Dolomyths Run, intrigante sfida sabato al Sellaronda Ultra Trail

Si annuncia come la DoloMythsRun Ultra più qualificata della storia, quella che si svolgerà all’alba di sabato 13 settembre con partenza e arrivo a Colfosco, per quanto riguarda la gara lunga, con la novità della sfida half che partirà invece da Canazei per concludersi sempre nel centro della Val Badia.
Alla segreteria del comitato organizzatore del prestigioso evento, che raccoglie sotto un’unica denominazione le tre storiche competizioni fassane di corsa in quota, sono pervenute due adesioni di atleti di prima fascia, che si contenderanno la vittoria nell’ottava edizione della competizione, conosciuta anche con l’originale denominazione Sellaronda Ultra Trail.
Lungo il percorso disegnato attorno al famoso gruppo montuoso del Sella, fra Alto Adige, Veneto e Trentino, attraverso le quattro valli ladine dolomitiche di Gardena, Livinallongo, Fassa e Badia, cercherà di iscrivere il proprio nome nell'albo d'oro il pluridecorato campione di corsa in montagna Marco De Gasperi, che può vantare nel suo palmares ben 5 titoli mondiali, un mondiale junior e due vittorie ai Campionati europei. Per il runner di Bormio si tratta della prima partecipazione a questa gara, ma non alla DoloMythsRun dove nel 2013 accese una sfida sul filo dei secondi nella skyrace con Kilian Jornet dando vita ad un’edizione memorabile. E non è tutto. Occhi puntati anche sul suo compagno di squadra del team Hoka One Franco Collè, originario della valle di Gressoney ai piedi del Monte Rosa, ma residente in Valle d’Aosta, vincitore per due volte del Tor des Gèants e di numerose skyrace e competizioni su lunga distanza.
Non mancherà poi lo specialista italiano per eccellenza delle gare lunghe, il bergamasco Luca Carrara, che dodici mesi fa dopo tanti podi era finalmente riuscito a trionfare in questa gara, la quale si sviluppa sulla distanza di 61,5 km e con un dislivello positivo di 3.380 metri, impiegando il tempo di 6h34’35”.
A caccia del podio in questa competizione, che è qualificante ITRA e assegnerà 3 punti ad ogni concorrente che la porterà a termine, ci saranno poi il trentino Gil Pintarelli e il valtellinese Giovanni Tacchini.
In attesa della chiusura delle iscrizioni prevista per il pomeriggio di venerdì 12 luglio e della formazione della starting list femminile, al momento i partecipanti al doppio evento sono 340, cifra destinata ad aumentare nelle prossime ore, anche per l’inserimento nel programma della nuova sfida half, che si svilupperà sulla distanza dei 26 km con 1.600 metri di dislivello da Canazei a Colfosco.
Il sipario si alzerà ufficialmente venerdì 12 luglio alle 18,30 con il briefing tecnico presso Sala Tita Alton di Colfosco, con l’apertura ufficio gare dalle 15. La partenza della competizione lunga è fissata alle ore 5 da Colfosco e l’arrivo dei primi concorrenti verso le 11, con chiusura ufficiale alle 18 e premiazione alle 19.30 sempre presso Sala Tita Alton. La versione half scatterà invece alle ore 9 da piazza Marconi a Canazei.
La Dolomyths Run Ultratrail godrà di un’importante copertura televisiva, grazie a una sintesi di 30 minuti che verrà trasmessa da Rai Sport Hd nei giorni successivi la competizione, anticipando gli altri due eventi, ovvero la vertical race Crepa Neigra venerdì 189 luglio e la spettacolare skyrace di domenica 21 luglio, inserita come unica prova italiana nel prestigioso circuito Golden Trail World Series.

