Gravel bike, the next big thing
Su Skialper 113 un articolo sulla nuova moda due ruote
«Ogni volta che esco in bici è un viaggio. Mi piace la sensazione di partire da casa, con giusto qualcosa da mangiare in tasca e andare in montagna attraversando tutti i diversi panorami che si incontrano mentre si sale di quota. Come per gli sci però si è costretti a scegliere. MTB o strada? La specializzazione ha sempre rappresentato un limite per me, mentre mi sono sempre piaciute quelle vie di mezzo che permettono una cosa importantissima: di non pensare allo strumento che si utilizza, ma di vivere semplicemente un’esperienza. La bici da strada è velocità ed efficienza, la MTB è piacere e scoperta, ma il mondo è percorso da asfalto e sterrati, scegliere significa doversi a un certo punto fermare perché il mezzo che si utilizza non ha più senso. Da qualche tempo hanno iniziato a diffondersi anche in Italia i primi modelli di telai gravel. Gravel in inglese significa ghiaia e identifica generalmente le strade sterrate. Questi telai hanno geometrie simili a quelli da ciclocross, permettono di montare copertoni più larghi di quelli delle bici da strada e sono robusti come le MTB. Vi ricordate però la storia degli sci da 90 mm? Ecco, una bici da gravel non scorre come una bici da strada quando usata su asfalto e, al contempo, non supera gli ostacoli come una MTB. Paradossalmente però, ai miei occhi, rappresenta l’essenza stessa della bici: uno strumento in grado di trasformare la nostra energia in sensazioni. Punto. Del resto una bici da gravel va meglio di una MTB su asfalto, scorre veloce sulle strade bianche e, con un po’ di esperienza, permette di percorrere anche alcuni sentieri. Più di ogni altra cosa consente di ‘spingersi un po’ più in là’ e non essere troppo condizionati dallo strumento che si utilizza». Se anche voi volete spingervi un po’ più in là… non vi resta che leggere il bell’articolo di Damiano Levati con le altrettanto belle foto di Daniele Molineris su Skialper di agosto-settembre alla voce ‘the next big thing’, una nuova serie di articoli su altri sport da praticare in montagna, molto, ma mooltooo trendy.
La via del confine pacifico
Su Skialper 113 uno spettacolare trekking sulle Vette Feltrine
«I confini sono un catalogo di ipotesi. Ad esempio, più che demarcazioni lineari, sono passi, creste, frastagli, onde. Sono percorsi, tracce e sentieri. Prima che geografie, sono storie, racconti e immagini» Il pensiero di Gian Luca Favetto, scrittore e giornalista torinese, apre l’articolo di Teddy Soppelsa sull’interessante trekking sulle Vette Feltrine. Una proposta lontano dagli itinerari più frequentati, alla scoperta di luoghi e genti. Con le meravigliose fotografie di Federico Ravassard. corrisponde con la mia idea di confine e da questa percezione mentale, che nasce da un dato fisico, ha inizio il nostro viaggio.
DOVE - L’idea è semplice: camminare lungo i versanti nord e sud delle Vette Feltrine, al margine della linea di confine che per quasi 400 anni ha diviso due Stati, la Repubblica di Venezia dal Tirolo: oggi confine tra due regioni, il Trentino e il Veneto, e le due province di Trento e Belluno. Un confine pacifico, che segue in gran parte il profilo di cime che superano i 2.000 metri che, a dispetto dell’idea di dividere, ha sempre unito le vallate. Le labbra del tempo raccontano di passaggi di pastori, contrabbandieri, cacciatori, viaggiatori e rivoltosi, in una mescolanza di commerci, lingue, matrimoni e idee. Le Vette Feltrine sono il gruppo più meridionale delle Dolomiti, si trovano nella zona sud-occidentale della provincia di Belluno. A sud dominano la vallata Feltrina, a nord costituiscono una barriera naturale sulla Valle di Primiero e se non ci fosse la stretta gola dello Schenèr, ad unirla alla pianura veneta, anche la storia del Primiero sarebbe un’altra cosa.
