Sogna in grande e osa fallire
«Ho una proposta indecente da farti. Dal 20 maggio al 20 giugno. Io, te, Dadde e Zeno. Dritti dalla cima. Mai sciata. Pensaci». Questo il messaggio di Enrico Mosetti a Federico Ravassard che ha fatto nascere lo stupendo reportage dalla Cordillera Vilcanota, in Perù, che pubblichiamo su Skialper di agosto-settembre. La cima è quella dell’Ausegnate (6.384 metri). E rimarrà non sciata…


DISCESA IMPOSSIBILE - Poche idee in testa ma abbastanza chiare: sciare l’Ausengate, una cima semi-sconosciuta di 6384 metri a sud di Cusco. Come documentazione di supporto qualche foto, le immagini prese dal satellite e il video vecchio di dieci anni degli unici altri due scialpinisti che avevano battuto quella zona prima, niente meno che Rémy Lécluse e Glen Plake. La zona è decisamente remota, molto, e anche la scarsa documentazione si dimostra inaffidabile: la montagna è insciabile. Una possibile via di discesa è di fatto una seraccata di mille metri, che termina in un colatoio di roccia e detriti. L’altra, invece, è per metà buona. L’altra metà luccica per il ghiaccio azzurro che la ricopre. Poco male, non mancheranno altre occasioni per sciare e soprattutto per scoprire questo magnifico Paese e i suoi paesaggi sterminati. «Qualcuno potrebbe anche ridere, ma l’aria sopra i 5000 metri non ti è amica per nulla. Se aumenti per un attimo il passo la testa scoppia e devi rassegnarti a salire di una trentina di passi alla volta. La vista, però, è incredibile. Il bianco della neve, il rosso delle montagne detritiche e l’azzurro del cielo. Nient’altro, solo questi tre colori che si intervallano con degli stacchi nettissimi. Sciamo ridendo dal nostro Nevado-senza-nome, alla fine curvare sulla neve è sempre una figata». A documentare questa frase ci sono le bellissime foto di Federico…



Alpago Sky Super 3, ci siamo
A Chies d’Alpago è tutto pronto per la sesta edizione di Alpago Sky Super 3, la gara di corsa in montagna che vuole onorare la memoria di Maudi De March, David Cecchin e Andrea Zanon, i tre ragazzi del Soccorso Alpino caduti sul Monte Cridola il 10 agosto del 2012. La gara andrà in scena venerdì prossimo, 10 agosto, con start alle ore 8.45, sul consolidato tracciato di di 18,8 chilometri e 3.626 metri di dislivello (1.850 quelli positivi), con passaggio in cima del monte Venàl (a 2.212 metri, tetto della corsa). Oltre alla skyrace, la giornata proporrà anche la Camminata nella natura, 10 chilometri accessibili a tutti a Lamosano. Le iscrizioni alla sky race verranno chiuse al raggiungimento dei 250 iscritti.
Vertical Tovel a Manuel Da Col e Stephanie Jimenez
Ottime prestazioni (basti sapere che il vincitore assoluto ha abbassato il tempo di quasi due minuti rispetto alla scorsa edizione) e un caldo torrido, con temperature ben oltre i 30 gradi anche in quota, hanno caratterizzato il Vertical Tovel. Manuel Da Col e Stephanie Jimenez hanno iscritto i loro nomi nell’albo d’oro della manifestazione, giunta alla seconda edizione, e anche in quello della neonata Finstral Vertical Cup, che ha unito i tempi di DoloMyts Run Vertical Kilometer e Vertical Tovel.
Il primo a tagliare il traguardo, e a rispettare il pronostico che lo vedeva tra i favoriti, è stato il forte atleta veneto Manuel Da Col, portacolori del Team Scott. Vittoria che ha iniziato a costruire a metà gara, quando è riuscito a portarsi in testa seguito dall’altoatesino Alex Oberbacher, in forza al Team Tornado. All’ingresso a Malga Tuena Da Col vantava un vantaggio di una decina di secondi su Oberbacher. Un margine che, metro dopo metro, è riuscito a difendere e ad ampliare in maniera consistente, tanto da tagliare il traguardo con un vantaggio di oltre un minuto sul secondo classificato e con l’ottimo tempo di 40’ 26”. Prima tra le donne, e 20ª nella classifica generale, Stephanie Jimenez, atleta del Team Salomon, che ha preceduto - staccandola di quasi tre minuti - Paola Gelpi del Team La Sportiva.
RaidLight, bienvenue à la maison du trail
«Se fossimo a Grenoble questa domanda non me l’avresti fatta». La risposta, seppur con toni gentili, è di quelle che ti spiazzano. Un attimo di pausa e aggiunge: «è normale non trovare lavoro sotto casa, diciamo che i nostri collaboratori arrivano da un cerchio che ha un raggio anche superiore ai venti chilometri, come avverrebbe a Grenoble o a Chambery». Come, abbiamo fatto 321 chilometri nella pioggia e nella nebbia, ci siamo arrampicati fin quassù a 900 metri di quota tra boschi e mucche che pascolano, nella vallée du trail, per sentirci dire che essere qui o in una città per un’azienda simbolo del mondo del trail e del fast & light nella natura è la stessa cosa? Sul tavolo ci sono prototipi di zaini e di bastoni buttati lì alla rinfusa, alla parete pettorali ingialliti della Diagonale des Fous, maglie da running in cornice e una campana tibetana. Siamo nell’ufficio di Benoît Laval, fondatore e CEO di RaidLight, a Saint-Pierre-de-Chartreuse, mille anime e un’atmosfera bucolica. Sembra di essere in un film di Claude Chabrol, nella Francia più profonda. Anche l’hotel Beau Site sembra uscito da un quadro d’antan e quando siamo arrivati in camera, nella notte del 15 di maggio, i caloriferi erano accesi. Qui, a parte la famosa certosa e il verde liquore, non c’è nulla. A parte la RaidLight e la prima station de trail al mondo.

