Ci siamo messi in testa la Corona di Ötzi

Foto di Gianmaria Strinati e Andrea Pasquali

Anche questa l’abbiamo portata a casa. Siamo in Alto Adige, a Maso Corto, in Val Senales. Ho appena tolto gli sci. Sembra strano muoversi senza sentire a ogni passo il tintinnio di moschettoni, discensore e chiodi da ghiaccio. Mi sento leggero senza il fardello dello zaino che tentava di schiacciare il sogno che stavo vivendo. Mi sento leggero, è finita, dopo 80 chilometri di sviluppo, circa siemila metri di dislivello positivo, 27 ore di attività, 13.850 calorie consumate, per quanto mi riguarda. 

La Corona di Ötzi ce la siamo messa in testa e niente ce la può più togliere. Abbiamo circumnavigato il luogo dove negli anni ’90 trovarono la celebre mummia del Similaun. In tre giorni, con tappe da educazione siberiana causa la chiusura per ristrutturazione di diversi rifugi, coincidenza che non ci consentiva di diluire maggiormente il tracciato se non a prezzo di portarci sulle spalle anche viveri e sacco da bivacco. Un prezzo che non abbiamo voluto pagare perché - quasi tutti con un passato agonistico - apprezziamo il passo dinamico, i dislivelli importanti e poi vogliamo gustarci la discesa, cosa quasi impossibile quando ci si deve trasformare in lumache dai grandi gusci. 

Ghiacciai fin dove l’occhio può vedere, pendi da attraversare aggrappandosi alle lamine; canali da rimontare a colpi di piccozza e ramponi, vette famose e cime meno note, farina intonsa su cui disegnare curve su lenzuoli bianchi appesi a 45 gradi, crostaccia immonda dove l’imperativo categorico è salvare le ginocchia, prati verdi su cui arrancare fino al tramonto storditi dalla fatica e dalle emozioni; spindrift senza sosta per ricordare che è tutto vero, che non si sta sognando in questo lembo di Alpi che sembra creato apposta per lo skialp. Diverse le cime salite - i denti della Corona di Ötzi, appunto - tra cui la seconda d’Austria (Wildspitze, 3.770 m.) e la terza (la Palla Bianca, Weiskugel in lingua germanica, 3.739 m, che gli austriaci persistono, nonostante l’esito della Prima Guerra Mondiale, nel voler ritenere come loro, pure se si trova entro il confine italiano).

Dopo aver lo scorso anno tracciato una nuova alta via circolare intorno al Cervino denominata Skyline around the Matterhorn, divenuta anche soggetto di un apprezzato docufilm di Andrea Pasquali presente sulla piattaforma Youtube, anche la Corona di Ötzi figura ora ben visibile nel saldo del contocorrente delle nostre emozioni. Un vero e proprio viaggio portato a termine a cavallo tra marzo e aprile 2025, una settimana dopo del previsto, causa pericolo valanghe, dall’altoatesino naturalizzato parmigiano Alex Keim e dai piacentini Fabrizio Cappa, Giammaria Strinati, Andrea Pasquali e da me. Dalla Val Senales allo Stubai, alla Pitztal, alla Rofental, per ritornate a Maso Corto dopo aver risalito il massiccio del Similaun. Tracciando il percorso nel bianco più assoluto, coordinata gps per coordinata, rifuggendo nel primo tratto (quello che da Maso Corto consente di accedere al bacino glaciale) gli impianti per la volontà di compiere integralmente l’anello senza sconti, by fear means. In un ambiente d’alta montagna che, abbandonati gli impianti della Val Senales, è apparso ad antropizzazione zero e, nel periodo che ci ha interessato, pochissimo frequentato dagli skialper causa la già accennata chiusura di alcuni rifugi che negli anni passati consentivano di spezzare il giro in 4-5 giorni. Isolamento e wilderness da trasferta extraeuropea, dunque, a pochi chilometri dal confine nazionale e per molti tratti proprio sul confine.