I GIGANTI DELLA VAL NOANA - Da 39 anni Silvano Doff Sotta è il custode forestale dei boschi del Comune di Mezzano e, come la maggior parte dei boschi trentini, anche questi sono di proprietà delle comunità locali che li amministrano da secoli tramite sistemi di regole. Da non perdere una deviazione alla scoperta degli abeti giganti della Val Noana: «In questa foresta» dice Doff Sotta «vivono numerosi alberi di grandi dimensioni, abeti, tassi e faggi, alti diverse decine di metri, che si sviluppano all'interno di boschi maestosi in tempi relativamente brevi. Ciò è dovuto al clima particolarmente favorevole e a una storia che non ha mai visto uno sfruttamento eccessivo».
Herve' Barmasse e il mantra del come
Su Skialper di agosto-settembre ampia intervista all'alpinista valdostano
Si può andare in Himalaya, si può salire sull’Everest, sul K2 o sul Shisha Pangma, si può arrivare in vetta o no, ma conta molto come lo si fa. E quel come assume un significato pesante come una pietra, come uno scoglio. Come il più nobile scoglio d’Europa, quella Gran Becca (o Cervino…) dove sta scritta su ogni sasso la storia dei Barmasse, uomini di montagna, alpinisti, Guide alpine da diverse generazioni. Ma sarebbe banale, troppo banale, partire da qui per parlare di Hervé Barmasse. La scusa per un’intervista è stato lo Shisha Pangma (8.027 m), raggiunto da Barmasse e Göttler a fine maggio in 13 ore lungo la parete sud (volevano aprire una nuova via, ma la breve finestra di bel tempo li ha costretti a seguire la via Girona). Ne parliamo su Skalper di agosto-settembre.
IL PRIMO OTTOMILA - «Mi sono domandato dove erano i miei limiti, volevo provare a dimostrare che sono molto più in là. Ma non era facile perché ho sempre dovuto lottare con gli infortuni e la fragilità del mio corpo. Il ginocchio è stato operato sette volte, l’ultima in autunno. Poi, proprio dopo la dichiarazione di Messner, mi sono operato al rachide cervicale. Da anni avevo molto dolore, si pensava a un’ernia, ma fino a quando il dolore non è diventato insopportabile i medici erano prudenti a toccare i nervi. Poi si è scoperto che c’era una scheggia di vertebra rotta che pizzicava il nervo, a meno di due millimetri dal midollo. Avrei potuto rimanere paraplegico o tetraplegico. Allora, con il corpo martoriato dagli infortuni, ho pensato a come prepararmi per un ottomila; è stato un percorso non facile. E quel come è passato per la scelta di uno stile pulito (non lo definirei più alpino), senza corde fisse, portatori e ossigeno, ma è passato soprattutto per l’allenamento».
UELI STECK - «Ci siamo confrontati spesso, anche per progettare le nuove scarpe di Scarpa, ed è curioso come partissimo da due idee di alpinismo diverse, da storie diverse, ma alla fine, quando preparavamo una salita, ragionavamo in modo simile. Discutevamo sempre perché a lui, che arrivava dal mondo dell’arrampicata sportiva, piaceva cimentarsi con il cronometro. Io gli dicevo che non ero sicuro che si parlasse ancora di alpinismo, che per me era esplorazione, ricerca del nuovo. E lui ribatteva chiedendomi se, quando scalavo o mi allenavo, non guardavo l’orologio. E infatti sì, i tempi li controllo, non con l’obiettivo di un record ma della prestazione e dell’allenamento. Mi diceva che la gente lo conosceva per quello che ha fatto sull’Eiger e non sull’Annapurna».