Definite le squadre azzurre di ski-alp. Con un occhio di riguardo per i Giochi Olimpici giovanili

Definite le squadre azzurre di ski-alp. Robert Antonioli, Michele Boscacci, Matteo Eydallin, Damiano Lenzi, Nadir Maguet, lo zoccolo duro dell’Esercito si potrebbe dire, oltre ai tre ‘civili’ William Boffelli (Under Up Ski Bergamo), Federico Nicolini (Brenta Team) e Alex Oberbacher (Bogn da Nia Val da Fasha) saranno il team senior, mentre al femminile c’è la sola Alba De Silvestro. Nel gruppo Espoir Nicolò Canclini, Davide Magnini, Sebastien Guichardaz, Giovanni Rossi, Giorgia Felicetti, Mara Martini e Giulia Murada; a livello Junior solo tre atleti Matteo Sostizzo, Alessandro Rossi e Samantha Bertolina. «Un gruppo che può sembrare ristretto - spiega il confermato direttore tecnico Stefano Bendetti - ma ci sono stati tanti cambi di categorie e dunque abbiamo ridotto un po’ il numero, soprattutto a livello Junior. Ma resta come sempre una nazionale ‘aperta’: per le convocazioni in Coppa del Mondo molto dipenderà anche dalle gare nazionali a inizio stagione». Il 2020 è anche l’anno del debutto dello ski-alp ai Giochi Olimpici giovanili: in gara ci saranno i Cadetti, non ci sono convocazioni in Nazionale per questa categoria, ma l’attenzione sembra essere massima, visto che a fianco di Davide Canclini ci sarà a tempo pieno anche Manfred Reichegger. «Verissimo - conclude Bendetti - lavoreremo con grande impegno in questo settore. Abbiamo individuato un gruppo di dodici ragazzi e ragazze e con loro abbiamo in programma una serie di raduni mirati, partendo con un primo stage già ad agosto».


Riviviamo le emozioni della vittoria di Davide Magnini alla Mont Blanc Marathon

Vincere a Chamonix vuol dire entrare nell'olimpo del trail, e non solo quello sulle distanze ultra dell'UTMB. E la vittoria di Davide Magnini lo scorso 30 giugno nella Mont Blanc Marathon ha definitivamente consacrato il talento di quello che in tanti definiscono il nuovo Kilian per la sua poliedricità, dalle pelli alle scarpe da trail. Non a caso Davide Magnini è ora al secondo posto della categoria S del ranking ITRA, dietro proprio a Kilian Jornet. 916 i punti del trentino (a pari merito con Stian Angermud-Vik) contro i 926 del catalano. E al quarto posto c'è il valdostano Nadir Maguet. Proprio Davide e Nadir sono arrivati primo e secondo posto alla Mont Blanc Marathon. Per rivivere le emozioni, ecco il video report ufficiale della gara del circuito Golden Trail Series, nella quale bisogna registrare anche il secondo posto di Silvia Rampazzo dietro alla neozelandese Ruth Croft.


Maratona del Cielo a Daniel Antonioli e Denisa Dragomir

A Santicolo, in Alta Valle Camonica, è andata in scena la 24ª edizione della Maratona del Cielo. 330 iscritti, di cui 223 sulla prova regina da 42 km (2700 m D+) valevole come prova unica di campionato italiano skymarathon 2019. Pronti via e si è subito capito che la sfida per il successo sarebbe stato un discorso a due tra il lecchese campione di winter triathlon Daniel Antonioli e lo scialpinista bergamasco William Boffelli. In lizza per un posto sul podio anche il ruandese Jean Baptiste Simukeka e il trentino Daniele Cappelletti. Dietro tutti gli altri.
Sempre al comando, Antonioli ha dimostrato sul campo che il secondo posto conquistato poche settimane fa alla tappa di world series di Livigno non era casuale. A lunghi tratti sotto lo storico record della gara di Mario Poletti, nel fiale il soldatino del Team La Sportiva ha un poco pagato dazio stoppando però il cronometro su uno stratosferico 4h11’38” che è il secondo migliore crono di sempre alla maratona del cielo. Per lui un successo che gli è valso anche il titolo italiano Fisky di Skymarathon. Seconda piazza per un sorprendente Boffelli (4h17’07”), mentre terzo si è piazzato un sempre convincente Daniele Cappelletti (4h26’27”). Completano la top ten di giornata Jean Baptiste Simukeka, Andrea De Biasi, Jesus Gaviria, Fausto Lizzoli, Francesco Lorenzi, Clemente Berlingheri e Giuseppe Pedretti.
Ancora Denisa Dragomir nella gara in rosa. La rumena del team Serim ha seminato le avversarie e fatto gara su gli uomini. Il gran caldo le ha impedito di attaccare il primato della mitica Emanuela Brizio, ma non di firmare il suo 4° successo alla super classica camuna. Per lei finish time di 5h25’15”. Seconda assoluta e campionessa italiana 2019 di skymarathon la bergamasca Daniela Rota (5h38’44”) che con questo tricolore impreziosisce ulteriormente quella che sino ad ora è la sua magic season. Completa il podio della 24ª edizione la colombiana Catalina Beltràn (6h07’13”) che dopo avere sofferto la cresta aerea del Sellero è riuscita a rientrare sulla veneta Cristiana Follador 4ª assoluta. Nella top five di giornata anche l’orobica Beatrice Meloni.
Performance da record sulla mezza maratona valevole come tappa di Lombardia Running. Qui il nuovo tempo da battere sarà quello di Robert Panin Surum che in 1h56’06” ha messo dietro il lecchese Mattia Gianola (2h01’04”) e Francis Maina Njoroge (2h02’22”). Bene pure Francesco leoni 4° e Mattia Bertoncini 5°.
Nuovo primato anche al femminile con la colombiana Emily Schmitz che dopo il successo alla Doppia W Ultra 60 ha primeggiato in 2h33’39”. Secondo posto per Elisa Compagnoni in 2h37’47”, mentre terza si è piazzata Lorenza Combi in 2h43’16”.


