Pierra Menta, tappa e generale a Blanc-Favre

Con 5.200 metri di dislivello accumulato nelle gambe, oggi tappa più umana alla Pierra Menta (2030 m D +) ma abbastanza tecnica a causa della neve molto pesante caduta in abbondanza quella notte (da 40 a 60 cm) sul percorso di riserva. Tra gli uomini, i francesi Didier Blanc e Valentin Favre hanno vinto in 2h10’53’’ e sono ora primi in classifica, con 2 minuti e 28 secondi su Filippo Barazzuol e William Boffelli. Martin Stofner e Alex Oberbacher sono terzi assoluti, a 19 minuti dal primo posto. Tra le donne vittoria di Laetitia Roux e Séverine Pont Combe in 2h44’54’’, che precedeno di quasi 30 minuti Martina Valmassoi ed Elena Nicolini nella generale, oggi seconde a circa 8’. Terzi nella classifica di tappa i francesi Léo Rochaix e Aurélien Dunand-Pallaz, tra le donne la slovacca Marianna Jagerichova e la francese Valentine Favre, terze anche nella generale.


«Hanno vinto i più forti, però…»

Le parole di Michele Boscacci al microfono dello speaker sono piuttosto chiare. «Hanno vinto i più forti, noi, però siamo uomini di montagna, atleti abituati e preparati a gareggiare anche in condizioni meteo difficili. Non voglio fare polemiche, la gara ha comunque rispettato i valori, non avremmo vinto comunque, ma assegnare una medaglia d’oro ai Mondiali in una gara così non è un bel biglietto da visita per il nostro movimento».
In effetti, una gara a squadre ai Mondali da 980 metri di dislivello, conclusa in poco più di cinquanta minuti, una sola discesa (la seconda era poco più che un traverso a bordo pista) non è stato uno spettacolo così emozionante. D’accordo, stamattina c'era vento fortissimo in quota, gli organizzatori non se le sono sentita di mandare in quota gli atleti per ragioni di sicurezza, ma un piano B più efficace? Oppure fare un cambio di programma anticipando le staffette? Almeno quel giretto finale con salita, cambio e discesa perché non ripeterlo due o tre volte per movimentare un po’ la gara, renderla un minimo più tecnica, fare un briciolo di più di dislivello in salita e in discesa? Qualche atleta alla fine ci ha detto che è stata una farsa, altri, i francesi soprattutto, non volevano partire o comunque volevano partire e fermarsi per esprimere il loro disappunto per un tracciato del genere. Ora anche noi non vogliamo fare polemica o dare delle colpe, ma l’organizzazione deve migliorare, anche perché qui il prossimo anno si assegneranno le medaglie olimpiche giovanili, la prime, storiche per lo ski-alp. E servono gare vere e spettacolari altrimenti ai Giochi Olimpici dei ‘grandi’ si rischia di non andare.


Mondiali, tre medaglie azzurre ai Mondiali

Una giornata lunga, quella della team race ai Mondiali di Villars. La gara doveva partire alle 10.30, poi la decisione di posticiparla alle 13. Percorso facile, neanche mille metri di dislivello, quasi tutto in salita con una sola discesa al Col de Bretaye. Partenza a piedi in paese, si viaggia a bordo pista sino all’arrivo del trenino, poi un ‘giro’ con salita e discesina finale (qualcosa come 300 metri). Su un tracciato così Rémi Bonnet e Werner Marti sono i favoriti numero uno: passano per primi al colle, gestiscono il vantaggio e si mettono al collo l’oro. Lotta per le altre medaglie con tre squadre appaiate al colle: nel finale, spunto vincente per l’argento di Michele Boscacci e Robert Antonioli, con bronzo per Matteo Eydallin e Nadir Maguet. Quarti Samuel Equy e Alexis Sévennec, quinti Federico Nicolini e Davide Magnini che nel finale passano i norvegesi Lars Erik Skjervheim e Vegard Øie.