Topturfestivalen, rotta per il nulla
Su Skialper di agosto-settembre un reportage dalle isole Svalbard
«Le stagioni invernali non si sa mai quando farle finire. Se uno ha passione vera per lo sci, uno strascico di inverno da qualche parte lo trova sempre. Uno, se vuole, può andare avanti tranquillamente a sciare fino a metà dell’estate, fino a giugno o a luglio, ma è chiaro che quello che sta facendo, da un certo momento in poi, è tirare avanti. Trascinarsi, e le passioni non bisogna mai trascinarle. A giugno si è in quella terra di mezzo che è il passaggio di stagione, periodo bellissimo, per carità, si può sciare ma si può anche correre e pedalare, arrampicare, camminare, fare un sacco di altre cose divertenti e anche niente, si può mettersi in spiaggia con una bella rivista di sci sotto l’ombrellone e godersi l’estate aspettando un altro inverno ancora. È per queste ragioni, per il bisogno di farla finita, che quando sai di dover andare a sciare alle Svalbard a giugno capisci che quella che sta per succederti è una cosa diversa» comincia così l’articolo di Emilio Previtali sull’incredibile Topturfestivalen, un festival dello scialpinismo e dello sci fuoripista che si celebra in questo periodo dell’anno alle isole Svalbard, in Norvegia. Ne parliamo su Skialper di agosto-settembre.


UN FESTIVAL DIVERSO - La caratteristica del Topturfestivalen è che questo festival è itinerante: si alloggia sul Nordstjernen, una nave da crociera artica costruita nel 1956 e recentemente restaurata. Poi con il gommone si approda insenature dalle acque turchesi, si sale su pendii immacolati accompagnati da qualcuno con il fucile (per gli orsi polari…) e si scende guardando il mare. Il gioco è fatto! «La faccenda di andare a sciare con il fucile è un po’ destabilizzante all’inizio. Uno può reagire in due modi: o è veramente preoccupato e ossessionato dalla paura di venire attaccato e sbranato da un orso polare; oppure vede quella dell’incontro come una remota possibilità di cui non preoccuparsi minimamente, come se fosse qualcosa che fa parte del pacchetto vacanza. In realtà l’atteggiamento corretto sta a metà strada tra queste due posizioni. Il pericolo di incontrare un orso è concreto e reale, poi gli orsi sono interessati più alle foche di cui si cibano che agli esseri umani ma sono predatori e per questa ragione non bisogna mai sottovalutare i rischi di un incontro faccia a faccia. Il pericolo è più consistente in prossimità del mare, in quota ci si può davvero rilassare e godere dello spazio immenso, della solitudine e dei pendii». Se lo dice Emilio…
Francois Cazzanelli, lo skialp dentro
Su Skialper di giugno-luglio un'intervista all'ex nazionale di scialpinismo
«Tutto ha inizio sul divano di casa mia, un’idea che mi ronza per la testa e che in qualche modo mi piacerebbe realizzare: ‘intervistare François Cazzanelli’. Ex atleta nazionale di scialpinismo, Guida alpina del Cervino, atleta della Sezione Alta Montagna del Centro Sportivo Esercito, giovane alpinista emergente con all’attivo numerose salite sulle Alpi, Patagonia, Himalaya, America e in ultimo il tentativo di salita al Kimshung, cima inviolata del Nepal». Inizia così l’intervista di Stefano Jeantet a François Cazzanelli, indimenticato atleta della nazionale di scialpinismo su Skialper di giugno-luglio. Ecco qualche anticipazione.
GLI AVVERSARI - «All’epoca in nazionale c’eravamo io, Filippo Righi, Michele Boscacci e Robert Antonioli. Il talento più puro allora era Robert perché era veramente una persona capace di vedere la gara e la situazione per andare e vincere. Boscacci era un gran lavoratore, un ragazzo molto dotato: è sempre stato una macchina. Filippo era una persona in grado di soffrire molto più di tanti altri e io a soffrire ed essere sfinito come lui al traguardo non ci sono mai riuscito. Ecco, loro sono le tre persone con cui ho battagliato di più. L’atleta più talentuoso di tutti i tempi è difficile da dire, lo scialpinismo moderno ha delle discipline e quindi ci sono degli specialisti, ovvio che se uno prende il più talentuoso, attualmente è Kilian perché è il più completo in tutto, tranne forse nella sprint».