Da Maso Corto, circa a quota 2.000, siamo saliti, mantenendoci fuori dalle piste con qualche difficoltà, allo splendido Rifugio Bellavista, con sauna e idromassaggio. Svalicato in Stubai abbiamo affrontato, ramponi ai piedi e sci sullo zaino, la parete Est della Palla Bianca (Wisskugel, 3.799 m., la cima più alta delle Alpi Venoste) per poi scendere la medesima parete con gli sci (circa 45 gradi di pendenza nel tratto iniziale) e raggiungere uno spettacolare ghiacciaio che poteva fungere da set per il film Frozen, con fauci bianconere spalancate e vele di ghiaccio ben tese, fino al Rifugio Hochjoch Hospitz (2.430 m), in Stubai, dove abbiamo pernottato. Il secondo giorno, una cammellata di circa trenta chilometri e 2.300 metri di dislivello positivo, sferzati da raffiche di vento anche a 50 km/h continue: 12 ore tra salita e discesa, senza alcuna sosta, toccando la panoramicissima vetta Mittlere Guslarspitze (3.128 m.), la Wildspitze, 3.770 m. con una crestina finale per nulla banale, per raggiungere infine Vent, uno spettacolare e tipico paesino austriaco situato a circa 1.900 metri di quota, alle 19 circa, quando il serbatoio delle energie era ormai in riserva. Pernottato a Vent in un grazioso hotel, il terzo giorno, per chiudere la corona, abbiamo puntato al Similaun, risalendone per oltre 15 chilometri le pendici fino al Giogo di Tisa (3.100 m), dove si trova il cippo che ricorda il ritrovamento della celeberrima mummia. Da lì, aggirando una pinna di squalo che fuoriesce dal bianco perenne, la Finalspitze (3.514 m), una lunga discesa su farina intonsa, districandoci tra qualche seracco per riapprodare a Maso Corto.

Ancora una volta ci siamo resi conto che gli sci, prima di essere ridotti a mero strumento di divertimento di massa, sono stati e restano uno straordinario mezzo per spostarsi da un luogo all’altro, anche abbastanza velocemente e senza alcun impatto ambientale. Ancora una volta ci siamo resi conto che la montagna inizia dove incomincia la fatica, dove non arrivano gli impianti e le auto, perché senza fatica la montagna muore, si banalizza relegandola a mero palcoscenico per selfie di massa.

Tolti gli scarponi, riposti sci e zaini in auto, entriamo in un bar per mangiare un boccone. C’è uno specchio: i nostri visi appaiono in bianco e nero, come nelle foto di un tempo. Abbrustoliti dal sole, le rughe ancor più evidenti, le labbra cotte dagli spindrift che ci hanno schiaffeggiato per tre giorni, gli occhi trasudano emozioni. Brillano ricordando i colori dell’infinito, ma sono tristi perché devono ora ritornare a farne a meno.  Ci siamo tolti gli sci dai piedi, ma non dall’anima. 


Contrabbandieri di emozioni

Ha ragione Giorgio Daidola, il vero scialpinista è un viaggiatore errante. Usa gli sci non solo come mezzo di trasporto, ma pure come strumento di conoscenza del mondo e di se stesso. Li utilizza per raggiungere luoghi inaccessibili attraversando deserti bianchi, come bene ci ha insegnato Michel Parmentier; per salire montagne che sono solo tappe di un percorso fuori e dentro di sé. Un percorso che, a volte, ha come obiettivo l’orizzonte, per vedere ciò che c’è dopo e ciò che c’è dentro. Non per niente sciare è un po’ come vivere: consente di lasciare una traccia che non è indelebile, ma che identifica in modo univoco chi l’ha disegnata, così vincolata come è alla sua sensibilità, alla sua capacità tecnica, all’attrezzatura utilizzata, persino allo stato d’animo e alle emozioni del momento. E le traversate - meglio di ogni altra attività scialpinistica - permettono di rendersi conto di tutto questo, seguendo le tracce di chi le ha percorse per primo ed entrando in sintonia con la sua sensibilità, pur vivendo ogni volta un’esperienza nuova; assecondando le proprie emozioni, entrando fra le pieghe delle montagne, penetrando in punta di piedi in un mondo che, seppure già percorso, come la neve, cambia a ogni ora, a ogni folata di vento.