Matteo Eydallin e Nadir Maguet

Nella gara rosa successo di Lorna Bonnel e Axelle Gachet Mollaret che salgono forte e poi chiudono con un minuto di vantaggio su Alba De Silvestro e Giulia Murada, bravissime a mettersi alle spalle le atlete di casa Jennifer Fiechter e Marianne Fatton.

Alba De Silvestro e Giulia Murada

Pierra Menta, Barazzuol-Boffelli balzano al comando

Seconda giornata di gara alla Pierra Menta: condizioni invernali e tanta neve fresca per una tappa di ben 2700 metri di dislivello. Con il tradizionale passaggio a piedi nel cuore di Arêches. Vittoria di giornata per Yoann Sert e Filippo Beccari in 3h33’54”, davanti a Filippo Barazzuol e William Boffelli, staccati di 1’53” che prendono la testa della generale con soli 17 secondi su Didier Blanc e Valentin Favre, oggi terzi con un margine di 30 secondi dagli azzurri. Stesso copione del primo giorno nella gara rosa con il successo di Laetitia Roux e Séverine Pont Combe su Martina Valmassoi ed Elena Nicolini. Terza piazza per l’austriaca Veronika Mayerhofer e la norvegese Malene Blikken-Haukoy.


Robert Antonioli in stato di grazia: ancora a medaglia, argento nel vertical

Tempo di vertical ai Mondiali di Villar. Con un Robert Antonioli in stato di grazia. Già nei vertical di Coppa del Mondo, pensiamo a quello di Andorra, aveva dimostrato di avere un grande motore nella sola salita, e lo ha confermato nella rassegna iridata. Un’altra medaglia a questi Mondiali, argento alle spalle di uno specialista come Werner Marti, e mettendosi dietro un altro che in salita va forte, come Rémi Bonnet. Ci ha provato anche Michele Boscacci, quarto a solo venti secondi dal terzo gradino del podio. Decimo Davide Magnini, argento Espoir, con Henry Aymonod bronzo Espoir.

Giulia Compagnoni ©ISMF

Nella gara rosa a segno la specialista della corsa in montagna l’austriaca Andrea Mayr che chiude davanti a Axelle Gachet Mollaret e Victoria Kreuzer. Ottava Alba De Silvestro. Giulia Murada è decima ed è ancora la migliore delle Espoir, con terza Espoir una ritrovata Giulia Compagnoni. A livello giovanile successo della fortissima russa Ekaterina Osichkina tra le Junior, tre vittorie per la Svizzera che si sta dimostrando molto forte a livello giovanile, con Robin Bussard e Caroline Ulrich tra i Cadetti e con Aurélien Gay tra gli Junior. Ma proprio dagli Junior arrivano le due medaglie azzurre con Daniele Corazza, secondo e Sebastien Guichardaz, terzo.


Pierra Menta, grande equilibrio nella prima tappa

Prima tappa della Pierra Menta: percorso di riserva, vista la neve caduta nella notte, ma comunque con un dislivello di 2460 metri. Primi su traguardo, Didier Blanc e Valentin Favre in 2h45’13”, ma con un vantaggio di soli 13 secondi su Filippo Barazzuol e William Boffelli. Terza piazza di giornata per Pietro Lanfranchi e Guido Giacomelli, con un distacco di sei minuti.
Al femminile da copione primo posto per Laetitia Roux e Séverine Pont Combe in 3h28’45” con un margine di oltre sei minuti su Martina Valmassoi e Elena Nicolilini. Terza Marianna Jagercikova e Valentine Favre ad oltre 11 minuti.

©J.Chavy

Rosa Ski Raid, percorso confermato

Tutto confermato alla Rosa Ski Raid in programma domenica a Macugnaga. «Grazie alle ultime nevicate - spiega il direttore di gara Aldo De Gaudenzi - siamo in grado di allestire il tracciato originale, sino alla sommità del colletto del Pizzo Bianco e la lunga discesa finale, con tanto di arrivo sci ai piedi sino al paese». Le iscrizioni sono aperte sino alle 16 di sabato. «Siamo andati a Mondiali - conclude il presidente del Fans Club Damiano Lenzi - e molti nazionali ci hanno confermato la presenza alla nostra gara visto che resteranno in zona anche dopo la chiusura della rassegna iridata in vista della prossima tappa di Coppa del Mondo che sarà ancora in Svizzera».