MEZZALAMA - «Per me si parte da Cervinia e si arriva a Gressoney. Sono dell’idea che le classiche devono rimanere tali, il Mezzalama nasce con un percorso e credo che debba rimanere così, anche se gli organizzatori sono stati bravi a rinnovare la gara in occasione della ricorrenza dei 150 anni della conquista del Cervino. È stata la ciliegina sulla torta. Condivido la mentalità, Il cercare di evolversi, l’idea di quest’anno di spostare la partenza in centro al paese e di fare il canale del Theodulo a piedi ha aggiunto valore tecnico».
DISPONIBILE ANCHE SU APP - Skialper di giugno-luglio è disponibile nelle migliori edicole e già scaricabile su app. Per ogni info si può scrivere una mail o chiamare il numero 0124 428051. Per chi lo volesse acquistare la copia su smartphone o tablet, è sufficiente scaricare la app per iOS o Android e procedere all’acquisto direttamente in-app!
Alla ricerca del cristallo perfetto
In Siberia con temperature di - 30 gradi... ne parliamo su Skialper 112
«L’impatto con il clima all'uscita dall'aereo a Novokuznetsk è proprio un impatto! Pietrificati, montiamo su un pulmino guidato da un autoctono: il freddo è tale che lo sterzo quasi non gira. Arriviamo a Seregesh, gli impianti girano, ma le nostre gambe no. È talmente freddo che sembra di avere le gambe di vetro, mi sento disconnesso dagli sci e dalla neve, come se avessi la febbre, ma non sono io quello caldo, è fuori da me che fa freddo! ». A parlare è Paolo Tassi, partito con un gruppo di clienti per i Monti Altai, in Siberia, alla ricerca del cristallo perfetto. Su Skialper di giugno-luglio il suo racconto del viaggio, corredato dalle fotografie di Martino Colonna.
POLVERE FREDDA - Dopo la sgranchita e il primo contatto con il cristallo perfetto il viaggio continua nel cuore dei monti Altai e, per raggiungere il mitico villaggio di Luzhba, c’è un trasferimento a bordo della ferrovia suburbana. Il percorso dalla cittadina di Mezdurecensk è surreale: questa piccola linea ferroviaria collega una miniera di carbone alla cittadina e i treni che la percorrono sono pesantissimi. In compenso la neve giustifica il viaggio: «In discesa guardo Giacomo e il Furla, sembrano sottomarini mentre Martino scompare urlando. Ogni discesa viene ripetuta due o tre volte per linee diverse, alla fine fine sono sempre più di mille metri al giorno. A un certo punto del nostro soggiorno si presenta un fronte ‘caldo’: la temperatura sale fino ai -20 e nevica! Fiocca con questo freddo? Sì! E il cristallo perfetto diventa pure abbondante».