Cala Cimenti, discesa quasi integrale dal Nanga Parbat

Arriva qualche informazione in più dal Nanga Parbat sulla discesa con gli sci di Cala Cimenti e del russo Vitaly Lazo. A qualche ora di distanza ecco i primi dettagli dopo le informazioni di ieri, quando a un certo punto si era temuto anche il peggio vedendo la traccia del Garmin inReach ferma per quasi un’ora. L’altro russo Anton Pugovkin, sceso a piedi, non riuscendo a scorgere più i due aveva dato l’allarme. «Cala aveva un ampio zoccolo di ghiaccio sotto gli sci e si è fermato a lungo per scalfirlo» dice la moglie Erika Siffredi, raggiunta al telefono dalla redazione di Skialper. Erika è stata in grado di fornirci altri dettagli interessanti. La discesa è iniziata circa 50 metri sotto la cima perché in vetta ci sono delle rocce non sciabili. La partenza è avvenuta all’imbrunire, verso le 17,30 ora locale e quindi in parte sono state necessarie le frontali. Cala ha sciato fino al C4, dove è arrivato dopo la mezzanotte, dopo essersi fermato a riposare e dopo che Vitaly aveva deciso di proseguire a piedi nell’ultimo tratto. Ha poi proseguito con gli sci il giorno seguente anche verso il C3 e il C2, ma in un tratto ghiacciato è stato necessario l’utilizzo delle corde. Ora, dopo i festeggiamenti in tenda, sta rientrando verso Skardu. Il primo ad arrivare in vetta in questa stagione è stato il francese Boris Langenstein che, dopo un tentativo di salita fallito a quota 8.030 metri a causa della tanta neve e della fatica a battere traccia, è arrivato in vetta il primo luglio e ha sciato fino al C4, per poi proseguire il 2 luglio fino al campo base, tranne 100 metri di corda fissa sotto il campo 3 per affrontare un tratto ghiacciato. Con lui c’era la compagna Tiphaine Duperier, che però si era fermata prima della vetta, probabilmente stanca per le notti passate in quota. Anche Langenstein è però partito poco sotto la vetta, probabilmente a 8.070 o 8.080 metri secondo quanto dichiarato a Montagnes Magazine. Langenstein-Duperier sono una vecchia conoscenza di Cala Cimenti e l’anno scorso hanno sciato qualche giorno prima del piemontese l’estetica linea del Laila Peak. Al duo francese si deve inoltre la probabile prima discesa del Peak Spantik, un 7.000 del Karakoram, realizzata a giugno.


Cala Cimenti, vetta e discesa con gli sci del Nanga Parbat

Dunque Cala Cimenti ce l’ha fatta. Non senza qualche momento di paura. Il piemontese, partito alle 3 di mattina ora locale del 3 luglio, è arrivato in vetta al Nanga Parbat (8.126 m) lungo la via Kinshofer con i russi Vitaly Lazo e Anton Pugovkin ed è sceso con gli sci. «Sono sdraiato in cima al mondo e piango, rido e ti amo» il post pubblicato ieri sulla pagina Facebook Cala Cimenti Cmexperience dedicato alla moglie Erika Siffredi. Poi la discesa, durante la quale la traccia gps si è fermata a lungo e a un certo punto si è temuto il peggio. Invece sia Cala che i due russi sono arrivati al C4 verso le 18, non è però ancora chiaro se tutti siano scesi con gli sci e quali tratti abbiano percorso con i legni ai piedi, anche se sembra che solo Vitaly sia partito dalla vetta insieme a Cala sciando. L’ultimo aggiornamento poche ore fa: «Noi a C2 sopra al muro Kinshofer. Che bello pensare di non farlo mai più. Abbiamo sciato fin qui, la neve è una merda ma procediamo».