Per vivere queste emozioni non è sempre necessario partire per più giorni da casa e andare in capo al mondo. A volte è possibile trovare ciò che si cerca anche dietro l’angolo. Io ho avuto la fortuna di condividere un breve viaggio alla portata di qualsiasi scialpinista allenato a pochi passi da casa, sulle nostre Alpi, in giornata, da Isolaccia di Valdidentro a Livigno, lungo le tracce dei contrabbandieri e dietro alle code di Giacomo Meneghello. Lui è un fotografo che vive a Sondalo e che, collaborando con la Ski Trab, ha avuto l’idea di creare un’alta via scialpinistica tra Bormio e Livigno, tracciando due percorsi. Uno, più logico e diretto, parte da Isolaccia e uno, più difficile e tortuoso, prende il via da Oga, quest’ultimo in verità già in parte sperimentato da alcuni scialpinisti locali che fanno capo sempre alla Ski Trab. Noi, a causa del rischio valanghe, abbiamo affrontato il tracciato meno pericoloso, ma anche più lineare. Ventuno chilometri per circa 1.900 metri di dislivello positivo. Un tracciato senza particolari difficoltà tecniche che, partendo dalla Valdidentro, concatena in modo logico diverse convalli esistenti tra Bormio e Livigno. Convalli in un recente passato utilizzate dai contrabbandieri per far transitare le merci dal porto franco di Livigno all’Italia. Lo abbiamo fatto il lunedì di Pasquetta in una giornata splendidamente serena dopo il maltempo della settimanaprecedente che aveva portato quasi un metro di neve fresca, ma anche numerosi accumuli da vento suipendii maggiormente esposti.

Partenza alle 6,30 da Sant’Antonio di Scianno, pochi chilometri sopra Isolaccia, nel comune di Valdidentro, a quota 1.650 metri. Lasciata l’auto in un piccolo spiazzo, abbiamo iniziato a risalire verso il Monte Resaccio dapprima facendo traccia in un rado bosco di abeti e poi su distese innevate in cui s’intuivano alpeggi semisepolti dalla neve in un universo fiabesco al risveglio. Giacomo Meneghello davanti, noi dietro. Una decina di scialpinisti in tutto per l’occasione: alcuni ragazzi di Cantù guidati da Marco Colombo di Ski Trab, il forte altoatesino Alex Kheim con la moglie parmigiana Anna e io. Si sono poi aggiunti in Val Vezzola alcuni appassionati livignaschi e di Semogo tra cui la nota atleta polacca di scialpinismo Anna Tybor. Ci aspettavano già in quota, essendo partiti più avanti, da Li Arnoga. Un ripido pendio, la larga cresta ed eccoci in vetta al Monte Resaccio. Siamo a quota 2.717 metri. Il panorama a 360 gradi toglie il fiato; Cima Piazzi ci ammalia controllando ogni nostro passo dall’alto della sua bellezza e severità. In fondo, a sinistra, riconosco il Pizzo Palù, dietro l’Ortles con la sua corona di cime del bacino dei Forni.

Anna Tybor, reduce da una brillante prestazione al Tour du Rutor, mi fa da Cicerone illustrandomi il nome di valli e convalli. Livignasca d’adozione, mi dice di non poter più fare a meno di queste montagne. Il tempo di spellare e giù, verso il bianco più bianco. Versante nord: farina intonsa, sciatona. Gli Ski Trab Maestro che l’azienda bormina mi ha dato da testare per l’occasione non mi fanno rimpiangere sci più larghi. Ricamiamo un lenzuolo intonso consapevoli di essere dei privilegiati. Consapevoli di poter ancora una volta sperimentare che è vero che gli sci sono sciancrati per meglio adattarsi alla forma rotonda del mondo; per meglio consentirci d’accarezzarlo con le nostre curve. Si attraversa un universo incantato senza alcuna traccia, se non quella di qualche camoscio. Dalla Val Vezzola transitiamo in Val Trela. Procediamo ora in leggera salita sotto un sole abbacinante. È metà mattina. Le montagne si scrollano di dosso ciò che non riescono più a trattenere. Sentiamo rombo di scariche. La tigre bianca oggi è sveglia, in agguato su molti pendii, nascosta sotto il nuovo strato di neve. Ma il nostro percorso è mansueto. Giacomo lo ha scelto apposta preferendolo a quello più rischioso che transita in Val Viola e che potrebbe essere affrontato al ritorno in un ipotetico viaggio ad anello di due giorni. Saliamo pendii non impegnativi al Monte Rocca (2.814 m), classica scialpinistica della zona. Lo rimontiamo da est, non - come di consueto - da nord-ovest.

