Un anno è volato, come sempre. Speriamo almeno che sia stato un 2018 ricco di sciate nella polvere. Per noi è stato un 2018 pieno di soddisfazioni e sempre più numerosi avete letto gli articoli di Skialper. Ecco una playslit dei nostri favoriti. Buon 2019!

La redazione

Lo sci come scusa – «Faccio click nei miei attacchi sulla parte più alta del Ghiacciaio Margherita. Si tratta di un caos frammentato di ghiaccio soffocato dai detriti che precipita dalla terza cima più alta dell’Africa prima di fondersi in una lussureggiante giungla equatoriale e di fluire a valle per formare il Nilo. Nonostante si sia stia sciogliendo molto velocemente, il Ghiacciaio Margherita è il più grande rimasto in Africa. Il climate change ha ridotto quelli sul Kilimangiaro e sul Monte Kenya a minuscole schegge, semplici ricordi della loro originaria grandezza. Ed è per questo che siamo qui, dopo sei giorni di avvicinamento, a mettere gli sci ai piedi per la prima volta». Lo sci per Mary McIntyre, al suo primo fotoservizio su Skialper, è una scusa. Una scusa per entrare in contatto con persone lontane anni luce dal nostro modo di vivere, culture ancestrali e montagne che sorgono da foreste pluviali. Questo articolo è stato pubblicato sul numero di dicembre 2018, qui trovi tutte le informazioni.

Andrzej Bargiel ©Marek Ogien/Redbullcontenpool

K2 Ski Challenge – «Sono esausto. Mi sento vuoto, devo assolutamente riposare. Avevo già avuto un momento simile di stanchezza e di capogiro quando ero più in alto, raggiungendo Janusz al campo due, per avere bevuto e mangiato troppo poco: non so perché non avessi fame, probabilmente per la tensione. Ho tentato di bere un drink con un isotonico, ma non sono riuscito per i conati di vomito. (…) Il mio corpo tollera solo la neve, in questo momento. Scendo, sono quasi alla fine. Alla base della parete c’è un piccolo cocuzzolo e ci monto sopra con gli sci. A quel punto sento che tutto è finito, alzo le mani al cielo e urlo. Poi, dopo qualche minuto, riprendo a scendere e faccio le ultime curve prima di togliere gli sci. Marek Ogień, che mi parla alla radio, mi sta osservando dai piedi della parete. Lo vedo e lo raggiungo». La discesa del K2 con gli sci di Andrzej Bargiel è stata l’impresa dell’anno. Ne abbiamo parlato sul numero di ottobre, con uno speciale di più di 30 pagine: le informazioni qui.

©Roberto De Pellegrin

Dolomites Wildest Path – Luca ha 38 anni, per lui gestire il rifugio Pramperet non è stata una scelta ma una necessità: «Ero senza lavoro e ho preso un’occasione al volo. Ora però mi trovo bene e vorrei continuare, vorrei che non diventasse come i rifugi che ci sono a Nord, dove ormai è stato addomesticato tutto. Elena e Gavino sono sedici anni che gestiscono il rifugio Pian de Fontana. Lei vicentina e lui di Alghero, cercavano un posto dove lavorare in montagna e l’anno trovato qui, su un antico pascolo in vista della Schiàra. «Quando devo dire non ce l’ho a chi mi chiede l’acqua calda, la camera doppia, il tiramisù o i gelati, vedo che rimangono un po’ perplessi – dice Elena -. Abbiamo tutti molte cose e questo è un posto che ne offre meno, ma ti dà un’esperienza in più. Poi la maggior parte delle persone al mattino mi dice: Sono stato bene, grazie dell’atmosfera. Allora sono io che mi stupisco perché non ho fatto niente di speciale». Questa e altre interessanti storie nel bellissimo reportage sulla nuova Altavia delle Dolomiti Bellunesi. Se volete saperne di più, cliccate qui.