Ecco il racconto di quelle ore concitate pubblicato dalla moglie in un post Facebook:

«Ad un certo punto la traccia si ferma per più di un'ora. È fermo. Non si muove. Mio fratello Nicolò capisce immediatamente che sta succedendo qualcosa e mi allerta. Nello stesso momento arriva un sms dello staff russo:Erika, è successo qualcosa. Anton dice che si sono divisi, lui sta scendendo a piedi, Cala e Vitaly con gli sci ma non li vede più, non ripondono. Contatta immediatamente Cala, se non risponde avvertiamo i soccorsi e chiamiamo le assicurazioni’.Cala non risponde. Contatto i ragazzi di Intermatica che mi offrono immediatamente il loro supporto. Nel panico riesco a chiamare qualche amico, Kuba mi raggiunge immediatamente a casa e prende in mano la situazione. Marco cerca di farmi ragionare e tenta di tenermi tranquilla. Arriva anche Gianluca a casa della mia famiglia che grazie ai suoi contatti mette in allerta chi dall'Italia potrebbe darci una mano nel caso di difficoltà gravi. Alessandro, il fratello di Cala tenta di contattare lo staff russo ma nessuno parla inglese e non riusciamo ad avere informazioni utili. Ad un certo punto la traccia si muove, pare che Cala stia tornando a scendere ma nessun messaggio di rassicurazioni. I miei fratelli Carlo e Nicolò iniziano ad aggiornare un file in cui segnano tutte le coordinante inviate dal Garmin con i relativi orari, continuano a dirmi ‘Erika, sta scendendo, è lento ma scende’. Dopo ore un sms di Cala ‘abbiamo avuto dei ritardi. Poi ti racconto. Non ho il satellitare’».


10 motivi per innamorarsi dell’Alta Via

Settembre 2018. Un piccolo gruppo di giornalisti e influencer si ritrova alla chiesetta di San Cipriano, vicino a Tires, in Alto Adige. Nella testa di Egon Resch, Guida alpina altoatesina, il percorso è molto chiaro. Un passaggio da Ovest a Est, da San Cipriano, non lontano da Bolzano e dalla Valle dell’Adige, al cuore delle Dolomiti, nella stupenda Val Fiscalina, sul confine orientale della regione. Un nuovo itinerario, chiamato Alta Via, alternativo alle alte vie dolomitiche così belle ma altrettanto affollate. Una linea da occidente a oriente che tocca le valli e lambisce le vette simbolo delle Dolomiti, dallo Sciliar al Catinaccio, passando per le Tofane e le Tre Cime, che sfiora o incrocia luoghi e riti del turismo di massa alpino per immergersi nel silenzio e nel profumo dei prati. Alla fine saranno 150 chilometri e oltre 50 ore percorse in otto giorni, con l’aiuto anche di una e-bike nel tratto pratoso tra il passo di Campolongo e la Capanna Alpina, che avrebbe richiesto molto più tempo a piedi. E un fortunato estratto a sorte ha provato anche un servizio taxi da brivido in parapendio per scendere più velocemente dal rifugio Franz Kostner a Passo Campolongo. Quello che conta, però, è che Egon a settembre è pronto a ripartire a fine estate, perché la voce si è sparsa e l’Alta Via inizia a essere conosciuta. Se volete fargli compagnia potete dare uno sguardo al suo sito www.egonresch.com. Acqua in bocca però, l’Alta Via è un segreto che va conservato ancora per un po’.

L’articolo completo è stato pubblicato su Skialper 124 di giugno-luglio.