SCI FREERIDE ALLA SIBERIANA - Le popolazioni locali si spostano sulla neve per andare a caccia con uno sci largo, costruito in legno massello e con semplice attacco in cuoio. A vederlo sembra un antenato degli sci da freeride perché è molto largo. Per risalire utilizzano le pelli dei bovini che allevano. Lo skialp ante litteram…
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Cogne, ski hard in the B-side
Su Skialper in edicola tre discese ripide nel gruppo del Gran Paradiso
Pensando al massiccio del Gran Paradiso con l'arrivo delle condizioni primaverili, lo skialper più esigente spesso si concentra sulle discese che si affacciano sulla Valsavarenche. Tra queste la parete nord del 4000 italiano è la più ambita, mentre versanti settentrionali come la Becca di Monciair sono percorsi con una certa regolarità, sia per l'evidenza e la comodità della linea, sia sopratutto per il fatto che è facile monitorarne le condizioni. Valnontey, paradiso del cascatismo nei mesi invernali, rappresenta invece il lato B per lo skialp nel Parco del Gran Paradiso. Eppure propone montagne bellissime. Basta percorrere il fondovalle e aprire gli occhi guardandosi tutto intorno. Il fondo della valle, per lo più pianeggiante, è sbarrato dalla accecante mole bianca delle seraccate del ghiacciaio della Tribolazione che sorregge la pareti est del Grande e Piccolo Paradiso. Qui si concentrano tre itinerari sopra i 3.500 metri - dei quali Andrea Bormida scrive su Skialper di giugno-luglio - che conservano un certo impegno sia per quanto riguarda la salita, che la discesa e la gestione della logistica, ma che sanno regalare a chi saprà attendere pazientemente le condizioni viaggi assolutamente indimenticabili.
LE DISCESE - Herbetet per la parete nord-est, Roccia Viva per la parete nord-ovest e il suo Canale ad Arco, Becca della Pazienza per la sua parete nord: versanti che avevano attirato le attenzioni di Ugo Pognante e Federico Negri già agli inizi degli anni '90, per poi essere amatissimi più recentemente da Remy Lecluse. Si tratta di pendii tra i 45 e 50 gradi di pendenza, per uno skialp ripido e impegnativo ma di grande soddisfazioni. Su Skialper 112 di giugno-luglio tutti i dettagli.
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Fat E-Bike per l'approach
Su Skialper di giugno-luglio bici e scialpinismo
«Una domenica di questo strambo inverno avevo promesso a Robi, la mia intelligentissima e bellissima dolce metà di passare il tempo con lei e contemporaneamente di trovare il modo di fare una scampagnata scialpinistica con il mio amico Tito il quale, a sua volta, aveva promesso alla propria moglie e a una amica di nozze di star con loro. Che funamboli che siamo noi maschi! Dovevo trovare un modo per mantenere tutte le mie e altrui promesse facendole combaciare anche con le domenicali ambizioni. Strano ma vero, ecco accendersi la lampadina del genio che nove volte su dieci è defunto o mummificato in me! Chiamo il mio amico Andrea Panizza e prenoto una gita guidata sulla neve e il noleggio delle sue Fat E-Bike in Valle dei Forni, vicino a Santa Caterina Valfurva, in Valtellina». Inizia così l’articolo sulle fat E-Bike come mezzo di avvicinamento alle lunghe scialpinistiche che Giuliano Bordoni ha scritto per Skialper di giugno-luglio.
PER TUTTI O QUASI - Le bici a pedalata assistita con gomme larghe possono diventare un ottimo mezzo di avvicinamento per le gite più lunghe, magari in compagnia di fidanzate o amici che non praticano lo scialpinismo. Chi deve mettere le pelli lo può fare veramente dove serve, senza magari percorrere lunghi e noiosi fondovalle, spesso pianeggianti, mentre chi non sci ha la possibilità di divertirsi facendo la giusta fatica. Le fat E-bike, infatti, oltre ad avere ruote larghe, hanno un motorino elettrico che aiuta la pedalata. Si dovrebbero chiamare, più correttamente, a pedalata assistita. Infatti non è vero che non si fa fatica… «Vi sfido - conclude Giuliano Bordoni - a provare una di queste due ruote, mettervi una fascia cardio, prendere un percorso con delle salite, anche sostenute, e provare a spingere sui pedali a tutta, utilizzando pure l’aiuto massimo del motore. Poi, ditemi se non vi sono salite le pulsazioni sopra i 170 bpm e non avete sudato anche voi…».