Robert Antonioli campione del mondo nell'individual. Oro Espoir per Davide Magnini e Giulia Murada

L’Italia fa il botto nell’individuale dei Mondiali in Svizzera. Il nuovo campione del mondo è Robert Antonioli che chiude davanti a Michele Boscacci con un vantaggio di 45 secondi. Bronzo per il francese Xavier Gachet. Poi ancora Italia con il quarto posto per Maguet Nadir e il sesto di Davide Magnini che si mette al collo l’oro Espoir.
Nella gara rosa successo per la francese Axelle Gachet Mollaret e argento per Alba De Silvestro. Terza piazza per la francese Lorna Bonnel, quindi la spagnola Claudia Galicia Cotrina e la svedese Åström. Nona Giulia Murada, oro nelle Under 23, quindicesima Mara Martini, bronzo Espoir.

©Facebook ISMF World Cup Ski Mountaineering

GIOVANI - Tra gli Junior doppietta azzurra con oro per Giovanni Rossi e argento per Sebastien Guichardaz; nella gara rosa argento per Samantha Bertolina alle spalle della russa Ekaterina Osichkina. Nelle Cadetti bronzo per Rocco Baldini, terzo dopo gli svizzeri Thomas e Robin Bussard.


Benedikt Böhm, Speed Transalp da record

Una transalp superlativa: Benedikt ‘Beni’ Böhm, atleta di sport endurance di montagna e brand manager del marchio Dynafit, abbatte i limiti del tempo con la sua ‘Speed Transalp - non stop’. Il 9 e 10 marzo Böhm ha attraversato le Alpi da nord a sud con gli sci da scialpinismo in sole 28 ore e 45 minuti, senza sosta. Per raggiungere Casere, in provincia di Bolzano, da Ruhpolding, in Germania, un atleta allenato impiega normalmente dai tre ai sei giorni. Il 41enne Böhm ha completato il percorso, 210 chilometri e 10.500 metri di dislivello, riuscendo a rimanere ben al di sotto del limite di 36 ore che si era prefissato.

©Dynafit

Benedikt Böhm aveva già attraversato le Alpi nel 2006, insieme a cinque compagni d’avventura nel tempo record di due giorni e mezzo, questa volta si è riproposto di affrontare senza sosta il percorso e di dedicare l’impresa a una buona causa. Il progetto ‘Speed Transalp - non stop’ è partito il 9 marzo alle sei del mattino da Ruhpolding, in Germania. Böhm ha raggiunto Casere in otto tappe. A Seegatterl, Lofer, Hochfilzen, Hinterglemm, Jochberg, Neukirchen e Krimml erano collocati dei punti ristoro, con la possibilità di riscaldarsi e cambiarsi. Per garantire una marcia più spedita, un gruppo di sei atleti nei giorni precedenti aveva marcato l’intero percorso. Due esperte guide alpine hanno affiancato Böhm durante tutto il tragitto per occuparsi della sua sicurezza ed essere pronti a intervenire in caso di emergenza, ma non è stato necessario. Böhm ha raggiunto il paesino montano di Casere il 10 marzo alle 10.45, esausto e allo stremo delle forze, ma al settimo cielo. Per percorrere i 210 km e 10.500 metri di dislivello ha impiegato esattamente 28 ore e 45 minuti.