© Brey Photography
© Brey Photography
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Alp Tracks 94, leggero e versatile. Parola di Denis

Quale miglior parco giochi del terreno d’alta quota del Monte Bianco per provare Alp Tracks 94, il gioiello del più puro stile Movement? E quale miglior testatore di Denis Trento, che utilizza spesso il modello centrale di questa particolare gamma della casa della mela, ma conosce bene anche i fratelli 85, 89 e 100? Detto fatto. Non ci abbiamo pensato su troppo, e a fine febbraio siamo saliti a Punta Helbronner per mettere alla prova questo modello che inseriamo nella categoria ski touring per geometrie e peso, ma che si propone come soluzione sofisticata per sciatori free con tendenza performance atletica. Insomma uno ski touring coi fiocchi, per esigenti, ma adattabile ad una cerchia più ampia di utilizzatori. Perché quello che emerge dal test, sia quello della nostra Buyer’s Guide che quello con Denis, è che si tratta comunque di un attrezzo affidabile e soprattutto versatile per utilizzatori evoluti. Non per tutti, ma per tutti quelli che sciano bene. Forse sarebbe sottoutilizzato impiegandolo solo nelle uscite ordinarie, perché l’estrema leggerezza della tecnologia e la larghezza al centro sono perfette per escursioni lunghe e con forte dislivello su ogni terreno. Ma la costruzione permette anche un’altissima trasmissione della forza in ottica freeride. Ne risulta un attrezzo che, per buoni sciatori, può essere anche lo sci unico. Per la montagna aperta, per il ripido alpinistico, e anche per l’approccio freetouring.

© Stefano Jeantet

Cuore segreto

Il processo costruttivo è il cuore delle doti di Alp Tracks 94 e della sua versatilità. La linea Alp Tracks integra lo stato dell’arte di ricerca e sviluppo Movement sui compositi sottili. L’assemblaggio ad altissima pressione, con l’utilizzo di meno collante possibile, unisce gli strati in composito con la parte in legno di Carrubo ultraleggero rendendoli di fatto un solo elemento. Sottile, deformabile, meccanicamente forte, e reattivo. Si tratta di una costruzione in buona parte top secret, nella quale la manualità riveste il ruolo principe.

Sulla neve con Denis

Nei test della nostra Buyer’s Guide avevamo rilevato che Alp Track 94 è sensibile e rapido, non subisce la velocità, richiede il polso e la tecnica di uno sciatore sicuro. Ci aveva inoltre sorpreso sul duro in rapporto a dimensioni ed estrema leggerezza, conseguenza di un assetto ben aderente al fondo e preciso sullo spigolo, esente dalle reazioni nervose tipiche del composito. Denis ha confermato le nostre sensazioni. «Io lo uso anche per dislivelli importanti, sopra i 1.500 metri, perché è davvero leggero. Ma la leggerezza non deve trarre in inganno: risponde bene anche in velocità e in condizioni impegnative come le superfici segnate o rigelate» dice Denis. «Va abbastanza bene anche sul duro, in rapporto a struttura e geometrie, ma risponde al meglio nella neve polverosa, fino a 30-40 centimetri di fresca». Quali le differenze dunque con gli Alp Tracks più stretti e più larghi? «Fondamentalmente la maggior portanza che lo fa galleggiare bene sulla neve soffice. Per questo ha un utilizzo più versatile, oltre i 40 centimetri soffici è chiaro che Alp Tracks 100 è più indicato». In conclusione? «Mi piace perché è uno sci di carattere ma da montare leggero, poi puoi decidere di usare scarponi più duri con neve più dura visto che lo sci risponde bene, mentre con la polvere puoi fare scelte più soft». Davvero versatile: dimensioni, leggerezza e forza in un solo Alp Tracks.

© Stefano Jeantet

Alp Tracks 94

Lunghezze: 169, 177, 183 cm
Sciancratura: 130/94/119 mm (177 cm)
Peso: 1.120 gr (+/- 30 gr, misura 177 cm)
Raggio: 19 m (177 cm)
Prezzo: 949 €

www.movementskis.com

© Stefano Jeantet

 