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Sul Sentiero delle Orobie con Mario Poletti
 Un ampio reportage nel numero di Skialper in edicola
«Ci sono storie che quando cominci a occupartene, mentre ti stai documentando e informando dalla viva voce dei protagonisti per poterle raccontare, capisci che sono molto di più di quello che immaginavi. Hai la sensazione di conoscerla bene la vicenda, i protagonisti e i luoghi, e quindi sei quasi certo di sapere tutto quanto è necessario per scriverne e per raccontare. Poi succede che, mentre stai intervistando i protagonisti, mentre cerchi di mettere la storia in prospettiva e di ricostruire i fatti sentendo gli stessi episodi raccontati tante e tante volte da persone diverse, ti accorgi che quello che sai tu di quella storia, quello che hai sentito dire o che hai letto, non è che un pezzettino minuscolo. È la classica punta dell’iceberg. Tutto il resto, tutto quello di cui varrebbe la pena raccontare, rimane seminascosto sotto il pelo dell’acqua». Comincia così il lungo articolo su Skialper 112 di giugno-luglio di Emilio Previtali sul Sentiero delle Orobie e il record, ancora imbattuto, di Mario Poletti.
RITORNO AL FUTURO - Per la realizzazione del servizio Mario Poletti è ritornato, a 12 anni di distanza, su un tratto del sentiero insieme al fotografo Matteo Zanga. Per documentare il record, invece, ci sono le foto del 2005 di Carlo Brena. È il 7 agosto del 2005 quando Poletti parte da Valbondione, alle 6 del mattino, per arrivare, meno di nove ore dopo, tra le ali di folla, scortato da un giovanissimo Marco Zanchi, al Passo della Presolana. La prosa unica di Emilio Previtali fa rivivere quel momento, quelle emozioni anche a chi non è appassionato di trail running e skyrunning.
IL SENTIERO DELLE OROBIE - Il Sentiero delle Orobie nasce da una intuizione del CAI e in particolare del suo presidente Carlo Ghezzi già negli anni ’50 e si concretizza poi grazie soprattutto al lavoro di Gianbattista Cortinovis alla metà degli anni ’70. È un percorso escursionistico che unisce tra loro, in un circuito di 84 chilometri con un dislivello di oltre 5.000 m D+, Valcanale con il Passo della Presolana. Il percorso collega tra loro sette rifugi del CAI di Bergamo e idealmente, in un abbraccio semicircolare, tutte le Orobie.
ISTRUZIONI PER L’USO - Fra poco più di un mese parte di quel sentiero sarà il teatro della Orobie Ultra Trail. Proprio per partire alla scoperta dei tratti più belli senza percorrerlo tutto, Sara Taiocchi propone tre itinerari ad anello per gli escursionisti comuni. Sognando Mario Poletti…
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Alta via dei Monti Liguri, vocazione outdoor
Su Skialper di giugno-luglio un ampio reportage sull’itinerario di 430 km
430 è un numero che incute soggezione anche agli ultratrailer più rodati e stanca quelli meno allenati al solo al pensiero. È la lunghezza dell’Alta Via dei Monti Liguri, della quale parliamo su Skialper 112 di giugno-luglio. Quarantaquattro tappe da farsi in circa due mesi, in un paesaggio che riassume in un racconto solo quasi tutti gli ambienti dello stivale. Così è stata pensata l’Alta Via dei Monti Liguri nel lontano 1983, quando è stata immaginata e messa su carta per la prima volta. Anni in cui non si parlava di corsa in montagna e di ultra trail e in cui l’escursionismo era quello degli scarponi grossi e dello zaino pesante. All’epoca è stato un progetto ambizioso, una via che oggi, visti i ritmi a cui ci si muove sui sentieri e il tempo a disposizione, pochi possono permettersi di affrontare nella sua interezza o di corsa. Se quindi il formato in 44 tappe proposto dal CAI 25 anni fa oggi è del tutto anacronistico e impraticabile dai più, l’Alta via dei Monti Liguri, percorsa in chiave moderna, è quanto di più allettante sia per l’ultra runner che per l’escursionista veloce o tradizionale.