Passi il municipio e sulla sinistra, sotto il bosco, c’è un grande prato con una costruzione moderna, con ossatura in legno, e 240 metri quadrati di pannelli fotovoltaici. Dal 2011 è il quartier generale di RaidLight che proprio quest’anno festeggia i 20 anni. A Saint-Pierre-de-Chartreuse, se sei l’anima di un marchio affermato come RaidLight, non ci arrivi per caso. «Questo è vero, come è vero che RaidLight è cresciuta insieme alla mia carriera di trail runner». Laval è uno dei primi corridori off road. Originario della regione parigina, laureato in ingegneria tessile a Lille, ha iniziato subito a correre. Un po’ di tutto, pista, strada, siepi. Però c’erano tre cose che lo incuriosivano: la natura, la difficoltà e la distanza. Ecco perché ha sentito il richiamo della montagna e si è trasferito vicino alle Alpi ed ecco perché dalle siepi è passato alla Diagonale des Fous e alla Marathon des Sables. Le soddisfazioni non sono mancate con un podio a La Réunion e la maglia della nazionale francese di trail. «Però non ho fatto il trail runner e successivamente creato un marchio, ma è venuto tutto insieme: prima ho lavorato per un’azienda che produceva zaini per conto terzi, poi ho iniziato ad aggiungere tasche e personalizzare i prodotti per i miei raid e nel 1999 è nata la RaidLight». Dopo qualche anno sono in cinque a cucire zaini, poi diventano dieci. Intanto Benoît consuma tante suole (e continua a consumarle) in giro per il mondo. «Non avrei corso in posti così lontani senza la RaidLight e la RaidLight non sarebbe quello che è senza i miei viaggi, andare in Giappone per incontrare il distributore locale e correre una gara ultra ti permette di conoscere a fondo le abitudini dei runner di quel Paese».

Con la crescita bisogna cambiare quartier generale e le idee sono chiare: andare in montagna, dove si possa uscire dall’ufficio in pausa pranzo e provare subito i prototipi degli zaini sui sentieri. Vengono presi in esame ben 50 comuni, in tanti fanno ponti d’oro, ma la RaidLight verrebbe confinata nella zona industriale. Invece Benoît vuole che l’azienda abbia le porte scorrevoli in entrata e in uscita verso il paese e i trail runner. La nuova sede deve essere anche il cuore della prima station de trail, un concetto innovativo oggi replicato in un’altra trentina di località in tutto il mondo. Il motto del marchio è share the trail running experience, condividi l’esperienza del trail running. E la condivisione, partage in francese, è alla base della filosofia e del successo di RaidLight, anche ora che fa parte di un grande gruppo come Rossignol che fattura oltre 300 milioni di euro. Il sogno si è trasformato in realtà, con 40 delle 55 persone impiegate che lavorano a Saint-Pierre-de-Chartreuse e 15.000 visite all’anno alla station de trail.

Diciamolo, Raidlight è uno di quei posti dove un outdoor addicted vorrebbe lavorare e la condivisione non è una trovata del direttore marketing. Una di quelle aziende modello in vetta alle classifiche del dove si lavora meglio. Produce zaini, bastoni, abbigliamento e scarpe per trail e raid (e dal 2019 verrà rinnovata completamente tutta la linea di scarpe) e per entrare negli uffici bisogna passare dal negozio che vende tutti i prodotti, ma affitta anche E-bike e attrezzatura da scialpinismo in inverno. Subito all’ingresso ci sono delle grandi mensole con decine di scarpe da trail, zaini e bastoni. Non le affittano, se vieni a fare trail puoi provare tutto gratuitamente. Da un lato c’è un grande schermo touch che riproduce gli itinerari trail della stazione, con mappa tradizionale o satellitare e tutti i dati. Dall’altra parte un altro schermo è collegato direttamente con il sito e permette, appena tolte scarpe e zaini, di inserire la propria scheda test del prodotto. Di fronte la macchinetta del caffè, dove dipendenti e turisti possono scambiare quattro chiacchiere e condividere le loro esperienze. Dall’altra parte dell’ingresso c’è la palestra con i tapis roulant per correre quando c’è brutto tempo, ma soprattutto ci sono spogliatoi, docce e armadietti. Anche qui è tutto in condivisione, ci vengono i dipendenti quando vanno a correre o a fare skialp in pausa pranzo, ma con un paio di euro possono usufruirne gli utenti della station de trail e lasciare anche il portafoglio o le chiavi dell’auto. La partenza degli itinerari e le mappe sono proprio all’ingresso, sotto il porticato.