Suffer Fest Ice & Palms

Il Baden-Württemberg è uno dei principali land della Germania. La sua capitale è Stoccarda, conosciuta nel resto del mondo come la patria dell’automobile (Mercedes-Benz, Porsche, Bosch hanno sede qui, ad esempio), e l’economia dell’intera regione si basa largamente sull’industria. Confina con la Francia a Est e con la Svizzera a Sud, mentre i principali rilievi sono rappresentati dalla Foresta Nera, la catena dello Giura e le Prealpi del Lago di Costanza. Il Baden-Württemberg sembra un buon posto dove vivere, se non fosse per un piccolo dettaglio: il mare, specialmente quello caldo, è lontano, parecchio lontano. E di conseguenza, se un paio di amici si dovessero inventare di voler andare al mare in bicicletta, le cose si complicherebbero parecchio, specialmente se lungo l’itinerario ci si volesse portare dietro anche degli sci e decidere di utilizzarli nel miglior modo possibile.
I due amici sono Jochen Mesle e Max Kroneck che, oltre alla passione per lo sci scoprono di condividere anche quella per le pedalate, specialmente quelle lunghe e faticose, e per la fotografia, in particolar modo quella che ti impone di utilizzare apparecchi pesanti e scomodi. L’idea che partoriscono insieme ha le caratteristiche comuni di ogni suffer fest che si rispetti: dev’essere lunga, fisicamente estenuante, particolarmente ricca di incognite e problematiche di varia natura, originare vesciche in vari punti del corpo e apparire insensata agli occhi delle persone normali. Et voilà, ecco il progetto Ice & Palms: Jochen e Max vogliono partire da casa loro a Dürbheim, nel Baden-Württemberg, raggiungere l’Austria e da lì attraverso i principali valichi alpini arrivare fino al lungomare di Nizza, senza mai utilizzare mezzi a motore e sciando il più possibile, filmando allo stesso tempo la loro avventura. Di tanto in tanto, poi, verranno raggiunti da amici che daranno una mano nella ripresa delle immagini. I loro destrieri saranno due bici gravel, equipaggiate con portapacchi anteriori e posteriori sui quali sistemare l’attrezzatura. Sci e scarponi dietro, insieme a uno zaino con il materiale per la notte. Sacca anteriore sinistra per il pentolame e macchine foto. Sacca anteriore destra: accessori e abbigliamento da pioggia, pronti per essere tirati fuori in poco tempo. Peso totale, cinquanta chili, grossomodo.

L’articolo completo è stato pubblicato su Skialper 124 di giugno-luglio.

, senza mai utilizzare mezzi a motore e sciando il più possibile, filmando allo stesso tempo la loro avventura. Di tanto in tanto, poi, verranno raggiunti da amici che daranno una mano nella ripresa delle immagini.
I loro destrieri saranno due bici gravel, equipaggiate con portapacchi anteriori e posteriori sui quali sistemare l’attrezzatura. Sci e scarponi dietro, insieme a uno zaino con il materiale per la notte. Sacca anteriore sinistra per il pentolame e macchine foto. Sacca anteriore destra: accessori e abbigliamento da pioggia, pronti per essere tirati fuori in poco tempo. Peso totale, cinquanta chili, grossomodo.

L’articolo completo sull'avventura di Ice & Palms è stato pubblicato su Skialper 124 di giugno-luglio.

© Ice & Palms

The godmother of all couloirs

«Prima ancora di sapere se quella linea ci fosse sul libro, se fosse conosciuta e soprattutto, fattibile, dal momento in cui Albi l’ha adocchiata, è stato amore a prima vista. Il nome poi, una volta scoperto, parlava da sé. Non si poteva non pianificarci una gita».

Scrive così Alberto Casaro a proposito di The Godmother of all Coulouirs: 0  – 1.318 m, di cui 900 di canale con tratti che raggiungono i 50°. L’ambiente è pazzesco. Una discesa estetica e apparentemente inaccessibile, un canale enorme che poggia i piedi sulle rive dei fiordi norvegesi, sulle Lyngen Alps, fino a erigersi, nascondendosi a tratti tra le pieghe della roccia, in cima a una grossa formazione rocciosa. Arrivare in fondo significa arrivare in spiaggia. Ma come tutte le cose belle della vita The Godmother of all Coulouirs non si lascia conquistare facilmente e l’avvicinamento è particolarmente lungo e rognoso. «L’ora e mezza di fatto è volata via solo per rivelare un articolato cammino tra rocce e detriti di volume sempre maggiore, a volte coperti da uno strato di neve che sfondava. Dopo molti zig-zag e saliscendi, uno strato di neve più continuo ci ha permesso di calzare gli sci, ma non per questo di essere più rapidi, perché la via era un labirinto di piccole alture e alberi e di nuovo rocce; arrivare alla base del conoide ha richiesto già molto tempo ed energie, e al momento di calzare i ramponi più di tre ore erano già passate» scrive Alice Russolo. 