©Achille Mauri

La Promenade – Fra i legni lunghi due metri e dieci e i palettoni da 106 millimetri sotto il piede scivolano via cinquant’anni. Come niente fosse. Decenni di vite, senza che la montagna se ne sia neppure accorta. Corse, salite, discese, gare, neve, pioggia e sole. E lei sempre uguale a se stessa. Sempre lì, a due passi da casa. È il 1970, nello sconfinato bianco della Val d’Aosta, in condizioni di neve perfette e abbondanti, tre ragazzi. Guido, Ruggero, Carlo. Ad aprile, primi di sempre, tracciano il loro sogno: attraversare la regione sugli sci, da Champorcher a Gressoney. Tredici tappe, due giorni di sosta per maltempo, 37.000 metri di dislivello. Anno 2017, mese di maggio. La storia si ripete. Sulle stesse linee che ogni anno decine di persone ripercorrono, sugli stessi passi che gli atleti del Tor des Géants inanellano frenetici, il sogno di Guido, Ruggero e Carlo rinasce. È lo spirito a dettare le regole: nessuna sfida contro il tempo, nessun bisogno di leggerezza per correre più veloci. Lì, a due passi da casa, Shanty Cipolli e Simon Croux decidono semplicemente di ripercorrere quel che qualcuno ha già fatto. Tutte le informazioni su questa stupenda avventura qui.

©Federico Ravassard

C’era una volta il West  – «A fine febbraio ho deciso di curarmi. La meta del mio rehab era una valle nell’Ovest, dove il freeride esiste da più di vent’anni e non è stato inventato ieri da un marketing manager di una multinazionale, dove lo sci libero non lo si pratica, lo si vive in tutti i suoi eccessi e i sacrifici che ti richiede. Dove tra l’essere e l’apparire si sceglie lo sciare, e se la neve è bella magari al lavoro ci si va un’altra volta, pazienza se il conto in banca a fine mese piange. Così sono andato a disintossicarmi a Gressoney da Zeo e i suoi amici, alla Baitella». Inizia così l’articolo di Federico Ravassard su Gressoney pubblicato sul numero di aprile-maggio di Skialper: se volete saperne di più

La Caroline Face

Caroline Face – La Caroline Face è stata l’ultimo problema alpinistico neozelandese negli anni ’70 e, con l’avvento dello sci su grandi pareti, nell’ultimo decennio una delle più grandi linee al mondo rimasta da sciare. Era stata addirittura inserita in una top ten di discese ancora da realizzare, insieme alla sud del Denali (poi scesa da Andreas Fransson), al K2 e altre ancora. L’ultimo tentativo, quello di Andreas Fransson e Magnus Kastengren nel 2013, terminò al Porter con la fatale caduta di Magnus, senza la quale probabilmente i due avrebbero sciato l’intera parete. Il problema è stato risolto nell’autunno 2017 da Enrico Mosetti, Tom Grant e Ben Briggs e su Skialper 116 di febbraio-marzo lo stesso Mosetti ha scritto un interessante articolo sulla sua discesa. Info qui.

Sci con vista tra le meringhe ghiacciate delle Alpi Giulie ©Federico Ravassard

Alla Fiera dell’Est – Saranno montagne basse, almeno per uno che arriva dall’Ovest, però in mezzo a queste montagne è cresciuto uno degli scialpinisti italiani più cool del momento, Enrico Mosetti, detto il Mose. «Classe 1989, sponsorizzato da quel marchio molto hipster di Chamonix che ne riflette in pieno l’immagine, quattro spedizioni all’attivo e discese pazzesche su giganti di cinque o seimila metri in Perù, Georgia e Nuova Zelanda, più un tentativo al Laila Peak in Pakistan, ovvero una delle più belle montagne del mondo. Tutto questo per dire che, insomma, se uno così impara a sciare da queste parti, allora le Alpi Giulie devono avere un qualcosa dentro di selvaggio». E per questo, dopo l’esperienza di Benvenuti al Sud, Federico Ravassard ha passato qualche settimana a sciare con il Mose e altri local su queste montagne così selvagge e ricche di fascino. Per saperne di più.

Heitz sullo Zinalrothorn ©Tero Repo

Quello che volevamo chiedere a Jérémie Heitz – A quasi due anni dall’uscita di La Liste, abbiamo chiesto a Jérémie quello che era rimasto nella gola da tanto tempo. Non c’è dubbio che La Liste sia uno skimovie fuori dai canoni, dove tutto quello che è rimasto impresso nella nostra mente dopo la prima visione è una saetta che squarcia un muro bianco. Lo fa a pezzi, letteralmente. Un film che ha segnato profondamente il movimento dello sci ripido, che ha creato discussioni e anche qualche critica. In meno di cinquanta minuti tutte le certezze su come si sciavano le classiche big face alpine sono state prese a calci. Qualche anticipazione sulle domande che Andrea Bormida ha fatto a Jérémie e sulle riposte… qui.