La condivisione, nell’era del web e dei social media, ha diversi risvolti e direzioni. C’è il trail runner che arriva in negozio ed esce con un prototipo da provare e c’è quello che propone via web prodotti nuovi. Dalla sezione team del sito (team.it.raidlight.com), infatti, si accede al R&D collaborativo, dove ci sono dei forum su argomenti specifici e ognuno può proporre la sua idea. Periodicamente vengono anche organizzati dei workshop in azienda per personalizzare i propri prodotti con utenti selezionati. Da questa processo è nato, per esempio, lo zaino Evolution 2. Ci sono muri che dividono, ma per fortuna non tutti. All’ingresso del reparto R&D sorgerà un muro dei post-it dove ogni dipendente potrà mettere il suo personale foglietto con un’idea prodotto. Sorgerà in una stanza dove ci saranno tessuti e macchine di prototipazione in modo che chiunque lavori in RaidLight, se ha un’idea, possa provare a svilupparla con le sue mani. «Condividere vuol dire ascoltare chi pratica il trail, non solo gli atleti top - aggiunge Laval -. Per esempio il primo bastone ripiegabile lo abbiamo lanciato sul mercato noi, ma è un’idea che arriva da un nostro cliente che ci ha proposto di commercializzarlo, invece le tasche sugli spallacci degli zaini per mettere i flask sono arrivate dalla collaborazione con Marco Olmo».
La condivisione è ormai una pratica collaudata a Saint-Pierre-de-Chartreuse e sul web. Ma nella testa di Benoît Laval ci sono altre sfide. Mentre parliamo ha tra le mani un iPhone. «Vedi questo smartphone? Ha solo due tasti, è il massimo dell’ergonomia e del design, se avesse tanti tasti non sarebbe così. Noi abbiamo fatto lo stesso ragionamento quando abbiamo iniziato a produrre una linea di zaini in Francia. Meno può significare meglio». Quella della produzione in Francia è un’altra bella sfida vinta da RaidLight e la possiamo toccare con mano scendendo al piano terra. Qui nel 2013 è stato creato un atelier per la produzione di zaini che impiegava 3 persone che sono già diventate 10. Sono tutte del paese o di molto vicino, ma non c’erano più le competenze tessili e per questo il lavoro di formazione è stato importante. A oggi l’88 per cento degli articoli di Raidlight e della sorella Vertical (abbigliamento e zaini per hiking e skialp) sono prodotti all’estero, da qui possono uscire circa mille zaini al mese e dal 2015 la produzione è stata di circa 24.000 pezzi. Una finestra guarda sul negozio in modo che anche dal punto vendita si possa osservare la produzione: anche questa è condivisione. Quando si è deciso di produrre in Francia la sfida ha riguardato tutto il processo industriale. «Abbiamo ridotto le ore di lavoro manuale, che sono quelle che incidono di più sui costi, pensando a prodotti minimalisti e utilizzando le tecnologie più all’avanguardia, come le macchine per il taglio laser dei tessuti» dice Laval. A Saint-Pierre-de-Chartreuse vengono realizzati i modelli top di gamma come il Responsiv 10, perché meno vuol dire meglio. Non è un laboratorio di prototipazione, ma una vera linea industriale dalla a alla z utilizzata soprattutto quando gli zaini vengono lanciati sul mercato e non raggiungono quantità che giustifichino una produzione in Cina. E poi l’atelier è il cuore dell’ultima idea RaidLight: la personalizzazione della grafica del proprio zaino Responsiv 10L o 18L o della fascia Pass-Mountain. Dal sito si accede alla sezione customise it dove si inserisce la foto che si vuole sublimare sul prodotto. E in tre settimane il prodotto è a casa del cliente. Share the trail running experience.
VETERANO DEL TRAIL - Classe 1972, è dal 1999 che Benoît Laval calca i sentieri del trail e soprattutto dei grandi raid e ancora oggi non si fa mancare tre-quattro gare all’anno, in giro per il mondo. Nel palmarès un terzo posto alla Diagonale des Fous e un nono alla Marathon des Sables, oltre alla maglia della nazionale francese di trail. Ha iniziato con il Défi de l’Oisans, ma non si è fatto mancare nulla, neppure il vertical sull’Empire State Building o sulla Tour Eiffel o la 100 km su strada e i 400 km del deserto del Gobi. «Quello che mi è sempre piaciuto dei trail e dei raid è la possibilità di viaggiare e scoprire nuovi paesaggi» dice. Viaggiare, cambiare ogni volta, ma una gara è rimasta nel cuore. «La Diagonale des Fous, per il paesaggio, per il pubblico». Benoît è uno dei più competenti osservatori della trasformazione del mondo del trail negli ultimi 20 anni.«È vero, è cresciuto, una volta oltre i 100 km c’era solo la Diagonale, oggi ogni fine settimana c’è una cento miglia, il calendario andava da aprile a ottobre, oggi non c’è pausa e ci sono gare che sono diventate dei veri e propri business. Però si trovano ancora eventi basati sul volontariato e i tempi dei top non sono tanto diversi, è cambiata la densità di atleti forti e per questo una volta arrivavi tra i dieci all’UTMB e oggi con la stessa prestazione no, ma perché in tanti hanno crono simili, non perché le performance siano cambiate molto».
IL DREAM TEAM - RaidLight ha un Dream Team di atleti top che comprende, oltre al fondatore Benoît Laval, Nathalie Mauclair, Antoine Guillon, Christophe Le Saux, Elisabet Barnes e Rachid El Morabity. Tutti atleti di grande valore e con palmarès importanti. Nathalie tra il 2013 e il 2017 ha portato a casa i trofei di due Diagonale des Fous, una TDS, una UTMB, due medaglie d’oro ai Mondiali di trail, due secondi posti alla Marathon des Sables e il terzo posto a UTMB, Hardrock 100 e Western States. Antoine Guillon, tra le tante gare dal 2002, può vantare ben sei podi e una vittoria alla Diagonale des Fous e quattro alla TDS, oltre a un terzo posto al Tor des Géants e una vittoria al Grand Raid du Cro-Magnon. Elisabet Barnes? Basta dire che ha vinto due volte la Marathon des Sables… Christophe Le Saux ha corso e continua a correre in tutto il mondo e in Valle d’Aosta lo conoscono bene visto che è stato due volte terzo e una volta secondo al Tor des Géants. Infine, last but not least, Rachid ha vinto sei Marathon des Sables, delle quali le ultime cinque consecutivamente. Non esiste solo il Dream Team però, perché ognuno, tramite il sito, si può iscrive al team e diventare parte della grande comunità RaidLight. E poi c’è il Chartreuse Trail Festival, a fine maggio, un insieme di gare, compreso un simpatico color trail per bambini e famiglie, che attirano un migliaio di persone tra questi monti. E gli atleti del Dream Team. Curiosamente tutti i top sono degli anni ’70, se si esclude la Barnes, del ’77, ed El Morabity, anni ’80, gli altri sono dell’inizio del decennio. In pratica coetanei di Laval. «È un caso, non li ho conosciuti in gara, a parte Le Saux, li abbiamo scelti perché incarnano l’idea di trail come avventura prima ancora che come sport e vittoria o perché, come Nathalie, sono persone comuni, madri di famiglia con un lavoro che hanno saputo arrivare al vertice; per intenderci anche Kilian rientrerebbe in questa categoria di atleti amanti della natura prima di tutto» dice Laval.