Dalla vetta si apre sotto di noi la Valle di Tre Palle. Firn e neve trasformata per una sciata da ricordare, con Giacomo che si sdoppia nel ruolo di guida e fotografo. Malghe che emergono qua e là, stalle, cavalli. Un presepe che lascia segni indelebili nell’anima dell’escursionista-viaggiatore. Attraversiamo una strada asfaltata in località Trepalle (quota 1.918) e di nuovo rimettiamo le pelli. Ora si sale verso il Monte Crapene (2.430 m). Ancora pendii dolci, neve trasformata. Qualche escursionista con le ciaspole. L’ambiente si fa meno isolato, gli impianti e le piste del carosello sciistico compaiono dall'altra parte della valle. Dalla cima del Crapene appare Livigno, giù in fondo. Dall’alto sembra davvero esteso e con il suo vestito migliore, quello tutto bianco, sembra una perla tra una conchiglia di cime.

Inanellando curve sul firn, scendiamo così fino al capolinea del nostro viaggio, firmando altri magnifici pendii con le lamine. Le nostre tracce saranno già scomparse, cancellate dal sole o dal vento. Non sarà invece cancellata l’idea di Giacomo d’ideare questo percorso che consente di collegare al ritmo delle pelli questi due paesi, Bormio e Livigno, divisi dalla cresta delle Alpi, ma uniti in una splendida cavalcata. Percorrendola noi, contrabbandieri d’emozioni, siamo andati alla ricerca del senso del viaggio con gli sci, solcando valli e salendo montagne dolci come la panna montata. Come sempre alla ricerca della curva perfetta. Come sempre trovando alla fine noi stessi.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 118 di Skialper di giugno 2018. Se vuoi acquistare l'arretrato clicca qui, se vuoi abbonarti a Skialper qui.

©Giacomo Meneghello

Contrabbandieri di emozioni

Ha ragione Giorgio Daidola, il vero scialpinista è un viaggiatore errante. Usa gli sci non solo come mezzo di trasporto, ma pure come strumento di conoscenza del mondo e di se stesso. Li utilizza per raggiungere luoghi inaccessibili attraversando deserti bianchi, come bene ci ha insegnato Michel Parmentier; per salire montagne che sono solo tappe di un percorso fuori e dentro di sé. Un percorso che, a volte, ha come obiettivo l’orizzonte, per vedere ciò che c’è dopo e ciò che c’è dentro. Non per niente sciare è un po’ come vivere: consente di lasciare una traccia che non è indelebile, ma che identifica in modo univoco chi l’ha disegnata, così vincolata come è alla sua sensibilità, alla sua capacità tecnica, all’attrezzatura utilizzata, persino allo stato d’animo e alle emozioni del momento. E le traversate - meglio di ogni altra attività scialpinistica - permettono di rendersi conto di tutto questo, seguendo le tracce di chi le ha percorse per primo ed entrando in sintonia con la sua sensibilità, pur vivendo ogni volta un’esperienza nuova; assecondando le proprie emozioni, entrando fra le pieghe delle montagne, penetrando in punta di piedi in un mondo che, seppure già percorso, come la neve, cambia a ogni ora, a ogni folata di vento.

Per vivere queste emozioni non è sempre necessario partire per più giorni da casa e andare in capo al mondo. A volte è possibile trovare ciò che si cerca anche dietro l’angolo. Io ho avuto la fortuna di condividere un breve viaggio alla portata di qualsiasi scialpinista allenato a pochi passi da casa, sulle nostre Alpi, in giornata, da Isolaccia di Valdidentro a Livigno, lungo le tracce dei contrabbandieri e dietro alle code di Giacomo Meneghello. Lui è un fotografo che vive a Sondalo e che, collaborando con la Ski Trab, ha avuto l’idea di creare un’alta via scialpinistica tra Bormio e Livigno, tracciando due percorsi. Uno, più logico e diretto, parte da Isolaccia e uno, più difficile e tortuoso, prende il via da Oga, quest’ultimo in verità già in parte sperimentato da alcuni scialpinisti locali che fanno capo sempre alla Ski Trab. Noi, a causa del rischio valanghe, abbiamo affrontato il tracciato meno pericoloso, ma anche più lineare. Ventuno chilometri per circa 1.900 metri di dislivello positivo. Un tracciato senza particolari difficoltà tecniche che, partendo dalla Valdidentro, concatena in modo logico diverse convalli esistenti tra Bormio e Livigno. Convalli in un recente passato utilizzate dai contrabbandieri per far transitare le merci dal porto franco di Livigno all’Italia. Lo abbiamo fatto il lunedì di Pasquetta in una giornata splendidamente serena dopo il maltempo della settimanaprecedente che aveva portato quasi un metro di neve fresca, ma anche numerosi accumuli da vento suipendii maggiormente esposti.