©Dynafit

«La Speed Transalp è stata un’esperienza indescrivibile per me. Sono stremato, mi fanno male le gambe e il mio corpo ha esaurito completamente le energie. Non vedo l’ora di mettermi a letto ma allo stesso tempo sono al colmo della felicità per essere riuscito nell’impresa - così Benedikt Böhm commenta la Speed Transalp - Un immenso ringraziamento al team per avermi supportato e aver battuto traccia sul percorso. Senza di voi non sarebbe stato possibile. Grazie anche a tutti quelli che hanno seguito questa avventura e mi hanno sostenuto. Sono molto lieto di aver dato con questo progetto sportivo un contributo per una buona causa, raggiungendo una consistente somma da devolvere all&’associazione Albert Schweitzer».
Per sostenere il progetto del proprio manager, Dynafit, ha pensato a una promozione speciale. Dal 4 al 10 marzo era possibile acquistare la famosa fascia Performance Dry Slim di Dynafit al prezzo speciale di 10 euro, e tutto il ricavato sarebbe stato devoluto all’associazione ‘Albert Schweitzer’. Benedikt Böhm, padre di tre bambini, aveva promesso di raddoppiare personalmente la somma se avesse completato la Speed Transalp in meno di 36 ore. Con la vendita della fascia e il contributo di Böhm sono stati raccolti 13.000 euro, che saranno interamente donati all’associazione ‘Albert Schweitzer’.


Partiti i Mondiali in Svizzera: nella sprint un solo oro per l'Italia

Prima giornata di gare ai Mondiali svizzeri di Villars. Con una sola medaglia d’oro per i colori azzurri. Fa festa la Svizzera con il titolo di Arno Lietha (primo anche tra gli Espoir) davanti all’altro elvetico Iwan Arnold, con bronzo per Robert Antonioli, quarto lo spagnolo Oriol Cardona Coll, quinto e argento Espoir per il norvegese Hans-Inge Klette, sesto e bronzo Espoir per Nicolò Canclini. Il tutto al termine di una finale tiratissima, con tanta gente a seguirla, nonostante il maltempo. Nella gara rosa sigillo della spagnola Claudia Galicia Cotrina, davanti alla slovacca Marianna Jagercikova, con terza Déborah Chiarello, quarta la spagnola Marta Garcia Farres, quinta la prima Espoir la francese Lena Bonnel, sesta la svizzera Marianne Fatton.

©Facebook ISMF World Cup Ski Mountaineering

L’oro per l’Italia arriva nella categoria Junior con il successo di Giovanni Rossi che chiude davanti allo svizzero Aurélien Gay e al francese Lucas Bertolini. Al femminile titolo per la russa Ekaterina Osichkina, davanti alla francese Justine Tonso, con bronzo per Samantha Bertolina. Tra i Cadetti arriva la doppietta svizzera con Robin Bussard, primo sullo spagnolo Martinez Ferrer e bronzo per Luca Tomasoni, quarto Rocco Baldini, e con Caroline Ulrich che chiude davanti a Silvia Berra e alla francese Margot Ravinel.


Sabato si aprono i Mondiali in Svizzera. Ecco gli azzurri in gara

Anche per lo ski-alp è tempo di medaglie iridate: sabato a Villars-sur-Ollon ci sarà la cerimonia d’apertura del campionati del mondo. Una rassegna forse più importante del solito quella svizzera di quest’anno, visto che sugli stessi tracciati il prossimo anno ci sarà il debutto dello sci alpinismo ai Giochi Olimpici, quelli giovanili di Losanna 2020.
Sabato la cerimonia d'apertura, domenica subito la prima gara, sprint con partenza alle 9, si prosegue lunedì con l’individuale giovani, martedì è tempo dell’individuale assoluta, mercoledì pomeriggio (con start alle 16) il vertical. Giovedì giornata di riposo, venerdì la team race, sabato spazio alle staffette.

ITALIA - 28 gli atleti azzurri in gara: a livello senior al via Robert Antonioli, Michele Boscacci, Matteo Eydallin, Damiano Lenzi, Nadir Maguet e Federico Nicolini e la sola Alba De Silvestro. A livello Espoir Henri Aymonod, Nicolò Canclini, Davide Magnini, Giulia Compagnoni, Mara Martini, Giulia Murada e Ilaria Veronese. Nel team Junior Daniele Corazza, Fabien e Sebastien Guichardaz, Giovanni Rossi, Samantha Bertolina e Valeria Pasquazzo, in quello Cadetti Rocco Baldini, Riccardo Boscacci, Simone Murada, Marco Salvadori, Luca Tomasoni, Silvia Berra, Noemi Gianola e Nicole Valli.