STATIONS DE TRAIL - Saint-Pierre-de-Chartresue è la prima di una trentina di station de trail, un concept che prevede itinerari suddivisi per difficoltà e segnalati, servizi come docce e spogliatoi, un sito e una app con cartografia e la community dove è possibile condividere i propri giri e allenamenti. Nella Chartreuse ci sono itinerari da 6 a 30 km, un vertical, uno stadio del trail con percorsi studiati per l’allenamento, dalle ripetute ai circuiti per la velocità e la resistenza. Le altre destinazioni sono in Francia, Belgio, Svizzera, La Réunion, Cina e Spagna.
stationdetrail.com

Great Himalaya Trail, 24 giorni che ti cambiano la vita
«Sono stato in villaggi minuscoli, lontani da tutto e da tutti, con tanta povertà, eppure sono felici e ti aprono la porta alle undici di notte, nel buio immenso, ti preparano da mangiare e ti fanno dormire senza chiederti chi sei, mentre noi abbiamo perso il giusto punto di vista e per ritrovarlo non ci rimane altro che scappare dalla civiltà e dal bombardamento di informazioni e social media, camminare nella natura, correre per ritornare in noi stessi». Così parlò Ryan Sandes, ultra-runner sudafricano, dopo i 1.504 chilometri e 70.000 metri di dislivello a tempo di record del Great Himalaya Trail. Ventiquattro giorni, quattro ore e ventiquattro minuti ci ha impiegato a correre (per la verità camminare veloce) su e giù per passi himalayani, giungle e caotiche città insieme al connazionale Ryno Griesel. Eppure la lotta contro il tempo è stata l’ultima preoccupazione. E non sarà il ricordo più potente. Ne parliamo su Skialper 119 di agosto-settembre in un ampio reportage con le belle foto di Dean Leslie.

IL MITICO GHT - Il Great Himalaya Trail non è un solo sentiero, ma la combinazione di vari itinerari sia nella parte montuosa del Nepal (GHT High Route) che in quella più popolata e ricoperta dalla giungla (GHT Cultural Route) e va da un confine all’altro del Paese, lungo la direttrice Ovest-Est. Per questo, sebbene Ryan e Ryno abbiano fatto segnare il FKT (fastest known time), non si può parlare di vero e proprio tempo record in quanto un crono di riferimento non esiste data la possibilità di alternative lungo il percorso e le varianti imposte dai tanti imprevisti. Quello seguito dai due sudafricani ripercorre fedelmente le orme del connazionale Andrew Porter dell’ottobre 2016 ma, per esempio, Lizzy Hawker, nel 2016, ha fatto segnare un tempo di riferimento lungo la parte in quota del GHT, tra le montagne.

CIBO - Quella del cibo è stata la sfida nella sfida. Per scelta e per alleggerire gli zaini è stato deciso di fare tutto il Great Himalaya Trail procurandosi da mangiare lungo il percorso, come dei normali turisti: acquistandolo o facendosi ospitare dai locali. Solo in tre punti c’è stata la possibilità di cambiare gli zaini e i vestiti e nelle tasche trovava spazio qualche barretta, gel o lattina di Red Bull. «Alla fine il mio corpo mi diceva che non ne poteva più di quell’alimentazione e sono stato male un paio di giorni: i nostri pasti consistevano di frittata, riso e lenticchie quando avevamo la fortuna di essere ospiti, oppure di biscotti e cioccolato comprati alle bancarelle e non era proprio l’ideale durante una traversata di 1.500 chilometri» - ha detto Sandes.


CUET a Enzo Romeri e Giuliana Gionghi
Enzo Romeri e Giuliana Gionghi hanno iscritto il loro nome nell’albo d’oro della Comano Ursus Extreme Trail e si sono imposti nella gara lunga di 58 chilometri e 4580 metri di dislivello, emulati nella prova di 34 chilometri da Francesco Trenti e Sofia Scanziani.
Oltre 150 runner hanno risposto all’appello lanciato dalla Comano Mountain Runners del presidente Marco Buratti e si sono confrontati sul doppio percorso disegnato sul territorio delle Giudicarie Esteriori, con arrivo nel caratteristico borgo di Rango, conosciuto come uno dei più belli d’Italia. Romeri si è reso protagonista di una gara in progressione e ha fatto la differenza nella seconda parte del tracciato, la più tecnica, dopo che il candidato numero uno alla vittoria – il bergamasco Luca Carrara – era stato costretto al ritiro poco dopo metà gara a causa di un risentito muscolare, lui che era reduce dal successo al Gran Trail Orobie del weekend precedente.
Scattati da Comano Terme alle 6 del mattino, i partecipanti alla Cuet 58 si sono dati sportiva battaglia sul suggestivo percorso che prevedeva il passaggio sul Monte Casale, quindi sulla Cresta del Brento, al rifugio San Pietro, al Lago di Tenno, al Passo del Ballino e a Malga Nardis, a precedere il transito in vetta all’impegnativa ascesa del Doss della Torta, il giro delle Cime, la discesa da Malga Stabio e l’ultimo tratto verso il traguardo. Dopo il via si sono avvantaggiati in quattro, tra cui Romeri, Roberto Viliotti, Luca Carrara e il runner della Costiera Amalfitana Giovanni Ruocco, che ha provato il forcing. Romeri, che conosceva le insidie e le particolarità tecniche della seconda parte del tracciato, ha preferito non rispondere subito ed è andato in progressione, riuscendo a fare la differenza e a scavare un gap poi rivelatosi incolmabile per gli avversari.
Enzo Romeri ha raggiunto il traguardo di Rango in perfetta solitudine e ha portato a termine la propria fatica in 7h27’24” (media di 7’42” al km), staccando di oltre 16 minuti il secondo classificato, Giovanni Ruocco, che ha fermato il cronometro sul tempo di 7h43’31” e preceduto Roberto Viliotti nella sfida per la piazza d’onore. Più staccati tutti gli altri, Christian Insam che si è accomodato ai piedi del podio, quarto in 8h07’20”, seguito da Mirko Fioretti, Fabrizio Ridolfi e dall’atleta locale Ivan Serafini, settimo.
Più netta la vittoria al femminile di Giuliana Gionghi, atleta di San Lorenzo in Banale che correva sui sentieri di casa. La Gionghi ha preso il comando delle operazioni già nelle prime battute di gara e ha poi aumentato il proprio vantaggio di chilometro in chilometro, andando a chiudere a braccia alzate con il tempo di 10h05’06”, di 52 minuti più basso rispetto a quello fatto segnare da Daniela Montelli, seconda in 10h57’21”.