Partenza alle 6,30 da Sant’Antonio di Scianno, pochi chilometri sopra Isolaccia, nel comune di Valdidentro, a quota 1.650 metri. Lasciata l’auto in un piccolo spiazzo, abbiamo iniziato a risalire verso il Monte Resaccio dapprima facendo traccia in un rado bosco di abeti e poi su distese innevate in cui s’intuivano alpeggi semisepolti dalla neve in un universo fiabesco al risveglio. Giacomo Meneghello davanti, noi dietro. Una decina di scialpinisti in tutto per l’occasione: alcuni ragazzi di Cantù guidati da Marco Colombo di Ski Trab, il forte altoatesino Alex Kheim con la moglie parmigiana Anna e io. Si sono poi aggiunti in Val Vezzola alcuni appassionati livignaschi e di Semogo tra cui la nota atleta polacca di scialpinismo Anna Tybor. Ci aspettavano già in quota, essendo partiti più avanti, da Li Arnoga. Un ripido pendio, la larga cresta ed eccoci in vetta al Monte Resaccio. Siamo a quota 2.717 metri. Il panorama a 360 gradi toglie il fiato; Cima Piazzi ci ammalia controllando ogni nostro passo dall’alto della sua bellezza e severità. In fondo, a sinistra, riconosco il Pizzo Palù, dietro l’Ortles con la sua corona di cime del bacino dei Forni.

Anna Tybor, reduce da una brillante prestazione al Tour du Rutor, mi fa da Cicerone illustrandomi il nome di valli e convalli. Livignasca d’adozione, mi dice di non poter più fare a meno di queste montagne. Il tempo di spellare e giù, verso il bianco più bianco. Versante nord: farina intonsa, sciatona. Gli Ski Trab Maestro che l’azienda bormina mi ha dato da testare per l’occasione non mi fanno rimpiangere sci più larghi. Ricamiamo un lenzuolo intonso consapevoli di essere dei privilegiati. Consapevoli di poter ancora una volta sperimentare che è vero che gli sci sono sciancrati per meglio adattarsi alla forma rotonda del mondo; per meglio consentirci d’accarezzarlo con le nostre curve. Si attraversa un universo incantato senza alcuna traccia, se non quella di qualche camoscio. Dalla Val Vezzola transitiamo in Val Trela. Procediamo ora in leggera salita sotto un sole abbacinante. È metà mattina. Le montagne si scrollano di dosso ciò che non riescono più a trattenere. Sentiamo rombo di scariche. La tigre bianca oggi è sveglia, in agguato su molti pendii, nascosta sotto il nuovo strato di neve. Ma il nostro percorso è mansueto. Giacomo lo ha scelto apposta preferendolo a quello più rischioso che transita in Val Viola e che potrebbe essere affrontato al ritorno in un ipotetico viaggio ad anello di due giorni. Saliamo pendii non impegnativi al Monte Rocca (2.814 m), classica scialpinistica della zona. Lo rimontiamo da est, non - come di consueto - da nord-ovest.

Dalla vetta si apre sotto di noi la Valle di Tre Palle. Firn e neve trasformata per una sciata da ricordare, con Giacomo che si sdoppia nel ruolo di guida e fotografo. Malghe che emergono qua e là, stalle, cavalli. Un presepe che lascia segni indelebili nell’anima dell’escursionista-viaggiatore. Attraversiamo una strada asfaltata in località Trepalle (quota 1.918) e di nuovo rimettiamo le pelli. Ora si sale verso il Monte Crapene (2.430 m). Ancora pendii dolci, neve trasformata. Qualche escursionista con le ciaspole. L’ambiente si fa meno isolato, gli impianti e le piste del carosello sciistico compaiono dall'altra parte della valle. Dalla cima del Crapene appare Livigno, giù in fondo. Dall’alto sembra davvero esteso e con il suo vestito migliore, quello tutto bianco, sembra una perla tra una conchiglia di cime.