Sulle tracce di Coomba

Considerato tra i pionieri dello sci ripido d’oltreoceano, Doug Coombs ha lasciato un’eredità che va ben oltre le prime discese, l’audacia delle linee scelte, la ricerca dell’adrenalina, i molti trionfi (ha anche vinto il primo Campionato del Mondo di Sci Ripido a Valdez, in Alaska, nel 1991). Tra le pagine del libro Sulle tracce di Coomba colpisce il suo aspetto umano, l’energia contagiosa, l’amore per lo sci e per la famiglia, il suo infaticabile lavoro di Guida. «Non faccio niente di impossibile. Rendo possibile quello che gli altri pensano non lo sia» amava ripetere. Una giornata passata con lui ti poteva cambiare la vita, il suo interesse era farti migliorare, vivere al meglio ogni esperienza e, soprattutto, farti divertire. Un visionario, un personaggio che ha fatto scuola a Jackson Hole e ha plasmato il concetto di sci ripido ed heliski in Alaska, portando poi il suo gusto per la vita a La Grave, dove perì tragicamente il 3 aprile 2006, cercando di aiutare l'amico Chad VanderHam. A La Grave, dove la montagna è sempre pronta a farti capire chi comanda, trovò amici sinceri e un ambiente autentico.

Sulle tracce di Coomba, il libro che fa parte della collana Lamine di Mulatero Editore, scritto da Robert Cocuzzo, va alla scoperta di una figura leggendaria, un sognatore che ha fatto della sua umanità e della sua passione sfrenata per lo sci uno stile di vita. Abbiamo intervistato l'autore.

Non hai mai conosciuto Doug Coombs, eppure sei riuscito a completare una biografia molto ricca e completa, dove traspaiono tutte le sue emozioni e il personaggio di Doug si apprezza nella sua interezza. Che cosa ha attirato la tua attenzione alla vita di Doug Coombs fino a spingerti a scrivere un libro su di lui?

«Prima di tutto mi sembrava una sorta di eroe ideale. Ero cresciuto guardando i suoi video che lo ritraevano sfrecciare nella neve soffice lungo discese mozzafiato: mi sembrava una storia degna di essere narrata. Ma solo quando ho saputo che avevamo varie cose in comune - crescere nella stessa zona e nello stesso ambiente, effettuare le prime discese sulla medesima collina, Nashoba Valley nel Massachusetts – ho capito che potevo essere io l’autore di quel libro. Si può dire che sia stata la sua storia a trovare me in un momento in cui ero pronto a scriverla».

C’era una sorta di connessione tra i vostri mondi?

«Io sciavo all’incirca due settimane all’anno e ogni tanto calzavo gli sci per andare nelle vicinanze: i nostri mondi non erano di certo gli stessi. Ero comunque curioso di capire le circostanze che diedero il via alla sua carriera, le motivazioni dietro al suo personaggio. Ho cercato così di ricalcare i suoi passi, chiedendomi dove sarei potuto arrivare, e questo mi ha dato la motivazione per scrivere un libro».

Per chi l’hai scritto? Per te stesso o per gli altri?

«Scrivere un libro è un viaggio che ti porta alla scoperta di emozioni anche nascoste. Mi sono reso conto ben presto, però, che il mio lavoro era per David Coombs, il figlio di Doug, che aveva due anni quando il padre è morto. Le persone si rivolgevano sempre a David con parole di elogio ed entusiasmo nei confronti del padre, ma lui non poteva capire a fondo, non poteva avere ricordi tangibili. Con questo libro ho cercato di delineare la figura di Doug mettendo in luce tutte le sue sfaccettature».

Perché hai voluto seguire le orme di Doug al punto di recarti nei posti dove aveva vissuto?

«Nel tentativo di ricreare il personaggio di Doug, ho capito che conversazioni telefoniche o messaggi scambiati con chi l’aveva conosciuto non potevano essere abbastanza per capire a fondo la sua personalità. Dovevo mettermi nei suoi panni, sciare le sue linee, assaporare l’atmosfera che aveva vissuto e conoscere le persone che avevano condiviso il suo cammino».

E tu? Che ruolo hai nel libro?