Prima dell’arrivo di Romeri e Gionghi erano stati decretati i vincitori della Cuet 34, che prevedeva 2400 metri di dislivello, con partenza e arrivo a Rango e un tracciato che ricalcava quello della seconda parte della gara lunga, con transiti da Malga Nardis, Doss della Torta e Malga Stabio. La prova maschile è stata caratterizzata dalla sfida a distanza tra Francesco Trenti e Davide Delladdio (già terzo lo scorso anno): ha avuto la meglio il fiemmese, che nella seconda parte di gara ha visto riavvicinarsi il rivale, ma è riuscito a difendere il proprio vantaggio, primo al traguardo in 4h08’10” (media 7’17” al km). Delladdio ha scalato un gradino del podio rispetto al 2017, argento in 4h09’42”, mentre il bronzo è andato al portacolori della società organizzatrice Andrea Titta (4h32’59”), seguito a poco meno di 4 minuti di distanza da Marco Gubert.
Sviluppo simile per la parallela gara femminile, vinta da Sofia Scanziani in 5h43’59”, con le due trentine Irene Zamboni e Luisa Salvadori a completare il podio, rispettivamente con il tempo di 5h51’28” e 6h28’53”. Attorno alle ore 17 della caldissima giornata di inizio agosto, si è abbattuto sulla parte finale del percorso un forte temporale che, per motivi legati unicamente alla sicurezza degli atleti, ha spinto la giuria di gara - pur con il dispiacere del caso - a fermare gli ultimi concorrenti sul percorso.
Nadir Maguet e Axelle Mollaret da record a Punta Helbronner
Un altro vertical da record. La quarta Uyn Courmayeur Mont Blanc ha portato sulle pendici del Monte Bianco oltre 450 concorrenti, 100 che hanno scelto di correre il K1000 di venerdì sera, gli altri che invece hanno puntato sulla doppia distanza di sabato. In Valle d’Aosta e nel cuore della catena del Monte Bianco sono state due giornate strepitose, con una sfida stellare tra i grandi favoriti e con i vincitori Nadir Maguet e Axelle Mollaret che hanno fatto segnare i nuovi record della gara verticale, partita da Courmayeur e arrivata sulla terrazza panoramica di Punta Helbronner.
Nel K2000 maschile gli alpini Nadir Maguet e Davide Magnini sono entrambi partiti per battere il record. I due ski-alper non hanno tradito le aspettative e già al passaggio del Pavillon hanno preso un buon margine sugli inseguitori. Con loro a metà gara anche lo spagnolo Oriol Cardona Coll che in mezzo al ripidissimo tratto di roccia ha poi perso terreno. Magnini voleva vincere, Maguet era invece in cerca della tripletta, arrivata dopo una gara corsa con le gambe e con la testa. L’alpino ha chiuso gli 11 chilometri in 1h 40’59”, abbassando di 18” il suo primato dello scorso anno. Alle sue spalle il trentino Magnini, staccato di 42”, con terzo gradino del podio per lo spagnolo Cardona Coll, a 4’41” dalla vetta. Record letteralmente frantumato nella gara femminile, dove la sci alpinista francese Axelle Mollaret - vincitrice di ormai tutte le prove de La Grande Course - ha dominato in 2h 01’11”, abbassando di 11’ il precedendo record firmato nel 2017 da Chiara Giovando, oggi terza a 12’17” dalla vetta. Il podio è stato completato da Ilaria Veronese, all’arrivo in 11’39”.

Venerdì sera invece un centinaio di trailers hanno gareggiato nel K1000 serale con arrivo al Pavillon. Anche nella 7 chilometri hanno dominato gli atleti del Centro Sportivo Esercito di Courmayeur, applauditi anche dal nuovo colonello Patrick Farcoz. La prova maschile è stata vinta da Daniel Antonioli in 46’08”, davanti al compagno di squadra Damiano Lenzi (47’31”) e a Davide Cheraz (48’11”). Tra le donne successo per l’alpina Giulia Murada (57’01”), a precedere Marcella Pont (1h 05’12”) e la britannica Sophie Grant (1h 06’13”).
Applausi a scena aperta anche per sei concorrenti che hanno deciso di correre sia il K1000 di venerdì, sia il K2000 di sabato. Una doppia sfida da brividi per Enea Amato, Ruggiero Isernia, Jules Pijourlet, Paolo Pajaro, Alessio Albanese e Dominique Comte.
Nella mattinata di venerdì, sui tracciati del Pavillon, hanno corso anche una quarantina di bambini e ragazzi in una prova non competitiva. Gioia, entusiasmo, voglia di fare sport, senza pensare al cronometro. Per tutti premio e Nutella party finale.
Ritornare
«Mhtar non lo avevamo avvisato del nostro ritorno, non sapevamo neppure che nascondesse un vecchio cellulare tra le pieghe del suo burnus,la veste berbera con cappuccio ormai sbiadita dal sole dell'Alto Atlante. Siamo tornati al suo douardando per scontato che fosse là. La strada la conosciamo a memoria e si differenzia dall’anno precedente solo per il colore della vegetazione». Mhtar e la moglie Naima sono alcuni dei personaggi che Giacomo Frison e GlorijaBlazinšekhanno ritrovato nel loro viaggio tra le montagne del Marocco, uno dei progetti di Altripiani, un insieme di fotografia, alpinismo, ricerca culturale, antropologica e linguistica, che ha come intento quello di tracciare sentieri nuovi e percorsi diversi. Linee che non corrono da una città all’altra, ma che attraversano lentamente catene montuose e piccoli villaggi alla ricerca di volti e memorie.Ne parliamo in un ampio reportage su Skialper 119 di agosto-settembre.

