«Era il 2011. Stavo correndo lungo il Wonderland Trail, un sentiero di 96 miglia che fa il giro del Mount Rainier, nello stato di Washington. Era notte fonda. All’improvviso due pupille luminose. Un puma. Quella notte io ero la preda e lui il predatore. L’ho perso di vista qualche istante, poi si è fatto vedere di nuovo. Ha giocato con me, ma poteva essere un gioco mortale. Il contrasto con quello che avevo vissuto poco prima era grande, perché per 15 ore ero stato come in una bolla, quei momenti rari che arrivano quando tutto funziona in armonia e il corpo risponde perfettamente. Mi sentivo intoccabile. Provavo una sofferenza che andava oltre il dolore fisico, l’impressione che tutto sfuggisse al mio controllo. Ero nel panico, camminavo, correvo, non avevo idea veramente di cosa fare». Scrive così Joe Grant nell’articolo su Skialper 125 di agosto-settembre per raccontare come l’incontro con un puma, lungi dall’avere provocato un cambiamento delle sue abitudini, lo abbia costretto a ragionare in modo diverso. Un racconto sulla filosofia e i perché della corsa nella natura, dove siamo sempre ospiti e non padroni.