LA NOUVELLE VAGUE - Una nuova prospettiva di questo percorso ci viene dalle molte gare che si affacciano sul mare di Liguria, dalla Maremontana, che dà un assaggio di queste montagne, alla I Lavet, che propone di percorrere per intero l’Alta Via dei Monti Liguri in tappe pensate per chi corre. Accanto a queste ‘ricette di Alta Via’ si affiancano molte varianti al percorso, alcune pensate per il periodo invernale e altre per essere seguite su due ruote. Avrete intuito che una delle sfide di questo itinerario è proprio capire come affrontarlo e organizzare correttamente le soste, sfida ancora più impegnativa se si vuole viaggiare leggeri o, con poco tempo a disposizione, se ne vuole percorrere una sola sezione. Ed è proprio in questo contesto che si è andato a inserire il lavoro dell’Associazione Ospitalità dei Monti dell’Alta Via dei Monti Liguri, un gruppo di 51 soci che, lungo tutto il percorso, ha raccolto, organizzato e reso accessibili 97 strutture, schematizzando l’intera Alta Via in tappe più lunghe rispetto al formato anni ’80 e pensate anche per chi allo scarpone preferisce la scarpa da trail e allo zaino da 40 litri predilige quello da 15. Oltre a questo, la preziosa iniziativa di rendere disponibile un numero di assistenza 24 ore su 24 per tutto l’anno, al quale rivolgersi sia in caso di necessità che per spostamenti in navetta da un punto all’altro. Con queste premesse il percorso diventa decisamente più avvicinabile, anche da chi non ha a disposizione i due mesi preventivati nella versione originale CAI oppure i 15-20 giorni ipotizzabili per un ultra trailer di livello medio. Tempi che si riducono ulteriormente quando si può fare affidamento su un buon supporto esterno. E poi c’è anche la versione in mountain bike e a cavallo… Il nostro collaboratore Tommaso de Mottoni e il fotografo Damiano Benedetto hanno calcato alcuni dei sentieri di questa lunga alta via…
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Baunei Supramonte Outdoor Destination
Su Skialper di giugno-luglio alla scoperta della Sardegna piu' selvaggia
Quaranta chilometri di costa, probabilmente il tratto di mare più selvaggio e incontaminato d’Italia con bastioni e falesie calcaree appena interrotte qua e là da poche calette dall’acqua turchese. E poi il Supramonte, terra di pastori, di natura aspra e, naturalmente, santuario degli sport outdoor: trail, tanta mountain bike enduro, arrampicata a picco sul mare turchese. Non potevano che essere Baunei e il Supramonte la Outdoor Destination del numero di giugno-luglio di Skialper. Quattordici pagine ricche di informazioni e con le fantastiche foto di Luca Parisse, una delle quali è stata presa in prestito anche per la copertina.
TRAIL WILDERNESS - «Il trail come scoperta dell'immenso patrimonio outdoor della Sardegna: organizzare gare non vuol dire assolutamente dimenticare questa filosofia, anzi è un modo per scoprire e fare scoprire nuovi luoghi e sentieri, poi ognuno vive la competizione al suo ritmo» dice Matteo Casula, una delle anime dell’Ultra-Trail Supramonte Seaside, dal 2014 una delle gare più belle e selvagge d’Italia. Dopo un’edizione zero nell’aprile 2017, questo angolo di Sardegna si prepara anche alla prima Sardinia Extreme Track, gara a tappe in autonomia e navigazione GPS che attraversa le zone più remote e suggestive del Supramonte. Un viaggio di 200 chilometri e 11.000 metri di dislivello che, partendo dalle foreste millenarie, attraversa i luoghi più suggestivi dell’entroterra sardo, dal villaggio di Tiscali ai nuraghe millenari, passando per le misteriose Tombe dei Giganti. Non bisogna per forza essere super-runner, però, per apprezzare le gioie del trail da queste parti, basta anche una semplice sgambata appena fuori Santa Maria Navarrese, sul mare. Per chi ama muoversi a piedi, di corsa o meno, non bisogna poi dimenticare che il famoso trekking Selvaggio Blu si trova proprio qui…
ENDURO MON AMOUR - Mauro Atzori, con il suo team, è molto attivo nel settore mountain bike: si danno da fare per creare percorsi avvincenti in un ambiente bellissimo ma non facile per i trail builder, a causa di una vegetazione molto aggressiva e spinosa.