OSPITI O AMICI? - «Ritornare è per noi diventato una filosofia di vita. Vogliamo chiamare tutti per nome tanto che non scattiamo fotografie a caso, perché in ogni ritratto c’è la storia di una persona e del luogo che le appartiene. Perché ritornare è anche recuperare e restituire qualcosa a qualcuno che non ha avuto paura di accoglierti in casa. Di anno in anno si aggiungono viaggi, esperienze, delle nuove linee e sta diventando sempre più impegnativo ritornare da ognuno, perché viaggiando leggeri senza rendersene conto si entra in un’altra dimensione, si entra nel cuore delle persone con la mente libera e la forza della curiosità reciproca. Ci sentiamo spesso come una matita leggera che disegna una mappa di traiettorie nuove, ricche di identità sempre più preziose e pronte a testimoniare la bellezza e la fragilità dei luoghi remoti. Ritornare non è sempre facile, ma l’impegno è quello di farsi accettare, perché un po' alla volta non sei più l'ospite, ma un amico, uno di casa che è solamente andato via per un po'».

ALTRIPIANI - Giacomo Frison, fotografo nato e cresciuto a Venezia, appassionato di montagna e ideatore del progetto e Glorija Blazinšek, istriana multilingue, sono le anime di questo bel progetto.L’idea nasce nel 2015 dalle passioni e dagli studi di Giacomo che traccia la prima linea del progetto con un amico antropologoesplorando le montagne del Caucaso fino agli altipiani iraniani. Nel 2016 con Glorija intraprende il viaggio lungo i Monti Carpazi nel centro-est Europa e dal 2017 insieme percorrono più volte l’Alto Atlante in Marocco.Viaggi che esplorano la delicatezza dei confini nazionali, cercando e trovando la sovrapposizione di popolazioni e culture di montagna spesso divise da confini innaturali. Storie di vita e di resistenza in paesaggi mozzafiato. www.altripiani.org

Vertical Tovel atto secondo
Vertical Tovel atto secondo. Sabato la gara in salita organizzata nel Parco Naturale Adamello Brenta concederà il bis, dopo il fortunato esordio della scorsa estate: saranno in tanti al via a Plan dele Glare. Fra loro ci sono nomi di peso, come quelli di Manuel Da Col, Alex Oberbacher, Nicola Pedergnana, Thomas Holzer e Luca Binelli, ai quali potrebbero aggiungersi avversari assai temibili, quali Patrick Facchini e David Thöni, che lo scorso anno concluse davanti a tutti la prima edizione. Fra le donne le favorite sono Stephanie Jimenez, Paola Gelpi ed Edeltraud Thaler.
Al di là delle posizioni di vertice, ciò che attrae i concorrenti è però il percorso, ricavato fra il Plan dele Glare e la Busa de l'Om, 1.105 metri di dislivello con 4.300 di sviluppo lineare per buona parte tracciati su terreno erboso, a vantaggio dei concorrenti e del pubblico, che li potrà tenere sotto controllo. È importante ricordare che la classifica del Vertical Tovel combinata con quella del DoloMyths Run Vertical Kilometer darà vita a quella della nuova Finstral Vertical Cup.
Lavaredo Ultra Trail: La Sportiva è il nuovo title sponsor
Tremilaseicento atleti iscritti per oltre sessanta nazioni rappresentate da ultra e trail runner di livello internazionale, unica tappa italiana del circuito Ultra Trail World Tour con la qualifica di gara ‘Series’ dedicata alle sei gare ultra più prestigiose al mondo: immersa in uno degli scenari più spettacolari delle Dolomiti, la Lavaredo Ultra Trail è senza dubbio il sogno di tutti i trail runner. Dodici le edizioni disputate sino ad oggi in un percorso di crescita costante in termini di iscritti, servizi offerti ai partecipanti e comunicazione: tre le gare, con una quarta lunghezza pronta ad affiancarsi nel 2019 alle ormai classiche Ultra Trail (120 Km con partenza dal centro di Cortina d’Ampezzo), Cortina Trail (48 Km), Skyrace (20 Km) oltre alla Cortina Kids dedicata ai più piccoli.
Percorso di crescita analogo sviluppato in oltre novant’anni di storia, lo ha compiuto La Sportiva: la storia dell’azienda nel settore del trail running è di quelle di lunga data e vede il lancio della prima calzatura da Mountain Running®, marchio registrato proprio da La Sportiva, già nei primi anni 2000.
Percorsi convergenti dunque che culminano, dopo qualche anno di corteggiamento, in un accordo di sponsorizzazione per i prossimi tre anni: dal 2019 la LUT si farà chiamare La Sportiva Lavaredo Ultra Trail, un passaggio importante in termini di immagine che andrà a sottolineare ancora di più il carattere dolomitico e territoriale della manifestazione.
«Non abbiamo mai nascosto il nostro interesse per la LUT, una gara dal carattere internazionale e riconosciuta non solo per la spettacolarità del suo percorso e delle sue cime, ma anche per il livello di organizzazione e servizi offerti ai runner – commenta Lorenzo Delladio, CEO & president de La Sportiva - si tratta di una competizione di assoluta eccellenza, oltretutto a pochi km da casa nostra: sarà un’ottima occasione per comunicare l’appartenenza a questo territorio».
«I prossimi tre anni rappresentano un’ulteriore sfida per la LUT – affermano Simone Brogioni e Cristina Murgia ideatori ed organizzatori della manifestazione – l’intento è di continuare a crescere aggiungendo anche un’ulteriore competizione su un percorso di 90 km che porterà il nome di UltraDolomites e garantendo i servizi e l’immagine che la Lavaredo si è costruita in questi 12 anni di storia: La Sportiva è stata una scelta naturale in questo senso, è un’azienda italiana che crede nel nostro sport e da sempre si impegna per farlo crescere in interesse e partecipanti: la partnership per i prossimi 3 anni ci permette di programmare i prossimi passi con molta serenità».
Inizia quindi il countdown per La Sportiva Lavaredo Ultra Trail edizione 2019 che si terrà a Cortina d’Ampezzo con partenza dal celebre corso Italia, dal 27 al 30 giugno prossimo: le Tre Cime, le Cinque Torri, le Tofane ed il Cristallo si tingeranno per la prima volta di giallo.
Power to trail
Si può partire dalla strada per arrivare al trail e allo skyrunning? Sì, naturalmente. Anzi, è proprio dalla strada che arrivano tanti appassionati, che magari hanno iniziato a correre per farsi del bene e, piano piano, le strade della città e l’asfalto rovente si sono trasformati in una prigione per la loro voglia di liberare la testa e il corpo. Proprio per capire come si fa la transizione dall’asfalto allo sterrato, che non deve essere necessariamente esclusiva, abbiamo invitato tre runner a provare a correre fuori strada con noi tramite una campagna sui nostri account social media, grazie alla collaborazione di Mizuno che ha fornito scarpe e abbigliamento. Un marchio, quello giapponese, che ben si sposa con la voglia di andare oltre le barriere della città visto che produce sia scarpe da running che da trail. Lo abbiamo fatto, simbolicamente, andando a correre sul percorso del Vertikal di Punta Martìn, dietro Genova e a 7 chilometri in linea d’aria dal mare. Un percorso aspro, tecnico, sulla pietra e sotto il sole rovente. Perché per uscire dall’asfalto e trovare l’avventura non è necessario andare lontano da casa.