Inanellando curve sul firn, scendiamo così fino al capolinea del nostro viaggio, firmando altri magnifici pendii con le lamine. Le nostre tracce saranno già scomparse, cancellate dal sole o dal vento. Non sarà invece cancellata l’idea di Giacomo d’ideare questo percorso che consente di collegare al ritmo delle pelli questi due paesi, Bormio e Livigno, divisi dalla cresta delle Alpi, ma uniti in una splendida cavalcata. Percorrendola noi, contrabbandieri d’emozioni, siamo andati alla ricerca del senso del viaggio con gli sci, solcando valli e salendo montagne dolci come la panna montata. Come sempre alla ricerca della curva perfetta. Come sempre trovando alla fine noi stessi.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 118 di Skialper di giugno 2018. Se vuoi acquistare l'arretrato clicca qui, se vuoi abbonarti a Skialper qui.

©Giacomo Meneghello

In Val Seriana l’italiano di VK

Domenica 30 settembre in alta Val Seriana, a Valgoglio, con partenza dalla Centrale di Aviasco, si terrà lo spettacolare ‘This Is Vertical Race’, valevole per il campionato italiano FISKY. Si tratta di una manifestazione particolarmente attesa su un percorso che è di certo uno dei più verticali del mondo, con i suoi 1000 metri di dislivello per uno sviluppo di 1,8 km. Gli atleti, partiti a 30 secondi l’uno dall’altro, - il primo alle 9 - supereranno dapprima ripide scalinate naturali nel bosco per poi affrontare vertiginosi prati sino a raggiungere località Cazzat. Un vertical così ripido che i partecipanti potranno essere ammessi alla partenza solo se dotati di casco da alpinismo, skialp o bicicletta. Si segnala che per i non iscritti Fisky vi è la possibilità di un tesseramento giornaliero. Seguirà un simpatico appuntamento gastronomico. E’ prevista la possibilità di affidare gli indumenti da elitrasportare all’arrivo. Info su www.sciclubgromo.it.


Domenica trail e skyrace delle Pietre nel Piacentino

Domenica a Travo, in provincia di Piacenza, con partenza alle ore 9, si terranno gli attesi trail e skyrace delle Pietre; due manifestazioni organizzate da Piacenza Sport che faranno transitare gli atleti rispettivamente attorno (il trail) ed in vetta (la skyrace) della Pietra Parcellara, nota anche come il ‘Cervino della Valtrebbia’.
Le gare di 21 e 23 km con, circa 1000 metri di dislivello positivo consentiranno agli atleti di conoscere un angolo dell’Appennino particolarmente apprezzato dal punto di vista paesaggistico e storico essendo all’interno di un parco naturale che presenta i due massicci ofiolitici più occidentali d’Europa, la Pietra Parcellara (sacra agli antichi Celti), appunto, e la vicina Pietra Perduca, con la caratteristica chiesetta. Dopo la partenza i concorrenti transiteranno a Caverzago, località conosciuta per la presenza sotterra di un antico tempio della Dea Minerva, noto in tutta la Romanità. Attraverso tratturi saliranno sino a correre tra le due montagne in un paesaggio molto particolare dal punto di vista ambientale, che ricorda la Cappadocia.
Gli skyrunner (la manifestazione è inserita nel calendario Fisky) punteranno, poi, alla delicata cresta della Pietra Parcellara e saliranno fino alla vetta dopo aver indossato il casco; i trailrunner si limiteranno a circumnavigarla per poi scendere, entrambi, dopo alcune risalite e rispettive discese, in picchiata, fino al traguardo lungo sentieri e tratturi completamente corribili.
In relazione alla skyrace si precisa che è la prima volta che nel Piacentino viene organizzata una gara che presenta passaggi in cresta particolarmente audaci e degni di essere ritenuti a pieno titolo di skyrunning.
Per iscrizioni ed info piacenzasport.