«Beh, all’inizio non volevo includere tutte le parti che mi riguardano, perché non mi sembravano appropriate; in seguito ho capito che seguendo la sua storia sono riuscito a creare una sorta di testamento dell’impatto che ha avuto sullo sport, sulle persone incontrate, dando ai lettori la possibilità di entrare a far parte del suo mondo e apprezzarlo di più. Aggiungere le mie impressioni avrebbe fornito un mezzo per identificarsi ancora di più con il personaggio».

Sei molto onesto con le tue emozioni, rivelando paure, ansie, gioie. Avevi qualche timore sulla reazione dei lettori nei tuoi confronti?

«Sì, molti. Non tanto dei sentimenti di paura o delusione che avevo messo a nudo, o del mostrare che in certe occasioni ero decisamente fuori forma: più che altro non volevo dare l’impressione di essere come i grandi sciatori di cui si parlava nel libro, né di far parte di questa vicenda quasi eroica. In fondo, ero solamente lì per raccontare una storia. Temevo anche la reazione della famiglia di Doug, in particolare di sua moglie Emily: avrebbero potuto chiedermi il perché della mia presenza nel libro. Alla fine, cosa c’entravo io con la vita di Doug Coombs? Non l’avevo nemmeno mai incontrato».

La famiglia invece lo ha giudicato molto interessante.

«Sì. Quando il libro è stato pubblicato, si era già creato un buon rapporto tra la famiglia di Doug e me, e a loro è piaciuto molto il mio modo di raccontare la storia, creando un parallelo tra me e Doug, dando un’altra chiave di lettura del grande personaggio che aveva riempito le loro vite».

Nel tentativo di ricalcare i passi di Doug, sei andato dappertutto, prima a Jackson Hole, poi a Valdez in Alaska e infine a La Grave. Ti sei mai trovato a un punto morto? Che cosa ti spingeva ad andare avanti in questo progetto nei momenti di sconforto?

«Scrivere un libro può incutere timore ed essere scoraggiante. Durante i tre anni che mi sono serviti per completare il progetto, c’è stato un momento in cui non avevo un editore, avevo già investito tempo e denaro in quest’idea e non mi sembrava di arrivare a nessuna conclusione. Sarei dovuto ancora andare in Alaska e poi in Francia e tutta questa strada da percorrere mi spaventava non poco. Uno scrittore ha sempre momenti di dubbio o incertezza e io ne ho avuti non pochi; continuavo a dubitare del fatto che quello che stavo scrivendo valesse veramente qualcosa».

Ci sono stati anche momenti oscuri, quando è stato complicato trovare informazioni utili?

«Sì, ad esempio le circostanze della sua morte. Mi sono ritrovato a parlare con persone che non volevano assolutamente rivivere momenti così tragici. Guadagnarsi la fiducia di individui che ti hanno appena incontrato, riuscire a farli parlare di eventi che li hanno segnati così profondamente, non è stato per niente facile».

Sei tornato nei luoghi che avevi frequentato durante il progetto del libro?

«Non sono tornato a Valdez e nemmeno a La Grave. C’era questa idea di andare a La Grave per l’anniversario della morte di Doug, cosa che poi non è successa. La Grave sarà sempre un luogo molto importante nella mia vita per l'ospitalità ricevuta, l’umanità delle persone, le sensazioni provate. Avrei quasi paura a tornarci e rovinare quella che è stata un’esperienza davvero speciale. C’era anche l’idea di creare un documentario sul libro e sarei dovuto tornare a La Grave per ripetere gli eventi descritti, ma poi non se n’è fatto niente e so che le sensazioni non avrebbero potuto essere le stesse. La magia, l’energia di Valdez e La Grave sono state tali che non mi viene nemmeno voglia di ritornarci. Si tratta anche di luoghi molti pericolosi e avrei paura a sciare di nuovo quelle linee».

In termini di attrezzatura e di approccio degli sciatori, che differenze hai notato tra gli Stati Uniti e l’Europa?