«Io corricchio un po’ da sempre, ho anche fatto atletica da ragazzo, mavado a correre soprattutto per staccare la spina, ho la fortuna di abitarein centro a Genova e corro nella parte alta della città, al Castelletto, a Righi, dove il verde non manca e la montagna si mescola con lecase» dice Francesco Ratto, 34 anni, ortopedico all’ospedale San Martino. Una corsa cittadina con la fortuna di potere inserire qualche trattodi misto o comunque di respirare natura dunque quella di Francesco. «Sì, anche se fino a oggi ho sempre usato scarpe da strada, poi sul numero di aprile di Skialper ho letto con molto interesse l’allegato Outdoor Running e scoperto che a Gressoney si corre il Monterosa WalserTrail, così mi sono iscritto visto che passerò le vacanze da quelle parti, però prima per allenarmi farò un vertical qui in Liguria, ma sono leprime gare trail alle quali parteciperò». Galeotto è stato Skialper o, meglio, la moglie, che gli ha regalato l’abbonamentoalla nostra rivista a Natale… Quella di Andrea Bandera nonè una storia tanto diversa, cambiano solo i luoghi. Ventinovenne, impiegatonel ramo commerciale di un’azienda alimentare, è di Busto Arsizio, nel Varesotto, ma lavora nella periferia milanese. «Corro prevalentementein pausa pranzo perché ho la fortuna di avere la docciain ufficio, faccio anche qualche garetta, distanza massima mezza maratona,poi l’anno scorso ho provato il primo trail, l’Ossola Trail: perqualche giorno ero a pezzi e non avevo idea di quale strategia utilizzare,però mi sono divertito molto». Una sola esperienza dunque perAndrea, anche se qualche raduno per tapascioni tra erba e fango non se l’era fatto mancare in precedenza… Quella di Francesca Ferrando,invece, è una storia un po’ diversa che ci fa capire come potrebbero diventare quelle di Francesco e Andrea. Siamo a uno step successivo edè interessante capire come è andata. Originaria di Ovada, nell’Alessandrino, lei correva su strada e poi gradualmente ha scoperto che fuoriera più bello e ora corre soprattutto nella natura. Tanto che non si è fatta mancare nemmeno il giro dell’isola di Minorca, alle Baleari, in autonomia correndo e andando in bici o una tappa del circuito mondiale swim & run.


Dopo una deliziosa focaccia alla Società di Mutuo Soccorso di Acquasanta, il tempo delle chiacchiere è finito ed è il momento di saggiare la voglia di trail dei nostri compagni d’avventura. Li abbiamo messi alla prova su 500 metri di dislivello, con terreno prevalentemente pietroso e un sole molto caldo. Un modo per testare subito le scarpe el’abbigliamento. «Sono subito delle pantofole, morbidee comode» scherza Francesco, che ha avuto in doteil modello più cattivo e veloce, la Wave Hayate. «Mi sono iscritto a un vertical e questa è proprio la scarpache ci voleva» aggiunge. Scherzi a parte la Hayate,bassa sul terreno e relativamente secca proprio peressere veloce e reattiva, è sembrata comunque abbastanzaammortizzata anche dietro a Francesco che,essendo ortopedico, di magagne alle articolazionidovrebbe intendersene. «Se avessi dovuto chiedereun consiglio a un amico, lo avrei chiesto proprio per una scarpa così».