Sabato ad Alagna la ‘gara del secolo’

Sabato ad Alagna si terrà ‘the race of the century’, la gara del secolo. I corridori del cielo dopo 25 anni tornano in vetta al Monte Rosa correndo no stop da valle alla cima, da Alagna – appunto – a Capanna Margherita. Da quota 1192 a quota 4554 in diciassette km e mezzo di salita ai confini delle possibilità umane ed altrettanti di discesa. Trentacinque chilometri in complessivo, dunque, da compiersi in un tempo massimo di 9 ore superando un dislivello totale di 7000 metri, su sentiero, su morena, e su ghiacciaio, legati in cordata con il proprio compagno nel tratto finale.
Per la gara più alta d’Europa - la più dura al mondo del genere - ad Alagna è dunque atteso il ‘gotha’ dello skyrunning mondiale (anche Kilian in copia con Emelie Forsberg) per la ripresa di una competizione mitica, che si riaffaccia al panorama internazionale sotto la regia di Manuel Gambarini e Marino Giacometti, presidente dell’International Skyrunning Federation. E sarà l’occasione di vedere anche come le moderne ‘formula uno’ dell’alta quota si sapranno misurare con il record ancora imbattuto stabilito il 4 luglio del 1993 dal campionissimo Fabio Meraldi, the legend, (presente anche quest’anno ad Alagna come testimonial) che fece ritorno a valle con lo stratosferico tempo di 4h24’27’’.
Il percorso di gara non è diverso quello originale del 1993: partenza da Alagna alle 6 del mattino, salita a Punta Indren (2.396 metri) passando alla Bocchetta delle Pisse (2396 m), Rifugio Gnifetti (3.647 m) da cui, in cordata, ramponcini ai piedi, gli skyrunner avanzeranno fino al Colle del Lys (4250 m) per arrivare a Capanna Margherita (4.554 m) posta su una delle cime principali del Monte Rosa. Dal rifugio più alto d’Europa, poi, giù ‘come non ci fosse un domani’ fino ad Alagna, correndo su ponti di neve, crepacci, pietraie, prati e sentieri. La società che gestisce gli impianti consentirà d’accedere in quota con corse ad orari anticipati. Apripista della gara (con gli sci ai piedi) una coppia dei nostri collaboratori: Flavio Saltarelli e Omar Oprandi.


LIVE - Mountain Attack, le speranze azzurre

Come sono le piste di Saalbach? Flavio Saltarelli lo ha chiesto a Fabio Meraldi che in mattinata è andato a sciare nella stazione austriaca. Ormai manca poco al via: se Miky Boscacci è un po’ il favorito numero uno, nella gara rosa l’Italia punta forte su Katia Tomatis, già sul podio lo scorso anno.


LIVE - Mountain Attack, ci siamo

Ci siamo. Oggi è il giorno della Mountain Attack. Ventesima edizione della gara di Saalbach e solite emozioni: il muro dello Schattberg, i 3.008 metri di dislivello positivo, il calore del pubblico, la birra finale. C’è il sole in Austria, temperatura fredda sotto lo zero, ma nessun sbalzo termico, così neve bella compatta, ma non ghiacciata. Partenza alle 16, poi la bagarre che si potrà vedere live direttamente sul sito mountain-attack.at o sulla pagina Facebook della Mountain Attack. A poche ore del via allora le parole del ‘grancapo’ Roland Kurz con il 'nostro' Flavio Saltarelli.


This Is Vertical Race...

A Valgoglio il VK piu' ripido dell’anno

Domenica 8 ottobre a Valgoglio, con partenza dalla Centrale di Aviasco, si terrà lo spettacolare ‘This Is Vertical Race’, quello che in questa stagione sarà il vertical kilometer più ripido del panorama nazionale di specialità; forse anche il più verticale del mondo, con i suoi 1000 metri di dislivello per uno sviluppo di 1,8 km. Gli atleti, partiti a 30 secondi l’uno dall’altro, supereranno vertiginosi prati sino a raggiungere località Cazzat. Un vertical così ripido che i partecipanti potranno essere ammessi alla partenza solo se dotati di casco da alpinismo, skialp o bicicletta.

ISCRIZIONI – La quota di iscrizione è di 15 euro (20 il giorno della gara), quota che comprende altresì il pranzo al Ristoro 5 Laghi (dalle ore 12). Seguirà una simpatica castagnata. E’ prevista la possibilità di affidare gli indumenti da elitrasportare all’arrivo; l’elicottero farà anche da navetta per gli spettatori, su richiesta, con partenza da Valgoglio dalle 7.30. Info su www.sciclubgromo.it.


