posizione da un elastico riflettente molto comodo. Verrà apprezzata non solo da chi corre, ma anche da chi cammina o arrampica e cerca un fascio di luce immediato, leggermente inclinato di qualche grado, per utilizzi ravvicinati entro i 50 metri. Ricaricabile, non compatibile con batterie stilo, monta gli stessi led di carica della batteria delle sorelle maggiori della gamma Distance. Batteria ricaricabile 680 mAh, lumen dichiarati 325 alto, 180 standard, 6 minimo; distanza massima 52 m alto, 40 m standard, 7 m minimo; durata 2,5 h alto, 4,5 h medio, 30 h minimo.

SILVA SMINI
55 euro 53 grammi
Utile per allenamenti brevi o come lampada di emergenza, è fornita di una luce rossa aggiuntiva che si può attaccare direttamente alla fascia che la sostiene. Il corpo centrale è essenziale, ma provvisto di funzione di blocco ed è in grado di inclinarsi; la luce generata è un po’ piatta e anche a piena potenza risulta in un cono non molto ampio, ma funzionale a illuminare benissimo per 50-60 metri davanti a sé. Ottima la possibilità di intercambiare facilmente la banda elastica. Batteria ricaricabile 700 mAh, lumen dichiarati 250 alto, 100 standard, 10 minimo; distanza massima 80 m alto, 50 m standard, 17 m minimo; durata 1,5 h alto, 2,5 h standard, 20 h minimo. Pro: corpo leggero, luce rossa aggiuntiva utilissima. Contro: 90 minuti di attività a piena potenza sono pochi.
© Riccardo De Conti
Squalificata per doping la vincitrice della OCC
Lo spettro del doping torna ad aggirarsi sul trail running. È notizia di questi giorni che la vincitrice della OCC, la keniana Joyline Chepngeno, è stata squalificata perché trovata positiva al triamcinolone acetonide, un corticosteroide. La sostanza è ststa rilevata durante un controllo il 9 agosto alla Sierre-Zinal, vinta dalla Chepngeno. L’atleta ha ammesso l’assunzione della sostanza e tutti i risultati successivi (Sierre-Zinal e OCC) sono stati cancellati. La Athletics Integrity Unit (AIU) l’8 settembre ha inoltre deciso la sospensione di due anni e Salomon, sponsor tecnico della keniana, ha annullato il contratto. La nuova classifica della OCC vede al primo posto la cinese Miao Yao, davanti alla svizzera Judith Wyder e alla connazionale Maude Mathys.
© World Mountain Running Association/Marco Gulberti
Kilian Jornet entra nei San Juan e supera le 1.000 miglia nello States of Elevation
Con la lunga tappa (la decima) che lo ha portato da Creede fino al San Luis Peak, Kilian Jornet – che sta concatenando by fair means 67 vette oltre i 14.000 piedi (circa 4.200 metri) di Colorado, California e Stato di Washington, ha raggiunto un traguardo simbolico: più di 1.000 miglia percorse, 200.000 piedi di dislivello positivo (oltre 1.600 chilometri e 61.000 metri) e più di 200 ore di attività accumulate.
Dopo aver completato la catena dei Sangre de Cristo, lunedì si è spostato verso le San Juan Mountains, un territorio che conosce bene grazie alle cinque partecipazioni alla Hardrock 100. «Questa volta sarà bello vivere qualcosa di diverso» aveva anticipato prima della partenza.
La decima frazione del progetto States of Elevation è iniziata al mattino in sella alla bici, con circa 107 km pedalati fino al villaggio di Creede. Da lì è partito un impegnativo tratto a piedi di circa 44 km, lungo il Continental Divide Trail, che lo ha portato fino ai 4.267 metri del San Luis Peak, uno dei celebri Fourteeners del Colorado. La giornata si è chiusa con un’ulteriore sezione in bici fino al campo notturno, sotto un cielo limpido e circondato dai colori autunnali. Una tappa faticosa ma anche tra le più spettacolari finora, grazie alla varietà dei paesaggi attraversati e all’atmosfera unica delle montagne del Colorado.
Dopo le prime tre tappe Kilian ha raggiunto il Mount Massive (4.398 m) e il Mount Elbert (4.401 m), per poi spostarsi in bici da Twin Lakes ad Aspen (54 miglia). Poi è venuto il momento della Elks Traverse, che unisce in circa 80 km sette Fourteneers: Capitol Peak, Snowmass, Maroon Peak, North Maroon Peak, Pyramid Peak, Conundrum Peak, e Castle Peak. Mancava ancora uno dei percorsi più iconici tra Fourteeners, la Nolan’s 14, una traversta che tocca ben 14 vette. Due in realtà Kilian le aveva già raggiunte (i già citati Mount Massive ed Elbert), per il resto del percorso si è fatto accompagnare in parte dal fondatore del marchio di orlogi GPS Coros, Lewis Wu, e dall runner Sage Canaday. Ma c’è stato un terzo compagno meno gradito, il maltempo, con temporali e bufere di neve. A Pikes Peak invece Kilian ha potuto confrontare il suo tempo con quello di sei anni fa, quando ha vinto la Pikes Peak Marathon: oggi 3 ore e 45 minuti, allora 3 ore e 27 minuti. Peccato che nel 2019 non avesse nelle gambe altri 33 Fourteeners…

© Nick Danielson
Il mondo a testa in giù
La prima gara di scialpinismo in Australia
Con l'avvicinarsi del debutto dello scialpinismo ai Giochi Olimpici fioccano anche le gare in luoghi dove prima d'ora le pelli non si erano mai viste. È il caso dell'Australia. Il Falls Creek SkiMo Challenge, domenica 24 agosto, ha visto la presenza di tre atleti australiani di Coppa del Mondo della scorsa stagione: Bellingham, McCann e Daniel Trevena,
Il presidente di Snow Australia SkiMo, Brian Lichi, è stato anche Direttore di Gara. «Il percorso alla fine è risultato un po’ un ibrido tra una Sprint e una Staffetta Mista», ha spiegato Lichi, che ha gareggiato in Coppa del Mondo in Europa nelle ultime due stagioni. «L’evento presentava tutte le caratteristiche di una gara Sprint, compresi tre cambi d'assetto e un tratto a piedi per ogni giro, ma con una salita più lunga e uno slalom gigante, tanto che i migliori sciatori impiegavano circa 6-7 minuti per giro.»

© photo by SNOW Australia