L’articolo completo sull’estetico canale The Godmother of all Coulouirs è stato pubblicato su Skialper 124 di giugno-luglio.

© Alice Russolo

Michele Graglia, oltre le ultra

«Visto che il corpo può portarti solo fino a un certo punto, secondo me, se esiste una ricetta per il successo per arrivare in fondo, la si trova in qualità non fisiche. Bisogna allenare la pazienza, il rispetto e la gratitudine: la corsa ultra richiede tempo e perseveranza. Dobbiamo sviluppare un senso di gioia verso l'idea di passare un'intera mattinata o addirittura un giorno a correre nella natura, spesso soli con i nostri pensieri, e naturalmente anche con i calzini sporchi. Non dovremmo mai avere fretta, ma goderci semplicemente il viaggio». Scrive così l’ultra-runner Michele Graglia su Skialper di giugno-luglio in un articolo nel quale dispensa ai lettori i suoi consigli per correre sulle lunghe distanze, dall’alimentazione alla testa.

Ligure, classe 1983, fotomodello (si mormora fosse soprannominato ‘the abs’, con riferimento ai suoi addominali), Michele Graglia rimane folgorato dalla lettura del libro Ultramarathon Man di Dean Karnazes e abbandona i riflettori per cambiare stile di vita. Ora è insegnante di yoga a Malibu, in California, e l’ultra running è la sua filosofia di vita. Nel 2018 ha vinto la Badwater, una gara di oltre 200 km nella Valle della Morte, mentre nel 2016 ha trionfato nel gelo della Yukon Arctic Ultra 100.

Giovedì prossimo, alle 20,30 all’Alexander Hall di Cortina d’Ampezzo, nell'ambito della La Sportiva Lavaredo Ultra Trail, Graglia parlerà di ultra insieme ad Anton Krupicka e allo scrittore Folco Terzani.

L’articolo completo di Michele Graglia è stato pubblicato su Skialper 124 di giugno-luglio.


Essere Matteo Eydallin

Destinazione Gap, a Montmaur, il buen retiro di Matteo Eydallin. Lì, in mezzo al verde, con due cavalli, un mulo, una pecora, due cani. E la fidanzata. Che è veterinaria. La sua vacanza. Per uno che detesta la folla, difficile immaginarlo in spiaggia ad agosto. In fondo c’è tutto quello che serve: strade giuste per pedalare, con la corsia dedicata ai ciclisti, e soprattutto la falesia di Céüse. Siamo stati a trovare il veterano della nazionale azzurra e su Skialper 124 di giugno-luglio pubblichiamo un’ampia intervista a Eyda. Intanto, ecco qualche piccola anticipazione.

Il segreto della longevità agonistica

«Ho sempre cercato di fare quello che mi piaceva nella fase della preparazione. Non mi sono mai imposto troppe regole: al mattino esco in bici perché mi piace pedalare con gli amici, nel pomeriggio cammino quasi un’ora per arrivare ad arrampicare e lì poi mi concentro sui miei progetti. Non sto troppo a pensare: devo fare tot metri di dislivello, altrimenti rimango indietro, ma li metto insieme come voglio io. Forse è un auto-inganno, per farmi piacere le cose. Forse chissà, allenandomi di più avrei vinto di più, ma sarei rimasto competitivo per meno tempo. Non lo so e non mi interessa: per me ha funzionato così e continuo così, senza tanti sbattimenti. Perché cambiare? Mi alleno ancora volentieri, ma pedalando e scalando. Credo che anche il corpo e la mente ne abbiano un beneficio».

La tecnica

«Lavoro sulla tecnica che ti porta a sciare veloce in gara o comunque a risparmiare energie per affrontare la salita successiva senza avere le gambe fuse anche dalla discesa. Vado in tutte le condizioni, nebbia, crosta, polvere, marmo, sempre con gli sci da gara: solo così trovi le sensazioni e gli equilibri giusti. Credo che lo skialp non sia metri di dislivello in pista e cardio, ma sensibilità e lettura delle linee in discesa: per questo secondo me le gare in pista non sono vere gare».

L’intervista completa a Matteo Eydallin è stata pubblicata su Skialper 124 di giugno-luglio.

© Gabriele Facciotti