Promossa anche la suola Michelin, almeno su roccia liscia e infida ed erba, i terreni che abbiamo provato. «In salita ho avuto subito la sensazione delle ventose, con la suola che si appiccicava alle pietre» gli fa eco Francesca che, come Andrea, ha ai piedi una Wave Daichi. «Mi sono trovata subito bene, aiuta la dinamica di corsa, è comoda e con la tomaia traspirante ma protetta» aggiunge. E Andrea? «Scarpa no problem, non posso che condividere quanto ha detto Francesca, aggiungo che l’ho sentita abbastanza sensibile da sotto sull’avampiede». Una sensazione comune a tutti e tre i nostri testatori. È l’impostazione Mizuno, che privilegia un po’ di sensibilità per leggere il terreno e le sue insidie, un fattore di sicurezza in più, soprattutto su medie distanze, quelle per le quali sono concepite i due modelli. Normale però che chi arriva dal liscio asfalto noti subito questo aspetto.


L’abbigliamento è stato messo ancora a più dura prova perché la salita sotto il caldo sole delle 11 di mattina, con temperature prossime ai 30 gradi, è stato il miglior campo di prova. Esame superato. In generale tutti hanno apprezzato la leggerezza e piacevolezza dei tessuti e l’efficacia degli inserti in stile rete delle t-shirt maschili, che assicurano maggiore traspirazione sulla schiena. Anche la maglia femminile, pur essendo in un unico pezzo, senza rete, è risultata fresca. I pantaloni da uomo sono 2 in 1, con tight inferiore non troppo fasciante, quelli da donna aderenti in stile ciclista. «I miei hanno anche una tasca con zip dietro, oltre alle due laterali, i loro no» scherza Francesca. Endura 7,5 2in1 Short infatti ha una doppia taschina in mesh per gel o piccoli oggetti in posizione laterale. Però la maglia maschile dietro ha doppio scomparto a zip laterale e due tasche mesh centrali. «Mi domando se mettendo un oggetto un po’ grande come il telefonino non tendano a ballare» si chiede Francesco. Detto, fatto: proviamo a mettere uno smartphone e la sensazione non è diversa, grazie all’elastico che impedisce alla zip frontale di aprirsi oltre un certo punto che mantiene il tutto in equilibrio. A proposito, proprio la zip davanti della maglia maschile è risultata particolarmente efficace in una giornata afosa come quella del 26 maggio. Perché sono i particolari a fare la differenza.


MIZUNO WAVE HAYATE 4
Per trail runner tecnici alla ricerca di una scarpa veloce e leggera, senza sacrificare il grip e la protezione. La speciale suola Michelin garantisce la massima tenuta, mentre la struttura ribassata contribuisce a tenere il ritmo e si adatta a superfici irregolari, su qualsiasi terreno, anche a velocità estrema e sempre con agilità.
Peso: 280 gr (M) / 230 gr (W)
Prezzo: 130 euro
MIZUNO WAVE DAICHI 3
La scarpa da trail running pensata per affrontare tracciati dalla lunghezza intermedia, ideale per una corsa veloce su superfici dure come roccia e pietrisco. Adatta a chi possiede un appoggio neutro. La scanalatura ad X, posta alla base del sistema X t a Ride, permette alla scarpa di adattarsi alla discontinuità del terreno, tutto a beneficio dell’aderenza.
Peso: 320 gr (M) 270 gr (W)
Prezzo: 135 euro
COMPLETO DONNA
Alpha Vent Tee è una T-shirt con dettagli riflettenti e tecnologia Mizuno DryLite che trasferisce l’eccesso di umidità lontano dal corpo per un microclima secco e confortevole che aiuta a migliorare la prestazione (35 euro). I pant short BG3000 Mid Tight, aderenti, sono realizzati in tessuto leggero e traspirante per offrire una migliore performance. La banda elastica interna brandizzata Mizuno fornisce ottimo confort per le corse più lunghe (50 euro).
COMPLETO UOMO
Endura HZ Tee è una t-shirt con mezza zip frontale per l’aerazione dotata di dettagli riflettenti sulle spalle per offrire grip e tenuta allo zaino. Due tasche posteriori con zip e due in rete (70 euro). Endura 7,5 2in1 Short appartiene alla nuovissima collezione primavera estate 2018 di Mizuno. Gli short sono in tessuto molto leggero con collant interno, che fornisce la compressione delle gambe per corse più lunghe (75 euro).
www.mizuno.eu
Giochi 2026, l'Italia con Milano-Torino-Cortina
Prima i dubbi di Torino, poi quelli di Milano (‘pronta ad ospitare gare, ma non a mettere mano nell'organizzazione’): alla fine il CONI ha deciso di andare avanti con una candidatura unica, delle tre sedi, prevedendo una spesa di 376,65 milioni di euro, un costo inferiore di quello previsto di ciascuno dei singoli studi. Tre medal plaza, tre villaggi olimpici (Milano, Bormio e Cortina), due hotel degli atleti (Torino e Val di Fiemme). Questo il piano; sul sito del Coni è stata pubblicata la proposta della Comissione di Valutazione con il masterplan: eccola se volete leggerla tutta Candidatura_Italiana_Giochi_2026. Di sci-alpinismo non si parla: quando il CIO a ottobre dirà chi tra Italia, Canada (Calgary), Svezia (Stoccolma), Turchia (Erzurum), Giappone (Sapporo) se la giocherà per il 2026 si potrà capire quali saranno le sedi che vorranno avere nel loro programma lo ski-alp. Ultimo passo sarà quello della scelta finale che sarà nella riunione del CIO prevista a settembre 2019.