Hanno dato vita a molti trail e organizziamo una tappa del circuito di Sardinia Enduro Challenge, la Baunei Enduro Experience. Siamo andati proprio a girare con le nostre bike sui percorsi della gara e la cosa più bella è stata che a pochi chilometri di distanza si trovano paesaggi e ambienti abbastanza diversi, dalla macchia mediterranea e dalle rocce taglienti, al fondo granitico e alle stupende conifere che formano foreste a perdita d’occhio.
BLU CLIMBING - C’è fermento nell’ambito dell’arrampicata e da queste parti ogni mese vengono chiodate nuove pareti. Questa zona della Sardegna è ricchissima di roccia, ci sono sia falesie, in particolare quella del Villaggio Gallico, che pareti enormi, con splendide vie lunghe, come Punta Giradili, e vie d’ambiente a picco sul mare come Marinario di Foresta a Pedra Longa. E il bello è che si arrampica a picco sul mare blu. «Ultimamente sto facendo dei lavori di chiodatura con dei climber della Repubblica Ceca e col gruppo Ragni di Lecco, di cui faccio parte. Ma il bello di vivere qui è che appena ho qualche ora libera posso andare in bici, fare trekking e praticare tanti altri sport: a Milano nei ritagli di tempo andavo a prendere l’aperitivo» dice Ricky Felderer, giornalista e fotografo che ha abbandonato le nebbie di Milano per prendere in gestione un bed & breakfast a Lotzorai.
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Sulle orme del lupo
Su Skialper di giugno un interessante trekking tra Piemonte e Francia
È nato da un’idea di Annalisa Porporato e Franco Voglino, fotografi e appassionati trekker della Provincia di Torino, autori della dettagliata guida Il Trekking del Lupo per grandi e piccini. Stiamo parlando dell’interessante trekking nelle Alpi Marittime del quale parliamo sul numero 112 di Skialper, di giugno-luglio. Il Trekking del Lupo è uno dei ‘Greatest Italian Treks 2017’ selezionati da Ferrino, itinerari pensati per partire alla scoperta di ecosistemi unici. «Amando entrambi questo splendido animale, avevamo visitato in tempi diversi il Centro Faunistico Alpha Loup a Le Boréon (Francia, Parco del Mercantour) e il Centro Uomini e lupi di Entracque (Italia, Parco Naturale Alpi Marittime). Ci ha entusiasmato la possibilità di trovare un sentiero che li collegasse e il fatto di potere permettere agli amanti del cammino e della natura di visitarli tutti e due, percorrendo un trekking straordinario sulle orme di questo animale simbolo di libertà e d’indipendenza» dicono Porporato e Voglino.
LUPI E STAMBECCHI - Si cammina sulle antiche strade di caccia dei Savoia, tra il Parco Naturale delle Alpi Marittime e quello nazionale francese del Mercantour e proprio la fine dell’attività di caccia da parte della famiglia reale e l’istituzione delle aree naturali protette hanno progressivamente favorito la crescita di molte specie animali. Nel Parco Naturale Alpi Marittime oggi si possono contare circa 4.000 camosci e 500 stambecchi, ai quali si aggiungono caprioli, cinghiali, cervi e mufloni. Il lupo è tornato a partire dal 1989 e oggi è una presenza stabile, anche se non è così facile incontrarlo perché è un animale schivo. Non si può dire lo stesso dello stambecco. Il Trekking del Lupo ha una lunghezza complessiva di circa 75 chilometri e può essere suddiviso in 8 tappe.
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