Marti Werner e Emelie Forsberg, il vertical e' vostro

Seconda tappa della Coppa del mondo ad Andorra

Marti Werner ed Emelie Forsberg sono i due vincitori del vertical della prima tappa di Coppa del Mondo ad Andorra. Sorride comunque l’Italia nellle categorie giovanili con Davide Magnini e Giulia Murada che dopo l'individuale di sabato tornano sul gradino più alto del podio anche del vertical junior. Anche tra le Espoir femminile torna a suonare l'inno di Mameli grazie ad una super prova di Alba De Silvestro.
Nei senior grande bagarre iniziale con Michele Boscacci a tirare il gruppo, intorno a metà gara è Kilian a provare un'accelerata ma Marti Werner non ha mollato un centimetro e sull'ultima salita ha preso la testa della corsa. Successo per lo svizzero davanti a Kilian Jornet e ad un ritrovato Rémi Bonnet (primo Espoir) . Quarto Damiano Lenzi, quinto Anton Palzer, sesto Robert Antonioli.
Al femminile dopo un tentativo di fuga, Laura Orguè si è dovuta arrendere ad un grandissimo ritorno di Emelie Forsberg, rientrata al 100% dopo l'infortunio patito l'anno scorso. La svedese, staccata nelle battute iniziali ha saputo mettere in atto una super rimonta andando a prendersi il gradino più alto del podio. Seconda la francese Axelle Mollaret, terza la spagnola Laura Orgué. Sesta Katia Tomatis.


Coppa del Mondo, rammarico Lenzi

Ma una bella Italia nell'individuale di Coppa del Mondo

Ad Andorra è andata di scena la gara individuale che apre la Coppa del Mondo ISMF: un percorso tosto e tecnico con quattro salite, altrettante discese, canali risaliti con i ramponi, tratti in cresta e discese su ripidi canaloni.
È stato proprio un rampone a tradire il nazionale Damiano Lenzi: proprio mentre era in bagarre con il tedesco Toni Palzer, l'azzurro ne ha rotto uno e pur avendo tagliato il traguardo per primo è stato penalizzato di un minuto, perdendo una posizione a vantaggio proprio del tedesco.
Grande rammarico per Lenzi che ha così commentato: «La federazione francese (che ha fatto ricorso) dovrebbe avere maggiore sportività; Palzer mi ha fatto i complimenti al traguardo è ha confermato che la mia vittoria era meritata, i francesi hanno voluto intromettersi, peccato perché era la prima di coppa ed ero super soddisfatto della mia gara».
Terza piazza per il francese Xavier Gachet davanti a Matteo Eydallin e Kilian Jornet.
Al femminile successo annunciato per Laetitia Roux davanti alla connazionale Axelle Mollaret e ad Emelie Forsberg.
Tra i giovani affermazioni per le due italiane Giulia Murada (su Mara Martini e Florence Buchs) tra le Junior e Alba De Silvestro (davanti ad Adele Milloz e Elisa Gayet) tra le Espoir.
Anche Davide Magnini sale sul gradino più alto del podio per la sua categoria, mettendo dietro Thibault Anselmet e un grandissimo Enrico Loss. Ancora Italia per la categoria Espoir con Federico Nicolini che sale sul terzo gradino alle spalle dello spagnolo Coll Orion Cardona e allo svizzero Remi Bonnet.
E domani ci sarà la contro-sfida con le gare sprint.


La coppa di cristallo a Miky Boscacci e Laetitia Roux

La premiazione della overall 2016 prima delle gare di Andorra

La Coppa del Mondo ISMF 2017 è in rampa di lancio, ma prima è tempo di festeggiare i vincitori della overall dell’ultima stagione con la consegna della coppa di cristallo a Michele Boscacci e Laetitia Roux: sul podio maschile sono saliti anche Robert Antonioli e Anton Palzer, su quello rosa Claudia Galicia Cotrina e Jennifer Fiechter.
Sabato alle 9.30 si parte con la prima individuale: 1.570 metri di dislivello, quattro salite e altrettante discese, 2.200 metri la quota di partenza e di arrivo ad Ordino/Arcalis, questi i numeri del percorso Senior maschile, mentre al femminile, le ragazze dovranno affrontare un dislivello complessivo di 1.395 metri sempre con quattro salite ed altrettante discese.