«Per quanto riguarda l’attrezzatura, a Jackson Hole, ad esempio, non vedresti mai nessuno sciare con un imbrago, chiodi da ghiaccio o una corda nello zaino, cosa invece molto frequente, direi essenziale, a La Grave. La cultura europea in luoghi come La Grave è molto meno incentrata sull’ego del singolo sciatore. A Jackson Hole il testosterone si tocca quasi con mano, c’è sempre una sorta di gara per dimostrare chi è il miglior sciatore; a La Grave sono tutti ottimi sciatori, non ci sono competizioni, tutti conoscono i propri livelli e lasciano che la sciata parli per loro. Certo, entrare a far parte delle cerchie ristrette di La Grave, guadagnare la loro fiducia e integrarsi non è stato molto semplice. Direi comunque che in Europa c’è uno spirito particolare che non trovi negli Stati Uniti».

È stato questo uno dei motivi che spinse Doug a trasferirsi lì?

«Sì, credo proprio di sì. Doug era un personaggio molto noto a Jackson Hole, mentre a La Grave poteva essere se stesso e godersi una vita molto più autentica. Lì lo sci è allo stato puro, non ci sono pisteur, corde, segnali o indicazioni che delimitano una zona di pericolo. Sta a te giudicare se una linea è in condizione e se è possibile sciarla».

L’aspetto umano traspare molto chiaramente nel libro, andando ben oltre gli exploit di sci ripido ed estremo e creando un interesse per la persona di Doug, non solo per il favoloso sciatore. Un’umanità che traspare nelle circostanze dalla sua morte, nel fatto che, come guida, era interessato a darti una bella esperienza, non solo a portare i clienti in giro e guadagnarsi da vivere.

«La magia nella vita di Doug non riguardava solo il suo essere uno sciatore fenomenale. Aveva un’energia contagiosa, un ottimismo incondizionato, avrebbe illuminato qualsiasi stanza nella quale entrava e lo sguardo delle persone che ho incontrato risplendeva quando parlavano di lui. Il suo modo di essere aveva un impatto sulla vita degli altri».

Una storia di vita quindi.

«Sì, questa biografia racconta la vita di uno sciatore, ma potrebbe essere applicata a una qualsiasi altra sfera umana. Il libro non si focalizza solo sul mondo dello sci estremo, ma vuole toccare gli eventi attorno all’esistenza di una figura così carismatica, morta facendo quello che amava di più, aiutando un amico in pericolo. Una vera e propria esplorazione nel potere dello spirito umano: lo sci è stato una sorta di scenario per poi esplorare la vita affascinante di Doug».

È con questo spirito che è stata creata la Doug Coombs Foundation. Ce ne parli?

«Sì, sua moglie Emily ha creato la fondazione nel 2012 e da allora ospita circa duecento bambini a stagione. L’idea è di insegnare ai ragazzi di famiglie non abbienti a sciare, dando l’opportunità di eccellere in un ambiente, con la speranza che portino la fiducia e la sicurezza acquisita anche in altri campi. Lo sci è solo una scusa, un trampolino di lancio per poi dare il massimo in altre sfere».

DOUG COOMBS - Nato a Boston nel 1957 e cresciuto a Bedford, nel Massachusetts, è stato un pioniere dello sci ripido prima negli Stati Uniti (Tetons, Chugach) e poi in Europa. Un grave incidente a 16 anni non ferma la sua passione per le discese e nel 1991 vince il primo World Ski Extreme Championship a Valdez, Alaska, spiazzando la giuria per l’audacia delle linee scelte. Insieme alla moglie Emily fonda la Valdez Heli-Ski Guides nel 1993, poi gli Steep Skiing Camps a Jackson Hole che porta successivamente a La Grave. La sua sciata veloce e sinuosa, unendo potenza, controllo e grazia, era ineguagliabile. Amava dire che «il miglior sciatore è quello che si diverte di più» e viveva la sua vita con passione ed energia. È morto il 3 aprile 2006 mentre cercava di aiutare un amico caduto da un dirupo, Chad VanderHam.

COME ACQUISTARE IL LIBRO - Sulle tracce di Coomba (Mulatero Editore, 264 pagine, 19 euro) è in vendita nelle migliori librerie oppure si può ordinare online a questo link.

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